martedì 29 dicembre 2015

"FRANNY" DI ANDREW RENZI CON RICHARD GERE

Locandina Franny

Uno strabiliante Richard Gere da Oscar come “Miglior Attore protagonista” interpreta “Franny” di Andrew Renzi, un miliardario filantropo e morfinomane americano che vive ogni giorno il dramma che egli stesso ha provocato cinque anni prima, e che sarà costretto a rivivere quando Olivia si ripresenterà nella sua vita con un figlio e un marito.
Alle deficienze strutturali e di sceneggiatura del film sopperisce la grandiosità attoriale drammatica di Richard Gere, fra eccessi depressivi, di munificenza e da crisi di astinenza.

Fabrizio Giulimondi 




sabato 26 dicembre 2015

"IL POTERE DEL CANE" DI DON WINSLOW

Il potere del cane

Il potere del cane (Einaudi) è l’opera letteraria scritta nel 2005 dal newyorkese, ex investigatore privato e uomo di mille mestieri, Don Winslow.
Questo romanzo non è per tutti, ma solo per lettori navigati e dallo stomaco forte.
Il potere del cane” è un salmo dell’Antico Testamento.
Il potere del cane” è un incandescente e mozzafiato romanzo in stile splatter, con reminiscenze cinematografiche tarantiniane e un finale all’ok corral.
Il potere del cane” è una storia complessa e articolata, che fa precipitare il lettore negli abissi del “Male”, negli inferi della più pura malvagità umana. Moltitudini di storie che si intersecano, si intrecciano e si avviluppano fra di loro, incollate dal puzzo di sangue, da sofferenze indicibili, dalla tortura e dalla morte.
Non vi sono limiti alla ferocia e alla crudeltà di apparenti esseri umani che sono dietro e dentro la federación messicana, i “cartelli”, le FARC e l’AUC colombiani e i Contras e i Sandinisti nicaraguensi.
I traffici di cocaina e  di crack, di armi e  petrolio muovono il mondo come uno strisciante e interminabile incubo, mentre una  cannibalica ferocia è alle spalle di stati, chiese e comunità.
La narrazione attraversa gli Stati Uniti, il Messico, la Colombia, il Guatemala, il Perù, Panama, San Salvador, Il Nicaragua e il Venezuela lungo tutti gli anni ’90.
La Dottrina Monroe, la Teologia della Liberazione, la Crisi del Peso, l’entrata in vigore del Trattato NAFTA, le operazioni “Cerbero” e “Condor”, il programma “Fenice”,  la “Nebbia Rossa”, sono il “dietro le quinte”.
Non c’è protagonista né comparsa che non siano pregni di corruzione: il patrón incontrastato è il denaro e con esso  vi sono la più cupa sopraffazione, inconfessabili segreti dei narcotraficantes…e “il potere del cane”.
Ecco apparire un  raggio di luce nel buio più fitto, fra la belluina e quotidiana violenza e brutalità: il cardinal Parada, l’agente Art, una prostituta di alto bordo di nome Nora  e un killer, Callan. Un assassino professionista raggio di luce? Tutto è possibile nella imponderabile mente di Winslow.
Scampami dalla spada.
Dal potere del cane”.


Fabrizio Giulimondi.

sabato 19 dicembre 2015

"IL PONTE DELLE SPIE"("BRIDGE OF SPIES") DI STEVEN SPIELBERG: VINCITORE DAVID DI DONATELLO 2016 COME MIGLIORE FILM STRANIERO

Locandina italiana Il ponte delle spie
Sua Maestà Steven Spielberg -  colui che incarna il Cinema , colui che “è” il Cinema e lo ha vissuto in tutte le più poliedriche e multiformi sfaccettature, come regista, produttore, sceneggiatore di cortometraggi, lungometraggi, fiction e sceneggiati per la  televisione, e autore di una produzione cinematografica sul grande schermo da capogiro, attraverso la quale ha affrontato  ogni genere filmico -  ha creato con il suo impareggiabile tocco di classe e genio un film “Il ponte delle spie “(“Bridge of spies”), che si inserisce nel ricco filone filmografico statunitense in tema di spionaggio, guerra fredda e  pericolo atomico.
1957: è in corso lo scontro fra le due superpotenze americana e sovietica.
Agosto 1961: viene innalzato il “Muro” che dividerà sino al novembre del 1989 la Germania in due: quella democratica e quella sottoposta alla tirannide comunista.
In mezzo ci sono le spie dei due blocchi che cercano di carpire informazioni essenziali per la sconfitta dell’altro.
In mezzo c’è una spia russa.
In mezzo c’è un avvocato yankee tutto d’un pezzo.
In mezzo c’è il rispetto fra una spia russa ed un avvocato yankee tutto d’un pezzo.
In mezzo ci sono le regole di uno Stato libero come quello degli States, la sua Costituzione che assicura una difesa competente a chiunque, anche ad un nemico.
In mezzo ci sono altre regole, quelle belliche, che cancellano quelle di uno Stato libero, quelle imposte dalla sua Costituzione.
In mezzo c’è il ponte di Glienicke al confine fra Berlino Ovest e Berlino Est.
In mezzo ci sono giganti del firmamento attoriale nordamericano, come Tom Hanks, Mark Rylance, Amy Ryan, Sebastian Kock, Alan Alda.
Centoquaranta muniti di “quinta essenza” del Cinema, comodamente adagiata in  una elegante, pacata, ragionata spy story.
Fabrizio Giulimondi




