lunedì 27 giugno 2016

"LA SOSTANZA DEL MALE" DI LUCA D'ANDREA (EINAUDI)

La sostanza del male
La sostanza del male”, opera prima di Luca d’Andrea  (Einaudi), ha sbancato alla Fiera del Libro di Londra e  sono ben trenta le case editrici in giro per il mondo pronte a pubblicarla.
Colpisce la definizione di “thriller” perché tale non è, salvo le ultime 50 pagine su 449. La peculiarità sta proprio qui. Sembra di essere dinanzi una riedizione di  Moby Dick di Herman Melville: sullo sfondo e lungo la narrazione v’è la presenza della balena bianca che, però, compare solo alla fine.
La storia, ben curata e scritta, si snocciola in provincia di Bolzano fra tradizioni, freddo  e una crudele, cruenta e ignominiosa strage di tre ragazzi. L’orrore è prima solamente accennato, piano piano si deposita pigramente  sullo sfondo, per poi, con l’incedere del racconto, emergere sempre più incisivamente per approdare ad un finale lungo, spettacolare, zeppo di coupe de theatre. La conclusione si articola in più finali che si affastellano fino a giungere alla verità che farà balzare il lettore sulla sedia, a cui è rimasto incollato nelle ultime due ore.  E’ il ritmo narrativo incalzante che caratterizza il genere thriller ed è questa cadenza che manca per tutto il corpo del libro e si affaccia, però, in modo virulento negli ultimi capitoli. Sul palco del romanzo in realtà  vi sono i legami affettivi di una famiglia, i sentimenti del protagonista per  la moglie, la figlioletta e il suocero: un forte amore coniugale  e filiale e il terrore di perdere tutto, perché la famiglia è tutto e viene innanzi tutto.
Introspezione, intimità, amabile e delicata descrizione di scene di vita quotidiana, di come padre e figlia comunicano fra di loro tramite l’indicazione del numero di lettere che compongono una parola, come cinque lettere, amore…come quattro  lettere, papà… come cinque lettere, mamma… come cinque lettere, Bestia…come cinque lettere, ascia… come cinque lettere, morte…come quattro lettere, fine.

Fabrizio Giulimondi  

lunedì 13 giugno 2016

"TRE GIORNI E UNA VITA" DI PIERRE LEMAITRE (MONDADORI)

Tre giorni e una vita
Dopo il vincitore del Premio Goncourt Ci vediamo lassù lo scrittore  parigino Pierre Lemaitre ha partorito un romanzo implacabile e scritto senza alcuna anestesia: “Tre giorni e una vita” (Mondadori).
Cosa prova un bambino di dodici anni che ha ucciso a bastonate sulla nuca un amichetto di sei? Ogni attimo può essere quello in cui lo vengono ad arrestare e a distruggere la sua esistenza e quella della sua famiglia, come lui ha annientato quella del bambino e dei suoi cari. Ogni momento immagina quello che potrebbe avvenire poco dopo e che invece non si realizza.
E’ il contrappasso dantesco, la pena per un ragazzino omicida che somma altre ignominie al proprio senso di colpa che diviene sempre più un macigno.
La scrittura di Lemaitre è visibile, è palpabile, la si tocca, fa divenire corporeo il dramma, il dolore, la sofferenza, la disperazione, l’imponderabile e l’ineludibile. I due terzi del libro trasudano pura tensione che attanaglia lo stomaco e non demorde mai. Ogni figura narrata dall’Autore emana tragicità, è circondata da un’aura di funesta attesa, è carica di un presagio di sventura.
Lo leggerete tutto d’un fiato e arriverete al delitto se qualcuno oserà interrompervi nell’incedere verso un finale faraonico.

Fabrizio Giulimondi

"NOTRE DAME DE PARIS" DI RICCARDO COCCIANTE

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Se fosse stato concepito in lingua inglese avrebbe già girato i teatri di tutto il mondo e sarebbe stabile a Broadway, in compagnia di  Cats, Tommy, Jesus Christ Superstar, The Phantom of Opera, Mamma mia. Più che un semplice musical "Notre Dame de Paris" di Riccardo Cocciante è una vera e propria opera in cui musica, canto, parole, danza, scenografia, lirica, poesia, coro e coralità si fondono in un unicum di rara bellezza.
Non è solo imperdibile…è obbligatorio vederlo!

