venerdì 28 giugno 2013

FABRIZIO GIULIMONDI: 1 NOVEMBRE 2013

1 novembre 2013
Una nuova esistenza
Docenza
Lettura
Scrittura
Cinema
teatro
Cultura
Una nuova speranza all’orizzonte
Altre sfide
Altre lotte
Altre visioni
Altra umanita’


Prof. Fabrizio Giulimondi

giovedì 27 giugno 2013

FABRIZIO GIULIMONDI CONSIGLIA




Ho incontrato Piemontese Pagnanelli, per la prima volta, qualche anno fa. Piemontese … che nome bizzarro! – mi dissi allora. Di lui mi colpì subito la luce che ne illuminava lo sguardo. Uno sguardo puro, “due occhi azzurri che non riuscivano a non sorridere” ricorda il figlio Mauro. L’ho visto, l’ultima volta, una sera d’agosto, in piedi, con la mano in alto in segno di saluto, sullo sfondo verde intricato di un’esuberante passiflora. Sorridente, come sempre. Oggi posso dire che avere avuto la possibilità di conoscerlo è stata per me un’occasione importante di arricchimento, e non solo da un punto di vista prettamente umano, ma anche intellettuale. In Piemontese, infatti, l’uomo ed il fotografo, cosa che non sempre accade, avevano una stessa anima, sensibile, vivace, creativa. Soprattutto, un’anima profondamente generosa. Ed è proprio in quello che significativamente definirei un empatico approccio alla vita si deve ricercare la chiave d’accesso al suo piccolo grande mondo fotografico. Un mondo che, lontano da ogni forma di artificio, predilige la nudità delle cose, delle situazioni più comuni, quasi banali, dei luoghi del quotidiano. “Obbiettivo” di Piemontese non era affatto l’effetto estetico, ottenuto attraverso una più o meno consapevole visione artistica del soggetto, né tantomeno il rincorrere la sempre sfuggente somiglianza “compiacente”, auspicabile se non addirittura indispensabile per il necessario risvolto economico della sua attività di fotografo. Quel che egli voleva era ritrarre la realtà, senza orpelli e senza elaborazioni o mediazioni di sorta: l’umanità così come “è”, colta e fissata attraverso il così come “appare”. Senza nessuna pretenziosa intenzione interpretativa. L’impressione che si riceve nel guardare le fotografie di Piemontese è quella di un uomo che ha voluto sintonizzare il più possibile la sua voce con quella del mondo, in un’ideale convergenza di linguaggi. La realtà, in tal modo, per lo spettatore diventa suscettibile solo a posteriori, nel momento della decodifica, di una individuale e senz’altro più proficua, molteplicità di letture. “Ogni apparire è imperfetto: esso nasconde l’essere - scrive Algirdas Greimas - a partire da lui si costruiscono un voler essere e un dover essere, che sono già una deviazione del senso”. E continua: “Esso costituisce tuttavia la nostra condizione umana. E’ allora malleabile, perfettibile? A conti fatti, può questo velo di fumo strapparsi un po’ e dischiudersi sulla vita o sulla morte, che importa?” Mi chiedo: l’unica opportunità che a noi uomini resta per riuscire a capire gli altri, il senso delle loro vite e di conseguenza quello della nostra, non è allora forse quella di “fermare” il mondo del quale facciamo parte, per cercare di poter afferrare l’oltre della sua essenza nel superamento di ogni deviante convenzione socio-culturale, reso possibile proprio da quello status straniante di “immobilità” che caratterizza l’oggetto fotografato? Con rispetto e “levità”, Piemontese è stato autore di una immane ricerca sociologica, attraverso le migliaia di immagini catturate con la sua macchina fotografica. Non parole ma volti eloquenti di persone vere, materiale infinitamente più stimolante, per comprendere il percorso dell’umanità, di qualsiasi altra teoria scritta. Che dire della sua passione per la fotografia? Sicuramente era grande, pur legandosi nel suo cuore ad un’altra, altrettanto grande, quella per la bicicletta. Una passione, quest’ultima, ereditata dal padre, che con quel nome, stravagante omaggio a Domenico Piemontesi e al ciclismo eroico degli anni di Binda, Girardengo, Guerra, gli aveva segnato un’identità non solo anagrafica. Una passione che, di fatto, lo aveva portato a pedalare in lungo e in largo attraverso l’Italia del dopoguerra, ricca solo di speranze e di tanta buona volontà. Ed è questa Italia a rivivere nelle sue foto. Un’Italia non “in posa”. Quella della provincia, semplice, minimale, laddove questi aggettivi lungi da ogni connotazione riduttiva, fanno piuttosto rima con vera, capace di rimboccarsi le maniche e guardare avanti, costruttiva, fiduciosa nel futuro. Più di qualche toppa sui pantaloni degli uomini c’è, ma con quale dignità indossata! E le donne … quanta poesia è sottesa in quella loro vanità che ingenuamente fa il verso alle belle del cinema! Piemontese si serve dell’obiettivo con una straordinaria leggerezza espressiva. Egli guarda il mondo con la freschezza quasi incantata di chi è intimamente consapevole che la sua armonia è fatta di chiari e di scuri, di bianco e di nero. Senza nessuna concessione al pathos. Le sue foto, in questo senso, sono in-sviluppabili, determinate, concluse, senza possibilità alcuna di qualsivoglia espansione retorica. In un oggi dove tutto grida in tutte le tonalità, grida nel deserto reboanti e ridondanti, che non mettono in gioco la coscienza ma solo abusati automatismi, queste foto colpiscono con il punctum del loro “silenzio”. “Il fotografo, imitando Orfeo, bisogna che non si volga verso ciò che egli reca con sé e mi offre” – scrive Roland Barthes ne “La camera chiara”. E Piemontese, istintivamente, non si volge. Fotografa e va avanti, lasciando che siano i suoi personaggi ad uscire fantasmaticamente dalla carta e a cercarci. Uomini, donne, bambini, che, senza conoscerci, fanno al nostro tempo il dono prezioso di un attimo del loro tempo. Pronti, subitaneamente, a riprendere sotto i nostri occhi l’usuale tran tran del loro giorno. “Passanti”, il più delle volte casualmente coinvolti. Forse un po’ stupiti, ma intuitivamente consapevoli dell’essere così confermati, con quel click, nel loro ruolo di attori, determinati e determinanti, sulla scena della vita. Comunque orgogliosi di essere stati per l’obiettivo del fotografo oggetto di così tanto interesse. Ho scelto il titolo di VITE FOTO GRAF[FI]ATE per questa raccolta di immagini. L’ho ritenuto emblematico ad interpretarne il senso, dal momento che racchiude in un unicum particolarmente significativo sia il campo dell’espressione che quello del contenuto di ogni singola foto. I graffi del tempo, soggettivo ed oggettivo, segnano lo spazio, individuale e collettivo, del vissuto e della rappresentazione che la fotografia di esso è. Il graffio incide e rivela. Mette in luce. Permette di guardare oltre. Vite “foto graffiate”, immagini in cui ogni particolare è la chiave di un breve racconto, strappato al fluire della memoria. Ritratti, scene domestiche, istantanee di strada, dall’apparenza fuorviante di veloci appunti di diario, ma, in realtà, tratti significanti sul negativo del quotidiano. Scatti fotografici che fermano volti, posture, gesti, abiti, accessori, su uno sfondo che è quello dei paesi della valle del Liri nei primi anni ’50. Memoria popolare, l’opera di Piemontese Pagnanelli, monito a ricordare che è proprio dai particolari ai margini che si legge la Storia degli uomini. Un invito ad uscire per un momento dai flutti del tempo e a riprendere fiato, per potersi poi rituffare con accresciuto vigore in essi. Un archivio fotografico che, per lo spettatore, è “pensosa” materia sulla quale soffermarsi.
Franca Tribioli