venerdì 11 dicembre 2015

"DEREK DOLPHYN E IL VARCO INCANTATO" DI CHRISTIAN CAPRIELLO

Il genere fantasy dai suoi primordi ai giorni d’oggi pareva aver spremuto se stesso sino all’ultima goccia sia in sede letteraria che cinematografica.
Invero, per poter parlare compiutamente di questo genere letterario, non si può non approcciare Derek Dolphyn “Derek Dolphyn e il Varco Incantato (Tullio Pironti editore) di Christian Capriello,  primo di cinque volumi di una saga che farà parlare molto di sé.
Il titolo fa repentinamente comprendere al passante che getta un’occhiata alla vetrina di una libreria la natura del racconto e, seppur del tutto difforme nel tratto di penna e nel contenuto, la  titolazione richiama repentinamente alla mente i lavori di Licia Troisi.
Dialoghi continui, intensi, incisivi, serrati, talune volte quasi goldoniani, visivamente posti in risalto anche dai differenti stili, tipi e dimensione dei caratteri, talora coralmente avvincenti come liriche  greche.
Suggestive le interpolazioni che punteggiano la storia fatte di filastrocche, cantilene, fanciullesche poesiole, che si cadenzano in modo tale da sembrare di udire la voce infantile o roca di chi le recita: ”Quando si fece più vicino, sempre più ciondolante, Josh capì che il vecchio canticchiava, anzi gracchiava una canzone, scandendone minuziosamente ogni singola sillaba. Quel motivo assumeva via via sempre maggiore musicalità: si percepiva inoltre che essa, pur suonando come vagamente funesta, aveva un obiettivo molto chiaro: conteneva un messaggio.”.
Capriello è abilissimo nell’uso sonoro delle parole, riuscendo a far percepire al lettore l’intonazione della voce che le pronunzia, il suo gracchiare, squittire o acutamente penetrare nelle orecchie, ammagliandole o debolmente infastidendole.
Nulla è scontato, ciò che appare tale potrebbe non esserlo, le piccole creature “follettesche” che si aggirano furtivamente fra le righe raramente compaiono come protagoniste in altri scritti di analoghe creazioni letterarie.
I ricorrenti aspetti autobiografici nelle descrizioni intimistiche dei personaggi sono rari in questa tipologia di racconti ed è bene che l’attento lettore cerchi di indagare, appropinquandosi guardingo verso la fine, chi sia Josh e, soprattutto, se incarni o meno l’Autore.
Due sono le cartine di tornasole di un buon lavoro letterario.
Se, varcata la quinta pagina, si vuole continuare a leggerlo e, superata la trentesima, si procede, drogati dalla storia,  sino alla conclusione.
Se la pistola introdotta nell’ incipit della narrazione, come sostiene Cechov, al suo termine spara.
La pistola spara…e come se spara!
Un’ ultima annotazione: come d’estate gradiamo un bicchiere di vino bianco fresco, mentre d’inverno apprezziamo di più  un bicchiere di “rosso” o, magari, un cognac vicino al camino, la lettura di “Derek Dolphyn e il Varco Incantato” è particolarmente raccomandata nel periodo che ci accingiamo a vivere.

Fabrizio Giulimondi

lunedì 7 dicembre 2015

"DOBBIAMO PARLARE" DI SERGIO RUBINI

A chi ama il gusto di assaporare una vera ed elegante recitazione consiglio vivamente di andare a vedere “Dobbiamo parlare” di Sergio Rubini.
Dobbiamo parlare” è una pièce teatrale con le vestigia cinematografiche. Tutto è teatro e teatrale in questo film: il modo di recitare, le movenze attoriali, il posizionamento corporeo nelle inquadrature e il muoversi lungo il set, la cui ambientazione è un appartamento con un arredamento delicatamente raffinato, una libreria ricca di libri sullo sfondo e  un appariscente post raffigurante Mao che campeggia fisso durante l’azione filmica.
Quattro attori che abilmente impegnano la scena e coinvolgono il pubblico in dialoghi serrati, recitati in maniera magistrale.
Sergio Rubini, Fabrizio Bentivoglio, Isabella Ragonese e Maria Pia Calzone, durante tutto lo sviluppo narrativo, fanno scuola di cinema e teatro.
Le reciproche “corna” di una attempata coppia  sposata, lanciate brutalmente addosso dopo anni di silenzi, bugie e mise–en-scène, contamineranno impietosamente e fatalmente la “apparente” autenticità amorosa di un giovane duo di conviventi di lungo corso.
Conviene veramente dirsi la verità?
Godetevelo!

