mercoledì 30 settembre 2015

"1000 FRUSTATE PER LA LIBERTA' " DI RAIF BADAWI, A CURA DI COSTANTIN SCHREIBER

Gli Stati legittimati dalla religione tengono chiusi i loro popoli nel cerchio angusto della fede e della paura”.
Era così che si esprimeva il blogger saudita Raif Badawi e, per queste parole e molte altre pronunziate in libertà sul suo sito “I liberali sauditi”, la Corte Suprema della monarchia assoluta e teocratica dell’Arabia Saudita lo ha condannato a dieci anni di detenzione, al pagamento di un milione di rial (pari a 240.000 euro) ed a mille frustate da ricevere pubblicamente, cinquanta alla volta, ogni venerdì innanzi  la moschea.
In 1000 frustate per la libertà (Chiarelettere edizioni) Costantin Schreiber cura  la raccolta degli scritti pubblicati da Raif Badawi sul proprio blog, poi censurati dalle autorità del Regno.
La lettura di questo saggio fa agevolmente comprendere al lettore, senza ipocrisie né infingimenti, quanto possa essere considerato ridicolo l'accostamento dell’aggettivo “moderato” al sostantivo “islam” in relazione al regime dell’Arabia Saudita e, quanto sia altrettanto risibile il coraggio che alcuni occidentali ritengono di possedere nell’esercizio della propria azione verbale, in comparazione a quello di un uomo che ha messo nero su bianco le sue idee avverso un barbaro e feroce sistema repressivo, ove le prescrizioni dell’islam sunnita di matrice salafita-wahhabita sono, al contempo, norme giuridiche ed etiche penetranti in ogni angolo della vita personale dei sudditi.
Tutta questa terribile sofferenza si è abbattuta su di me e sulla mia famiglia solo perché avevo espresso la mia opinione. Ecco. E’ questo il prezzo delle parole che state per leggere!”
Mille frustate, dieci anni di detenzione, un milione di rial, la moglie (Ensaf Haidar) e i suoi tre figli rifugiati in Canada, ma l’ultimo pensiero di Raif è dedicato alla Patria: “ Nazione è una parola meravigliosa. Ma può capirne il valore e il significato solo chi è altruista per amore del proprio Paese; solo chi comprende che esso è il più sacro dei santuari, e lo difende con tutto ciò che ha: con la sua anima, con i suoi beni, con i suoi figli.”.
Il libro andrebbe letto da tutti e studiato nelle scuole, per il suo alto valore morale, per l’excursus storico compiuto sulla c.d. Primavera Araba ma, soprattutto, perché si possa comprendere quanto il tiranno tema più la parola di qualsiasi altra cosa.

Fabrizio Giulimondi

domenica 27 settembre 2015

"INSIDE OUT" - DISNEY

Locandina italiana Inside Out
Inside out” è un carinissimo, intelligente ed estremamente educativo cartone animato del magico mondo della Walt Disney, alla cui costruzione ha fortemente contribuito un gruppo di psicologi dell’ età evolutiva e di pedagoghi.
Ogni emozione è importante e deve vivere in armonia con le altre e la sede per far vivere al meglio questa armonia è proprio la famiglia.
Mentre si gusta il film – talora – sembra di passeggiare per i parchi di Disneyworld ad Orlando in Florida.
Nonni, zii e genitori, forza, che con la scusa di accompagnare nipoti e figli ve lo vedete pure Voi!