Il bisogno di recupero scaturisce dalla necessità di ritrovare l’archetipo, ovvero quel bisogno di senso e di coerenza del nostro mito personale, luogo che inconsciamente ci attira simboleggiando i nostri stati interiori e le trasformazioni a venire. Un viaggio mediante il recesso nel più profondo di noi stessi aprendo le porte, provocando tempeste di impercettibile trasformazione verso una certa direzione, svelando il lume vacillante della nostra intuizione. Una sorta di risveglio con una strana sensazione che scorre nella mente, un’interiorità già conosciuta rimasta inspiegabilmente sospesa o forse anche abbandonata in un angolo oscurato e magico dove l’attitudine a compiere piccoli o grandi prodigi, vera chiave dei poteri spirituali, è uno stato d’essere di intensa vibrazione interiore o di coscienza alterata intermedia tra la vita e la morte. Ho selezionato le immagini in bianco e nero, presentate in questo libro, estrapolandole da un più ampio repertorio riprodotto direttamente dalle “pizze” dei primi anni ’50. I fotogrammi, composti da negativi 24x36, sono stati scannerizzati con paziente intervento da Rocco De Ciantis, che ha così bloccato quel progressivo e ineluttabile processo di deterioramento dei sali di argento, reso manifesto da lacune e macchie di varia entità. Questo mi ha consentito, utilizzando gli strumenti della tecnologia informatica, di poter intervenire nel recupero dello spirito delle opere. I negativi originali, che mi sono ritrovato tra le mani, si presentavano parzialmente deteriorati sia a causa delle “vicissitudini” avvenute nel tempo, sia a causa del naturale degrado derivante da interazioni delle parti organiche dell’immagine fotografica e del suo supporto con un ambiente di conservazione non del tutto idoneo. In attesa di un trasferimento di tutto il fondo, che rappresenta un interessante patrimonio storico ambientale e sociale dell’ampio territorio della valle del Liri, in un luogo più adatto alla sua conservazione e valorizzazione, sto, quindi, procedendo ad una graduale riproduzione digitale dei negativi con lo scopo di costituire un archivio che consenta una maggiore fruizione e comprensione storica, artistica e filologica dell’opera fotografica. Tale operazione, attraversando i condizionamenti e le convenzioni dell’epoca e dell’ambiente e, andando oltre la sfera del pratico, attiva quel processo mentale di definizione in cui il momento di un veicolo di comunicazione comincia ad essere un’opera d’arte. L’opera lascia trasparire, ma non ostenta, informazioni che consentono, abbandonandosi semplicemente ed interamente all’oggetto della percezione, di esperire esteticamente il processo mentale sintetico, dove l’osservatore deve ricostruire le azioni che hanno costituito il processo intuitivo estetico originario secondo il concetto di ricreazione.
Mauro Walter Pagnanelli


