mercoledì 22 maggio 2013

"LEGGERE SHAKESPEARE A KABUL" DI QAIS AKBAR OMAR E STEPHEN LANDRIGAN


Leggere Shakespeare a Kabul (eNewton Narrativa)
“Leggere Shakespeare a Kabul”, di Qais Akbar Omar e Stephen Landrigan (Newton Compton Editori), si colloca lungo il filone tracciato  dal romanzo “Leggere Lolita a Teheran” di Azar Nafisi e,  all’interno dell’ambientazione tratteggiata ne “Il cacciatore di aquiloni” e in “Mille splendidi soli”  - entrambi di Khaled Hosseini  -  oltre in “Le rondini di Kabul” di Khadra Yasmina.
Come in Leggere Lolita a Teheran la lettura dei classici è il mezzo catartico di liberazione dall’oppressione teocratica khomeinista, in  Leggere Shakespeare a Kabul la rappresentazione teatrale è lo strumento adoperato per ristabilire la normalità, anche nei rapporti fra uomini e donne, nell’Afghanistan liberato dall’orrore talebano.
Gli afghani hanno un tradizione teatrale recente, se non si considera il teatro eretto da Alessandro il macedone quando il suo esercito occupò parte dell’Afghanistan nel 330 A.C.
Corinne, una regista e autrice teatrale parigina, mette in piedi una piece di Shakespeare Pene d’amor perdute, commedia considerata più congeniale all’opera maieutica da esercitare sull’intelletto e sull’animo del  Popolo afgano.
Pene d’amor perdute  è la storia di quattro uomini che decidono per tre anni di dedicarsi allo spirito e alla conoscenza rinunziando al talamo e, che in maniera tragicomica, mutano le proprie nobili intenzioni dopo aver conosciuto quattro fanciulle di cui, secondo la  migliore tradizione della commedia degli equivoci,  fra un misanderstanding e l’altro, fatalmente  si innamorarono.
Trovare le attrici in un Paese in cui le donne vanno in giro come fantasmi intabarrate nel burqa, non è un problema di poco momento.
Non solo: lo spettacolo shakespeariano si inserisce in una scenografia di guerra, durata trent’anni, a partire dalla invasione sovietica che detronizzò il Re Zahir Shah, occupazione russa cessata poi  grazie ai mujahidin islamici i quali, però, con il “sopravvento dei setti idioti del Pakistan”,  trasformeranno  l’Afghanistan  nel mondo oscuro, cupo e pregno di sangue, lapidazioni e mutilazioni  dei talebani.
L’intervento americano dopo l’11 settembre 2001  ha riconsegnato questa Terra alla democrazia, ma gli odi ancestrali fra pashtun, hazara, turkmeni e uzbeki non si cancellano in qualche settimana.
Mettere  insieme una compagnia teatrale di donne e uomini, appartenenti ad etnie che si sono combattute per decenni, non è di agevole soluzione, specie se si aggiunge il problema della lingua.
Le opere  di Shakespeare sono state scritte in un inglese complesso di quattrocento anni fa, in cui le parole hanno più significati e le espressioni adoperate fanno piangere in un occhio e ridere nell’ altro.
Tradurlo in farsi, idioma diffuso in Iran e poi in dari, antico linguaggio  afghano, determina un ulteriore  problema, unitamente a quello comunicativo fra Corinne e gli otto attori, che necessita dell’ abile interprete Qais, colto linguista e co-autore del libro in commento.
Determinazione e passione aiuteranno a superare gli ostacoli, che si manifesteranno anche nei continui litigi fra i protagonisti del romanzo-spettacolo teatrale, litigi aggravati dalla mancanza di conoscenza da parte di  Corinne delle abitudini e dei costumi degli afghani, che sono soliti non interrompere  mai il propri interlocutori anche se dicono  plateali scemenze, a maggior ragione se colui che è  destinatario dell’interruzione  è di sesso maschile.
La piece che sarà messa in scena avrà e dovrà avere conseguenze di natura politica: ”Ascoltando Shakespeare, chi ha la coscienza sporca soffre….Le ferite che abbiamo subito in tutti in combattimenti, qui, saranno dimenticate nel giro di qualche anno. Ma interpretando questa commedia mostreremo la nostra sofferenza al cospetto di chi ha la coscienza sporca ed è ancora a capo del Paese….Pene d’amor perdute si prende gioco della nostra storia  recente, dei talebani, che ci hanno dominato con le loro regole assurde e crudeli. Pene d’amor perdute parla proprio di quelle leggi insensate…..Piano piano, stiamo  trasformando la storia di Shakespeare nella nostra storia”.
L’amore che si trasforma in passione che poi diviene caparbietà: la ricerca di costumi, arredi, musiche, strumenti musicali, scenografie, imbellettamenti, copri capi, da scoprire  nel florilegio ricchissimo delle tradizioni di quelle Terre.
Nelle commedie di Shakespeare come nella vita reale, la gioia è tinta di tristezza. E in nessun luogo più che in Afghanistan, un Paese straziato da una guerra durata un quarto di secolo, e le cui ferite restano aperte malgrado gli sforzi internazionali. La magnifica produzione di Pene d’amor perdute appena andata in scena a Kabul  …rispecchiava appieno questa dura verità”.
Il racconto della mise en scene della commedia shakespeariana Pene d’amor perdute, nella sua verità, nella sua forza, nella sua ilarità mista ad ironia,  dimostra senza mediazione o infingimenti   come la cultura, nella sua veste teatrale – al pari di quella letteraria così come espressa in Leggere Lolita a Teheran,  o cinematografica,  ben incarnata in Osama, pellicola del 2003 diretta da Siddiq Barmaq,  la cui protagonista Marina Golbahari è  una delle quattro attrici che recitano sul palcoscenico narrato in Leggere Shakespeare a Kabul – è uno dei veicoli principali, gagliardi  e salvifici per cicatrizzare le ferite purulente che hanno devastato donne e uomini lungo decenni, per ristabilire un ordine che sa di pace e infondere nuova linfa umanitaria  nel sangue di persone   che si sono sbranati per generazioni.
Intellettualmente frizzante, capace di ingenerare curiosità nel lettore accorto che imparerà molto su mondi, geograficamente così lontani ma che le tormentate  vicissitudini degli ultimi decenni  hanno reso così vicini al nostro, l’opera scritta a due mani (in attesa che la terza, quella di Corinne, faccia la sua comparsa a breve nelle librerie) da Qais e Landrigan è altamente augurabile  che compaia quanto prima sui comodini della Vostre camere da letto.

