domenica 20 gennaio 2013

"STONER" DI JOHN WILLIAMS


Stoner
Stoner dello scrittore texano John Williams (Fazi editore) è un libro bello e struggente, molto bello e molto struggente.

E’ un romanzo intimistico e introspettivo, ambientato nella prima metà del ‘900 a Columbia, capitale del South Caroline.

E’ un capolavoro dalle splendide descrizioni, attente e minuziose, delle persone, delle loro movenze e del loro mondo interiore, degli oggetti e dei luoghi.

E’ l’opera letteraria la cui ossatura è la tristezza, la lirica della tristezza.

William Stoner, contadino da fanciullo, studioso di letteratura anglo-americana da ragazzo e, poi, per quarata anni, immutabile ricercatore presso l’università, è avviluppato dalla tristezza. Neanche la sua passione per i libri fuoriesce nelle sue aride lezioni,  costellate da parole dure come pietre (pietra in inglese stone, non un caso il cognome Stoner), pronunziate durante le pedanti spiegazioni.

Stoner è martirizzato nella vita privata dalla moglie Edith, figura tragica, costantemente in bilico fra fragilità caratteriale e patologia psichica e, nella vita professionale, dal direttore del suo dipartimento accademico, le cui angherie punteggiano tutta la storia.

La figlia Grace, così amata dal protagonista ma da lui medesimo in realtà abbandonata a sé stessa, scivolerà lentamente ma inesorabilmente verso l’alcolismo.

Stoner conoscerà uno sprazzo di felicità con l’amante Katherine, giovane neo laureata che muove i primi passi lavorativi nel campo dell’insegnamento presso l’ateneo di Columbia: “ Siamo stati felici, vero?....”Eravamo felici, più felici di chiunque altro. Fino all’inevitabile futuro….e contemplò con incommensurabile tristezza quel loro ultimo sforzo di sorridere che assomigliava alla danza della vita su un corpo morto.”

Alla gioia è concesso poco tempo e la tristezza e il dramma prenderà fatalmente e definitivamente possesso del racconto, fino alla morte di Stoner: le parole da egli spese nel parlare degli  ultimi  istanti della sua esistenza  sono di rara e commovente bellezza.

Peter Cameron nella postfazione afferma: ”E la verità è che si possono scrivere dei pessimi romanzi su delle vite emozionanti e che la vita più silenziosa, se esaminata con affetto, compassione e grande cura, può fruttare una straordinaria messe letteraria. E’ il caso che abbiamo davanti.”.

Ultime due  annotazioni.

L’uso dei vocaboli è affascinante: l’Autore ama molto il verbo baluginare e l’aggettivo feroce, reiteratamente adoperati nel corso della scrittura, al pari dell’utilizzo di espressioni configurate in lingua italiana dalla fusione  di più parole inglesi, come l’italica bovindo, ossia la finestra a loggia sporgente, conseguente alla traduzione della combinazione dei termini anglosassoni bow e window.

Accattivanti i richiami alle vicende storiche che coinvolsero gli Stati Uniti durante la prima e seconda guerra mondiale, oltre i riferimenti approfonditi e puntuali alla letteratura britannica e nordamericana.

Fabrizio Giulimondi.

Nessun commento:

Posta un commento