domenica 29 dicembre 2013

FABRIZIO GIULIMONDI: VERSO IL TRAMONTO DEL 2013 E L'ALBA DEL 2014


Molte sono ancora le lotte da affrontare, le sconfitte da subire e le vittorie da assaporare,
ma il Fato non ci ha ancora domato



.........che il 2014 ci trovi degni.............

Fabrizio Giulimondi



sabato 28 dicembre 2013

"IL BORDO VERTIGINOSO DELLE COSE" DI GIANRICO CAROFIGLIO

Il Bordo Vertiginoso delle CoseSiamo giunti alla fine del 2013 e  il libro di fine d’anno che Vi propongo è l’ultima fatica del magistrato -  scrittore, già parlamentare nazionale del Partito Democratico nella legislatura 2008 – 2013,  Gianrico CarofiglioIl bordo vertiginoso delle cose” (Rizzoli). Questa Rubrica ha già recensito un’opera di Carofiglio, “Il silenzio dell’onda” (Rizzoli), finalista del Premio Strega 2012, e di lui avevo letto in precedenza  “Ragionevoli dubbi” (Sellerio), che vede il ritorno come protagonista dell’avvocato Guarnieri.
Carofiglio ha uno stile scorrevolissimo, piacevole ed immediato,  tanto che “Il bordo vertiginoso delle cose” lo si legge in un battibaleno. Nei suoi scritti sono visibilmente presenti tracce della sua professione magistratuale (ad eccezione proprio  del romanzo in commento), con continui riferimenti ad attività e terminologie di natura  poliziesca e giudiziaria, oltre del suo animo di sinistra, con persistenti richiami  all’antifascismo e  alla violenza dei “neri”. Tale passione ideologica si rintraccia anche in questo libro, unitamente ad un coraggioso richiamo di verità alla brutalità cieca e pericolosa dell’altro fronte, incarnata da uno dei due coprotagonisti, Salvatore, inserito nella galassia extraparlamentare comunista della metà degli anni settanta, dedito all’odio contro i c.d. fascisti, sempre  pronto a ferirli  ed a ammazzarli.
Il bordo vertiginoso delle cose” a livello figurativo è paragonabile all’arte del pittore statunitense  Jackson Pollock, uno dei principali esponenti della corrente artistica dell’espressionismo astratto, a partire dal titolo, che riprende  un  verso di Robert Browning “A noi preme soltanto il bordo vertiginoso delle cose”, per passare al potpourri  e mixage dotto, erudito, colto, raffinato ed intelligente, di riferimenti filosofici e  letterari. Vi sono stralci di lezioni sui massimi pensatori greci dell’antichità  da Platone ad Aristotele, evidenziando le concezioni dei  sofisti come Protagora, Gorgia e  Antifonte, lucidamente  esposti dalla seconda protagonista, Celeste, la supplente di filosofia di cui Enrico si innamorerà e che cambierà in lui l’approccio con la scuola (“Era la sua capacità di trattare gli argomenti partendo da spunti inattesi per giungere a conclusioni sorprendenti, che la rendeva ancora più bella di quanto non fosse in realtà. Nei suoi discorsi c’era una grazia vertiginosa a e una capacità di evocazione delle intelligenze, dalle quali era impossibile non restare incantati”).
La colonna sonora  della narrazione è costituita dai brani dei grandi cantautori italiani e stranieri dell’epoca, da Francesco de Gregori a Neil Young,  e la stessa individuazione cronologica è compiuta non direttamente ma attraverso richiami cinematografici, come al film del 1977 di Woody Allean Io ed Annie.
Il protagonista, un po’ patetico, un po’ melodrammatico, un po’ simpatico,  è Enrico. Nutro il motivato sospetto che le vicende che lo vedono coinvolto abbiano un qualche sapore autobiografico, a partire dal nome (Enrico-Gianrico), dall’ambientazione a Bari, località  natia di Carofiglio (la dovizia di particolari descrittivi e le molteplici citazioni di  strade e piazze appartengono più ad un afflato dell’anima che al mondo della toponomastica), nonché  al periodo storico della adolescenza scolastica di Enrico, risalente  proprio agli anni degli studi superiori dello Scrittore.
Enrico è un letterato di origini baresi che vive a Firenze. Dopo il grande successo della sua opera prima, ha il classico blocco dello scrittore. Vicissitudini personali aggravano la sua situazione: la perdita della madre e la fine del rapporto sentimentale con la ultradecennale convivente. Nasconde la propria  crisi mentendo a sé stesso e agli altri.
Legge sul giornale di una rapina a Bari finita con l’uccisione del rapinatore. Lascia Firenze per recarsi qualche giorno a Bari, anche se  non sarà affatto per qualche giorno.
Il rapinatore morto è Salvatore, suo compagno al primo liceo classico, già a quei tempi violento attivista politico di sinistra e “allenatore” in una palestra  clandestina, dove  si addestrano i picchiatori “compagni” ad aggredire o difendersi dagli aggressori “fasci”. Salvatore diventerà un terrorista rosso dedito alle rapine come strumenti di finanziamento delle attività eversive. In questa palestra viene cooptato anche Enrico, più interessato, però, all’insegnante, Celeste,  che sostituisce il titolare della cattedra in materie filosofiche. Le sue lezioni lo coinvolgono intellettivamente, ma, soprattutto, sensorialmente, portandolo ad un rapido innamoramento.
Il bordo vertiginoso delle cose” è racconto di occupazioni, autogestioni, cazzotti, calci, testate sul naso, risse, follia, odio fra fazioni che hanno portato la Repubblica nel baratro per lunghi anni. E’ ricordo  di un certo antifascismo fatto di spranghe e chiavi inglesi, molto simile a quel fascismo, simbolo di soprusi e di sangue,  che si voleva combattere. E’ viaggio fra  amori perduti e impossibili di uno studente per la professoressa, che poi il tempo potrebbe rendere possibile. E’ un amarcord dell’Autore per un passato, il suo, il nostro, vissuto da diverse barricate.
L’immersione di Enrico in quel tempo, in quella seconda metà degli anni settanta, la rentrèe al primo liceo classico dell’Istituto Orazio Flacco di Bari, le reminiscenze non più nebulose ma vivide di Celeste e Salvatore,  degli altri compagni di classe,  degli altri docenti, smuovono la fuliggine che si era addensata in lui: solo la ricerca di  Celeste per incontrarla di nuovo potrà far sì che il passato diventi presente e, nel presente, arrivi un nuova creazione letteraria.
Malinconia, sensazione  di irrimediabile fallimento e sconfitta,  pervadono  ogni singola riga, come una nebbiolina inconsistente ma fastidiosa. Verso la fine, lentamente ma inesorabilmente, si dissipa, scompare, intravedendosi prima soffusamente, poi più marcatamente, i raggi del sole, quei raggi di sole che traspaiono quando le nuvole  che si erano pericolosamente abbassate  su un viottolo di campagna finalmente si alzano.
L’Autore fa dire a Stefania, a cui  Enrico dette il suo primo bacio, scampata ad un tumore ai polmoni:” Allora pensavo alle cose che non avevo fatto, al tempo sprecato e venivo presa da una terribile malinconia. Contemplavo  la mia vita da quello che credevo fosse il mio letto di morte….( a cosa pensavi?) Al tempo sprecato…ai libri che non avevo letto, alle cose che non ero capace di dire alle persone cui avrei dovuto dirle…. Ai viaggi, alle passeggiate non fatte….pensavo a tutti i rischi che non avevo voluto correre.”.