lunedì 24 giugno 2013

"L'ULTIMO BALLO DI CHARLOT" DI FABIO STASSI


Mi auguro che l’ultima fatica letteraria di Fabio StassiL’ultimo ballo di Charlot” (Sellerio editore) si aggiudichi il premio Campiello 2013 o, almeno, si posizioni nella terna.
Mai libro condensa nel finale potenza espressiva, parole vibranti, espressioni di così forte commozione, come  “L’ultimo ballo di Charlot”. Mai, come in questo romanzo autobiografico, pur non essendo l’autore Charlie Chaplin, la narrazione tutta, il corpo del racconto nella sua interezza, vive e si sviluppa per il finale: l’epilogo è il libro, è il romanzo, è il racconto, è la storia stessa.
La narrazione prende le forme di epistole di Charles al figlio quindicenne Christopher, con un andamento musicale, orchestrata in quattro movimenti: allegretto, adagio, andante con variazione e finale
Stassi è riuscito ad entrare nel personaggio Chaplin - Charlot in maniera così completa e coinvolgente, si è insinuato negli anfratti maggiormente  nascosti dell’animo del grande Regista e Comico, da creare un’ opera che chiunque potrebbe  immaginare essere stata scritta da Charlie Chaplin in persona.
Tecnicamente sarebbe corretto definirlo un romanzo biografico, ma in realtà è più giusto  qualificarlo un romanzo autobiografico, perché Stassi scrive con mani proprie ma con gli occhi e il cuore di Chaplin - Charlot.
Un giorno senza sorriso è un giorno perso”: la filosofia di vita di Charlie Chaplin, una visione che porta a far ridere anche la Morte, la cui intercalante presenza nella trama del libro è un artifizio splendido dell’Autore che cadenza come un metronomo l’incedere narrativo.
Ogni 25 dicembre degli ultimi sei anni terreni di Charlie Chaplin la Morte ossuta, avvolta nel suo manto nero, gli va a fare visita per condurlo con sé, ove egli non vuole andare. La maschera più conosciuta al mondo la sfida: “Se ti farò ridere tu non mi farai morire!” “Impossibile – disse la Morte – io sconosco il riso!”. Impossibile agli uomini, non a Charlot. Per sei anni Chaplin avrà salva la vita e continuerà ad arricchire l’Umanità con la sua magnificenza: “Suscitare il riso e le lacrime è stata infantile protesta contro la miseria, la malattia e il disprezzo, e il mio rifiuto dell’odio e di tutte le forme sbagliate che finiscono per governare le relazioni umane.”.
La Morte in “L’ultimo ballo di Charlot” è quella che gioca a scacchi ne Il Settimo Sigillo di Ingmar Bergman, è quella che danza in Ballo in fa diesis minore di Angelo Branduardi, che si trastulla palleggiando con un grande mappamondo con Chas (Chaplin per gli amici), nello stesso atteggiarsi di Charlie nelle vesti di Hitler ne Il Grande dittatore.
Fra un incontro e l’altro con l’Oscura Ossuta viene narrata l’esistenza del regista – attore – comico – circense - pagliaccio, del suo peregrinare fra il Regno Unito e Los Angeles e fra la California e l’Ohio, del suo passare da un mestiere all’altro, da impagliatore a  fabbricante di candele, da tipografo a  boxeur, per infine approdare nel mondo del circo, il suo mondo, humus insostituibile e immutabile della impetuosa e inarrestabile carriera cinematografica di Charlie Chaplin e della sua intramontabile controfigura Charlot.
Charlot, insieme a Stanlio e Ollio e al nostrano Totò, darà vita al Cinema, sarà il Cinema, incarnerà la Comicità, tanto che, quando una  Morte sconsolata lo condurrà dove egli oramai vuole andare, affranta affermerà: “Oggi con te muore il Cinema!”. Finisce un  Cinema, rappresentazione del circo, dove alla allegria si mischia la tristezza, si sorride mentre una lacrima riga il volto: ”Dicono che l’universo sia nato da una grande e incomprensibile esplosione. Secondo me, deve essere successo sulla pista di un circo. Una donna volteggiava in aria e un uomo ne catturò il movimento in una scatola magica, e lo riprodusse all’infinito, fino a popolare di ombre la terra, e a riempirla di segatura, di risate, di lacrime. Non può che essere andata così, Christopher, perché solo nel disordine dell’amore ogni acrobazia è possibile”.
Nel disordine dell’amore ogni acrobazia è possibile.
Fabrizio Giulimondi

venerdì 21 giugno 2013

"LE COLPE DEI PADRI" DI ALESSANDRO PERISSINOTTO: SECONDO CLASSIFICATO AL PREMIO STREGA EDIZIONE 2013

Le colpe dei padri (secondo in classifica  al Premio Strega edizione 2013) di Alessandro Perissinotto (Piemme), già tributario  del Premio Selezione Bancarella 2012 con Semina il vento 
Chi è Guido Marchisio? Chi è Ernesto Bolle? Sono la stessa persona o  sono due persone diverse con una unica peculiarità nel colore dell’iride, l’eterocromia?
Il primo viene da una famiglia alto borghese dei quartieri bene di Torino.
Il secondo è figlio di una coppia dei “bassi” torinesi  che militava nelle Brigate Rosse, morta nel sangue.
Guido Marchisio è un ingegnere, importante  dirigente della Fiat, che deve mettere mano, per conto di “capi” più in alto di lui, alla ristrutturazione dell’azienda a causa della crisi che affligge l’Italia.
Ristrutturazione è sinonimo di cassa integrazione e, poi, di licenziamento per chiusura degli impianti, delocalizzati presso Stati ove la manodopera e il materiale  costano molto meno.
Un vero manager esercita tale incarico con durezza e determinazione, non badando a quisquilie umane o sentimentali, anche se tali decisioni portano alla disperazione operai e impiegati e, la disperazione, talora, conduce al  suicidio. Ma Guido Marchisio rientra in questa cerchia di esseri umani?
La Fiat. La Grande Fabbrica, matrigna e consumatrice delle anime e dei corpi di chi ci lavora. Il lavoro ripetitivo degli addetti alle catene di montaggio. Il canglore assordante delle macchine. Il puzzo dei  fumi che si riversano direttamente nei polmoni dei lavoratori.
Ogni personaggio, anche secondario, è descritto  in maniera nitida, a tratti marcati. Ognuno di essi è espressione di una ideologia passata, triste ma sempre drammaticamente reale. La provenienza di molti di loro è legata alla cultura marxista-comunista, che ha infarcito ogni momento della loro esistenza, perché non sussisteva né sesso, né cinema, né teatro, né spazio ludico che non dovesse essere "impegnato", non dovendosi lasciare  nulla alla giocosità di una normalità esistenziale.
E poi sono arrivate le P38 e le persone non sono state più tali ma vittime o carnefici.
La fictio letteraria adoperata dall’Autore per raccontare la storia è intrigante: è lo stesso Perissinotto ad intervistare  il protagonista, Guido, sino al finale.
Vedete, ha ragione lo scrittore! L’epilogo  di un libro non può essere necessariamente a lieto fine, perché spesso è la stessa  esistenza umana  a non  consentirlo.
“La vita non ci offre sempre un bel finale preparato: lo concede ad alcuni, ma lo nega ad altri. I finali della vita sono spesso come quelli dei brutti romanzi: improvvisi, bruschi, immotivati”


Fabrizio Giulimondi

giovedì 20 giugno 2013

FABRIZIO GIULIMONDI: LO ZAHIR




"Lo Zahir è un pensiero che all'inizio ti sfiora appena e finisce per essere la sola cosa a cui riesci a pensare."

