mercoledì 30 novembre 2016

"SNOWDEN" DI OLIVER STONE

Locandina Snowden
Oliver Stone continua a rimpolpare il suo filone cinematografico di denuncia e didascalico, per la sua capacità di mettere a conoscenza le “masse” di fatti dai più ignorati. “Snowden” è un interessante cyber movie, fra azione, thriller e momenti un po’ lenti e deboli, forse perché risentono di qualche minuto di troppo.
La pellicola racconta dello scandalo -  iniziato nel 2004 sotto l’Amministrazione Bush junior e proseguito sino al 2013 vigente quella Obama -  che ha riguardato  le intercettazione illegali di decine di milioni di americani (e non, inclusi Capi di Stato e di Governo stranieri). Il protagonista, Edward Snowden - il cui bravissimo interprete Joseph Leonard Gordon-Levitt si avvicina fisicamente molto al vero Snowden,  che compare nelle ultime battute del film - è un genio dell’informatica e, una volta assunto dalla CIA, scopre che la NSA (National Security Agency), ossia il servizio segreto interno, autorizzata da un altrettanto occulto tribunale, procede da tempo al controllo dei mezzi di comunicazione di moltitudini di cittadini del Mondo. Il coraggio e un vero sentimento patriottico prevarranno sull’interesse personale, fatto anche di laute prebende: Snowden denuncerà questo infernale meccanismo che con il contrasto al terrorismo internazionale islamista nulla, in realtà, ha a che fare.
Snowden è tutt’ora rifugiato a Mosca ed Amnesty International chiede che sia considerato non un traditore ma un eroe e, per questo, graziato.
Fabrizio Giulimondi


martedì 22 novembre 2016

"ANIMALI NOTTURNI" ("NOCTURNAL ANIMALS") DI TOM FORD

Locandina Animali notturni

Animali notturni” di Tom Ford,  tratto dal romanzo di Austin Wright “Tony and Susan”, è un film ad alta tensione, che fa stare sulle spine lo spettatore per tutta la sua durata, senza mollare mai la presa, rendendo impossibile la distrazione anche del pubblico più pensieroso.
Una straordinaria e sempre seducente Amy Adams e il bravo Jake Gyllenhaal interpretano una coppia con ruoli diversi (e in realtà eguali) in tre storie speculari,  che si alternano fra passato e presente e nel presente in vicende che si svolgono parallelamente intorno alla lettura di un romanzo Nocturnal animals, dove le scene degli accadimenti che coinvolgono la donna che legge vanno ad intersecarsi con quanto legge, per poi essere proiettate nel passato, con la collaudata tecnica delle sliding doors: un racconto che si svolge abilmente su tre piani in contemporanea, senza creare però alcuna confusione nel seguire la narrazione dei fatti.
La fotografia è spettacolare con immagini splendide del deserto texano tinto del rosso fuoco del suoi tramonti;  i truccatori bravissimi per la loro maestria nel trasformare la Adams da giovane pulzella a tormentata madre e moglie. Finale aperto tutto da interpretare.
Fabrizio Giulimondi   