Fabrizio Giulimondi

giovedì 26 dicembre 2013

FABRIZIO GIULIMONDI: BUON NATALE AI NOSTRI MARO'!



India, svolta nel caso dei Marò: processati da tribunale speciale

Buon Natale a Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, ancora illegittimamente detenuti dal governo indiano.
Che il 2014 li veda liberi in Patria!
Fabrizio Giulimondi

martedì 24 dicembre 2013

lunedì 23 dicembre 2013

"FELICI I FELICI" DI YASMINA REZA

http://www.amazon.com/gp/product/8845928268/ref=as_li_tl?ie=UTF8&camp=1789&creative=390957&creativeASIN=8845928268&linkCode=as2&tag=bookrevi0dd0-20&linkId=A4EDG4FIEN3MCEQMFelices los amados y los amantes y los que pueden prescindir del amor. Felices los felices” (“Felici gli amati e gli amanti e coloro che possono fare a meno dell’amore. Felici i felici”). Da questi versi,  estrapolati  dal libro di poesie di Jorge Luis Borges “Frammenti di un vangelo apocrifo”, la celeberrima scrittrice parigina di origini iraniano-ungheresi Yasmina Reza ha tratto il titolo del suo ultimo capolavoro Felici i felici” ("Heureux les heureux") (Adelphi editore), prezioso racconto sulla vacuità, la profondità e le asprezze dell’amore.
Poche ore di lettura per immergersi nella bellezza della tristezza e della malinconia degli affetti, in quell’attimo dorato ed irripetibile dell’innamoramento e nel protrarsi lento e consunto del sentimento quotidiano, che sembra, sembra, aver macerato l’antica passione, ma che la morte proverà  che così non è.
A che punto quel passato si sia dissolto e volatilizzato. Due persone vivono fianco a fianco e ogni giorno la loro immaginazione si allontana in modo sempre più definitivo. Le donne, nel loro intimo, si costruiscono palazzi incantati. Tu sei lì dentro da qualche parte mummificato ma non lo sai”.
Ventuno storie che raccontano i misteri del voler bene all’altro di ventuno personaggi che girano intorno alla famiglia Toscano, Robert, Odile e i due figli: i loro genitori,  suoceri,  cognati,  generi,  nuore,  amici e  amanti.
Caratteri marcati e  pennellate decise descrivono le donne e gli uomini,  tutti egualmente protagonisti, di questo piccolo trattato su ciò che muove e distrugge l’umanità e che è ontologicamente coessenziale all’essere umano,  che con esso nasce e con esso muore: l’amore.
Yasmina Reza non si sottrae ad una critica pungente ed aspra di certi lati femminili,  non indulgendo a commiserazioni che trova fuori luogo e, soprattutto, fuori dalla verità che deve essere sempre la stella polare di uno scrittore che si propone di incunearsi fra le pieghe nascoste dell’anima: ” Le donne soccombono al fascino degli uomini terribili – urla dentro di sé Jeannette Blot -  perché gli uomini terribili si presentano mascherati come a un ballo”. Anche Hélène Barnèche è incastrata in questo perverso e subdolo meccanismo: fra il marito dolce e premuroso e l’uomo dominatore, sprezzante e violento, opta fatalmente per il secondo, ossia per il proprio annientamento.
Anche il rapporto omosessuale è fugacemente preso in considerazione, ma nel brandello di storia esso è trattato come mero sfogo sessuale, prezzolato, mercenario, putrido.
Le origini culturali e religiose ebraiche della Autrice trapelano in maniera garbata in molti passaggi della narrazione, non con l’irruenza che contraddistingue Alessandro Piperno, nelle cui opere letterarie (di indubbia valenza e bellezza) traspare un senso di sdegno e di fastidio per usanze e costumi giudaici.
E’ una lettura quella di “Felici i felici” che non potrà non sollevare conflitti interiori e, soprattutto, non potrà non subire un duplice e diametralmente opposto approccio emotivo, critico  e valutativo, da parte delle due metà del cielo.
Una certezza v’è ed è indiscutibile: leggetelo!