Fabrizio Giulimondi

giovedì 24 settembre 2015

"NON ESSERE CATTIVO" DI CLAUDIO CALIPARI


Locandina Non essere cattivo
Film bello quanto duro e spietato, “Non essere cattivo”(candidato per l'Italia agli Oscar 2016 come "miglior film straniero") del compianto regista underground Claudio Calipari, cala la platea fra esseri “subumani” che sguazzano fra “non luoghi”, tra “non spazi” delle borgate romane pasoliniane degli anni ‘70, lungo un litorale laziale “sgarrupato”, sporco e desolato come quello decritto in Una vita violenta e Ragazzi di vita: al consumo e allo spaccio di cocaina, eroina e pasticche pare non esservi alcuna alternativa!
Cesare (interpretato da uno straordinario Luca Marinelli) -  che ha sempre in testa un cappello molto somigliante a quello indossato da uno dei protagonisti di Arancia meccanica di Kubrick -  incarna questa assenza di alternative, impersona una disperata autodistruzione fisica e morale senza appello; Vittorio (il bravissimo Alessandro Borghi) personifica, invece, la commovente ricerca di “altro”, che non sia deturpato dal tocco funereo di “quella” periferia.
Ricco di simbolismo, a tratti grottesco, “Non essere cattivo” usa la pialla e il cemento e i mattoni e la fatica fisica e il cantiere per raffigurare plasticamente il tenace sforzo di Vittorio di voler cambiare, di voler costruire una nuova esistenza, lontana da crimini e “sballi” allucinatori.
Lo sprone per questo mutamento  sono – come spesso accade – due donne (la popolare attrice Silvia D’Amico e Roberta Mattei), anche se solo una raggiungerà l’intento, perché l’altra è troppo “dentro il sistema” e troppo marcio il compagno.
La splendida fotografia (di Maurizio Calvesi)  e le suggestive inquadrature si sforzano di attenuare la costante tensione che, inevitabilmente, lo spettatore proverà per tutta la durata della proiezione.

Fabrizio Giulimondi



mercoledì 23 settembre 2015

"LEGAMI DI SANGUE E VITE SPEZZATE" DI FANNY DUVALL



Legami di sangue e vite spezzate - Fanny Duvall - Europa Edizioni

Molti lavori di scrittori  principianti, alle prime armi, neofiti della letteratura, mi sono passati sotto mano in questi anni e buona parte di questi erano non più che mediocri, scritti male, sciatti, noiosi, per i quali non ho sprecato tempo per  un commento o una recensione.
Seppur, specie sul calare della narrazione, risulta macchiato da ingenuità e uso di parole ricercate ma non consentanee al contesto in cui si inseriscono, il primo romanzo – dopo alcuni racconti e poesie – di Fanny DuvallLegami di sangue e vite spezzate” (Europa edizioni), possiede una non indifferente capacità di coinvolgimento.
Le prime duecento pagine vengono lette in apnea e non si affrontano a cuor leggero, perché al lettore vengono consegnati carne e sangue veri,  sofferenza autentica, vene che pulsano nei polsi, dramma da cui non si sfugge, una adolescente di undici anni strappata al suo essere “bambina” che vive nella confusione emotiva di una famiglia disarticolata, una e trina. Il racconto prende ad un certo punto allo stomaco, perché è biografico ed autobiografico, impietosamente introspettivo, terribilmente veritiero. Una storia lunga 370 pagine, diario di una vita spezzata che non si è arresa. Mai la scrittura è stata mezzo terapeutico come in questo libro, lungo il quale troverete scritti struggenti di una madre che rievocheranno Lettere ad un bambino mai nato della mai abbastanza compianta Oriana Fallaci, vedrete e sentirete l’Urlo di Munch e vi sembrerà di intravedere qualche fotogramma dell’opera di Luchino Visconti Gruppo di famiglia in un interno.
 Συμπάθεια e cumpatio saranno fatalmente presenti nei cuori di chi si avvicinerà a ”Legami di sangue e vite spezzate”, συμπαθεια e cumpatio per Tiffany, protagonista e voce narrante delle vicende, che si accomiata dai suoi uditori consegnando loro un potere: “Il potere di racchiudere in una mano un dono davvero prezioso e inestimabile che io, con grande amore, conservo senza vergogna per loro: il perdono.”.