Fabrizio Giulimondi                                                                   

venerdì 17 maggio 2013

"MI RIFACCIO VIVO" DI SERGIO RUBINI


“Mi rifaccio vivo”  che vede Sergio Rubini regista e attore (bravo come al solito in entrambi i ruoli), insieme ad un cast di tutto riguardo del miglior cinema italiano, come Margherita Buy (protagonista del già commentato -  in questa Rubrica -   Viaggio da sola), Lillo Petrolo (che ho più volte ritenuto dare il meglio di sé più sul piccolo schermo che sul grande), Vanessa Incontrada (che dire: bella e brava!), Neri Marcorè (sempre migliore), Emilio Solfrizzi (con la solita mimica e gestualità  che lo caratterizza per la sua peculiarità e straordinarietà, molto simile a quella adoperata nella nota sit com televisiva con Michelle Hunziker) ed  Enzo Iacchetti (che non ha bisogno  di presentazioni).
Classica commedia brillante con finale sentimental-umanitario sulla riscoperta di se stessi e dei valori fondamentali della vita (per dirla con Renato Zero “dietro al portafogli un cuore ancora c’è ”), con accenni un po’ pirandelliani (quello che uno mostra di sé non è il suo vero essere, ossia, filosoficamente parlando, l’apparire sull’essere, cioè l’essenza del mondo occidentale contemporaneo).
La storia è semplice e piena di gag e riproduce l’eterna lotta fra la persona perfetta e conoscitrice di tutto, titolare di  una enorme dose di fortuna (un po’ come il personaggio di Walt Disney Gastone) e il sempiterno  sfigato  a cui la vita è stata rovinata sin da bambino dal primo, che lo sovrasta in tutto.
Alla fine il Paperino della situazione si suicida (e anche in tale occasione in maniera improvvida) e va a finire nell’Aldilà, dove scopre che non v’è un Dio ad attenderlo, ma Karl Marx in persona che, su intercessione di Sergio Rubini, lo rimanda una settimana sulla Terra, a mò di bonus, per dargli un’altra possibilità e rimediare alla sua esistenza da “padrone” (in vita era un imprenditore) e, quindi, sfruttatore degli oppressi e del proletariato. Lo sfortunato non sarà più tale perché prenderà le vesti dell’amico -  altrettanto efficientissimo -  del suo insopportabile antico contendente.
Anche in questo nuovo ruolo, di contro,  non riesce realmente a vendicarsi e a mettere in difficoltà il tutto lui, che tale però non è, nascondendo invero paranoie, difetti e gravi limiti.
Il passaggio in Paradiso e il ritorno in questo mondo  ricorda fortemente il bellissimo film  “Il paradiso può attendere”, oltre ad esservi sicuramente un richiamo alla nota pellicola “Il piccolo diavolo”,  ogni volta che il nostro reincarnato passa davanti ad uno specchio mostrando il precedente aspetto fisico (quello prima del decesso),  al posto di quello “adottato” durante il  ritorno terreno  post mortem.
Esilarante per buona parte della proiezione, con un finale uno zinzinino scontato e stantio.

