martedì 2 luglio 2013

"ACCABADORA" DI MICHELA MURGIA


Con il termine sardo femina accabadora, oppure femina agabbadòra, comunemente accabadora (s'accabadóra, "colei che finisce", probabilmente dallo spagnolo acabar, "finire", "terminare") si suole  indicare una donna che uccideva persone anziane in condizioni di malattia tali da portare i familiari o la stessa vittima, a richiedere l’ eutanasia. Non c'è unanimità sulla storicità di queste figure, non ritenendo molti antropologi che siano realmente esistite, mentre  quelli ad esse favorevoli, valutano che  il fenomeno si sia sviluppato solamente nell’ area delle Marghine, di Planargia e della Gallura.

La pratica non doveva essere retribuita dai parenti dell'anziano essendo la liquidazione di un compenso contraria ai dettami religiosi e della superstizione.

Diverse sono le pratiche di uccisione utilizzate dalla  accabadora: si dice che entrasse nella stanza del morente vestita di nero e con il volto coperto, togliesse dall'ambiente ogni tipo di manufatto riconducibile alla sfera del sacro e  procedesse alla sua eliminazione  tramite soffocamento con un cuscino. E’ così che l’”Accabadora” raccontata da Michela Murgia (Einaudi Numeri Primi), vincitrice del Premio Campiello 2010, pratica la “dolce morte” agli anziani di un piccolo villaggio sardo nel protrarsi della prima guerra mondiale.
La storia parte lenta, sonnecchiante, un po’ noiosa, talora di non facile comprensione, fra costumi, riti e curiosità culinarie  sarde.  Con il trascorrere della lettura la narrazione si fa però  avvincente, lievemente ansiogena e inquietante, se vogliamo a tinte fosche.
Due sono le protagoniste: Tzia Bonaria, sarta ma, alle bisogna,  accabadora,  e Maria, la di lei fill’e anima, antico istituto giuridico  sardo che consentiva ad una famiglia povera di dare in una sorta di adozione  o affidamento un figlio ad una persona, anche sola, ma in agiate condizioni economiche.
Tzia Bonaria prende con sé Maria, crescendola dall’ età di otto anni ai dodici come una figlia, finché quest’ultima scopre il secondo vero mestiere della “madre”, al momento in cui viene praticato su un ragazzo che, nel compimento di una azione vandalica incendiaria, era stato attinto ad una gamba da una pallottola, arto che gli sarà amputato una volta divenuto putrescente.
Maria fuggirà nel  continente ove farà la bambinaia a Torino a due ragazzi, una bambina e un adolescente, che porta con sé  un segreto. Del tragico  mistero ne sarà partecipe Maria e tale conoscenza muterà il rapporto fra i due, non più di tata e fanciullo. La ragazza tornerà, cacciata dall’ alcova, nell’ Isola, dove troverà la madre adottiva devastata da un ictus…… e ciò che aveva giurato che mai avrebbe fatto, sarà compiuto!



Fabrizio Giulimondi



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