domenica 20 novembre 2016

"IL BANCHETTO DI NOZZE E ALTRI SAPORI" DI CARMINE ABATE

Foto Cover di Il banchetto di nozze e altri sapori, Libro di Carmine Abate, edito da Mondadori
Il Premio Campiello Carmine Abate ci ha già abituato alla bellezza grazie alla sua lunga narrazione intima, delicata, sulla sua famiglia e sulle altre famiglie calabro-arbëreshë, sulla Terra e sulle radici, iniziata con Tra due mari e (almeno per ora) terminata con la sua tredicesima opera “Il banchetto di nozze e altri sapori” (Mondadori).
Essere avviluppati dalla bellezza, essere avvolti da un lungo abbraccio caldo, dove non c’è morte ma soltanto un incorruttibile inno alla vita, alla propria storia, al cibo che quella vita e quella storia avvolge e rassicura.
Il banchetto di nozze e altri sapori” è uno scrigno letterario, fra il breve romanzo e la raccolta di racconti, che una volta aperto sorprende il lettore con un florilegio di sapori, di colori, di odori, sapori, colori e odori che vengono da lontano, da una Comunità fuggita dall’Albania dal dominio ottomano nel ‘400 e residente in Calabria, pregna di costumi, usanze, pietanze sanizze.  In questo scrigno letterario le parole italiane, calabresi, arbëreshë e tedesche vengono gustate, assaporate, odorate, ne sentirete il bruciore perché sono cosparse di peperoncino, sanno della fragranza di un pane che si bacia. Abate accenna  ai suoi libri precedenti come La festa del ritorno, Il ballo tondo, La felicità dell’attesa e Vivere per addizioni e altri viaggi, per rilanciarne il loro nettare in una sinfonia composita fatta di convivialità, affetti familiari e origini, in un amarcord  che passa dai nonni ai nipoti transitando per lo  stesso Scrittore. Si vive per addizioni, sommando gusti antichi a saporosità nuove, provenienti da altre regioni, da altri mondi, come la polenta alla 'nduja, che unisce settentrione e meridione d’Italia.
Il banchetto di nozze e altri sapori” è la scoperta di sentimenti autentici fra i genitori e fra questi e i propri figli, tra fidanzati, sentimenti antichi e in alcun modo toccati dalle vicissitudini della vita, perché sono immutabili e duri come le asperità della terra calabrese e la legnosità degli alberi con cui si fa il fuoco davanti alla chiesa del paese la notte di Natale.
Il cibo è saporitoso e lo mangi con occhi socchiusi perché sai che poi ne sentirai la nostalgia. Leggerete odorando i sentori del mare calabro e delle montagne trentine.
E poi il banchetto nuziale finale tuonerà in una commovente e vera gioia, dinanzi ai vostri occhi trascinati dalle emozioni vissute dall’Autore durante il suo pranzo di nozze.
Io mentre sto scrivendo ne sento ancora i palpiti e vorrei ancora da essi essere cullato.
Ogni luogo è un sapore. Chissà che palato ricco di gusti ti farai vivendo in tanti posti diversi. L’importante è che li aggiungi ai sapori della nostra terra, di quelli siamo fatti nel profondo, della sua scorza odoriamo, anche se viviamo altrove”.
Fabrizio Giulimondi

giovedì 17 novembre 2016

"LA SOLITUDINE DELL'ASSASSINO" DI ANDREA MOLESINI

La solitudine dell’assassino
I confini della patria interiore debbono essere presidiati…..se si apre una frontiera è per meglio conservarne il controllo, ma per permettersi un simile lusso serve una rete di spie agguerrite, spietate”.
La solitudine dell’assassino” di Andrea Molesini (Rizzoli) è un impasto di storie nel labirinto del passato dove fascino baudeleriano per l’omicidio, onore e amore idealizzato si baciano con viaggi introspettivi nell’anima umana, crogiolandosi fra Il vecchio e il mare e l’Odissea.
La solitudine dell’assassino” è un finto thriller che rappresenta solo l’occasione per compiere una analisi serrata della fragilità degli uomini, ossia proprio di quella fragilità che rende ogni persona un essere umano, che si barcamena fra gli inferi ed il Cielo.
La solitudine dell’assassino”, che affabula il lettore con costruzioni linguistiche fondate su fascinose composizioni di parole ed ardite aggettivazioni, è prosa e poesia, poesia e prosa, che inizia sonnecchiando per poi incedere con movenze sempre più pressanti, per esplodere e terminare lasciando il lettore con un dolce sapore amarognolo della presenza impalpabile di Carlo, una presenza che egli sentirà come reale nelle ore successive aver cessato di leggere.


Fabrizio Giulimondi

"FAI BEI SOGNI" DI MARCO BELLOCCHIO (LIBERAMENTE TRATTO DALL'OMONIMO ROMANZO DI MASSIMO GRAMELLINI)

Locandina Fai bei sogni
Sono d’accordo con Niccolò Ammaniti: “Ogni lettore si fa un proprio film con il libro che sta leggendo”.
Fai bei sogni”, libera trasmigrazione filmica di Marco Bellocchio del bellissimo romanzo autobiografico di Massimo Gramellini, probabilmente non è la pellicola che avrei tirato fuori io, anche se inonda di emozioni violente lo spettatore.
Il libro di Gramellini (di cui riporto a piè di pagina la recensione al tempo redatta) tratta un tema tragico in maniera poetica, lieve, talora quasi leggiadra, mentre la narrazione di Bellocchio è angosciante, carica di scene che scuotono il pubblico sino a copiosi singulti.
Le stesse tinte che signoreggiano la fotografia sono pallide, smorte, tendenti quasi al bianco e nero.
La storia, fra passato e presente, è intensa, densamente drammatica, trasudante un commovente amore per la mamma , anzi le mamme tutte. La versione cinematografica di “Fai bei sogni” esplora un vuoto incolmabile, inenarrabile ed inaccettabile, specie per un ragazzino di nove anni e per l’uomo che diventerà.
La lettura della missiva che Gramellini scriverà in risposta ad un lettore de “La Stampa” che si lamentava della propria madre con toni particolarmente aspri, ferma, durante tutta la sua durata, il tempo e lo spazio.
Suggestivo il richiamo, tramite le ripetute apparizioni di Belfagor immaginate dal protagonista, alla Morte così come raffigurata ne Il settimo sigillo di Bergman.
Gli attori sono tutti ineguagliabili per bravura e potenza degli sguardi, delle espressioni mimiche, della capacità recitativa e dei silenzi.
Valerio Mastrandrea è impareggiabile e i giovani attori che interpretano Gramellini bambino e ragazzo , Nicolò Cabras e Dario del Pero, sono fuori dal comune: entrambi esprimono nella loro corporeità l’indicibile sofferenza che stanno vivendo e che segnerà il famoso giornalista. La durezza sabauda del padre è magistralmente mostrata da Guido Caprino.
L’altalenante musica fra il ruvido e lo spensierato penetra nelle immagini per giungere non solo alle orecchie, ma soprattutto al cuore, alla mente e all’anima.
Fai bei sogni…………...
Fabrizio Giulimondi