Fabrizio Giulimondi

giovedì 16 maggio 2013

"QUATTRO ETTI D'AMORE,GRAZIE" DI CHIARA GAMBERALE


Quattro etti d'amore, grazieDopo “Passione sinistra” (da cui è stato recentemente tratto un recente film, oggetto di commento nella Rubrica dedicata ai consigli cinematografici) e “Le luci nelle case degli altri” (recensito in questo stesso spazio), Chiara  Gamberale,  nella sua ultima fatica letteraria “Quattro etti d’amore, grazie” (Mondadori),  manifesta una minor intensità narrativa ed espressiva.
Due donne che si incrociano in un supermercato: Erica, sposata con figli, spesso incontra nel fare la spesa Tea, una attrice, fidanzata con un uomo-ameba e regolarmente fornita di amante. Non v’è mai un contatto fra le due me, nonostante ciò, l’una vorrebbe essere l’altra, al posto dell’altra, nella vita dell’altra, nelle condizioni dell’altra.
Il racconto ha quattro fili conduttori paralleli: l’elenco delle pietanze che le co-protagoniste acquistano,  apposto all’inizio di ogni capitolo; la storia di Peter Pan e Wendy (soprannome affibbiato dall’uomo - ameba a Tea); la trama di una soap opera (Testa o cuore) la cui l’interprete principale è proprio Tea, telenovela adorata da Erica, fino a diventare il tracciato entro il quale percorrere la propria esistenza; i personaggi del famosa situation comedy televisiva statunitense degli anni settanta Happy days.
Più storie come ne “Le luci nelle case degli altri”, ma con un tratto meno coinvolgente e accattivante, ove non sussiste alcunché di ironico ed allegro come in “Passione sinistra”.

Fabrizio Giulimondi

martedì 14 maggio 2013

"NO, I GIORNI DELL'ARCOBALENO"DI PABLO LARRAIN



 
NO, I GIORNI DELL’ARCOBALENO”, interessante film di Pablo Larrain sulla fase che precedette lo svolgimento del referendum il  5 ottobre 1988 in Cile sulla prosecuzione o meno per ulteriori otto anni come Presidente della Repubblica del dittatore Augusto Pinochet: fu un fatto clamoroso, a livello politico e costituzionale, non solo per il Cile ma per il mondo intero.
Una tirannide militare sorta l’11 settembre 1973 dopo il colpo di Stato che indusse al suicidio il Capo di Stato eletto democraticamente Salvator Allende  - e splendidamente descritta nel romanzo (poi tradotto in versione cinematografica) della nipote Isabel Allende La Casa degli Spiriti -  cessata senza alcuno spargimento di sangue attraverso l’esercizio di un atto di pura democrazia diretta quale è il referendum. Tale strumento fu richiesto -  dopo quindici anni dalla sanguinaria presa di potere e dopo migliaia di torture, eliminazioni di massa, imprigionamenti abusivi, scomparse di moltitudini di studenti -  dalla comunità internazionale: oggetto della consultazione sarebbe stato il SI o il NO alla permanenza al potere in veste di Presidente della Repubblica per altri otto anni di Pinochet. La campagna sarebbe durata ventisette giorni e sarebbero stati mandati tutti i giorni per quindici minuti  ciascuno gli spot a favore dell’una e dell’altra posizione.
Una risata vi travolgerà! Questo è il nocciolo della lotta propagandistica del NO (alla permanenza del tiranno). Le inserzioni televisive per il NO, in un primo tempo basati su riferimenti espliciti agli efferati crimini del regime, piano piano si tramutano, grazie alla arguzia – contrastata dall’ala comunista dei diciassette  partiti componenti l’opposizione – di un noto pubblicitario figlio di esuli, in sketch ironici ed allegri,  che condurranno il Cile verso la libertà con la prevalenza dei NO con ben il 54,68 % dei consensi: una moglie che dice NO al marito che vuole fare l’amore con lei; il ragazzo che si attacca un foglietto di carta con sopra scritto NO sulla lingua e molto altro ancora.
Accattivante e intelligente la pellicola è realizzata con stile documentaristico, costellata da filmati di repertorio dell’epoca, oltre con una tecnica che ricorda  quella del vecchio super otto, con spostamento rapido delle inquadrature, colori sfumati e immagini non completamente nitide, abilmente sfocate. Il sonoro è in presa diretta, per chi lo sente in lingua originale spagnola .
Ho parlato di cambiamento di regime, da ferocemente repressivo a democratico senza spargimento di sangue, senza colpo ferire:  colpisce – e molto - la  scena finale di un Pinochet, dimessosi pacificamente dopo la sconfitta referendaria (e rimasto Capo delle Forze armate, una sorta di Fatherland), compiere il passaggio di consegne nel 1989 con il neo eletto (espressione della coalizione di centro-sinistra) Presidente della (libera) Repubblica cilena Patricio Aylwin.
E’ un vero peccato, oltre ad essere inspiegabile,  che l’opera in commento  sia uscita già nei primi giorni nel circuito cinematografico  - almeno a Roma – di “minore importanza”…e non me ne vogliano i titolari!

