sabato 22 novembre 2014

"HUNGER GAMES: IL CANTO DELLA RIVOLTA (MOCKINGJAY), PARTE 1" DI FRANCIS LAWRANCE

Locandina italiana Hunger Games: Il canto della rivolta - Parte I
Mi chiamo Katniss Everdeen ho diciassette anni. Sono nata nel distretto 12. Ho partecipato agli Hunger Games. Sono fuggita. Capitol City mi odia. Peeta è stato fatto prigioniero. Si pensa che sia morto. E’ molto probabile che sia morto. Forse è meglio che sia morto…”

Are you, are you coming to the tree, they strung up a man they say who murdered three. Strange things did happen here no stranger would it be. If we met at midnight in the hanging tree.

Pochi registi sono in grado di trasportare una buona idea dalla carta allo schermo portandola a così alti livelli. Francis Lawrance è riuscito nuovamente a lasciarci senza fiato. Questa volta non è stato aiutato dai colori brillanti e gli splendidi panorami che lusingano l’occhio dello spettatore, ma il suo tocco non è cambiato neanche nei sotterranei del distretto 13, come la sua incondizionata lealtà alla scrittrice Suzanne Collins. Questo film è la prova di come si può dirigere un film splendido senza cambiare una virgola del libro a cui si è ispirato, è la prova che la bravura di una regista sta nel dettaglio cinematografico, non nel completo stravolgimento della trama letteraria, come spesso accade. Non per questo non vi sono state scelte e cambiamenti, alcuni assolutamente ben riusciti (l’intelligente decisione di lasciare la presenza di Effie), altri meno convincenti (il finale, secondo la migliore tradizione americana, è mal fatto).
Ad ogni modo, la sensazione che proverete – per chi ha letto la trilogia – sarà proprio quella di rileggere il libro mentre guardate il film. Rivedrete le inquadrature  e le immagini che si erano andate a creare nella vostra testa e le stesse battute che hanno accompagnato tutti i personaggi.
Are you, are you coming to the tree where dead man called out for his love to flee. Strange things did happen here no stranger would it be. If we met at midnight in the hanging tree.

Non mi soffermerò più di tanto a parlare dell’ormai rinomata capacità della nostra amata Jennifer Lawrance, che interpreta Katniss Everdeen, come già saprete tutti. Eravamo da tempo a conoscenza del suo singolare talento. Ciò che ci era stato nascosto era la sua dote di cantante di cui, costretta fino alle lacrime dal regista, ha dovuto dare prova. Credo che la scena de “L’albero degli impiccati” (The Hanging Tree) sia la parte più geniale ed emozionante di tutto il film, perché è suggestivo vedere come una semplice e timida voce possa divenire il tritolo che fa esplodere una diga. Per quanto la storia, per alcuni amanti della critica, possa sembrare distante anni luce da noi, Francis Lawrance  la rende assolutamente attuale, assolutamente reale e fedele a ciò che è accaduto in passato e accadrà in futuro.
Are you, are you coming to the tree where I told you to run, so we'd both be free. Strange things did happen here no stranger would it be. If we met at midnight in the hanging tree.
Questa pellicola unisce tutto ciò che ha segnato la nostra storia e che continua a segnarci, questo film potrebbe raccontare di tutto il sangue, le morti e le speranze che sono vissute su questa stessa Terra: vi è la guerra in tutto il suo più crudele realismo, che si va a sposare con la propaganda politica. Ci insegna come quella scatola misteriosa dalle mille immagini che siede davanti al nostro divano, proprio in casa nostra, possa diventare lo strumento più potente e devastante per una rivoluzione. Ci insegna, come anche altri nel corso della storia ci hanno insegnato, che ciò che da forza è la speranza e la speranza spesso si aggrappa alla semplicità di un canto, al volo di un uccello, ad una spilla appuntata per caso su una giacca, si aggrappa ad un simbolo, si aggrappa alla Ghiandaia Imitatrice. La speranza si arrampica sui muri, sugli specchi, sulle braccia di chi vuole sorreggerla. E’ l’edera del mondo che resiste anche al fuoco delle bombe e dei carri armati, anche quando si spegne la luce e si resta al buio, soli con la paura. La speranza resiste sempre, è il batterio benigno dell’umanità, è la scintilla che divampa nell’incendio. E come in ogni scena c’è il dolore, in ogni scena c’è la fiducia. Solo alla fine ci si spezza, perché sono le cose che amiamo di più a distruggerci.
Are you, are you coming to the tree wear a necklace of hope, side by side with me. Strange things did happen here no stranger would it be. If we met at midnight in the hanging tree.
Il numero del Gatto Matto diventa la metafora della mia situazione. Io sono Ranuncolo. Peeta, che ho tanta voglia di mettere in salvo, è la luce. Ranuncolo, finché sente di avere la possibilità di afferrare tra le zampe quel bagliore sfuggente, ribolle di aggressività. (E’ così che mi sento io da quando ho abbandonato l’arena, con Peeta ancora vivo.) Quando la luce si spegne rimane turbato e confuso per un po’, ma poi si riprende a passa ad altro. (E’ ciò che mi succederebbe se Peeta morisse).”

Miss Everdeen, it’s the things we love most that destroy us.

In loving memory of Philip Seymour Hoffman.
Alessia Giulimondi




Nessun commento:

Posta un commento