Fabrizio Giulimondi


venerdì 4 dicembre 2015

"GLI ULTIMI SARANNO ULTIMI" DI MASSIMILIANO BRUNO

Locandina Gli ultimi saranno ultimi
“Gli ultimi saranno ultimi” - tratto dalla omonima pièce teatrale - di Massimiliano Bruno, 
Paola Cortellesi si sta affermando sempre più come la più brava attrice italiana, capace di passare da ruoli comici a drammatici con una disinvoltura ed una abilità di rara caratura.
Il resto del cast vede attori di primissimo livello, come Alessandro Gassmann che, insieme ad Elio Germano, può essere considerato una stella nel panorama attoriale nazionale; Fabrizio Bentivoglio, interprete di un poliziotto -  probabilmente mal costruito dal regista -  confuso e anonimo, né carne né pesce, che sbaglia mosse e tempi di azione; il grande (e grosso) Stefano Fresi, che qualsiasi parte rivesta mostra sempre una notevole carica di umanità; Irma Carolina Di Monte che dà voce a Manuela, transessuale poco funzionale alla storia.
Il film, accettabilmente  confezionato, puntella alla sedia lo spettatore per mezzo di una densa drammaticità da cui è percorso per tutta la sua durata, anche se nelle ultime scene il drama può risultare eccessivo, ridondante, surreale, forzato e un poco grottesco.
La pellicola affronta temi importanti come la precarietà del lavoro; la crisi economica che devasta i ceti sociali più deboli e , ancora di più, le donne, specie se in stato di gravidanza; la gioia dello stare insieme di una coppia sposata, la quale si accontenta della vita mediocre che il mercato del lavoro le offre; la ferocia del taglio dei posti di lavoro, come se ad essere eliminati siano numeri inerti e non persone, esistenze, famiglie.
La forza de “Gli ultimi saranno ultimi”, in realtà, è la stessa Cortellesi, dotata di capacità mimiche, espressive, comunicative, di movenza corporea e gesticolazione delle braccia, che mettono decisamente in secondo piano le distonie, le disarmonie e le criticità di sviluppo della trama e di delineazione delle personalità e delle identità dei personaggi.

Fabrizio Giulimondi


lunedì 30 novembre 2015

"LA RAGAZZA NELLA NEBBIA" DI DONATO CARRISI

La ragazza nella nebbia
Non c’è niente da fare! Donato Carrisi è il più grande scrittore di genere thriller italiano e uno dei più bravi a livello europeo.
Ogni sua opera è un piccolo intrigante capolavoro, in cui un reticolato inestricabile di introspezione, psicologia, oscura astuzia, esoterico agire, verità nascoste e falsità apparenti, non fanno staccare il naso del lettore dalle pagine divorate, risucchiate, ingoiate voracemente del romanzo,  perché egli vuole, deve,  sapere quale sia la autentica realtà.
Ma  deve attendere.
Con crudele pazienza.
Il suggeritore, Il tribunale delle anime, L’ipotesi del male, Il cacciatore del buio e, adesso, La ragazza nella nebbia (Longanesi).
Ritmo incessante. Fiato sospeso, in apnea sino alla fine. Nulla, ma proprio nulla, è come appare.
Il dolore altrui produceva un effluvio strano, era forte e pungente ma anche seducente…La gente non cerca giustizia, vuole solo un colpevole…La pietà era stata rimpiazzata da una curiosità morbosa…Non gliene frega a nessuno se sei innocente, la gente ha già deciso…E’ il cattivo che rende la mediocrità più accettabile: è lui che fa la storia…La prima regola del buon romanziere è copiare”.
I fatti di cronaca “nera” degli ultimi anni, Cogne e la Franzoni, i delittI di Sarah Scazzi e Yara, sono lo spunto umano, sociale  e ambientale dove parte e si muove la storia, per poi diventare altro.
Ma voi siete veramente convinti di essere ciò che pensate di essere?

Fabrizio Giulimondi 

"HUNGER GAMES - IL CANTO DELLA VITTORIA, PARTE II" DI FRANCIS LAWRENCE

Locandina Hunger Games: Il canto della rivolta - Parte II
Ogni cosa ha un inizio, uno sviluppo ed una fine ed è giunta a conclusione la lunga opera cinematografica spezzettata - come oramai è consuetudine - in quattro tempi, Hunger Games: Hunger Games, La ragazza di fuoco, Il canto della rivolta, Parte I e Il canto della rivolta, Parte II. Quest’ultima, diretta sempre da Francis Lawrence, la ritengo migliore degli “episodi” precedenti. Pur mantenendo l’ambientazione antica romana, passa dalle modernizzate lotte gladiatorie a vere e proprie azioni belliche da parte dei rivoltosi, anche se di sapore catacombale.
La nostra Katniss Everdeen, “La Ghiandaia Imitatrice”, mimicamente in sempiterna tristezza, combatte fino ad espugnare il tiranno, sia quello “evidente”, sia quello “nascosto” dietro il volto del giusto: non sempre le rivoluzioni tendono a sostituire un regime totalitario con uno democratico.
Il cast è lo stesso delle volte precedenti e sempre di altissimo livello: Jennifer Lawrence, Donald Sutherland, Julianne Moore, Philip Saymour Hoffman, granDissimo attore morto durante le riprese del film e surrogato da artifici computeristici.
Godibile colonna sonora di James Newton Howard.

Fabrizio Giulimondi


mercoledì 25 novembre 2015

"INCHIOSTRO" DI ALESSIA GIULIMONDI (PROSPETTIVA EDITRICE)




Le grida dentro le mie orecchie sono forti e lontane,
assordanti e confuse,
ma il vento è troppo forte e mi porta via la testa in luoghi sconosciuti
di cui solo io ho la chiave.
Sono stato marchiato dall’ inchiostro indelebile del dolore,
che mi ha fatto camminare lungo la riva della vita.”

Nigel ha appena perso il padre, accidentalmente trova nella sua soffitta una lettera indirizzata a lui da parte del genitore. La apre e comincia a leggere…
Siamo a Berlino all’inizio dell’estate del 1944. Due ragazzi, Giacomo e Greta, si incontrano. Lei è tedesca, “figlia”(di chi?) e lui un ragazzo italiano che ha perso la famiglia. I due intraprendono un viaggio, diretti a Roma, ma le cose saranno più complicate del previsto.
La storia si intreccia fra passato e presente in una ricerca continua di se stessi. I protagonisti faranno i conti con un perpetuo e incessante senso di colpa, con la paura di amare, la paura di vivere e la paura di morire.
Il tutto accompagnato dal tragico sottofondo della guerra e di quell’agghiacciante sterminio che non va mai dimenticato.