Recensione del libro
“Se un sogno è il tuo sogno, quello per cui sei venuto al mondo, puoi passare la vita a nasconderlo dietro una nuvola di scetticismo, ma non riuscirai mai a liberartene. Continuerà a mandarti dei segnali disperati, come la noia e l’assenza di entusiasmo, confidando nella tua ribellione”.
E’ una delle 223 pagine del romanzo autobiografico di Massimo Gramellini “Fai bei sogni” (Longanesi); è una delle 223 pagine che costellano un libro di rara bellezza contenutistica e di rara profondità, paragonabili solamente alle opere di Marcello Veneziani.
Pagine commoventi, emozionanti, toccanti, delicate e tenere e, poi, ironiche nel dramma, divertenti nella tragicità del racconto, leggere nella drammaticità della narrazione. Pagine che ricordano il drama greco che toccava le corde dell’anima e del cuore, senza infierire con la violenza e il sangue.
Pagine intense che descrivono come possa determinarsi la vita di un bambino sino all’età adulta privato della mamma, una madre che è morta quando egli aveva appena 9 anni a causa di un infarto.
Quel fanciullo è Gramellini, che ha avuto il coraggio di raccontare la sofferenza, il dolore e la disperazione nascosta nelle anse più intime di se stesso; come quel bimbo insieme al suo peso sia diventato l’affermato giornalista del quotidiano la Stampa di Torino e il noto polemista televisivo che noi conosciamo; quale percorso professionale abbia attraversato, dallo sport, alla politica, ad inviato di guerra nell’inferno di Sarajevo, dove incontra Salem, con lo stomaco squarciato da una pallottola sparata da un cecchino serbo. E tutto questo mentre Belfagor è dentro di lui: ”Belfagor è il nome che da bambino avevo dato al mostro che abita dentro di noi. Uno spiritaccio animato da buone intenzioni, in realtà pernicioso, perché pur di tenerci lontano dalla sofferenza ci chiude in una gabbia di paure. Paura di vivere, di amare, di credere nei propri sogni”.
L’assenza della mamma, la morte della madre, ha segnato profondamente sino alla età di 49 anni Massimo Gramellini, anche nelle sue relazioni con le donne, finché non ha incontrato la attuale moglie, Elisa. Ecco il suo cuore risuscitato come parla dei sentimenti: ” Le emozioni sono violente e brevi, colpiscono e svaniscono. I sentimenti invece sono lenti e profondi, a volte noiosi. Ma parlano il linguaggio universale del cuore, che non si esprime attraverso le parole e i ragionamenti, ma con i simboli”.
E sopraggiunge la verità, fatalmente ed ineluttabilmente la verità, non conosciuta sino alla soglia dei 50 anni o, forse, sempre saputa e fuggita per lungo, troppo, tempo. Madrina, una vecchia amica della madre e della famiglia, gli consegna una busta……
Turbamento e rigenerazione è quello che ho provato al termine della lettura di questo libro “unico”: è un imperativo kantiano immergervisi!
Credo che lo rileggerò almeno un’altra volta.
Vorrei terminare con un pensiero di George Bernard Shaw, ripreso dallo stesso Autore del romanzo: “La missione di un uomo consiste nell’essere una forza della natura e non un grumo agitato di guai e di rancori che recrimina perché l’universo non si dedica a renderlo felice”.