Paulo Coelho

mercoledì 19 giugno 2013

FABRIZIO GIULIMONDI: COMUNICATO UNIVERSITA' DI CHIETI-PESCARA "GABRIELE D'ANNUNZIO"

Corsi ad accesso programmato a livello nazionale

AVVISO
IN DATA  12/06/2013 IL MINISTRO dell’ISTRUZIONE, dell’ UNIVERSITA’ e della RICERCA HA ADOTTATO  IL NUOVO DECRETO n. 449  IN TEMA DI  LAUREA AD ACCESSO PROGRAMMATO NAZIONALE  A SOSTITUZIONE DI  QUELLO EMANATO IL 25 APRILE 2013.
IL NUOVO DECRETO MODIFICA I CRITERI DI VALORIZZAZIONE DEL PERCORSO SCOLASTICO E  POSTICIPA  A SETTEMBRE  DEL  CORRENTE ANNO, LE DATE DELLE PROVE SECONDO  IL SEGUENTE CALENDARIO:
04 SETTEMBRE 2013: Corsi di Laurea delle Professioni Sanitarie
09 settembre 2013: Corsi di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia e Odontoiatria e Protesi Dentaria
10 settembre 2013:  Corsi di Laurea  e di Laurea Magistrale a ciclo unico,  direttamente finalizzati alla formazione di Architetto.
In  forza  di quanto previsto dal Decreto Ministeriale  449 del 12 giugno 2013 in riferimento  questa Università  provvederà, entro il 25 giugno 2013, alla pubblicazione di nuovo Bando indicativo degli aggiornamenti previsti dal Decreto in richiamo. 
Viene comunque data anticipazione del fatto che:
1)  la data di scadenza del termine ultimo per  le iscrizioni dei candidati sul portale Universitaly deve intendersi posticipata al 18 luglio2013; 
2) la data di scadenza del termine ultimo per il pagamento deve intendersi posticipato al 25 luglio 2013.
3) i candidati che abbiano gia’ effettuato l’iscrizione sul  Portale Universitaly,  a partire dal 25 giugno 2013,  potranno rientrarvi  e verificare, integrare e modificare le indicazioni già effettuate con la precedente iscrizione.
Quanti abbiano già effettuato il pagamento del contributo di iscrizione NON dovranno  ripetere alcun successivo versamento.

