sabato 29 agosto 2015

"IL LUTTO. PSICOTERAPIA COGNITIVO EVOLUZIONISTA E EMDR" DI ANTONIO ONOFRI E CECILIA LA ROSA"

Il lutto. Psicoterapia cognitivo-evoluzionista e EMDR

Θάνατος -  mors -  death -  mort -  смерть -  muerte -  tod -  morte.
Secondo Aries (1975) “oggi la morte è diventata un tabù, qualcosa di innominabile, della quale il morente è del tutto spossessato, come se fosse un minore.”.
La morte contrasta con l’approccio epicureo, ludico e dionisiaco dell’esistenza dell’occidentale.
La morte non è in linea con il quotidiano carpe diem.
La morte non è consentanea con la visione materialistica imperante nell’uomo, immerso in un individualismo che tutto assorbe e tutto annienta.
Il lavoro scrupolosamente scientifico di due medici psichiatri, Antonio Onofri e Cecilia La Rosa, Il lutto. Psicoterapia cognitivo evoluzionista e EMDR” (Giovanni Fioriti editore), affronta il sommo tabù senza riserve e senza censure.
Cosa accade al coniuge, ai figli, ai genitori, ai parenti più stretti, agli amici, quando muore loro una persona cara?

Gli Autori scarnificano, vivisezionano, spolpano ogni segmento reattivo della persona  coinvolta dalla morte di un “vicino”.
La morte è il momento “zero” e la sua presenza produce intorno a sé effetti di diversa intensità di ordine comportamentale, psicologico, psichiatrico, clinico, biologico, ambientale, sociale e sociologico.
Ogni aspetto viene attentamente scrutato , dal tipo di evento che ha condotto al decesso, alla tipologia di legame che univa il deceduto al sopravvissuto, all’eventuale contributo dato da quest’ultimo alla determinazione dell’evento, ai rapporti pregressi intercorrenti fra i due. E ancora, con chirurgica precisione, viene dissezionato lo spazio temporale successivo alla morte, i minuti, le ore, i giorni, le settimane, i mesi, gli anni che seguiranno.
Nulla è come prima!
Bisogna riprogrammare le coordinate interiori ed esteriori dell’individuo “lambito” dalla morte.
Gli Autori in maniera voluta o subliminale si insinuano nell’animo del lettore, e questi, anche contro la propria volontà, si trova sdraiato su un lettino, perché quel dolore nella propria esistenza lo ha già conosciuto.
Onofri e La Rosa tramite il loro scritto compiono un’ azione maieutica su chi legge, che inevitabilmente nel lontano o recente passato ha avuto una persona a lui cara che non c’è più.
Chi vuole essere  come il gabbiano Jonathan Livingston lo legga!
Fabrizio Giulimondi


mercoledì 26 agosto 2015

VERSO IL PREMIO CAMPIELLO 2015: "IL TEMPO MIGLIORE DELLA NOSTRA VITA" DI ANTONIO SCURATI, VINCITORE DEL PREMIO VIAREGGIO 2015


Lavoro sinfonico, corale, plurale, articolato, impegnativo, complesso, “Il tempo migliore della nostra vita (Bompiani, candidato al Premio Campiello 2015 e vincitore del Premio Viareggio 2015) di Antonio Scurati, è “un libro unico, dunque, affollato come un gruppo fotografico”, come disse Italo Calvino riguardo a “Lessico famigliare” di Natalia Ginzburg, la grande scrittrice moglie di Leone Ginzburg, del cui eroico rigore intellettuale e pervicace compostezza umana e politica si narra in questo lavoro di ampio respiro storico, biografico, sociale e sentimentale. Leone Ginzburg è stato uno dei tredici accademici italiani su tremila in servizio nel 1934 che rifiutò il giuramento al fascismo e ne pagò amare conseguenze. Leone Ginzburg è un personaggio omerico, grandioso e possente nella sua semplicità e quotidianità, che però non possiede alcuno degli elementi mitologici della tragedia e della letteratura greca: la sua storia è agganciata al mondo reale, al ventennio fascista, all’orrore della guerra, dell’occupazione nazista e della guerra civile e alle speranze e alle esaltazioni del dopoguerra. Leone Ginzburg è un personaggio umano e non storico, secondo la distinzione da lui stesso coniata nella prefazione a “Guerra e pace” di Tolstoj. I personaggi storici vivono sempre, in qualsiasi epoca, in tempo di guerra, mentre quelli umani solamente in tempo di pace. Al pari di Tolstoj, Ginzburg prendeva partito per una “felicità esplicitamente terrena”.
Questa “felicità esplicitamente terrena” è sommersa invero dalla devastazione e “Il tempo migliore della nostra vita” ne trasuda. Dai pori della carta stampata il lettore sente incessantemente l’odore acre del sangue, ode le esplosioni incessanti dei bombardamenti americani e tedeschi, ascolta continue urla strazianti di decine di migliaia di italiani falciati dalle mitragliatrici e prova senza cesure il loro dolore, la loro disperazione, da cui è impossibile fuggire.
La narrazione è un crescendo inarrestabile di vita e morte, annientamento e mirabile e commovente voglia di ricostruzione e di ballo e canto, come se nulla fosse successo, verso l’esplosione finale, verso una conclusione che lascia senza fiato perché incarna bellezza letteraria pura, apoteosi di emozioni lasciate libere, senza controllo e argini, sentimenti che escono privi di pudore dalle mani dello scrittore e travolgono impietosamente il lettore.
Questo capolavoro è: ” Un tentativo di stabilire una comunione di vita tra i vivi e i morti. E persino tra i morti, i vivi e i non ancora nati. Un sentimento d’amicizia, di consentaneità, di fratellanza verso il lettore sconosciuto di un tempo ancora increato. Questa la posta in gioco. Questo patetico, grandioso amore, non tanto per il prossimo, quanto per la vita straniera, lontana, soprattutto per la vita a venire, il presente preso tra due fuochi, il passato e il futuro.”.

Fabrizio Giulimondi

venerdì 21 agosto 2015

"IL BUIO OLTRE LA SIEPE" DI HARPER LEE


Il buio oltre la siepe” (“To kill a mockingbird”), romanzo del 1960 di Harper Lee, edito per la prima volta in Italia nel giugno 1962 dalla Feltrinelli, anno in cui è uscita anche la versione cinematografica di Robert Mulligan.
Inserito nel corposo filone letterario e filmistico sulla questione razziale negli States, “Il buio oltre la siepe” tratta con lucida vena artistica e senza infingimenti, con linguaggio semplice e narrazione costellata di episodi di vita quotidiana e criminale e ingiustificata sopraffazione, la follia razzista negli Stati del sud degli USA.
Alabama della metà degli anni ’30, stupro fatalmente inesistente, processo farsa (il cui sviluppo descrittivo è estremamente efficace e realistico) e inevitabile condanna del nigger, la cui unica e vera colpa è essere “nero”.
Il racconto è particolarmente suggestivo perché posizionato dal versante di una bambina in fase preadolescenziale, Jean Louise detta Scout, che si pone e pone ai suoi interlocutori una semplice domanda, a cui però non viene data alcuna risposta (“il re è nudo!”): ma perché Hitler che perseguita gli ebrei deve essere odiato e combattuto e invece è giusta la segregazione e la discriminazione nei confronti dei black people?

Fabrizio Giulimondi