Fabrizio Giulimondi

domenica 12 maggio 2013

FABRIZIO GIULIMONDI CONSIGLIA "IL FU MATTIA PASCAL" DI LUIGI PIRANDELLO AL TEATRO QUIRINO DI ROMA

Il Fu Mattia pascal

02.12 Maggio 2013

TATO RUSSO
IL FU MATTIA PASCAL
versione teatrale di Tato Russo dal romanzo 
di Luigi Pirandello

con Katia Terlizzi e Francesco Acquaroli
Renato De Rienzo, Sarah Falanga
Giulio Fotia, Marina Lorenzi
Antonio Rampino, Carmen Pommella
Francesco Ruotolo, Massimo Sorrentino

scene Tony Di Ronza
costumi Giusi Giustino
musiche Alessio Vlad

uno spettacolo di TATO RUSSO



ORARI SPETTACOLI
dal martedì al sabato ore 20.45
venerdì 3 ore 16.45 e ore 20.45
sabato 4 ore 16.45 e ore 20.45
mercoledì 8 ore 16.45 e ore 20.45
giovedì 9 maggio ore 16.45  e ore 20.45
tutte le domeniche ore 16.45
 fu-mattia-pascal-al-teatro-quirino-L-hpwmFd[1]

Il tema fondamentale dell'opera pirandelliana (basta pensare non solo alla presente commedia, ma anche a "Sei personaggi in cerca d'autore") è la crisi d'identità dell'uomo moderno e la sua incapacità di rispondere alla domanda: chi sono io?
Pirandello risponde a questo quesito affermando che ciascun essere umano tenta invano di definirsi, non esistendo un "io reale", bensì solo un "io apparente": ciascuno è di volta in volta la persona che desidera essere o quella che gli altri vogliono che sia.
Nessuno, pertanto, sa quale sia la sua vera identità né quella degli altri.
La realtà, perciò, è fatta solo di apparenze. 

venerdì 10 maggio 2013

FABRIZIO GIULIMONDI VI INVITA A PARTECIPARE ALLA "MARCIA PER LA VITA"

LIVE BLOG



"Rivendicare il diritto all'aborto, all'infanticidio, alla eutanasia e riconoscerlo legalmente equivale ad attribuire alla libertà umana un significato perverso e iniquo: quello di un potere assoluto sugli altri e contro gli altri, ma questa è la morte della vera libertà" Beato Giovanni Paolo II


PER MASSIMO MAZZER

Mi piace pensare che Massimo sia ancora in mezzo a noi, che se avessimo occhiali speciali lo vedremmo con il suo volto un pò sornione.
Chi combatte in vita continua a farlo anche dopo perché non dimentica l'amore di cui si è circondato e che ha dato.
Massimo anche se non lo vediamo è con noi.
In realtà una persona muore veramente solo quando la cancelliamo dalla nostra vita quotidiana.
Continuiamo a fare vivere Massimo nelle nostre speranze di tutti i giorni e lui ci terrà una mano, libera oramai dalla malattia, sulla spalla.
Con amicizia.
Fabrizio.