lunedì 10 giugno 2013

"LA GRANDE BELLEZZA" DI PAOLO SORRENTINO


Dopo alcuni lungometraggi, romanzi giunti sulla soglia del Premio Strega,  pellicole apprezzate dalla critica, film di particolare valore estetico e corposo  significato contenutistico, come Il Divo (2008) e This must be the place (2011), Paolo Sorrentino porta  nelle sale italiane La grande Bellezza, un’opera che meritava senz’altro di ricevere (al pari di Miele,  già oggetto di commento in questa Rubrica) premi di prestigio all’appena terminato Festival di Cannes.
L’arte del regista  Sorrentino oramai è indiscussa e non ha nulla da invidiare a quella immaginata dai grandi autori europei e statunitensi.
Film di pregio, intenso, pieno, suggestivo e completo, a tutto tondo, simbolico, articolato e complesso, arguto e disincantato, cinico e bonario, intelligente e delicato, La grande Bellezza vede un cast composto dal più importante cinema italiano, un florilegio di nomi raramente compresenti  in maniera così massiva in un produzione cinematografica: Toni Servillo, Carlo Verdone, Sabrina Ferilli,  Francesca Neri, Roberto Harlitzka, Isabella Ferrari, Giorgio Pasotti, Vernon Dobcheff, Serena Grandi, Luca Marinelli, Giulia Di Quilio, Massimo Popolizio, Giorgia Ferrero, Pamela Villoresi, Carlo Buccirosso, Ivan Franek, Stefano Fregni.
Toni Servillo, oramai uno dei sommi interpreti del cinema italiano, primeggia su tutti nella parte del protagonista Jep Gambardella, anche se gli altri attori, ognuno per la propria  parte,  maggiore o minore che sia, danno  quel  tratto di penna, quella  pennellata, quel tocco musicale,  che rendono  il lavoro corale  grandioso e armonico.
Jep Gambardella è uno scrittore che ha pubblicato decenni prima dell’inizio della storia un romanzo di discreto successo.
Jep Gambardella è un giornalista di una rivista di cultura, arte e moda di buon accreditamento e diffusione.
Jep Gambardella è, soprattutto,  il signore indiscusso della mondanità notturna romana. Da quando è giunto a Roma all’età di ventisei anni sino al compimento del sessantacinquesimo anno di età, non ha trascorso notte senza partecipare, ravvivare ed essere il protagonista di feste, cene, aperitivi, cocktail, organizzati da  una borghesia festaiola quanto annoiata, imbolsita e intristita dal Nulla.
Sono il Nulla, Il Niente, il Vuoto, l’Inconsistenza, l’Insostenibile Leggerezza dell’Essere, il tessuto connettivo, la ragione sociale, il leit motif, il canovaccio della vita  di Jep e dei compari mondani.
Il prologo del film è girato proprio nella villa di Gambardella, dove si sta svolgendo la sua festa di compleanno: per dirla con Angelo Branduardi  danze, colori e allegria, canti e rumori, suoni di risa.
La mattina dopo, però, nulla della tristezza, della malinconia, dell’angoscia, del senso di inutilità,  è stato in alcun modo rimosso, anzi, a dir del vero, tutto  si è accresciuto.
E così è ogni sera, ogni notte e, poi,  ogni risveglio.
Un concatenarsi di smarrimento in una apparente ricchezza e giocosità.
E’ quella borghesia romana ingolfata in un benessere stantio e monotono, non frutto di fatica e di lavoro, ma di rendite e di ricchezza altrui che provengono  dal passato, da altre mani, da altri sudori.
E’ quella borghesia progressista, sempre dalla parte giusta, sempre con le idee giuste, sempre con le parole giuste sulle labbra pronunziate nel momento giusto.
E’ quella borghesia che ha le sue radici nel ’68 e che viene scenicamente interpretata con efficacia da Francesca Neri, politicamente impegnata da studentessa, dedita alla carriera e all’indottrinamento del figlio  secondo il corretto sistema valoriale che il  politicamente corretto impone a questa  sterile borghesia. Jep Gamabardella con poche, efficaci, potenti e dirompenti battute, che fuoriescono dalla sua bocca  con  elegante, aristocratica, nobile ferocia, smantella la signora  il cui ruolo Francesca Neri ricopre abilmente.
La storia dell’impegno politico passato e dell’attuale capacità di essere donna e madre viene smascherata  nella sua falsità e,  tramite il suo  disvelamento,  viene  messa alla berlina  la  borghesia dei salotti buoni, bigia e piena di soldi, arrogante nel porsi con gli altri, stravagantemente convinta di possedere una superiorità morale e culturale sulle genti, ma che, invero,  consuma la propria esistenza nella assenza di valori autentici, idee vere, azioni concrete, obiettivi utili.
Jep sa questo, è cosciente  che dalla pubblicazione del suo romanzo anni prima nulla ha più costruito il suo pur vivace ingegno, niente hanno  più concepito la sua anima, il suo cuore, il suo intelletto, offuscati da una mondanità brulla, che gli brucia ogni serata e notata da decenni.
Jep vuole scomparire, come la giraffa (uno dei tanti elementi simbolici della pellicola) che un amico “mago” rende evanescente nell’ambiente.
Jep vuole dissolversi oppure ricominciare. Non si darà alla fuga al pari dell’   unico amico -   raccontato da Carlo Verdone  -  disgustato da tanta inedia, da troppa superficialità e inganno, di cui la “fidanzata”(Anna della Rosa) è impareggiabile maestra, infame nel comportamento quotidiano, tatertyp della comune percezione della  moralità delle tante ragazzotte che deambulano nottambule in ricerca del tutto e subito perché del domani non v’è certezza,  idolatre dell’unico attuale dogma: denaro senza fatica e privo di etica.
Fra queste dame brillano per assenza di luce negli occhi la onnipresente a feste e cene Pamela Villoresi e, per ovvietà negli incontri sessuali, oramai riti scontati, Isabella FerrariSerena Grandi, nella suo truculento disfacimento fisico, fornisce plasticamente corporeità al vizio stratificato nel tempo.
Il personaggio interpretato da Verdone scappa disgustato e senza speranza, Gambardella no: rimane e cerca. Cerca qualche vibrazione che possa scuotergli cuore, riattivarli l’anima e galvanizzarne l’intelletto.
Non la trova certamente in un cardinale in predicato per il soglio pontificio (il sempiterno straordinario  Roberto Herlitzka), pervicacemente attratto dalla goliardia terrena ed esperto dell’arte culinaria, irrimediabilmente allergico alla spiritualità: qui, nella rappresentazione cinematografica del principe della Chiesa,  Sorrentino si avvicina sensibilmente  agli  stilemi propri delle opere  di Fellini. L’aspetto lievemente luceferino dell’attore ben esprime  l’assenza di religiosità dentro la coscienza  dell’alto prelato.
La narrazione di questo cammino è punteggiato da scene improvvise, quasi subliminari, di suore che irrompono nella proiezione senza che tali apparizioni fuggevoli abbiano alcun senso, raffigurate in maniera ridanciana e un po’ volgare, quasi pasoliniana.
L’incontro con suor Anna in odore di santità traccia il confine fra un prima e un dopo.
Suor Anna è molto anziana e il regista la raffigura fisicamente simile a Madre Teresa di Calcutta, esasperandone però la rigidità dei movimenti, l’avvizzimento della pelle, il raggrinzimento dei tratti mimici, atteggiandola ad  una mummia dalle  fattezze somatiche incartapecorite. La suora non parla di povertà, ma la vive. E’ questo l’aspetto dirimente che separa l’ante  con il post, lo  “ieri” con il “domani”. I salotti radical chic fanno un gran parlare di miseria ma se ne tengono ben lontani, ingozzandosi di un quotidiano superfluo, andando a dormire mentre gli altri si alzano.
Forse per Jepi è il momento di andare, di riaccendere le passioni che molti anni addietro lo hanno spinto a scrivere e che una Roma, incupita da appartamenti illuminati dal baluginio della  luce artificiale, ne ha spento lo scintillio interiore, quello che traduce le emozioni in parole, la tribolazione dei sentimenti in lettere: “Sprazzi di bellezza nel sottofondo del chiacchiericcio giornaliero  - poeticamente declama Gambardella -  mentre si è nell’imbarazzo di stare al mondo”.
L’umanità che lo ha accompagnato nel tempo, circondandolo di effimero, rimane inalterata e il commilitone di tanta esteriorità privata della bellezza, Carlo Buccirosso, il più pervicace mondano delle terrazze della Capitale, non cesserà di proferire il suo Te chiavasse a qualunque femmina intercetti nel suo percorso danzante.
Lo stormo di gru che si alza nel cielo di Roma tinto dei colori del tramonto primaverile-estivo, dopo un lieve soffio emesso dalla bocca di suor Anna, descrive allegoricamente  l’ultima notte di un Jep Gambardella, che vergherà di nuovo su pagine vuote da troppi lustri nuove sensazioni, narrate  alla luce del giorno, mentre la notte lo vedrà dormiente giacere sul suo letto, incurante della  lugubre ed sempre eguale  mondanità che persisterà sulle splendide terrazze del centro  di Roma.
Ora Gepy conosce sentimenti nuovi, non attraversati necessariamente dall’obbligato rispetto del codice del sesso, ma che si realizzano in pienezza nello scambio di affetti fra lui e  una spogliarellista romanaccia (Sabrina Ferilli), la cui grave patologia di cui è affetta determinerà anche un momento drammatico, rendendo La grande Bellezza difficilmente classificabile e susumibile entro una categoria specifica.
Gep Gambardella, ora, può aspirare alla  Grande Bellezza, che trasparirà attraverso i pori di piazza di Spagna, di Trinità dei Monti, di piazza Navona e di via Veneto -  non più teatro della sorniona dolce vita degli anni ’60 - ,  occhieggerà lungo quella linea sfocata che si intravede fra  i tetti delle Basiliche  e dei monumenti  romani e il cielo e lo dirigerà, finalmente e fatalmente, verso un nuovo orizzonte.