Fabrizio Giulimondi


domenica 22 dicembre 2013

"LO HOBBIT - LA DESOLAZIONE DI SMAUG" DI PETER JACKSON

Locandina italiana Lo Hobbit - La desolazione di Smaug
Oramai si può tranquillamente affermare che John Ronald Reuel Tolkien (3 gennaio 1892 – 2 settembre 1973) ha creato un genere letterario, banalmente definito dai più come fantasy,  ma che in realtà è ascrivibile alla nobile stirpe dei  poemi epici dei grandi Autori greci e latini,  discendente  anche dal  filone mitologico celtico, vichingo e  teutonico.
La prima trasposizione sul grande schermo delle opere di Tolkien ad opera del regista neozelandese Peter Jackson è avvenuta con la trilogia “Il Signore degli Anelli” (“La Compagnia dell’Anello”, “Le Due Torri”, “Il Ritorno del Re”).
Jackson negli ultimi anni sta affrontando la traduzione filmistica del racconto  di Tolkien precedente al “Signore degli Anelli”, prodromico a quest’ultimo,  “Lo Hobbit”. Anche in questo caso il libro dello scrittore  britannico è trasmutato in una trilogia cinematografica. Lo scorso anno è stato distribuito  nelle sale di oltreoceano ed europee “Lo Hobbit - un viaggio inaspettato” (recensito in questa stessa Rubrica), mentre in questi giorni agli amanti del genere è proposto “Lo Hobbit -  la desolazione di Smaug”.
Sensibilmente differente da Il Signore degli anelli e dal primo episodio de Lo hobbit, per narrazione e diversificata presenza dei personaggi, “La desolazione di Smaug” è senza dubbio migliore del precedente, per qualità dell’immagine,  fotografia rafforzata da colori vividi e fluorescenti, affascinante scenografia ambientata sempre fra le montagne e le foreste neozelandesi e, infine, le battaglie lunghe, avvincenti e particolareggiate.
Il mezzo uomo Bilbo Baggins sostituisce Frodo, mentre i nani sono i veri protagonisti delle avventure raccontate, seppur gli elfi con Legolas  non mancano di dare il loro robusto contributo alle lotte, insieme al mago guerriero Gandalf il Grigio. Dalla parte del Male, oltre gli orripilanti orchi e, sullo sfondo, l’occhio del malvagio Sauron, compare il grande drago Smaug, descritto con le fattezze classiche tramandate dalla tradizione favolistica europea, oltre e nel rispetto delle leggende nordamericane.
In attesa che nel 2014 esca la terza “puntata”, secondo la consolidata tecnica dello spezzettamento della narrazione che, oramai, i cineasti fantasy pedissequamente seguono (al pari di Twilight, Harry Potter, Shadowhunters, Hunger Games), con finali che non sono finali, godiamoci ancora una volta il frutto del  portento creativo ed intellettivo del duo Tolkien- Peter Jackson.

Fabrizio Giulimondi


sabato 21 dicembre 2013

"UN FANTASTICO VIA VAI" DI LEONARDO PIERACCIONI


 
“Un fantastico via vai” di e con Leonardo Pieraccioni si fa vedere, pur partendo male all’inizio con qualche parolaccia di troppo e un po’ diesel.
Il film cresce esplodendo alla fine con immagini poetiche e gioiose che inneggiano alla vita e al futuro, mostrando il vero volto di Pieraccioni padre da tre anni di una splendida bambina. Il brano  stesso che fa da colonna sonora  al the end è cantata dal regista-attore.

