lunedì 28 gennaio 2013

"LINCOLN" DI STEVEN SPIELBERG


 
E’ giunto il tempo di recensire il quarantaquattresimo lavoro del più grande regista di tutti i tempi, il gigante del cinema mondiale Steven Spielberg.
Lo statunitense Spielberg in veste di registra (44 film), sceneggiatore (12 film) e produttore (72 film) ha realizzato in maniera potente opere che hanno attraversato qualunque genere cinematografico, dalla fantascienza, all’horror, all’avventura, al drammatico, ai comics, allo storico, alla commedia e alla fiction.
Le serie da lui dirette sul piccolo schermo hanno trionfato a livello planetario: basti pensare a Colombo ed a  E R medici in prima linea.
I suoi film sono fra i più visti al mondo e pellicole come ET l’extraterrestre, Lo squalo, Incontri ravvicinati del terzo tipo, Jurassic Park, Amistad, Schindler’s list, Salvate il soldato Ryan, Il colore viola, Poltergeist - demoniache presenze, Il principe d’Egitto, la saga di Indiana Jones sono senza discussione alcuna all’interno delle venti più viste fra tutte quelle prodotte dalla invenzione del  cinematografo ad oggi.
Steven Spielberg è vincitore di numerosi e prestigiosi premi internazionali a partire dalla plurima assegnazione di Oscar, a dodici dei quali (nomination) Lincoln è candidato.
L’opera in commento, nelle due ore e trenta minuti di narrazione tinte di grigio-scuro, ripercorre in maniera minuziosa, dettagliata e didascalica il secondo mandato presidenziale del sedicesimo Presidente degli Stati Uniti d’America e primo appartenente al Partito Repubblicano, Abraham Lincoln, nato il 12 febbraio 1809 e morto assassinato il 15 aprile 1865, unitamente all’ultimo periodo della guerra di secessione (detta anche guerra civile americana), dichiarata  il 12 aprile 1861 e terminata il 9 aprile 1865.
Il conflitto si determinò  ad opera degli  unionisti (gli Stati del Nord, ad elevata industrializzazione,  favorevoli alla abolizione della schiavitù delle popolazioni nere africane) avverso gli undici Stati del Sud (Stati Confederati d’America, prevalentemente agricoli, dediti allo schiavismo) che avevano dichiarato la propria secessione dai primi in risposta alla elezione di Lincoln come Presidente degli Stati Uniti d’America. 
Invero, questo film potremmo ritenerlo correttamente  il seguito di Amistad, girato  nel 1997, che ne anticipa il contenuto nella arringa che Anthony Hopkins  - interprete di John Quincy Adams, avvocato del gruppo di schiavi ammutinati sulla nave Amistad dopo vessazioni, violenze e ignominie di ogni tipo -  tiene innanzi la Corte Suprema degli Stati Uniti: “Se il prezzo da pagare per l’abolizione della schiavitù sarà una nuova guerra civile, ebbene che venga! Sarà l’ultima guerra della rivoluzione americana! Altrimenti possiamo prendere la nostra dichiarazione dei diritti e…” e strappa lentamente e vistosamente le carte che aveva in mano.   
Lo stesso avvio del film Lincoln  fatto di ferro,  fuoco e  sangue, ritraente  una delle tante battaglie della guerra civile americana, che contò 600.000 vittime, rimanda alle terrifiche scene iniziali di Salvate il soldato Ryan,  la cui  estrema  crudezza e realità impegnano lo spettatore per circa venti minuti nella mirabile riproduzione del D Day dello sbarco il Normandia il  6 giugno 1944.
Le linee direttrici di “Lincoln” richiamano alla memoria  anche Il colore viola sul tema dell’apartheid in Sudafrica e la possanza delle immagini senza precedenti di  Schindler’s  list sulla shoah.
Il film si concentra segnatamente  sullo sforzo – poi riuscito – di Lincoln di far approvare alla Camera dei Rappresentanti il XIII emendamento alla Costituzione, teso alla abolizione definitiva della schiavitù su tutto il territorio nazionale. Il tentativo è quello di farlo votare prima che si concluda la guerra, che stava volgendo chiaramente a favore degli Stati unionisti.
Spielberg fa comprendere all’attento spettatore le ragioni: in Lincoln v’era il fondato timore  che una volta vinta la guerra, cessasse la tensione morale sottesa ad essa, con il conseguente rischio che l’iter legislativo di approvazione della disposizione di abrogazione della riduzione in schiavitù si impantanasse, attesa anche la necessità di imporre una  normativa abolizionista, già esaminata positivamente dal Congresso,  agli sconfitti Paesi schiavisti del Sud.
