domenica 30 novembre 2014

"RIPORTANDO TUTTO A CASA" DI NICOLA LAGIOIA

Riportando tutto a casa” (Einaudi) di Nicola Lagioia, da alcuni considerato un campione in pectore del romanzo italiano, è la storia ruvida di uno sgradevole amarcord raccontata con uno stile eccentrico e nervoso, infagottato o impreziosito da aggettivazioni, giochi ed equilibrismi espressivi (“tra il cinguettio delle nostre chiacchierate, l’aculeo di un episodio inconfessabile subito ricoperto dal miele a lunga conservazione di altre banalità”…”avevo ripassato tante volte quella scena nella speranza di logorare l’elastico del tempo, ma il tempo era l’eterna vibrazione di un elastico nascosto”).
Il “vuoto” è la trama della narrazione, ne è il canovaccio e il leitmotiv, ne è il fil rouge. Il “vuoto” di figli consegnati all’ eroina dal cupio dissolvi di genitori bramosi solo di apparire e mostrare ricchezze e lusso, obnubilati da un parossistico, feroce e forsennato lavoro (“il bello diventato insulto, l’eccesso di vitalità che trascolora nel delirio di impotenza, l’arroganza spumeggiante del benessere che imbocca la strada della frustrazione”).
Il set è Bari e sullo sfondo si depositano gli anni ’80 con i suoi Gorbacev, i suoi Reagan, i suoi Wojtyla e i suoi Mandela, con l’arrivo della televisione commerciale e degli onnipresenti quiz e il boom della borsa e le bombe sui treni e il Muro che crolla e la Porta di Brandeburgo che si apre ad una nuova epoca che non porterà ad una nuova Europa, e poi “Mani Pulite”, e poi la fine: “Non si può perdere quello che non si è mai avuto, non si ha quello che non si è mai perso”.
Fabrizio Giulimondi


sabato 22 novembre 2014

"HUNGER GAMES: IL CANTO DELLA RIVOLTA (MOCKINGJAY), PARTE 1" DI FRANCIS LAWRANCE

Locandina italiana Hunger Games: Il canto della rivolta - Parte I
Mi chiamo Katniss Everdeen ho diciassette anni. Sono nata nel distretto 12. Ho partecipato agli Hunger Games. Sono fuggita. Capitol City mi odia. Peeta è stato fatto prigioniero. Si pensa che sia morto. E’ molto probabile che sia morto. Forse è meglio che sia morto…”

Are you, are you coming to the tree, they strung up a man they say who murdered three. Strange things did happen here no stranger would it be. If we met at midnight in the hanging tree.

Pochi registi sono in grado di trasportare una buona idea dalla carta allo schermo portandola a così alti livelli. Francis Lawrance è riuscito nuovamente a lasciarci senza fiato. Questa volta non è stato aiutato dai colori brillanti e gli splendidi panorami che lusingano l’occhio dello spettatore, ma il suo tocco non è cambiato neanche nei sotterranei del distretto 13, come la sua incondizionata lealtà alla scrittrice Suzanne Collins. Questo film è la prova di come si può dirigere un film splendido senza cambiare una virgola del libro a cui si è ispirato, è la prova che la bravura di una regista sta nel dettaglio cinematografico, non nel completo stravolgimento della trama letteraria, come spesso accade. Non per questo non vi sono state scelte e cambiamenti, alcuni assolutamente ben riusciti (l’intelligente decisione di lasciare la presenza di Effie), altri meno convincenti (il finale, secondo la migliore tradizione americana, è mal fatto).
Ad ogni modo, la sensazione che proverete – per chi ha letto la trilogia – sarà proprio quella di rileggere il libro mentre guardate il film. Rivedrete le inquadrature  e le immagini che si erano andate a creare nella vostra testa e le stesse battute che hanno accompagnato tutti i personaggi.
Are you, are you coming to the tree where dead man called out for his love to flee. Strange things did happen here no stranger would it be. If we met at midnight in the hanging tree.