"INCHIOSTRO" DI ALESSIA GIULIMONDI (PROSPETTIVA EDITRICE)




Le grida dentro le mie orecchie sono forti e lontane,
assordanti e confuse,
ma il vento è troppo forte e mi porta via la testa in luoghi sconosciuti
di cui solo io ho la chiave.
Sono stato marchiato dall’ inchiostro indelebile del dolore,
che mi ha fatto camminare lungo la riva della vita.”

Nigel ha appena perso il padre, accidentalmente trova nella sua soffitta una lettera indirizzata a lui da parte del genitore. La apre e comincia a leggere…
Siamo a Berlino all’inizio dell’estate del 1944. Due ragazzi, Giacomo e Greta, si incontrano. Lei è tedesca, “figlia”(di chi?) e lui un ragazzo italiano che ha perso la famiglia. I due intraprendono un viaggio, diretti a Roma, ma le cose saranno più complicate del previsto.
La storia si intreccia fra passato e presente in una ricerca continua di se stessi. I protagonisti faranno i conti con un perpetuo e incessante senso di colpa, con la paura di amare, la paura di vivere e la paura di morire.
Il tutto accompagnato dal tragico sottofondo della guerra e di quell’agghiacciante sterminio che non va mai dimenticato.

giovedì 12 novembre 2015

"ALTRI CANTI DI MARTE" DI PAOLO ISOTTA

Altri canti di Marte
Con linguaggio barocco, poliedrico e aulico il partenopeo Paolo Isotta, uno dei più illustri musicologi nel panorama italiano ed europeo, immerge il proprio uditorio, con i suoi “Altri canti di Marte” (Marsilio), nel teatro dei grandi compositori sinfonici e lirici e nel proscenio dei virtuosismi di celeberrimi direttori di orchestra e musicisti senza tempo, mostrando, garbatamente ma senza infingimenti, il “dietro le quinte” del misterioso  universo della musica, che sarà disvelato senza  remore all’attento e colto lettore.
Altri canti di Marte” è un momento di alta letteratura artistica, costellata di richiami aneddotici alla vita personale, professionale e politica dell’insigne Autore, aneddoti che lasciano stupefatti per la franchezza con la quale vengono raccontati, boccata di ossigeno di montagna per i nostri neuroni asfissiati dal “politically correct”.

Fabrizio Giulimondi

"THE LAST WITCH HUNTER" ("L'ULTIMO CACCIATORE DI STREGHE") DI BRECK EISNER

Locandina The Last Witch Hunter - L'ultimo cacciatore di streghe
The last witch hunter” (“L’ultimo cacciatore di streghe”) di Breck Eisner, pellicola senza infamia e senza lode, si inserisce nel filone dei film alla Jean-Claude Van Damme e scimmiotta, con le sue streghe buone e cattive, la saga di Twilight, dove v’erano vampiri “vegetariani” e vampiri malvagi.
Non solo: il richiamo ad Octopus, l’acerrimo nemico dell’Uomo Ragno, è plateale quando la “regina delle streghe” possiede, a mo’ di aura, braccia tentacolari che la circondano.
Attori indubbiamente di valore, come Michael Caine e Vin Diesel, ma la platea è bene sia costituita da adolescenti.

Fabrizio Giulimondi 


lunedì 2 novembre 2015

FABRIZIO GIULIMONDI: 3 NOVEMBRE 1964 - 3 NOVEMBRE 2015


Non importa quanto angusta sia la porta,
quanto impietosa la sentenza,
io sono il padrone del mio destino,
il capitano della mia anima.

domenica 1 novembre 2015

FABRIZIO GIULIMONDI: 2 NOVEMBRE 2015


....continuate a pensarmi...continuate a parlarmi...continuate a raccontarmi quello che fate...proprio come se fossi lì, con voi, perché potrei  essere davvero lì, con voi........

sabato 31 ottobre 2015

"BELLI DI PAPA' " DI GUIDO CHIESA

Locandina Belli di papà
“Belli di papà” di Guido Chiesa riprende il filone cinematografico, di nuovo conio, da me denominato “valorial-brillante”, alla stregua di pellicole come Torno indietro e cambio vita di Carlo Vanzina,  Noi e la giulia di Edoardo Leo e Se Dio vuole di Edoardo Falcone.
Un sempre grande Diego Abbatantuono è un ricco magnate degli affari, affiancato da un socio molto fidato e capace (Antonio Catania) e  padre di  tre figli scapestrati (interpretati da Andrea Pisani, Matilde Gioli e Francesco di Raimondo).
Un’idea paterna particolarmente “originale” -  ai limiti del grottesco -  farà scoprire ai ragazzi il senso del lavoro e riscoprire valori dimenticati: una famiglia svaporata tornerà ad essere una famiglia vera.