Una spremuta di attorialità italica, con Serena Autieri, Maurizio Battista (che si sta facendo vedere sempre di più sul grande schermo), Marco Marzocca, Marianna di Martino (volto splendido, veramente bello, che  ha senz’altro meritato il titolo di Miss Sicilia e, nello stesso anno,  il secondo posto di Miss Italia 2008), Chiara Mastalli (un film fra tutti: Notte prima degli esami 1 e 2), Massimo Ceccherini e Giorgio Panariello.

Mia figlia Elisa lo consiglia a tutti i lettori del blog!

Fabrizio Giulimondi

"OMBRE SUL SOLE, STORIE DI UOMINI CONTRO:BOTTAI, LULLI, ROSSIF" DI ENZO NATTA

Ombre sul soleL’incontro fra cinema e letteratura, tra partigiani, resistenza e film, avviene nelle suggestive pagine del saggio di Enzo NattaOmbre sul sole, storie di uomini-contro: Bottai, Lulli, Rossif” (edizioni Tabula Fati).
Quale il rapporto fra la storia e il cinema? Il cinema può essere una fonte storiografica?”
L’Autore cerca di fornire una risposta attraverso la vita di tre personalità che hanno inciso con le proprie azioni sugli ultimi anni del regime fascista e sul tramonto della seconda guerra mondiale.
Giuseppe Bottai, prima Ministro delle Corporazioni e, poi, della Educazione Nazionale (in tale veste immaginò la introduzione dello studio dell’arte cinematografica fra le discipline scolastiche), dopo aver votato la notte fra il 24 e il 25 aprile 1943  l’ordine del giorno proposto da Grandi al  Gran Consiglio del Fascismo, determinando così la fine della dittatura mussoliniana,  fuggì in Africa per entrare  nella Legione Straniera, mettendosi in luce con eroiche azioni contro le truppe naziste e repubblichine.
Frederic Rossif, documentarista e regista francese, come milite della  Legione Straniera fu aggregato al corpo di spedizione francese in Italia, dove partecipò, al termine  del maggio del 1944,  all’audace colpo di mano che permise agli Alleati di liberare Roma ed impedire il rapimento di Papa Pio XII da parte dei nazisti.
Folco Lulli, attore dotato di intensa capacità comunicativa e di rilevante efficacia drammatica, convinto fascista prese parte alla campagna d’Etiopia. Entrato in crisi a seguito della alleanza dell’Italia di Mussolini con la Germania hitleriana, entrò nelle formazioni partigiane badogliane di Martini Mauri.
Tutti e tre sono “ombre del sole” che, secondo i miti raccontati nei poemi epici giapponesi,  sono macchie che hanno oscurato la chanson de gesta dei ronin, samurai disillusi e senza padrone, dediti al sacrificio  attraverso una tardiva presa di coscienza, che si riscattano  non solo dai loro trascorsi, ma anche dagli inganni subiti e dagli altrui tradimenti: “miti rubati, eroi dimenticati, memorie perdute di uomini esiliati dalla Storia….ombre del Sole, uomini senza identità, macchie che offuscano e che suscitano lo sdegno della coscienza civile, offesa dai reiterati silenzi.”.
Fabrizio Giulimondi

E’ tempo di passare  la parola ad un amico di capacità critiche ed estetiche ben superiori alle mie, Rocco Cesareo.


ombresulsole 
La lotta contro il potere è la lotta della memoria contro l’oblio. 
Milan Kundera