Fabrizio Giulimondi








sabato 8 giugno 2013

FABRIZIO GIULIMONDI: ANDIAMO A VOTARE!

Ballottaggio per la elezione del Sindaco di Roma Capitale


domenica 9 giugno dalle ore 8.00 alle ore 22.00

lunedì 10 giugno dalle ore 7.00 alle ore 15.00


Articolo 48, comma secondo, della Costituzione della Repubblica italiana:

"Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico"

FABRIZIO GIULIMONDI:I SAPORI DI UNA VOLTA - Antiche ricette popolari di una Sicilia povera ma nobile: I CONTORNI.

Le amministrazioni pubbliche sono ricche di persone che, oltre a caratterizzarsi per capacità e professionalità, si mettono in luce per  variegati interessi.
Calogero Di Rocco finito il suo orario di lavoro si diletta nell'ars culinaria, prestando particolare attenzione ai piatti tipici e antichi della sua Terra, la Sicilia.
Fornisco con piacere spazio alle  ricette da Calogero ripescate dalle esperienze, dalla storia  e dal calore della sua gens ed elaborate dalla sua passione.
Dopo gli antipasti, i primi ed i secondi, passiamo ai contorni................Ascoltiamo ed impariamo!

Fabrizio Giulimondi 

INSALATA DI ARANCE


Ingredienti :

(Proporzione tipo)   N. 3 Arance tipo tarocco, n. 2 arance tipo moro o sanguinello, n. 1 arancia tipo navel, succo di n. 2 limoni, olive nere, sale e pepe nero, olio d’oliva.


Preparazione

Mondare la frutta e cubettarla dalle dimensioni di circa 2 cm. per lato, condirla con il succo dei due limoni il sale il pepe nero l’olio d’oliva e qualche oliva nera snocciolata.
Lasciatela riposare rigirandola spesso per almeno 30 minuti.
Servire a temperatura ambiente.


INSALATA DI FINOCCHIO


Ingredienti :

Finocchi bianchi freschi e teneri, olive nere, succo di limone, sale e pepe nero, olio d’oliva.


Preparazione


Mondare e lavare bene i finocchi, tagliarli a julienne grossa meglio se si usa un’affettatrice, condirli con il limone, il sale ed il pepe, l’olio d’oliva e qualche oliva nera denocciolata.
Lasciar riposare 30 minuti e servire a temperatura ambiente.



INSALATA PANTESCA


Ingredienti :

Pomodori costoluti verdi da insalata, pomodoro tipo piccadilly rosso, cipolla rossa, gambi di sedano, capperi, sale e pepe nero, olio d’oliva, aceto rosso forte.


Preparazione

Tagliare a spicchietti il pomodoro costoluto, in quattro parti il pomodoro piccadilli, a rotelle la cipolla rossa ( precedentemente massaggiata con tanto sale e poi lavata ), unite il tutto con i gambi di sedano a tocchetti piccoli, i capperi lavati, il sale il pepe nero, l’olio d’oliva e una bella spuzzata di aceto.
Servire ben fredda.


MISTICANZA STUFATA
( Virdura assazzunata )


Ingredienti :

Misticanza di stagione preferibilmente borragine, crespigno, bietina selvatica, cicorietta, pomodori secchi, concassè di pomodoro fresco, olive nere, aglio, sale e peperoncino, olio d’oliva.


Preparazione

Mondare le verdure a disposizione, lessarle in acqua non salata, scolare e tagliare a pezzetti, in una casseruola soffriggere in abbondante olio d’oliva alcuni spicchi d’aglio lasciati interi, quando saranno indorati mettere i pomodori secchi tagliati a pezzettini piccoli, le olive nere e la concassè di pomodoro fresco, dopo pochi minuti incorporare la verdura salare e pepare.
Aggiungere un po’ di acqua di cottura delle verdure e portare a termine la cottura.

Servire la verdura come contorno tiepida.

Calogero Di Rocco

venerdì 7 giugno 2013

FABRIZIO GIULIMONDI:I SAPORI DI UNA VOLTA - Antiche ricette popolari di una Sicilia povera ma nobile: I SECONDI.

Le amministrazioni pubbliche sono ricche di persone che, oltre a caratterizzarsi per capacità e professionalità, si mettono in luce per  variegati interessi.
Calogero Di Rocco finito il suo orario di lavoro si diletta nell'ars culinaria, prestando particolare attenzione ai piatti tipici e antichi della sua Terra, la Sicilia.
Fornisco con piacere spazio alle  ricette da Calogero ripescate dalle esperienze, dalla storia  e dal calore della sua gens ed elaborate dalla sua passione.
Dopo gli antipasti ed i primi, passiamo ai secondi................Ascoltiamo ed impariamo!