Fabrizio Giulimondi


mercoledì 28 ottobre 2015

"LA FELICITA' DELL'ATTESA" DI CARMINE ABATE


La felicità dell'attesa
In uno scenario attuale che vede un attacco senza precedenti all’istituto della famiglia, Carmine Abate continua a parlarci con commovente delicatezza della Famiglia e della Terra, delle Radici, delle Origini, di Sentimenti autentici, di Fatica, di Sacrifici, di Uomini e Donne partiti lontano per rendere “studiati” i propri figli (“ Ma io so bene cosa si prova quando si emigra, quel lieve franare della terra sotto i piedi a ogni passo. Il sipario che si chiude alle tue spalle, lasciando solo uno spiraglio di luce che t’insegue da lontano”), anche se  nel cuore hanno solo il loro paesello natio.
Ancora Carmine Abate ci parla di Hora.
Hora è il Paese, la “Kora” della Grecia classica delle memorie, la “Hore” arbërisht degli amarcord tristi, nostalgici e malinconici come solo i ricordi belli sanno essere.
Hora è un luogo nascosto in ognuno di noi negli anfratti del cuore.
Hora è il Paese dove è nato Carmine Abate, Carfizzi, ma anche tutte quelle località dove vivono sin dal 1400 le comunità italo –albanesi.
Hora, in “La felicità dell’attesa” (Mondadori), è nel crotonese, ma potrebbe essere in qualsiasi altra parte della Calabria, della Puglia, dell’Abruzzo, del Molise, della Basilicata, della Campania o della Sicilia: “Hora jone è come un iceberg, metà fuori illuminata dal sole e metà, oscura, dentro di noi”.
Hora è un luogo geografico ma anche un luogo spirituale che dimora nell’’anima di chi è stato, è e sarà : ”L’uomo che trova dolce il luogo natale è ancora un tenero principiante; quello per cui ogni suolo è come il suolo nativo è già più forte; ma perfetto è l’uomo per cui l’intero mondo è un paese straniero”.
Questo romanzo, al pari e ancora più dei precedenti (Il ballo tondo, La moto di Scanderbeg, Il mosaico del tempo grande, La festa del ritorno - Premio Campiello 2004 -  La collina del vento, Il bacio del pane) è marcatamente biografico e autobiografico e, al pari e ancor più dei precedenti, è il romanzo dei lucciconi, degli affetti profondi, di memorie antiche che, se fossero cancellate, oscurerebbero il futuro.
La felicità dell’attesa” narra di ciò che è intramontabile, immutabile, sacro nella sua semplicità quotidiana, fatta di lotta per il futuro, di presente proiettato al domani (“Il presente del futuro è l’attesa”) e che guarda sempre al passato, verso Hora (“Il passato e il presente mi balzano davanti agli occhi come cani feroci”).
L’italiano, il calabrese, l’ inglese e l’arbëreshë si fondono in un unico idioma che è prosa e poesia insieme:” La sua vita è sospesa tra Ney York e Hora, tra il futuro e il passato che non esistono, dentro un presente traboccante di attese e di rimpianti”.
E’ il tempo il compagno di viaggio dei protagonisti: ”Il tempo pareva cristallizzato in gesti e parole ripetuti fino alla noia, con il dolore che risbucava cauto e senza preavviso, come le lumache in fuga dal panaro”.
Mio padre….è stato assente perché in tutta la sua vita ha cercato invano di rielaborare il lutto per la morte del padre e del fratello, continuando nel frattempo a sperare di rivedere Norma, soffiando sulle braci vive del suo amore sotto la cenere, anche dopo la nascita di noi figli, anche dopo la scomparsa di Norma, che per lui non era morta veramente: a morire era stata Marilyn Monroe”.
Viviamo per questo, no? In attesa di assaporare questa benedetta felicità.
Fabrizio Giulimondi


sabato 24 ottobre 2015

"WOMAN IN GOLD" DI SIMON CURTIS

Locandina italiana Woman in Gold
Woman in gold” di Simon Curtis, film didatticamente interessante per avere il merito di far conoscere un poco noto lembo di storia, ossia quello delle centomila opere d’arte rubate dai nazisti (differentemente affrontato da George Clooney  in Monuments men).
La pellicola si alterna fra momenti carichi di pathos e transfer e sprazzi noiosi e trenchant, senza dimenticare i riferimenti giuridico-processuali che lasciano non poco perplessi gli addetti ai lavori.
I trent’anni precedenti l’"anschluss" al Terzo Reich sono fervidi di produzioni pittoriche, letterarie e nel campo della psicanalisi. Il grande artista Gustav Klimt (1862 – 1918) dipinge il ritratto di Adele Bloch-Bauer (la “Monna Lisa” austriaca), affascinante giovane donna ebrea dell’alta borghesia dell’epoca.
Il quadro andrà a finire nelle mani dei carnefici di quella famiglia, per poi abbellire, finita la guerra, le pareti del  Museo Belvedere di Vienna.
La nipote, dopo essere fuggita dalla barbarie nazionalsocialista e oramai residente da anni in California, si adopera per chiederne la consegna al governo austriaco, il quale, in virtù di una legge, si era “fintamente” fatto carico della restituzione ai legittimi proprietari di quanto loro sottratto per volontà delle autorità hitleriane.
Il dipinto, al termine di una lunga battaglia giudiziaria (molto mal rappresentata), dopo sessantotto anni transiterà dalla Galerie Belvedere al Neue Galerie di New York.
Ovviamente sotterranea (ma neanche troppo) v’è la morale erodotea: la scoperta del proprio passato e di quello della propria  famiglia muta l’animo dell’avvocato - anch’esso ebreo e di origine austriaca -  che passa  dalla mera pulsione economica a quella dei sentimenti e della custodia dei ricordi.
Cast di attori di alto livello, con nomi del calibro di Helen Mirren (Maria Altmann da anziana), Tatiana Maslany (Maria Altmann da giovane), Ryan Reynolds (l’avvocato), Daniel Brühl (il giornalista investigativo).
Fabrizio Giulimondi