            Scrittore e critico cinematografico, Enzo Natta nel suo “Ombre sul sole – Storie di uomini contro: Bottai, Lulli, Rossif” per conto di Edizione Tabula Fati – Solfanelli Editore, specula sulle interazioni tra cinema e storia: il cinema può essere considerato uno strumento d’indagine storiografica? In altre parole, realtà storica e la sua “riproducibilità artistica” (film, romanzi, opere liriche e via discorrendo) possono convivere al punto tale da parlare di “fedeltà” ogni volta che s’incontrano?  E più in generale si potrebbero forse fissare eventuali “paletti” rispetto agli avvenimenti narrati? Insomma le questioni sollevate da Natta sulle relazioni pericolose fra cinema e storia nell’epoca della “riproducibilità” del passato, sono già da molto tempo oggetto di acceso dibattito e non a caso l’autore, fra le molte citazioni di cui il libro è ricco, ricorda da subito “La caduta- gli ultimi giorni di Hitler” un film del 2004 del regista tedesco Oliver Hirschbiegel (tratto dalla biografia su Hitler dello storico tedesco Joaquim Fest e dall’autobiografia di Traudl Junge “Fino all’ultima ora. Le memorie della segretaria di Hitler, 1942-1945”) con uno strepitoso Bruno Ganz nei panni del dittatore. La vicenda ripercorre fedelmente, anche grazie al diario della sua assistente Traudl, gli ultimi giorni di vita del dittatore dal giorno del suo cinquantaseiesimo compleanno (20 aprile 1945) fino al suicidio nel bunker di Berlino poco prima della resa incondizionata della Germania. Una pagina di storia forse poco esplorata dagli storici di professione, ma che proprio per questo, non ha mancato all’uscita del film, di suscitare un’onda “emozionale” fatta da una miriade impressionante di articoli, recensioni, dichiarazioni pubbliche, ricordi ancora vivi, ora pro, ora contro il film, che hanno interessato a vario titolo, intere generazioni di esseri umani, con un’intensità tale da stordire gli stessi autori del film (produttori, sceneggiatore, regista, attori). Ma a tale proposito forse la spiegazione più esatta la fornisce lo stesso Fredèric Rossif che nella sua intervista a Enzo Natta parlando di nuove frontiere della storiografia dice “Alla storia ufficiale, dove le istituzioni assurgono al rango di protagonista e consegnano ai posteri una versione codificata, bisogna contrapporre la storia totale, dove protagonista è il sentimento popolare. C’è più verità nelle immagini di Combat Film, che in centinaia di documenti. La vera storia è scritta nei volti fissati da John Huston, da John Ford, da Frank Capra, e in quegli stessi volti voglio tornare a leggerla”.
            La questione è probabilmente più complessa di come la poneva Rossif a cominciare dalla classica opposizione, secondo la famosa definizione coniata dallo storico Bazin, tra registi che credono alla “realtà” e coloro che credono all’ “immagine”. In parole più semplici all’inquadratura asciutta, severa e un po’ marginale di Rossellini, è stata da sempre contrapposta quella elaborata, fiammeggiante, di De Sanctis, quale delle due potesse in qualche modo evidenziare meglio la nascente società industriale, con i suoi modelli e bisogni simbolici tipici della società dei consumi. Ma questa è, del resto, la stessa domanda che si è posta l’autore del libro, ossia la teorizzazione consapevole del cinema come mezzo di comunicazione e infine del rapporto, come si dice oggi, fra vita pubblica e privata.
              E alquanto private e di conseguenza sconosciute sono le vicende indagate da Enzo Natta nel suo bel libro sull’avventura umana e politica di Giuseppe Bottai, Frédéric Rossif e Folco Lulli, della loro ricerca di clandestinità: per Bottai e Rossif nella Legione Straniera; per Lulli nelle formazioni partigiane. Esse possono apparire in apparenza distanti se non addirittura contrapposte e sono invece assolutamente vicine e confluenti nella loro ricerca di riscatto. Le loro sono “storie rubate”, ombre sul sole appunto, mai raccontate perché ritenute scomode, tutt’al più buone per qualche confidenza nascosta da “vrai des vrais”, nascondendo la commozione dietro una nuvola di fumo, davanti a una bottiglia di “vin de sable” fresco al punto giusto.
       Bottai, volontario e ufficiale degli arditi nella prima guerra mondiale, partecipò alla marcia su Roma del 1922. Fu anche fondatore di “Critica fascista”, unica voce accreditata del regime mussoliniano. Sua fu la redazione della Carta del lavoro, base dell’ordinamento corporativo, e della Carta della Scuola che prevedeva anche l’insegnamento del cinema nelle scuole di ogni ordine e grado. Eroico e leale sostenitore dell’ideologia fascista che lo portò a combattere come ufficiale degli alpini in Albania, nel 1943 deluso e preoccupato per le sorti del Paese, fu tra i promotori e firmatari della mozione Grandi che, il 25 luglio di quell’anno porto alla deposizione e successivamente all’arresto di Mussolini. Dopo l'occupazione nazista di Roma sfuggì alla cattura, grazie agli appoggi di cui godeva in Vaticano, fra cui quella di Monsignor Montini, futuro papa Paolo VI. Dopo essersi nascosto in diversi Istituti religiosi, decise di rinunciare a una vita da fuggiasco che certamente non sentiva propria e in un impeto di riscossa e in qualche modo di riscatto nelle degenerazioni finali del fascismo, riuscì ad arruolarsi nella legione straniera con il nome di Andrea Battaglia e successivamente Andrè Jacquier.