Fabrizio Giulimondi 

CASTRATO AL SUGO


Ingredienti :

Una spalla di castrato disossata dal peso medio di kg. 1,500, pancetta coppata, lardo stagionato, aglio, rosmarino, cipolla, alloro, kg. 0,400 di pomodori secchi, kg. 1,000 di passata di pomodoro, due bicchieri di vino rosso.


Preparazione

Spianare la spalla e condirla con la pancetta coppata, aglio e cipolla tritati finissimi, rosmarino sminuzzato, e qualche foglia di alloro, arrotolatela e vestitela con una camicia di fettine di lardo, legate il tutto.
In una casseruola rosolate dell’aglio intero che poi verrà tolto e della cipolla tritata, passateci la spalla e rosolatela da tutti i lati, sfumare con i due bicchieri di vino, mettere i pomodori secchi tritati grossolanamente e la passata di pomodoro.
Lasciar cuocere a fuoco lento per almeno  3/4 ore aggiungendo acqua se necessario.
Affettarlo quando si sarà raffreddato e servire dopo averlo riscaldato nel proprio sugo che sarà stato precedentemente passato nel cutter.


N.B.
Il sugo di risulta è ottimo per condirci una pasta : i cavatelli piccoli.


CONIGLIO IN AGRO – DOLCE


Ingredienti :

Un coniglio selvatico di circa Kg. 1,500 ( in alternativa quello da macelleria ), due cipolle bionde, kg. 0,250 di sedano, timo, alloro, due bicchieri di vino rosso, sale, pepe in grani, olio d’oliva, uva passa, ½ bicchiere d’aceto forte.


Preparazione

Marinate per almeno 3/4 ore il coniglio fatto a pezzi in una terrina con il vino rosso, una cipolla affettata, il timo, l’alloro, il pepe in grani.
Preparate un soffritto con la cipolla e il sedano tritati, rosolate i pezzi di coniglio sgocciolati ed infarinati da tutti i lati, versare ½  della marinata filtrata, e lasciar cuocere, a metà cottura aggiungere la rimanente parte di marinata con mezzo bicchiere di aceto, dopo altri cinque minuti aggiungere l’uva passa e 4 cucchiai di zucchero, completare la cottura e servire.


POLPETTE DI SARDE


Ingredienti:

Kg. 1,500 di sarde fresche piccole ( vanno benissimo anche le acciughe ), kg. 0,500 di finocchietto fresco, Kg. 1,500 di passata di pomodoro, 5 uova intere, pangrattato tostato q.b., una cipolla, mentuccia, sale e pepe nero, olio d’oliva, aglio.


Preparazione

Decapitate, sviscerate e diliscate il pesce, metterlo in acqua ghiacciata per far spurgare il sangue, preparare un soffritto con la cipolla tritata finissima, aggiungere le sarde ben sgocciolate e cuocere finche non saranno spappolate (circa 5 minuti), mettere tutto in una boule lasciar raffreddare, incorporare le uova battute, la mentuccia sale e pepe, stingere l’impasto con il pangrattato tostato, formare delle polpette e indorarle in olio d’oliva.
A parte in una casseruola preparare un soffritto con aglio e cipolla, mettere il finocchietto fresco tagliato a tocchetti, e farlo rosolare, aggiungere la passata di pomodoro e un po’ di acqua e finire la cottura a fuoco lento, regolare di sale e pepe.
A cottura ultimata del sugo al finocchietto adagiare delicatamente le polpette nel sugo, far riprendere il bollore appena percepito e spegnere immediatamente.
Lasciar riposare per almeno 4 ore, scaldare poco e servire tiepide.


N.B. :
La variante dell’entroterra è fatta con la carne, il procedimento è identico ma va usata una quantità pari di carne composta da 2/3 di macinato di manzo e 1/3 di macinato di maiale, il pangrattato è sostituito dal pane raffermo ammollato nel latte.

TRIGLIE AI SEMI DI FINOCCHIO
( Triglia cu lu cimino dunci )


Ingredienti :

Triglie di scoglio dalla dimensione media di cm. 20 cad., semi di finocchietto selvatico, sale pepe nero, albume d’uovo, farina di grano duro, olio d’oliva.


Preparazione

Sfilettare le triglie ricavandone due darne, passarle nell’albume semimontato, impanarle con la farina di grano duro aromatizzata con il finocchietto macinato, il sale ed il pepe nero.
Friggerle nell’olio d’oliva.



TONNO O SPADA ALLA GHIOTTA
( Pisci a’ghiotta )


Ingredienti :

Trance di spada o di tonno, sedano, cipolla, olive verdi, aglio, capperi, uva passa, concassè di pomodoro rosso, sale e peperoncino.


Preparazione

Infarinate le trance di pesce e friggeteli in olio d’oliva, scolateli e metteteli da parte, nell’olio di frittura rosolate un trito di aglio, cipolla e le coste di sedano, quando il soffritto sarà indorato mettete le olive verdi snocciolate, i capperi e l’uva passa, dopo un po’ la concassè di pomodoro, regolate di sale e peperoncino e terminate la cottura.
In una teglia disponete il pesce e copritelo con la salsa, infornate a temperatura moderata ( 150°) per 15 minuti. Servire non troppo caldo.

 Calogero Di Rocco

giovedì 6 giugno 2013

FABRIZIO GIULIMONDI:I SAPORI DI UNA VOLTA - Antiche ricette popolari di una Sicilia povera ma nobile: I PRIMI.


Le amministrazioni pubbliche sono ricche di persone che, oltre a caratterizzarsi per capacità e professionalità, si mettono in luce per  variegati interessi.
Calogero Di Rocco finito il suo orario di lavoro si diletta nell'ars culinaria, prestando particolare attenzione ai piatti tipici e antichi della sua Terra, la Sicilia.
Fornisco con piacere spazio alle  ricette da Calogero ripescate dalle esperienze, dalla storia  e dal calore della sua gens ed elaborate dalla sua passione.
Dopo gli  antipasti, passiamo ai primi................Ascoltiamo ed impariamo!