giovedì 22 ottobre 2015

"AMORE E MORTE DEL CAVALIERE F. DE S." DI ANTONELLA AZZONI

Amore e morte del cavaliere F. de S.
Antonella Azzoni, psichiatra di professione, colta letterata nell’animo, ha scritto un prezioso cofanetto di raccolte di epistulae concepito a racconto lungo, “Amore e Morte del Cavaliere F.de S.” (Pagine edizioni).
Non è comune imbattersi oggigiorno nel genere epistolare, che ha nobili e antiche origini in Cicerone, Orazio e Seneca.
Goethe afferma che nel romanzo epistolare convergono le tre forme poetiche, l’epica, la lirica e il dramma, forme che troviamo presenti in questo coraggioso esperimento letterario, unitamente all’opera epistolare settecentesca francese, da La nuova Eloisa (1761) di Jean-Jacques Rousseau, a Les Liaisons Dangereuses (1775-1781) di Francois Choderlos de Laclos, assorbita senza meno nella  cultura romanziera della Azzoni.
Solo le “lettere” riescono a rendere i pensieri e le sensazioni del loro estensore, Cavaliere F. de S., nel loro fluire da una intimità devastata, incessantemente travolta da una sempre più crescente  disperazione, la  cui  colonna sonora sembrano essere le ritmate e ossessive note del  Bolero di Ravel.
La natura stessa delle “epistole”  fa partecipare l’uditorio dello spirito, del costume, dello stile e della civiltà di un’epoca, coinvolgimento che la Scrittrice raggiunge grazie ad un linguaggio raffinato, elegante, erudito, attento alle  figure stilistiche e retoriche della metà del XVIII secolo.
Nella  lettura delle missive  si respira l’ambiente rarefatto ed aristocratico russo-francese, mentre il lettore danza fra San Pietroburgo e Parigi.
L’amore raccontato è un sentimento fuori dal nostro tempo, struggente, angosciato, senza appello. Bastano pochi incontri, sguardi fugaci, un lieve tocco di mano, per scatenare passioni oltre lo spazio:” Oh, l’amour n’est rien, s’il n’est pas de la folie, une chose insensée, défendue et une aventure dans le mal. Autrement c’est une banalité agréable” (Thomas Mann, Der Zauberg).

Fabrizio Giulimondi

martedì 20 ottobre 2015

"LETTERA AGLI ITALIANI" DI MARCELLO VENEZIANI



Lettera agli italiani
Come si fa ad approcciare il “sublime”? Quali parole, quali espressioni, quali locuzioni, quali sintagmi, quali lemmi, quali termini possono invocarlo? Come si può comunicare, far percepire agli altri ciò che per sua natura è inafferrabile, dolcemente e grandiosamente inafferrabile
Leggere ed essere travolti da una inarrestabile ondata di emozioni e di bellezza, come colti da sindrome di Stendhal. Emozioni e bellezza che non si fermano con la lettura ma vanno oltre essa,  perché le pulsioni intellettive, di cui ogni singolo fonema si nutre, permangono cocciutamente nella testa e ostinatamente non la abbandonano.
Con Vivere non basta - lettere di Seneca sulla felicità  Marcello Veneziani ha intrapreso un percorso lungo la sua anima; il suo cammino interiore è continuato attraverso “Dio, Patria e Famiglia dopo il declino”, anch’esso, come il primo, un autentico capolavoro; “Lettera agli italiani” (Marsilio editore) si innalza ad opera d’arte. E’ un unicum di imponderabile incanto, che unisce riflessioni letterarie, filosofiche, storiche, politiche, liriche, poetiche, metafisiche e ironiche sugli italiani, sugli “italieni” e sui ”transitalici”, riflessioni che prendono forma da uno stile letterario di cui l’organismo con ansia si ciba e si abbevera.
Immersi nel quotidiano grigiore linguistico, dove poveri, sciupati e ridicoli vocaboli e neologismi vengono imposti al comune parlare dalla vuota dittatura del “politicamente corretto”; immersi in  masse informi e anonime  di persone  deprivate di pensiero e idee, omologate dalla costrizione corrosiva di dover discernere tutte nello stesso modo, altrimenti  si è omofobi, sessisti, xenofobi e razzisti; immersi in una religione laica con le sue vestali e i suoi sacerdoti e i suoi riti e le sue sanzioni e i suoi nuovi peccati, i nostri polmoni  hanno necessità di respirare un’aria carica di una “nostalgia dell’avvenire”, di un futuro partorito dalle proprie radici e non disciolto nel presente.
Sussiste “la necessità di congiungere  la memoria del passato all’attesa del futuro e di restituire alla continuità tra le generazioni il senso più vivo di una tradizione che viene da lontano e si sporge nel futuro”…..si “sporge nel futuro”:  quanto toccante,  quanto commovente splendore!
Il sentimento di commozione non è un elemento posticcio ma l’”in sé” del saggio di Veneziani; non un condimento scenografico di una storia scontata,  ma la naturale conseguenza di una narrazione che scende nel “foro interno” di ciascuno di noi, nonostante il cemento che sopra vi hanno irriguardosamente colato.
In “Lettera agli italiani” v’’è un sentore di ciò che siamo stati, siamo e che potremmo essere, un presagio di riscatto:  "L'Italia è mia madre, L'Italia è mio padre. L'Italia è il racconto in cui sono nato. L'Italia è la lingua che parlo, il paesaggio che mi nutre, dove sono i miei morti. L'Italia è le sue piazze, le sue chiese, le sue bellezze, chi la onorò. L’Italia è la sua storia, figlia di due civiltà, romana e cristiana. L'Italia è la mia casa, è il ritorno, è l'infanzia, il cielo e la terra che mi coprirà”.
E  l’incuria non potrà sopraffare ciò che è sorto immortale: ”E tuttavia c’è qualche cosa che si sottrae al degrado, allo scempio, alla barbarie. E’ qualche cosa che attiene l’aria, che allude a una presenza, folgorante ed eterea al tempo stesso e che anima il paesaggio. E’ la luce. La luce mediterranea, la luce del Sud, la luce italiana, e sopra tutti la luce di Roma. Ci sono giornate, a Roma, in cui serpenti di traffico, spettacoli di degrado, brutture disseminate, lasciano l’impressione che la città eterna stia sull’orlo della sua scomparsa dopo un’indecorosa agonia. Poi però noti che c’è un’aura indicibile che sovrasta il paesaggio e cancella gli sgorbi, qualcosa che risplende nonostante tutto, qualcosa che è al riparo dall’usura e dalla decadenza, e che rende la visione vivida e smagliante: è la luce di Roma, clamorosa, trionfale, che trattiene in sé qualcosa di indicibile della sua storia e della sua tradizione, in tutte le sue stratificazioni. Le intensità dell’azzurro, la regalità di quel sole, l’aria vibrante hanno qualcosa di glorioso, di antico e puro al tempo stesso, che riesce a restare integro sopra le rovine e il caos, in un’ eterea perennità che ti fa vivere dentro un mito”. 