             Con questa divisa, indossata per sfuggire al passato a quarantanove anni troppi anche per la Legione Straniera che pure non andava troppo per il sottile quando si trattava di arruolare, Bottai fu protagonista di una singolare impresa in Provenza dove al comando di quaranta legionari e contro lo stesso Alto Comando francese che non vedeva di buon occhio l’avanzata legionaria, grazie ad un singolare stratagemma ideato dallo stesso Bottai, tagliò in due la Provenza mettendo in fuga i soldati tedeschi. Di questa straordinaria impresa militare non vi traccia né nei libri di storia, né nelle memorie dello stesso Bottai. Fu il giuramento al silenzio che tutti i legionari sono tenuti a fare quando termina il loro ingaggio? Certo gli storici militari hanno raccontato la liberazione della Provenza secondo la versione ufficiale dell’Alto Comando, dando credito ai rapporti forniti dallo Stato Maggiore. Ma le vieux des vieux sanno che andò diversamente e gli avevano già affibbiato un altro soprannome: Sun Tzu.         
            Questa è dunque la tesi del libro di Enzo Natta, venuta alla luce, è proprio il caso di dirlo, grazie alla sua amicizia con Frèdèric Rossif, regista e documentarista di fama, autore di celebri capolavori come Morire a Madrid. Fu proprio questo francese d’adozione, ma di origine montenegrina e nipote della Regina Elena, che andando a intervistare un superstite dei vielles moustaches nella casa di riposo a pochi chilometri da Aix en Provence, facendogli infrangere un solenne giuramento, si fece raccontare la verità sullo sbarco in Provenza del 1944. Roussif si trovava a Roma diciottenne dove frequentava la facoltà di matematica, quando allo scoppiare della guerra decise di parteciparvi e raggiunta Alessandria si arruolò anche lui nella Legione Straniera per poi tornare in Italia aggregato al corpo di spedizione francese, e partecipò alla liberazione di Roma con un'azione di commandos toccata alla pattuglia della Legione Straniera di cui faceva parte e organizzata dagli alleati stremati dalla resistenza nazista. Nel dopoguerra, ormai noto come documentarista e originale autore cinematografico, oltre al già citato “Mourir à Madrid”, va almeno ricordato “Le temps du ghetto”, Rossif, che con facilità slava parlava anche l’italiano, venne a Roma per organizzare documentari e fu proprio a Cinecittà che conobbe, diventandone amico, Enzo Natta.
              Terzo protagonista dell’opera è Folco Lulli (1912-1970). Intrigante personaggio del cinema Italiano del dopoguerra, molti lo ricordano come coprotagonista di peso in molti film fino agli ultimi anni ’60 e spesso con registi di primo ordine come Lattuada, Camerini, Soldati (con cui Lulli avrebbe dovuto girare “Fuga in Francia” ma in realtà, il film come raccontava Lulli, fu interamente girato da Pietro Germi perché Soldati era malato….) e poi ancora, Steno, Monicelli, Fellini, e soprattutto Henri-Georges Clouzot nel cui “Le salaire de la peur” del 1953 al fianco di Yves Montand, è uno dei quattro delinquenti reclutati per trasportare un pericoloso carico esposivo. Dalle note di Natta viene fuori una figura umana e patriottica che non si credeva di poter sospettare in Lulli. Fu partigiano in Piemonte dal 1943 subito dopo l’8 Settembre e combattè insieme a Beppe Fenoglio l’autore de “Il partigiano Johnny”.Catturato dai tedeschi Lulli, uomo di fiducia di Mauri, partecipò allo smantellamento di una pericolosa rete di spionaggio nazista.
                  L’analisi su una corretta metodologia d’indagine storica applicabile al cinema, è quindi, come abbiamo visto, da decenni al centro del dibattito culturale. Il risultato comunque sia, rimane particolarmente avvincente, se è vero che cinema e storia, sono comunque uniti in modo indissolubile, gremiti entrambi di gesta eroiche e slanci romantici, d’imprese gloriose spesso compiute da “ Vite in Esilio” o, come li chiama Enzo, Ombre sul sole.  Si può concludere, affermando che se il cinema ha una capacità unica di evidenziare con grande efficacia le contraddizioni dell’uomo spesso nei momenti cruciali, subito dopo si pone il problema dell’imparzialità storica perché la rappresentazione che di essa si da, è talmente potente e ricca di suggestioni da contribuire indelebilmente alla formazione del messaggio che passerà ai posteri.
Se il cinema è una sequenza d’immagini in movimento, la Storia è vita, quindi occorre essere sempre estremamente attenti alla ricerca della esatta percezione del momento storico in tutta la sua complessità.
 Per concludere e tornando alle tesi di Enzo Natta, chi possono essere oggi i suoi “ Uomini contro”, quali “Le ombre sul sole?” quali ingiustizie dovranno patire per la loro diversità, per il loro essere perennemente e felicemente preda de “le Cafard”, come legionari ebbri di fresco “ vin de sabre” che bramano il deserto?