Non mi soffermerò più di tanto a parlare dell’ormai rinomata capacità della nostra amata Jennifer Lawrance, che interpreta Katniss Everdeen, come già saprete tutti. Eravamo da tempo a conoscenza del suo singolare talento. Ciò che ci era stato nascosto era la sua dote di cantante di cui, costretta fino alle lacrime dal regista, ha dovuto dare prova. Credo che la scena de “L’albero degli impiccati” (The Hanging Tree) sia la parte più geniale ed emozionante di tutto il film, perché è suggestivo vedere come una semplice e timida voce possa divenire il tritolo che fa esplodere una diga. Per quanto la storia, per alcuni amanti della critica, possa sembrare distante anni luce da noi, Francis Lawrance  la rende assolutamente attuale, assolutamente reale e fedele a ciò che è accaduto in passato e accadrà in futuro.
Are you, are you coming to the tree where I told you to run, so we'd both be free. Strange things did happen here no stranger would it be. If we met at midnight in the hanging tree.
Questa pellicola unisce tutto ciò che ha segnato la nostra storia e che continua a segnarci, questo film potrebbe raccontare di tutto il sangue, le morti e le speranze che sono vissute su questa stessa Terra: vi è la guerra in tutto il suo più crudele realismo, che si va a sposare con la propaganda politica. Ci insegna come quella scatola misteriosa dalle mille immagini che siede davanti al nostro divano, proprio in casa nostra, possa diventare lo strumento più potente e devastante per una rivoluzione. Ci insegna, come anche altri nel corso della storia ci hanno insegnato, che ciò che da forza è la speranza e la speranza spesso si aggrappa alla semplicità di un canto, al volo di un uccello, ad una spilla appuntata per caso su una giacca, si aggrappa ad un simbolo, si aggrappa alla Ghiandaia Imitatrice. La speranza si arrampica sui muri, sugli specchi, sulle braccia di chi vuole sorreggerla. E’ l’edera del mondo che resiste anche al fuoco delle bombe e dei carri armati, anche quando si spegne la luce e si resta al buio, soli con la paura. La speranza resiste sempre, è il batterio benigno dell’umanità, è la scintilla che divampa nell’incendio. E come in ogni scena c’è il dolore, in ogni scena c’è la fiducia. Solo alla fine ci si spezza, perché sono le cose che amiamo di più a distruggerci.
Are you, are you coming to the tree wear a necklace of hope, side by side with me. Strange things did happen here no stranger would it be. If we met at midnight in the hanging tree.
Il numero del Gatto Matto diventa la metafora della mia situazione. Io sono Ranuncolo. Peeta, che ho tanta voglia di mettere in salvo, è la luce. Ranuncolo, finché sente di avere la possibilità di afferrare tra le zampe quel bagliore sfuggente, ribolle di aggressività. (E’ così che mi sento io da quando ho abbandonato l’arena, con Peeta ancora vivo.) Quando la luce si spegne rimane turbato e confuso per un po’, ma poi si riprende a passa ad altro. (E’ ciò che mi succederebbe se Peeta morisse).”

Miss Everdeen, it’s the things we love most that destroy us.