Fabrizio Giulimondi

sabato 17 ottobre 2015

"I GIORNI DELL'ABBANDONO" DI ELENA FERRANTE

I giorni dell'abbandono
Una storia banale, come quella di una donna di 38 anni con due figli e un cane lasciata dal marito per una più giovane, nelle mani di Elena Ferrante diventa un ruvida carezza dell’anima. “I giorni dell’abbandono” (edizioni e/o), seconda opera della “misteriosa” Ferrante - antecedente alla quadrilogia/capolavoro L’Amica geniale – da cui è stato tratto l’omonimo film di Roberto Faenza, è un viaggio introspettivo, compiuto con il sempiterno stile affascinante della scrittrice, lungo la sofferenza di una moglie e il travaglio di una madre sino al suo risorgere, “ab inferos usque ad sidera coeli” (Marsilio Ficino).
Questa volta non parlerò io, ma l’Autrice stessa.
Cosa c’entrava lei brutta puttana, cosa c’entrava con quella linea di discendenza. Si atteggiava a bella fica con le cose mie, che poi sarebbero diventate le cose di mia figlia. Apriva le cosce, gli bagnava un po’ il cazzo e si immaginava che così l’avesse battezzato, io ti battezzo con l’acqua santa della fica, mi immergo il tuo cazzo nella carne madida e lo rinomino, lo dico mio e nato a nuova vita. La stronza. Perciò credeva di avere diritto in tutto e per tutto a prendere il mio posto, a fare la mia parte, puttana di merda……..Mi aveva tradito con lei per cinque anni, in segreto, un uomo doppio, due facce, due flussi separati di parole……Ma erano soprattutto le immagini impercettibili della mente, le sillabe scarse, che mi facevano paura. Bastava un pensiero che non riuscivo nemmeno a fissare, un semplice guizzo violaceo di significati, un geroglifico verde del cervello, perché mi riapparisse il malessere e mi montasse dentro il panico…..Dove sono? In che mondo mi sono inabissata, in che mondo sono riemersa? A quale vita mi sono restituita? E a quale scopo?......Il futuro – pensai – sarà tutto così, la vita viva insieme all’odore umido della terra dei morti, l’attenzione insieme alla disattenzione, i balzi entusiastici del cuore insieme ai bruschi cali di significato. Ma non sarà peggio del passato….Esistere è questo, pensai, un sussulto di gioia, una fitta di dolore, un piacere intenso, vene che pulsano sotto la pelle, non c’è nient’altro di vero da raccontare.”

Fabrizio Giulimondi

giovedì 15 ottobre 2015

"SUBURRA" DI STEFANO SOLLIMA

Locandina Suburra
La Suburra era un vasto e popoloso quartiere dell'antica Roma situato sulle pendici dei colli Quirinale e Viminale, fino alle propaggini dell'Esquilino. La popolazione che vi abitava era costituita da sottoproletariato urbano che viveva in condizioni miserabili. Anche nel linguaggio attuale con la locuzione “Suburra” si intende un luogo malfamato, teatro di crimini e immoralità.
Suburra” di Stefano Sollima è una autentica suburra filmica, visto il confuso potpourri di fatti di cronaca, eventi politici e istituzionali e note condotte criminali che il registra vi getta dentro.
Suburra”, tratto dall’omonimo romanzo di Giancarlo de Cataldo e Carlo Bonini, è il Romanzo criminale in salsa “Mafia Capitale”, la Gomorra romana condita con gli ultimi rimasugli della “Banda della Magliana”, la storia -  molto riveduta e molto corretta -  delle vicende che vanno dalle dimissioni del governo Berlusconi del 12 novembre 2011, alle dimissioni di Papa Benedetto XVI dell’11 febbraio 2013, agli avvenimenti capitolini del 2 dicembre 2014. Poco convincente, eccessivo, esagerato, talora grottesco, marcatamente ideologicamente orientato, il film vede un cast di attori italiani di primo piano, da Claudio Amendola, a Pierfrancesco Favino, a Elio Germano, sino a Alessandro Borghi e Greta Scarano.