Rocco Cesareo

































giovedì 19 dicembre 2013

"L'OMBRA" DI ROGER HOBBS


L' ombraL’effervescente  scrittore  ventenne statunitense Roger Hobbs ha tirato fuori dal cilindro delle sue mani  e del suo intelletto un thriller astuto e fuori dalla norma:  L’Ombra” (Einaudi). A tratti lievemente  splatter  il romanzo ha una sua nota peculiare: è scritto dalla parte del bandito, dal lato del criminale, secondo il sentire e il pensare del crook. Il “Bene” non è preso per nulla  in considerazione. E’ come se l’Autore rivestisse egli stesso i panni del malvivente, riuscendo a descrivere con imbarazzante veridicità il modus operandi, agendi e decidendi dei rapinatori. Sembra quasi che Hobbs abbia avuto un lungo trascorso da robber, ne conosca le tecniche di scassinamento di una cassaforte, di immobilizzazione di  clienti e impiegati di una banca. Non solo: appare un conoscitore esperto  dell’uso delle armi bianche e da fuoco e delle modalità migliori per uccidere una persona, il cui decesso è decritto con raffinata dovizia di particolari.

La narrazione ben ritmata è inquietante e segue alcune precise  linee di pensiero e, direi,  di vita, del protagonista, il cui vero nome, le autentiche fattezze fisiche e l’originale tono di voce, nessuno conosce davvero.

Non il denaro, ma l’adrenalina spinge a delinquere.

Flectere si nequeo superos, Acheronta movebo, ossia “se non puoi ottenere il paradiso, scatena l’inferno”.

E infine, i “tre comandamenti”:  non uccidere a meno che tu non abbia altra scelta; non fidarti di nessuno se non sei assolutamente costretto a farlo; non fare mai un patto con la polizia.

In questa orgia di male,  violenza e  sangue, il protagonista, colto e raffinato, si muove scaltramente fra due esseri uno più malvagio dell’altro: Marcus e Il Lupo.

Alla fine indovinate chi trionferà?

Fabrizio Giulimondi

 

sabato 14 dicembre 2013

FABRIZIO GIULIMONDI CONSIGLIA:


L’Associazione ‘Teatro Le maschere’

presenta

 

DUE ALI PER NATALE

 

Un testo di FRANCA FAGAN

con Michele Di Girolamo, Gigi Palla, Gabriella Praticò,

Armando Sanna e Gianfranco Teodoro

 

Scene e Costumi: Carla Marchini        Luci: Roberto Pietrangeli       Musiche: Stefano Conti

 

Regia di GIGI PALLA
 

a) Due ali per Natale-2
 

 

Età consigliata: dai 6 anni e per tutti – Durata 60 minuti circa



E’ questo uno spettacolo da noi fortemente voluto perché ci dà la possibilità di raccontare ai nostri giovani e meno giovani spettatori una delle più belle favole mai scritte sul Natale, una favola che celebra in modo delicato sentimenti universali come l’amore per la vita e per il prossimo, la generosità, lo spirito di sacrificio e di dedizione, sentimenti che, proprio nel periodo natalizio, come per incanto, riescono a fare ancor più breccia nei cuori e sembrano accendere la speranza di un mondo migliore. Protagonista della pièce è Clarence, un angelo di seconda classe che proprio non riesce a superare l’esame per ottenere le ali e diventare un angelo a tutti gli effetti. A titolo di “esame di riparazione”, (oggi si parlerebbe di debito formativo...) God (come altro potremmo definirlo? Il Principale!) offre all’angelo ripetente un’inaspettata possibilità: salvare James Stewart, un giovane idealista che, deluso dalla vita, sull’orlo della disperazione, sta per compiere una sciocchezza, proprio la notte della vigilia di Natale.

L’intervento di Clarence permetterà a James di ripercorrere tutte le tappe della sua esistenza, di conoscere come sarebbe stata la vita a Frankysville se egli non fosse mai nato, e soprattutto di prendere coscienza di quanto sia realmente amato e benvoluto e di quanto la vita sia un dono unico, di inestimabile valore.

Nell’accentuare gli elementi della favola, già assai rilevanti nell’opera cinematografica, e nell’ammorbidire quelli più tragici e noir, “Due ali per Natale” si rende adatto ai bambini delle scuole elementari ed ai ragazzi delle medie, nonché a tutta la famiglia: un modo per celebrare tutti insieme, attori e spettatori, con rinnovato ottimismo, la festa che più di tutte sa creare un’atmosfera di gioia e serenità: il Natale.

 

 

Lo spettacolo sarà replicato:

 

-  3/4/5 dicembre 2013 ore 9-10.30-12 - Teatro ‘A. Cafaro’ (LATINA)

-  21 dicembre 2013 ore 17 - Teatro Ambra alla Garbatella (ROMA)

-  22 dicembre 2013 ore 11 - Teatro Ambra alla Garbatella (ROMA)

 

 