In loving memory of Philip Seymour Hoffman.
Alessia Giulimondi




mercoledì 19 novembre 2014

"COORDINATE D'ORIENTE" DI ALESSANDRO PERISSINOTTO

Dopo Semina il vento del 2011 e lo splendido Le colpe dei padri, che avrebbe senz’altro meritato l’assegnazione del Premio Strega edizione 2013 e non il secondo posto, Alessandro Perissinotto ci dona "Coordinate d’oriente" (Piemme), romanzo che parte lento e sonnecchiante, si ravviva cammin facendo, per poi esplodere nella volata finale, dove le lacrime che si erano via via condensate ineluttabilmente si sciolgono.
Fra Shanghai e Torino, fra tragedie, abbandoni e nuovi incontri, fra uno spazio (“semplice indicazione di rotta,…annuncio,…presagio di città,…profezia”) e un luogo (“identitario, relazionale e storico”), fra semafori e alberi, crocevia di morti filiali devastanti e sopraggiunte empatie tra la pirandelliana Jin e il tutto senso di colpa, del dovere e di responsabilità Pietro, la narrazione procede per fotogrammi e a più dimensioni: il lettore sente i sapori dei cibi d’oriente, gli odori acri, pungenti, delicati o sgradevoli che aleggiano nelle stradine caotiche delle megalopoli cinesi e si addensano nelle abitazioni private e nei locali pubblici; ascolta le parole che veleggiano nei dialoghi e che assumono valore e consistenza solo grazie alle diverse intonazioni conferite ad esse dai personaggi, parole il cui ritmo cadenza e ticchetta l’incedere delle frasi (“Una chela di granchio, un uovo cotto nel sale, delle fave lunghe e nere, dei blocchi che sembrano torrone, e, naturalmente, spiedini, involtini, carne di maiale. Nel vicolo si vende solo cibo, cotto e crudo, vegetale e animale: roba che camminava, che volava, che strisciava, che ronzava, che ragliava, che pigolava, che nuotava, che gracidava, a sangue caldo, a sangue freddo, senza sangue”); vede i colori, le miriadi di tinte che salterellando sbucano dagli stralci di vita tratteggiati da Perissinotto; sente le note delle sonate di Stockhausen, Offenbach, Ravel, Satie, Berg, eseguite dalle mani di donna delle pulizie e di artista di Jin. Nel sottofondo si intravede la rivoluzione culturale maoista, con il suo retrogusto acido, che fa da contraltare all’erotismo velatamente evocato mediante le pagine de L’amante di Marguerite Duras e di Eros dans un train chinois di René Depestre.
Ognuno ha bisogno di raccontare e di essere raccontato e la voce narrante, la voce fuori scena, e poi dentro la scena, che compie questa opera maieutica è proprio quella dell’Autore, il quale, lungo il suo viaggio - reale ed affettivo, immaginario, immaginifico e concreto -  in Cina, aiuta le storie “a uscire, a farsi strada nella confusione dei fatti che si affastellano”.

Fabrizio Giulimondi

venerdì 7 novembre 2014

"IL GIOVANE FAVOLOSO" DI MARIO MARTONE: ELIO GERMANO MIGLIOR ATTORE PROTAGONISTA DAVID DI DONATELLO 2015

Locandina Il giovane favoloso
Il cinema italiano ed europeo ha un nuovo gigante: Elio Germano.
L’interpretazione di Giacomo Leopardi ne “Il giovane favoloso” di Mario Martone – insieme ad uno straordinario  cast  - lascia senza fiato nella grandiosità della recitazione e nella capacità espressiva corporea del genio e della sofferenza dell’immenso poeta marchigiano (Recanati, 29 giugno 1798 – Napoli, 14 giugno 1837).
La  mirabile declamazione  dei versi leopardiani fa da colonna sonora ad una fotografia (Renato Berta) le cui immagini raccontano la vita, la sublime profondità letteraria, l’intelletto, la disperazione, la gioia, la passione, l’amore frustrato e la struggente solitudine di un Uomo e di un Poeta.
Lo splendore dei palazzi ottocenteschi di Recanati,  Firenze,  Roma e  Napoli, e poi, la possanza e la terrificante bellezza della eruzione del Vesuvio accompagnata dalla voce di Leopardi, che  fa giungere alle nostre orecchie La ginestra, e tutto ammutolisce e tutto zittisce, mentre  l’umanità rumorosa, fuori, continua il suo inutile cicaleggio.
Fabrizio Giulimondi