Fabrizio Giulimondi


lunedì 12 ottobre 2015

"POLI OPPOSTI" DI MAX CROCI

Locandina Poli Opposti
Poli opposti” di Max Croci è un film fresco, romantico e divertente, sentimentale e brillante, che dimostra come si possa fare commedia all’italiana senza volgarità, oscenità e scene di sesso.
Il fil rouge ricorda Passione sinistra di Marco Ponti: i poli opposti in amore si attraggono.  In Passione sinistra era la politica a diversificare in tutto i futuri innamorati, mentre in “Poli opposti”  è la radicale differenza di caratteri, personalità e professioni dei protagonisti.
Luca Argentero (unica perla di attore uscita da una delle tante edizione del Grande Fratello) interpreta un ragazzo, docile di carattere, paziente e comprensivo, che di lavoro fa il terapeuta familiare rappacificatore di coppie in crisi. Sarah Felberbaum, invece, veste i panni di una vera “iena” come donna e avvocato divorzista.
Delicate risate e riflessioni assicurate.
Fabrizio Giulimondi


domenica 11 ottobre 2015

NICCOLO' AMMANITI: "ANNA"

Anna
Questo mondo non esiste. E’ un incubo dal quale non riusciamo a svegliarci”.
Anna” di Niccolò Ammaniti (Einaudi)  -  che rompe con la produzione artistica precedente (primo fra tutti Come Dio comanda) -   si comincia a leggere con nonchalant,  per poi trovarsi avvinghiati, invischiati e  avviluppati in un turbinio di emozioni, di angosce e dolori; in una intreccio indissolubile, armonioso come la tela di un ragno, di sentimenti, amicizia, amore e dolcezza, di tristezza,  raccapriccio e  disgusto; in una rete intricata e, talora, gelatinosa, di commozione da cui, come  sabbie mobili, difficilmente si riesce ad emergere.
La narrazione di “Anna” è uno spazio metafisico dove vanno a confluire filoni letterari di vario genere, dalla fantascienza catastrofista, all’horror, all’avventuroso, all’adolescenzial-sentimentale.
Anna è una eroina di 13/14 anni - a cui non si può non volere bene – che, con il fratellino ed un cane maremmano, si dirige verso il Continente attraversando una Sicilia, potente nella sua bellezza, trasformata in un luogo spettrale, apocalittico, post atomico, nel quale un virus belga (che evoca quello dell’ebola nel film del 1995 di Wolfgang Petersen “Virus Letale” con Dustin Hoffman) ha eliminato ogni essere umano dalla età puberale in poi e, dal quale, solo i bambini sono immuni.
Ragazzini che, riuniti tribù, animalescamente brancolano spinti dalla pulsione vitale, luridi, con i denti marci, i volti deturpati e gli stomaci corrosi da cibo scaduto e putrefatto. I Grandi non esistono più e non v’è più elettricità, né elettronica e telematica: vivono in uno stato primordiale illuminato da una inarrestabile, primigenia  ed impossibile a sopirsi necessità di amare se stessi e gli altri.
Adesso capiva cosa era l’amore, quella cosa di cui si parlava tanto nei libri della mamma. L’amore sai cos’è solo quando te lo levano. L’amore è mancanza . “.
Fabrizio Giulimondi



"ANNA" DI NICCOLO' AMMANITI

Anna
Questo mondo non esiste. E’ un incubo dal quale non riusciamo a svegliarci”.
Anna” di Niccolò Ammaniti (Einaudi)  -  che rompe con la produzione artistica precedente (primo fra tutti Come Dio comanda) -   si comincia a leggere con nonchalant,  per poi trovarsi avvinghiati, invischiati e  avviluppati in un turbinio di emozioni, di angosce e dolori; in una intreccio indissolubile, armonioso come la tela di un ragno, di sentimenti, amicizia, amore e dolcezza, di tristezza,  raccapriccio e  disgusto; in una rete intricata e, talora, gelatinosa, di commozione da cui, come  sabbie mobili, difficilmente si riesce ad emergere.
La narrazione di “Anna” è uno spazio metafisico dove vanno a confluire filoni letterari di vario genere, dalla fantascienza catastrofista, all’horror, all’avventuroso, all’adolescenzial-sentimentale.
Anna è una eroina di 13/14 anni - a cui non si può non volere bene – che, con il fratellino ed un cane maremmano, si dirige verso il Continente attraversando una Sicilia, potente nella sua bellezza, trasformata in un luogo spettrale, apocalittico, post atomico, nel quale un virus belga (che evoca quello dell’ebola nel film del 1995 di Wolfgang Petersen “Virus Letale” con Dustin Hoffman) ha eliminato ogni essere umano dalla età puberale in poi e, dal quale, solo i bambini sono immuni.
Ragazzini che, riuniti tribù, animalescamente brancolano spinti dalla pulsione vitale, luridi, con i denti marci, i volti deturpati e gli stomaci corrosi da cibo scaduto e putrefatto. I Grandi non esistono più e non v’è più elettricità, né elettronica e telematica: vivono in uno stato primordiale illuminato da una inarrestabile, primigenia  ed impossibile a sopirsi necessità di amare se stessi e gli altri.
Adesso capiva cosa era l’amore, quella cosa di cui si parlava tanto nei libri della mamma. L’amore sai cos’è solo quando te lo levano. L’amore è mancanza . “.
Fabrizio Giulimondi