giovedì 12 dicembre 2013

"MODIGLIANI, SOUTINE E GLI ARTISTI MALEDETTI" - FONDAZIONE ROMA MUSEO - PALAZZO CIPOLLA



La mostra “Modigliani, Soutine e gli artisti maledetti -  la collezione Netter”, allestita presso la  Fondazione Roma Museo – Palazzo Cipolla, dal 14 novembre 2013 al 6 aprile 2014, è imperdibile!
Gli artisti spagnoli, francesi ed italiani, le cui opere sono at an exhibition (Modigliani, Soutine, Utrillo, Suzanne Valadon,  Kisling, Henri Epstein, Henri Hayden, Maurice de Vlaminck, et alia),  abbracciano il periodo che va dalla fine del secolo XIX al prima metà del ‘900, sullo sfondo delle due guerre mondiali.
Realismo, impressionismo, cubismo,  sono le correnti pittoriche di cui i Maestri fanno parte, anche se può risultare riduttivo qualificarli unicamente  pittori, essendo anche poeti, scultori, filosofi, musicisti, ossia artisti completi, a tutto tondo.
Ho provato tutto quello che ho potuto – affermava Maurice de Vlaminck – affinché un dono di natura desse tutto quello che poteva dare. Ho voluto che mi si conoscesse tutto intero con le mie qualità e i miei difetti”.
Maurice de Vlaminck è il fondatore del fauvismo (“Io sono il fauvismo”), movimento culturale ascrivibile alle arti figurative, inserito nella tradizione impressionista francese, reso peculiare da accenti romantici e nordici, presenti con vigore in Munch.
Elementi che accomunano questi Autori sono l’assunzione massiva di vino e assenzio, fino al disfacimento del  fegato e dello stomaco, oltre una vita  bohemienne, dove  Montparnasse diviene il  proscenio in cui dipingere  e scambiarsi  idee, fra una bevuta e una assunzione di droghe.
Le sostanze stupefacenti facilitano la separazione fra la carne, le ossa e il prodotto che si materializza sulla tela. I problemi psichici di molti, l’abuso di alcool, patologie come l’epilessia in Utrillo, “curata” dalla nonna con il vino sin da bambino, esistenze devastate anche da rapporti incestuosi, determinano la necessità di vergare una linea di confine fra  carnalità,  corporeità   e  ciò che viene raffigurato sul quadro. Un bipolarismo mentale che porta ad estraniare la propria malattia dal quadro, il cui contenuto è alieno dalla follia del suo creatore, mostrando solamente pura realtà, aspetti concreti di essa, come case, pareti, tetti, giardini, chiese, scalini.  V’è una scissione fra il corpo e l’altro dal corpo, come in Carmelo Bene la recitazione esce da una bocca quasi rigida,  facente parte di un organismo  ingessato e statuario. Una  carne che esprime sofferenza , angoscia, degrado e psicosi,  mirabilmente mostrati senza reticenze  nelle trascinanti e meravigliose pitture di Chaim Soutine, la cui  ricerca di colori pastosi, accesi, vivi, fa da cartina di tornasole alla  sua crescente e incalzante malattia, in cui la mente  è tracimata sino alla distruzione finale.
La nudità dipinta da questi Artisti non è allegorica ma reale e fisica, sensuale e carnale,  nudità non di una prostituta ma della propria  madre, figlia,  moglie,  fidanzata, amante. E’ nudità afferente un estetismo antiborghese, in un’epoca in cui D’Annunzio, della Fiume da lui governata (1919-1921), ne fece un luogo di vagabondaggio di persone svestite.
La nudità in Herni Epstein  viene  chiazzata da macchie verdi che cospargono corpi ritraenti donne da lui veramente odiate o amate. Le pennellate verdognole che punteggiano il collo, i seni, le braccia e le gambe,  simboleggiano la spigolosità caratteriale delle modelle, tratteggiando così immagini che incarnano aspetti della loro personalità,  al pari dell’approccio piscologico con cui  Picasso affrontava gli aspetti interiori dei soggetti destinatari della propria azione pittorica.
I profili femminei  di Modigliani (1884-1920), le cui teste sono poggiate su lunghi colli affusolati, sono il cuore pulsante della mostra. Il collo è allungato a dismisura e i volti femminili possiedono  occhi privi di pupille. Le stesse figure che si allungano nel quadro non appaiono più centrali, ma perse nello spazio. I colli esageratamente e mostruosamente oblunghi e le cavità oculari prive del bulbo denotano l’incapacità di Modigliani a rappresentare l’essere femminile nella sua completezza, ad afferrare pienamente “l’in sé” dell’altra metà del cielo, non riuscendone  a tracciare i suoi elementi significativi, ossia il collo e gli occhi.
La posizione stessa della persona, donna o uomo che sia,  nell’arte di  questi  pittori, esce dalla concezione antropomorfica classica, e l’influsso dello stile giapponese ed orientale  è di supporto  tecnico  per estromettere  l’uomo dalla centralità del quadro, grazie alla  eliminazione della prospettiva: le signore, gli abiti che le coprono e l’arredamento da cui esse sono  circondate, sono incontrovertibilmente piatti, assolutamente  privi di una qualunque sorta di tridimensionalità.
Le forme sono costruite in Modigliani solo  con il  colore e non con  tratti di pennello che, caso mai, tracceranno  linee di contorno aggiuntive  solo in un secondo momento. Non si disegna più. I corpi si fondono negli ambienti e nello spazio.
La perfezione dei corpi si raggiunge con le luci e i colori: luci forti, abbaglianti, unitamente a colori brillanti,  danno vita a  “La spagnola”, straordinaria tela di Moise Kisling; in Henri Hayden le splendide tonalità di rosso, arancione e giallo,  irradiate  da fonti luminose che sembrano nascoste nelle stesse intelaiature, si cadenzano al ritmo di  note impossibili ad essere ascoltate da orecchio umano. La musicalità coloristica  esprime il tutt’uno espressivo di Hayden pittore e musicista.
Una ultima annotazione di  incoraggiamento a noi tutti.
Modigliani dipinge con una determinazione che sfiora l’eroismo o l’incoscienza, sino alla morte avvenuta a 36 anni, senza che alcuno acquisti i suoi lavori.  Solo dopo la sua scomparsa, avvenuta a Parigi il 24 gennaio 1920,  cominciarono ad essere venduti i suoi capolavori.
Fabrizio Giulimondi