Fabrizio Giulimondi

domenica 5 giugno 2016

"L'INDEGNO" DI ANTONIO MONDA (MONDADORI)

L'indegno
Dopo aver recensito L’America non esiste e La casa sulla roccia, ho affrontato – credo – il libro a livello introspettivo più corposo mai scritto da Antonio Monda, che, nella sua spola fra l’Italia e gli States, fra la sua attività  di scrittore, curatore di mostre letterarie e cinematografiche e docente universitario, ha raffinato le proprie doti di romanziere: i personaggi da lui creati giganteggiano nelle loro angosce e  frustrazioni, nelle loro sconfitte e vittorie, rifacendosi talora a quelli creati dal genio di Ernest Hemingway.
L’Indegno” (Mondadori) è un inno alla fragilità umana, guardata con tenero abbandono e consapevole rassegnazione, senza disprezzo, talune volte con una punta di fastidio.
Un sacerdote cattolico fortemente peccatore – tante volte già incontrato in pellicole e libelli – mostra il volto vero dell’essere umano tra volontà di santificazione, desiderio di coerenza e miserrima fragilità. Il prete protagonista, Abram, si analizza di continuo:  il romanzo è la narrazione della sua quotidiana analisi intimistica, la storia della sua sempiterna  sconfitta. Abram  sa che i suoi propositi tesi al Cielo sono geneticamente perdenti;  sa di essere uno sconfitto perché egli è un essere umano e gli esseri umani sono stati concepiti nel loro corpo, nelle loro menti e nella loro anima deboli, abbandonati alla loro inevitabile crudele “caduta”; gli esseri umani sanno di essere infimi e fiaccati dal Mondo, ma nonostante questo sono dotati di una innata travolgente  volontà di contrastare questa debolezza, di andarvi oltre, nella illusione di poterla sopprimere, per poter giungere alla perfezione voluta da Dio e in esso incarnata.
Lavoro scritto con il peculiare stile agile, fresco e pastello di Monda, lussurioso e religioso, esprime una profonda pulsione spirituale dell’Autore, che cerca ciò che è inarrivabile, irraggiungibile perché dentro l’uomo v’è  insito un invincibile senso di perenne sconfitta, perché la luce è troppo lontana e la sua intensità abbaglia troppo, fa paura, brucia.
La frustrazione del ministro di culto si espande e travolge tutti, prima Lisa e poi per cerchi concentrici gli altri.
Sembra di ascoltare Fragile di Sting mentre il lettore incespica  fra desolanti amori, possenti sentimenti, mendaci parole e miserabili ruberie.
Sembra che il realistico racconto dell’incontro di boxe del 1974 fra Foreman ed il compianto Cassius Clay (deceduto lo scorso 3 giugno, ndr) voglia accennare alla diuturna lotta fra il Bene e il Maligno.
L’intercalare di passi evangelici, encicliche e salmi rafforzano la disperata ricerca di coerenza, frenata dal fardello troppo pesante di limiti e ostacoli che le persone hanno sulle proprie spalle, spalle che sono dentro se stesse.
Padre nostro che sei nei cieli, ci hai chiesto di essere nel mondo ma non del mondo, ma poi ci vuoi umili, insignificanti, sconfitti. Hai voluto guerrieri come San Paolo e sant’Ignazio, li hai esaltati e hai consentito loro di arricchire la tua chiesa. Ma continui a ricordarci che i beati sono i poveri di spirito e gli ultimi saranno i primi. Padre nostro se non ti amassi ti odierei profondamente, e forse a volte lo faccio, perché tu sai che ti sto amando anche in questo momento.
Padre che hai sacrificato tuo figlio, Padre che ti sei fatto carne e hai sentito tutto quello che la carne desidera e pretende.
Padre dei peccatori e degli assassini. Padre dei falliti e dei traditori.
Padre di mio padre, che hai visto amare mia madre, e concepire questo mio corpo indegno. Abbi pietà del mio furore da angelo caduto”.

Fabrizio Giulimondi