giovedì 6 novembre 2014

"IL CACCIATORE DEL BUIO" DI DONATO CARRISI

Dopo Il Suggeritore (vincitore del premio Bancarella 2009) e L’ipotesi del male (recensito in questa stessa Rubrica), si affaccia nelle librerie italiane un altro romanzo di Donato Carrisi Il cacciatore del buio (Longanesi), un autentico capolavoro thriller, carico di interminabile suspance e mistero e colorato di tinte cupe orlate di tenebra, un affresco letterario composito e potente.
Il penitenziere era in grado di rievocare il male che quello si portava dentro…Esistono alcune categorie di crimini che attirano l’attenzione della Chiesa….Si differenziano perché contengono una ‘anomalia’
Una figura antropomorfa esoterica di un uomo con la testa da lupo. Strade e piazze di Roma avviluppate da bellezza e magia. L’irraccontabile che si nasconde nella Roma sotterranea e catacombale. Palazzi romani antichi dove regna ancora l’inquietudine di chi vi ha vissuto. Pitture, dipinti e mosaici che seguono con sguardi tormentati personaggi che cercano verità indicibili, malefiche. Una ambientazione della storia dove non si distinguono più i confini fra letteratura e cinema e i tratti di penna e immagini filmiche si fondono indissolubilmente. Brian de Palm, Alfred Hitchcock, Jonathan Demme tessono il filo narrativo insieme a Carrisi. Sandra che consegna a Marcus la medaglietta di San Michele Arcangelo appartenuta a Clemente rimanda immediatamente la mente alla scena finale de L’esorcista. Transessualismo mortifero, metamorfosi kafkiane, bambini che come crisalidi diventano “altro” da adulti: assassini narrativi, psicopatici sapienti.
Hic est diabolus.
Il Bene e il Male sono dimensioni marcatamente opposte e avverse o sono due dimensioni di uno stesso Essere? Sono così irrimediabilmente separati come ne Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde di Robert Louis Stevenson, o semplicemente l’uno è servente all’altro? il Male ancillare al Bene?
I siti archeologici, i monumenti e le chiese romane raccontano storie e leggende che riportano il lettore a tempi antichi che in realtà potrebbero sostanziare il nostro futuro.
Colis eum?
Un prete amnesico che è un penitenziere, ossia un cacciatore del buio: ”Lui era un cacciatore del buio. Non si trattava di una professione, era la sua natura. Il male non era semplicemente un comportamento da cui scaturivano effetti e sensazioni negative. Il male era una dimensione. E il penitenziere riusciva a scorgerla, vedendo ciò che gli altri non potevano vedere.”.
Fabrizio Giulimondi


mercoledì 5 novembre 2014

“UN CUORE PER LA VITA ETERNA. PERCHÉ IL PAPA E LA CHIESA TACCIONO?” DI MAURIZIO BLONDET


Un cuore per la vita eterna. Un fatto inaudito ed ignorato

Un cuore per la vita eterna. Perché il Papa e la Chiesa tacciono?” di Maurizio Blondet (Edizioni Effedieffe)
“In una metropoli sudamericana, per anni ostie sanguinano. Non solo: diventano un pezzo di Cuore sofferente, come dimostreranno successive perizie forensi. Ci troviamo di fronte ad un fatto, un segno dei più concreti: è l'apparenza che s'è trasformata in Realtà, nella Realtà affermata da Gesù stesso che, nello spezzare il pane, affermò: "Questo è il mio corpo". Ecco la Sua Verità letterale, che dobbiamo urgentemente recuperare insieme al senso della Maestà. Un fatto che non solo scredita tutte le nuove teologie: distrugge tutte le filosofie moderne; e conferma - scandalosamente - il realismo e l'oggettività di Aristotile e di san Tommaso. In questo senso è doveroso domandarsi: come avrà inteso quel messaggio Jorge Mario Bergoglio, attuale Pontefice ed arcivescovo proprio all'epoca dei fatti argentini? È possibile che l'eloquente "segno", il doloroso segno della Presenza Reale, sia voluto apparire proprio a Buenos Aires, e con tanta insistenza, per ben tre volte, carico di un segreto avvertimento per il futuro Papa? Domande che purtroppo avranno conseguenze apocalittiche per questa Chiesa e per l'attuale apostasia che l'ha travolta, anch'essa predetta".

Tratto dalla recensione del libro

domenica 2 novembre 2014

CINQUANTA ANNI!




3 NOVEMBRE A.D. 1964
3 NOVEMBRE A.D. 2014

...LA MARCIA CONTINUA...

Il Vostro Fabrizio Giulimondi di quartiere

sabato 1 novembre 2014

2 NOVEMBRE 2014





....continuate a pensarmi...continuate a parlarmi...continuate a raccontarmi quello che fate...proprio come se fossi lì, con voi, perché potrei  essere davvero lì, con voi.
Caterina