martedì 20 ottobre 2015

"LETTERA AGLI ITALIANI" DI MARCELLO VENEZIANI



Lettera agli italiani
Come si fa ad approcciare il “sublime”? Quali parole, quali espressioni, quali locuzioni, quali sintagmi, quali lemmi, quali termini possono invocarlo? Come si può comunicare, far percepire agli altri ciò che per sua natura è inafferrabile, dolcemente e grandiosamente inafferrabile
Leggere ed essere travolti da una inarrestabile ondata di emozioni e di bellezza, come colti da sindrome di Stendhal. Emozioni e bellezza che non si fermano con la lettura ma vanno oltre essa,  perché le pulsioni intellettive, di cui ogni singolo fonema si nutre, permangono cocciutamente nella testa e ostinatamente non la abbandonano.
Con Vivere non basta - lettere di Seneca sulla felicità  Marcello Veneziani ha intrapreso un percorso lungo la sua anima; il suo cammino interiore è continuato attraverso “Dio, Patria e Famiglia dopo il declino”, anch’esso, come il primo, un autentico capolavoro; “Lettera agli italiani” (Marsilio editore) si innalza ad opera d’arte. E’ un unicum di imponderabile incanto, che unisce riflessioni letterarie, filosofiche, storiche, politiche, liriche, poetiche, metafisiche e ironiche sugli italiani, sugli “italieni” e sui ”transitalici”, riflessioni che prendono forma da uno stile letterario di cui l’organismo con ansia si ciba e si abbevera.
Immersi nel quotidiano grigiore linguistico, dove poveri, sciupati e ridicoli vocaboli e neologismi vengono imposti al comune parlare dalla vuota dittatura del “politicamente corretto”; immersi in  masse informi e anonime  di persone  deprivate di pensiero e idee, omologate dalla costrizione corrosiva di dover discernere tutte nello stesso modo, altrimenti  si è omofobi, sessisti, xenofobi e razzisti; immersi in una religione laica con le sue vestali e i suoi sacerdoti e i suoi riti e le sue sanzioni e i suoi nuovi peccati, i nostri polmoni  hanno necessità di respirare un’aria carica di una “nostalgia dell’avvenire”, di un futuro partorito dalle proprie radici e non disciolto nel presente.
Sussiste “la necessità di congiungere  la memoria del passato all’attesa del futuro e di restituire alla continuità tra le generazioni il senso più vivo di una tradizione che viene da lontano e si sporge nel futuro”…..si “sporge nel futuro”:  quanto toccante,  quanto commovente splendore!
Il sentimento di commozione non è un elemento posticcio ma l’”in sé” del saggio di Veneziani; non un condimento scenografico di una storia scontata,  ma la naturale conseguenza di una narrazione che scende nel “foro interno” di ciascuno di noi, nonostante il cemento che sopra vi hanno irriguardosamente colato.
In “Lettera agli italiani” v’’è un sentore di ciò che siamo stati, siamo e che potremmo essere, un presagio di riscatto:  "L'Italia è mia madre, L'Italia è mio padre. L'Italia è il racconto in cui sono nato. L'Italia è la lingua che parlo, il paesaggio che mi nutre, dove sono i miei morti. L'Italia è le sue piazze, le sue chiese, le sue bellezze, chi la onorò. L’Italia è la sua storia, figlia di due civiltà, romana e cristiana. L'Italia è la mia casa, è il ritorno, è l'infanzia, il cielo e la terra che mi coprirà”.
E  l’incuria non potrà sopraffare ciò che è sorto immortale: ”E tuttavia c’è qualche cosa che si sottrae al degrado, allo scempio, alla barbarie. E’ qualche cosa che attiene l’aria, che allude a una presenza, folgorante ed eterea al tempo stesso e che anima il paesaggio. E’ la luce. La luce mediterranea, la luce del Sud, la luce italiana, e sopra tutti la luce di Roma. Ci sono giornate, a Roma, in cui serpenti di traffico, spettacoli di degrado, brutture disseminate, lasciano l’impressione che la città eterna stia sull’orlo della sua scomparsa dopo un’indecorosa agonia. Poi però noti che c’è un’aura indicibile che sovrasta il paesaggio e cancella gli sgorbi, qualcosa che risplende nonostante tutto, qualcosa che è al riparo dall’usura e dalla decadenza, e che rende la visione vivida e smagliante: è la luce di Roma, clamorosa, trionfale, che trattiene in sé qualcosa di indicibile della sua storia e della sua tradizione, in tutte le sue stratificazioni. Le intensità dell’azzurro, la regalità di quel sole, l’aria vibrante hanno qualcosa di glorioso, di antico e puro al tempo stesso, che riesce a restare integro sopra le rovine e il caos, in un’ eterea perennità che ti fa vivere dentro un mito”. 

Fabrizio Giulimondi

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