Fabrizio Giulimondi

domenica 20 settembre 2015

"L'ULTIMO ARRIVATO" DI MARCO BALZANO: VINCITORE PREMIO CAMPIELLO 2015

L'ultimo arrivato
Sussiste una sinergia perfetta fra il romanzo vincitore del Premio Campiello 2015 “L’ultimo arrivato” di Marco Balzano (Sellerio) e la produzione cinematografica neorealista del dopoguerra. Seppur avrei preferito l’assegnazione del premio a Il tempo migliore della nostra vita di Antonio Scurati (http://giulimondi.blogspot.it/2015/08/verso-il-premio-campiello-2015-il-tempo.html), attraverso “L’ultimo arrivatoBalzano riesce a far immergere il lettore, senza illusioni, senza infingimenti, con implacabile assenza di speranza, in uno spossante senso di solitudine, di mestizia, di tristezza, di ripetitività (che solo trentadue anni di lavoro robotico alla catena di montaggio può dare), di grigiore, di giorni tutti eguali, come se non ci fosse differenza fra la permanenza decennale in un carcere, la vita in un bilocale di un quartiere operaio milanese e il lavoro in fabbrica.
Il lettore vive il senso di costante, persistente, reale abbandono di Ninetto detto Pelleossa, che all’ età di nove anni, accompagnato da un parente, se ne va dalla Sicilia a Milano (ma sempre un napulì è), dove insieme ad altre migliaia di emigranti meridionali cerca di ricominciare una vita che, invece,  non si riavvierà mai.
Ninetto è la summa di tutti quei terroni che, specie nel triennio 1959-1962, anche giovanissimi, hanno cercato fortuna nel triangolo industriale Genova-Milano-Torino.
Ninetto trova lavoro, si sposa a quindici anni di nascosto, alle quattro e mezzo del mattino, con una coetanea, ha una figlia e una nipote, vive nel cupo di una casa, anonima come altre centinaia, conosce la galera, ma rimane sempre un emigrante, un senza Terra privo di radici e di futuro.
 Alla fine Ninetto non è siciliano, non è milanese, non  un marito o un  padre o un nonno, perché non merita neanche il perdono dei familiari per il crimine compiuto.
Ninetto è la summa delle biografie dei tanti emigranti meridionali interni ed esterni, la cui esistenza è stata un “rosario”, un “tunnel” in fondo al quale, talvolta, sembrava scorgere il baluginio di una luce…sembrava…
Quando è arrivata la fabbrica, invece, mi sarò pure sistemato. Ma sono entrato in un tunnel buio. E’ stato un rosario, dottoressa. Sì, ha capito bene, un rosario, che è la preghiera più stupida possibile perché a furia di ripetere a macchinetta la stessa solfa anche la parola di Dio rimbomba a vuoto, come la voce in una pentola di rame. E il carcere, cara dottoressa, lo sa cosa è stato per me il carcere? Secondo rosario e secondo tunnel”……”Anche io sono straniero. Reietto e squalificato a vita. Anche io sento che le ragioni non esistono e che quelle poche che si possono trovare le so spiegare solamente in una lingua che gli altri non intendono”…..”Così, anche se non ci credo più, ci spero. E anche se mi sono seccato di vivere, vivo”……”Sì, perché quando mi perdo nei miei racconti non sono più corpo, ossa, muscoli. Solo anima e voce.”.


Fabrizio Giulimondi

sabato 12 settembre 2015

"DOVE ERAVAMO RIMASTI" DI JONATHAN DEMME

Locandina italiana Dove eravamo rimasti
"Dove eravamo rimasti" di Jonathan Demme condensa la summa della immane bravura di Meryl Streep che a 66 anni recita in maniera mirabolante, canta come una rock star e suona la chitarra elettrica con la noncuranza e la vibrante energia di un musicista di una band degli anni ’70. Si rimane sbigottiti e increduli dinanzi a tante capacità riunite in un solo corpo e in un’ anima sola.
Family is always family e, per quanto si cerchi di demolirla, la mirabile interpretazione dell’attrice americana la rinvigorisce, riprendendo i temi de I segreti di osage county, mixati con la valenza canora di Meryl Streep -  già ammirata in Mamma Mia! -  e potenziati da un ritmo recitativo e musicale da brivido.
Chi non lo vede peste lo colga!

Fabrizio Giulimondi