Fabrizio Giulimondi 


PASTA CON LE SARDE
( Variante palermitana chiara )


Ingredienti :

Kg. 1,000 di sarde piccole o acciughe fresche, kg. 0,500 di finocchietto selvatico a ciuffi fresco, 1 cipolla bianca o gialla, un bicchiere di una passa, un bicchiere di pinoli, pane grattugiato, sale e pepe nero q.b.


Preparazione

Mondare il finocchietto e sbollentarlo in abbondante acqua salata, scolarlo conservando l’acqua (servirà in seguito a bollire la pasta), tritarlo grossolanamente.
In una casseruola appassire la cipolla tritata finemente in olio d’oliva, aggiungere i filetti di pesce, l’uva passa e i pinoli, far cuocere per 2/3 minuti, aggiungere il finocchietto e terminare la cottura, qualora servisse bagnare usare l’acqua di cottura del finocchietto, regolare di sale e pepe nero.
A parte rosolare un po’ di pangrattato con dell’olio d’oliva fino a farlo imbrunire.
Bollire la pasta nell’acqua del finocchietto, scolare e saltare assieme al condimento, far riposare per 3/4 minuti e servire accompagnata ad una spolverata di pangrattato tostato in sostituzione del formaggio.
Si consiglia una pasta corta tipo sedanini o trofie freschi.

Calogero Di Rocco



MACCHERONCELLI ALLA NORMA
( Variante infornata alla Messinese )


Ingredienti :

Kg. 1,000 di maccheroncelli bucati al torchio, kg. 1,000 di salsa di pomodoro in concassè, 40 fette di melanzana fritta di dim. 15 x 8 cm circa, basilico, sale e pepe q.b., ricotta salata affumicata grattugiata grossa.


Preparazione

Cuocere al dente i maccheroncelli, scolarli e raffreddarli con acqua corrente per fermare la cottura,  condirli con la salsa di pomodoro e il basilico, accomodare una manciata di pasta condita su di una fetta di melanzana e arrotolarla a mo di cannellone, disporre tutti i rotoli in una teglia da forno, cospargere con un po’ di salsa rimasta ed un filo d’olio d’oliva, coprire con un abbondante strato di ricotta salata grattugiata e gratinare al forno.
Servire caldi.



ANELLINI AL FORNO


Ingredienti

Kg. 1,000 di pasta tipo anellini, kg. 1,000 di ragù di carne ( 1/3 maiale + 2/3 manzo ), n. 5 uova sode, n. 10 uova crude, kg. 1,000 di melanzane fritte già affettate, kg, 1,000 di salsiccia, kg. 0,500 di formaggio pecorino fresco, caciocavallo stagionato grattugiato, pangrattato, sale e pepe nero.


Preparazione

Bollire in abbondante acqua salata gli anellini, scolarli al dente e condirli con tutti gli ingredienti, compreso le uova crude ben battute e le uova sode a fettine, ungere con abbondante olio d’oliva una teglia da forno a bordo alto, cospargere di pangrattato e rivestire con le fette di melanzane, quindi versare la pasta condita e coprire con una spolverata di formaggio grattugiato e altro pangrattato.
Infornare a 150° per almeno 40 minuti, servire non caldissima.



PICCHIU PACCHIU
( Cu pani atturratu)


Ingredienti :

Kg. 0,600 di pasta tipo pennette o bucatini, n.1 cipolla bianca, filetti d’acciuga sotto sale, sale e pepe nero q.b., olio d’oliva, caciocavallo ragusano stagionato, pangrattato.


Preparazione

Sbollentare in acqua salata i pomodori, spellarli e schiacciarli con i rebbi di una forchetta, soffriggere la cipolla tritata finemente, aggiungere la concassè di pomodoro e i filetti d’acciuga, portare a fine cottura lasciando la salsa alquanto acquosa.
A parte tostare il pangrattato con un filo d’olio extravergine d’oliva (atturrare), cuocere la pasta al dente, saltarla in padella, mantecarla con il pane atturrato, impiattare e spolverare il tutto con una generosa manciata di caciocavallo Ragusano D.O.P. grattugiato.



TAGLIARINA CU LU MACCU
( Taglierini in crema di fave )


Ingredienti :

Kg. 3,000 di fave fresche ( in alternativa kg. 1,000 di fave secche sgusciate e ammollate 24 ore prima ), kg. 0, 400 finocchietto fresco sbollentato in acqua salata, 1 cipolla bianca o gialla piccola, kg. 1,000 di taglierini freschi spezzati o in sostituzione kg. 0,600 di capellini spezzati, olio d’oliva, sale e pepe nero q.b., ricotta salata affumicata.


Preparazione

Mondare le fave fresche e togliere anche la camicia alle singole drupe ( quelle secche ammollate non necessitano di questa operazione ), in un tegame imbiondire la cipolla tritata finemente, aggiungere il finocchietto tagliuzzato e lasciare andare a fuoco moderato per 2/3 minuti, aggiungere le fave fresche e coprirle con acqua ( per quelle secche ammollate calarle nel tegame con tutta la propria acqua di rinvenimento ), salare e lasciare cuocere a fuoco lento finche girando non si sarà formata una purea liscia e senza grumi, ove necessiti aggiungere man mano acqua calda.
Quando la zuppa/crema sarà pronta aggiungere ancora dell’acqua calda regolare di sale e pepe nero, indi buttare la pasta, farla cuocere a fuoco lentissimo se non spento per pochi minuti e servire con un filo d’olio d’oliva e una spolverata di ricotta salata affumicata grattugiata.




N.B. :
Una variante autunno/invernale quando il finocchietto non c’è e quella con l’aggiunta della bietina selvatica al posto del finocchietto stesso, la preparazione non subisce cambiamenti, si deve solamente aggiungere un filo d’olio in più in quanto la bietina è più tanninica.

Calogero Di Rocco