L’obiettivo è arduo e Lincoln dimostra di essere un politico abile che non bada ad utilizzare  qualsivoglia mezzo – incluso la offerta di prebende e prestigiosi incarichi  pubblici – pur di portare  su tesi abolizioniste alcuni riottosi deputati del suo partito e parte dei democratici,  favorevoli in realtà  al mantenimento, seppur  in forma più umana, della schiavitù. Il risultato da attingere ad ogni costo è la maggioranza dei due terzi dei componenti della House of Representatives: tutti i membri del gruppo parlamentare dei repubblicani ed alcuni di quello democratico debbono pronunziare il fatidico al momento della votazione della modifica costituzionale.
Il Senato aveva già approvato  l'emendamento aggiuntivo alla Costituzione (XIII emendamento) l'8 aprile 1864, con 36 voti a favore e 6 contrari. Però,  una volta che il suo scrutinio  passò all’altro ramo del Congresso, sorsero  i problemi, con il suo respingimento da parte dell’Aula.
Solamente a seguito della sua riproposizione, sotto l’attenta supervisione del Presidente Lincoln e l’utilizzo da parte di questi dei cennati trucchetti e arguzie,  il 31 gennaio 1865, dopo  una battaglia infuocata con momenti di alta tensione fra appartenenti alle  wright e left wings e in seno, persino,  alle  medesime,  la Camera approvò il testo  con 119 voti a favore e 56 contrari: la schiavitù era definitivamente abolita!
Manca però un ultimo passaggio: la  ratifica del testo da parte degli Stati.
Con apparente pacatezza e visibile determinazione Lincoln - mirabilmente incarnato da Daniel Day-Lewis,  che ne esprime anche nelle pieghe più intime le  profonde concezioni umane e cristiane, sino a far sentire alla platea l’amore che il popolo americano nutriva per lui  -  nel ricevere la delegazione degli Sati secessionisti del Sud che vengono a trattare la resa, fa capire loro senza giri di parole che la Storia si è compiuta e l’umanità non può tornare più indietro: capitolazione immediata degli eserciti sudisti e repentina riammissione a pieno titolo nel tessuto ordinamentale degli Stati Uniti d’America di quelli  secessionisti,  previa ineludibile  accettazione della abolizione della schiavitù e, pertanto, promovimento della ratifica della proposta emendativa da parte anche  dei loro governi territoriali.
Il  Segretario  di  Stato William H. Seward formalizzò l'avvenuta ratifica il 18 dicembre 1865 del XIII emendamento che recita in siffatta maniera: ” Sezione I: La schiavitù o altra forma di costrizione personale non potranno essere ammesse negli Stati Uniti, o in luogo alcuno soggetto alla loro giurisdizione, se non come punizione di un reato per il quale l'imputato sia stato dichiarato colpevole con la dovuta procedura.
Sezione II: II Congresso ha facoltà di porre in essere la legislazione opportuna per dare esecuzione a questo Articolo
Verso la conclusione della proiezione, durante la commossa lettura di queste poche ma copernicane righe, mi sono riecheggiate  le parole di Abraham Lincoln  e di Martin Luther King.
«…..Or sono sedici lustri e sette anni che i nostri avi costruirono su questo continente una nuova nazione, concepita nella Libertà e votata al principio che tutti gli uomini sono creati uguali. Adesso noi siamo impegnati in una grande guerra civile, la quale proverà se quella nazione, o ogni altra nazione, così concepita e così votata, possa a lungo perdurare”…. e ancora Lincoln, sempre il 19 novembre 1863,  alla cerimonia di inaugurazione del cimitero militare di Gettysburg (oggi il  Gettysburg National Cemetary):“… che noi qui solennemente si prometta che questi morti non sono morti invano; che questa nazione, guidata da Dio, abbia una rinascita di libertà; e che l’idea di un governo di popolo, dal popolo, per il popolo, non abbia a perire dalla terra. 
E potente è l’invocazione che il reverendo  Marthin Luther King il 28 dicembre 1963 lanciò durante la marcia per il lavoro e la libertà davanti al Lincoln Memorial di Washington: “….E quando lasciamo risuonare la libertà, quando le permettiamo di risuonare da ogni villaggio e da ogni borgo, da ogni stato e da ogni città, acceleriamo anche quel giorno in cui tutti i figli di Dio, neri e bianchi, ebrei e gentili, cattolici e protestanti, sapranno unire le mani e cantare con le parole del vecchio spiritual: ‘Liberi finalmente, liberi finalmente, grazie Dio Onnipotente, siamo liberi finalmente!’.”.

Fabrizio Giulimondi







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