....continuate a pensarmi...continuare a parlarmi...continuate a raccontarmi quello che fate...proprio come se fossi lì, con voi, perché potrei  essere davvero lì, con voi.
Caterina

mercoledì 8 maggio 2013

"MIELE" OPERA PRIMA DI VALERIA GOLINO


Locandina del film Miele
Miele”, opera prima come regista dell’attrice  Valeria Golino, liberamente tratta dal romanzo di Mauro Covavich "A nome tuo", riprende il tema della eutanasia,  già affrontato in chiave più ideologica e politica da Marco Bellocchio ne “La  bella addormentata”.
Il percorso della  trama del film, proprio per l’argomento affrontato, non è una passeggiata, e lascia perplessi la mancanza di divieti, non certo per le scene, che non scendono mai in eccessi ma fanno sempre un passo indietro, ma per la fatale angoscia che la storia infonde nello spettatore.
Miele è il nome “di servizio” di una ragazza che accompagna – a pagamento – persone che, ritenendosi spacciate a causa di patologie devastanti e costrette alla conduzione di una esistenza segnata da terribili sofferenze e annientamento della propria corporeità, chiedono la c.d. “dolce morte”.
Miele si procura un barbiturico per uso veterinario per  soppressione di cani  in Messico e, se ne va poi in giro per le Città italiane, su segnalazione di un medico che non appare mai (un novello Kevorkian, il “dottor Morte” statunitense che ha ucciso centinaia di persone e deceduto nel 2011), a somministrarlo, rimanendo vicino al “paziente” sino alla fine, curando persino  il  sottofondo musicale, la presenza di bevande alcoliche, dolciumi e la soddisfazione di ulteriori  desiderata precedentemente palesati dal moriturus.
L’intensità e la bellezza del volto di Jasmine Trinca (Miele) è simile a quella tratteggiata dal sottoscritto nella  recensione relativa a  “Un giorno devi andare” (pubblicata  su questa stessa “Rubrica”): anche nella pellicola della Golino v’è il senso di non appartenenza della protagonista (appunto Jasmine Trinco), come se, pur stando in quel luogo vorrebbe stare in un altro, perché il primo non le appartiene, non appartenendole probabilmente neppure  il secondo.
La ricerca in “Un giorno devi andare” è positiva, è profonda è spirituale, è ricerca di Bene e di Bello, in “Miele”, invece,  l’azione di Irene (questo è il suo vero nome) si ammanta di umanità ma, in realtà, non è altro che profusione di morte.
Questo finché non incontra un signore, interpretato dal grande Carlo Cecchi, che vuole morire, non per sfuggire ad una condanna a morte dovuta ad una terribile malattia, ma per  noia, disinteresse a tutti e tutto.
L’etica professionale di Miele non lo può consentire: lei presta ausilio ai morenti, non ai depressi! Ecco che viene a crearsi  un sostegno reciproco, che condurrà  la ragazza ad un ripensamento sulla propria “professione” e l’anziano signore…..
Altamente consigliato, nella speranza di vederlo vittorioso a Cannes.

Fabrizio Giulimondi

lunedì 6 maggio 2013

FABRIZIO GIULIMONDI: DEDICATO A MASSIMO MAZZER


  

Mi sono chiesto se era già il caso  di pubblicare un altro documento a pochi giorni dalla morte di Massimo Mazzer, per di più proprio  oggi che si sono tenute le esequie al Santuario del Divin Amore a Roma.
Mi sono risposto di sì, perché il comunicato stampa dell'Istituto San Benedetto per l'Europa  sotto postato annuncia una operazione di grande rilievo sociale e culturale alla Garbatella, e Massimo apparteneva alla più nobile tradizione della Destra romana e negli ultimi cinque anni si era dedicato anima e cuore (come al solito, come sempre) alla qualificazione delle periferie romane ed al miglioramento delle loro condizioni di vita.
Per questo pubblico questa notizia, rivolgendo gli occhi in Alto e al Nostro Fianco, ossia dove adesso Massimo sta.

Fabrizio



                                               COMUNICATO STAMPA


Il giorno 15 maggio, alle ore 11, presso la scuola pubblica “Cesare Battisti“ , via Montuori, 5, si terrà un brindisi inaugurale per l’apertura della nuova sede dell’Istituto San Benedetto per l’Europa, la Ricchezza delle Diversità(http://www.istitutosanbenedettoperleuropa.it/), sita all’ultimo piano del plesso scolastico.
I locali dell’immobile saranno adoperati come consulenza e sportello formativo e informativo per la creazione di impresa in periferia.
L’Istituto si augura di poter contribuire, anche nel proseguo della propria opera didattica ed accademica, ad un ulteriore  miglioramento  culturale del suggestivo e storico quartiere della Garbatella.
Il vivo auspicio della San Benedetto è di vedere crescere intorno alle proprie  attività una collaborazione da parte dei residenti del quartiere e di proporsi come  riferimento  intellettuale per le ragazze ed i ragazzi di qualsiasi provenienza geografica,  con  possibile beneficio anche a favore delle  attività commerciali, imprenditoriali e residenziali di zona, in un momento di così grave crisi economica, finanziaria, umana e sociale.
Si coglie l’occasione, altresì,  per ringraziare di vero cuore l’Assessore ai Lavori Pubblici e alle Periferie di Roma Capitale Fabrizio Ghera per l’encomiabile impegno profuso nella assegnazione dei locali e nella loro sistemazione,  consapevole di fornire un importante e utile ausilio alla Garbatella e all’intera Città di Roma.

sabato 4 maggio 2013

LA SLA HA UCCISO MASSIMO MAZZER

Massimo Mazzer



MASSIMO E' MORTO INDOMITO COME HA VISSUTO

L'ULTIMO SMS CHE HO RICEVUTO ALLE ORE 9:50:5 DEL 30 APRILE TRASUDAVA ANCORA SPERANZA

ONORE E DIGNITA'

Fabrizio

venerdì 3 maggio 2013

FABRIZIO GIULIMONDI:NUCLEO DI VALUTAZIONE UNIVERSITA' "GABRIELE D'ANNUNZIO"


Nucleo di Valutazione

Indirizzo: Campus universitario di Via dei Vestini, 31 Città: Chieti cap: 66013

Contatto

Telefono: Fax: 0871 3556015 Telefono lavoro: +39 0871 3556170

Rappresentanza dei due docenti interni:
1) Prof. NAZZARENO RE - Presidente
2) Prof. TONIO DI BATTISTA

Rappresentanza dei tre componenti esterni:
1) Dott.ssa EMANUELA STEFANI
2) Dott. MATTEO TURRI
3) Prof. FABRIZIO GIULIMONDI

Rappresentanza studentesca
  (b.a. 2012/2014):
Sig.na LILIANA RUFFINI




"PASSIONE SINISTRA" E "VIAGGIO DA SOLA": QUANDO IL CINEMA NON ESALTA

locandina di Passione sinistraViaggio sola - trailer del film con Margherita Buy e Stefano Accorsi

Gli ultimi due film visti non scatenano  brividi di esaltazione.
“Passione sinistra” di Marco Ponti, con Valentina Lodovini (quella di Benvenuti al Sud e Benvenuti al Nord con qualche chilo di troppo) e Alessandro Preziosi,  tratto dall’omonimo romanzo di Chiara Gamberale , attraverso i due protagonisti -  uno di destra e l’altro di sinistra, che inevitabilmente si innamorano secondo l’adagio “i poli si attraggono” - sviscera tutti i luoghi comuni relativi ai supporter  dei due schieramenti: mangiare il sushi è di destra, mentre cibarsi di kebab è di sinistra!
Viaggio da sola” è di qualità migliore, anche perché Margherita Buy (che vidi la prima volta una trentina  di anni fa a Spoleto al Festival dei Due Mondi) rimane sempre fra le migliori attrici italiane.
La Buy interpreta una ispettrice in incognita, una ospite inattesa, ossia una di coloro che va in giro per alberghi di lusso sparpagliati nel globo per  conto delle agenzie specializzate nel  settore, per verificare la effettiva qualità dei servizi da essi forniti (fino alle minutaglie) e la loro corrispondenza alle “stelle” precedentemente assegnate.
Il messaggio è esplicito: la Buy è libera, senza limiti, senza alcun legame e condizionamento, vive nell’agio e nel bello, ma in realtà è sola.
Il confronto è con la sorella (Fabrizia Sacchi) che ha un marito (Giammarco Tognazzi, figlio d’arte insieme a Maria Sole Tognazzi, regista del film) e due figlie, e  con l’ex fidanzato (Stefano Accorsi) che aspetta un figlio da “una di passaggio”.
In attesa di pellicole migliori, quali quella intitolata NO - i giorni dell’arcobaleno -  che uscirà nelle sale il prossimo 9 maggio -  sul referendum che defenestrò dal suo sanguinario scranno il dittatore cileno Pinochet.
Fabrizio Giulimondi