Fabrizio Giulimondi





lunedì 14 novembre 2016

"CHE VUOI CHE SIA" DI EDOARDO LEO

Locandina Che vuoi che sia
Che vuoi che sia”, di e con Edoardo Leo e una sempre più brava Anna Foglietta, si inserisce e rafforza quel nuovo filone cinematografico che amo definire della moral comedy. Edoardo Leo riprende i temi trattati già nei suoi precedenti lavori Noi e la Giulia e - specialmente - Smetto quando voglio sul rigetto da parte di un mercato di lavoro “corrotto” di intelletti vivaci. Il film è, ancora più degli altri, in salsa agro-dolce con punte drammatiche ed è in buona compagnia con altre pellicole nel mostrare il meccanismo luciferino del web, che tutto ricicla, nulla dissipa e arricchisce solo ciò che gira intorno al mondo del porno.
Astuta la trovata artistica che vede i due protagonisti parlarsi attraverso circonvoluzioni di parole radicalmente opposte a ciò che si vogliono realmente dire.
Fabrizio Giulimondi




sabato 12 novembre 2016

"QUALCOSA SUI LEHMAN" DI STEFANO MASSINI

Qualcosa sui Lehman
Nelle librerie v’è una biografia romanzata a forma di ballata,  “Qualcosa sui Lehman”(Mondadori), scritta da un autentico genio artistico italiano, Stefano Massini, che demolisce i consueti canoni stilistici e saltella fra letteratura, cinema, fumettistica, musica, giudaismo, finanza e due secoli di storia.
 “Qualcosa sui Lehman” è una summa di linguaggi e di culture letterarie che abbraccia Grecia e futurismo. La varietà di epiteti  e di poliformi figure letterarie scoppiettano con pirotecnici usi polifonici della parola. Massini è l’acrobata delle parole con cui gioca e si diverte con il lettore facendogli attraversare avvenimenti bisecolari che hanno coinvolto la potente e numerosa gens di finanzieri americani Lehman (i Lehman Brothers). Massini induce il suo pubblico a dipanarsi fra i marosi di arditismi linguistici e fantasiose architetture retoriche. Il lettore, avido di sapere “come va a finire”, in alcuni momenti inconsapevolmente accantona la narrazione per seguire costruzioni funamboliche per intere pagine ruotanti intorno all’avverbio NON; affascinato si perde nel serrato dialogo duettante fra Peter Lehman e Peggy Rosenbaum, tutto composto di frasi estrapolate da film cult degli anni ’30 e ’40; si stupisce dinanzi all’improvvisa trasformazione della prosa in fumetti che tramutano magicamente i discorsi in battute fra super-eroi; si concentra sul lungo ed eccentrico periodare in cui parole evidenziate in rosso si combinano fra di loro dando vita a locuzione di matrice marxista-comunista; viene rapito dalla metamorfosi delle vicende dei Lehman in quelle vissute dai protagonisti nel film King Kong del 1933 (guarda caso finanziato proprio dalla Lehman Brothers!); è avviluppato dagli onirici incubi di Philip Lehman e incespica in fitte discussioni in cui le parole si mischiano agli indicatori numerici di quei “derivati” che determineranno la crisi economica mondiale del 2008, trotterellando prima per il  24 ottobre 1929.
La parola fatta segno trasloca nel frastuono delle contrattazioni borsistiche,  intrappolando chi vi si imbatte similmente a sabbie mobili.
 “Qualcosa sui Lehman” è la storia di una famiglia di mercanti di bestiame,  che ha le sue radici  in Germania  prima di inondare gli States con il  proprio volumetrico mercanteggiare su tutto, dal cotone, al ferro, al caffè, al petrolio al tabacco, per giungere agli arei, alla computeristica e  ai titoli “sporchi”.
Il ritmo narrativo seguito è sincopato in quanto vi confluisce la metrica greca e latina unitamente ad una singhiozzante estetica grafica che incolonna frasi e periodi, oltre ad  incanalare  in una stessa colonna ripetute parole, identiche fra di loro o fra di loro in alterco, ossessivamente ticchettanti nelle orecchie di chi legge.  Al pari di una canzone, reiterati fraseggi a mo’ di irriverenti ritornelli sono posti all’inizio, nell’intermezzo e al termine di brani e capitoli.
Il lucro è al centro di tutto, perversa patologica brama di denaro che deve fruttificare altro denaro e altro ancora per l’immortalità della famiglia Lehman, sino alla malattia mentale, che si insinuerà nelle intelletti di ogni suo singolo membro.
La lettura ondeggia fra Vecchio Testamento e finanza, ebraismo e lavoro parossistico, per la sempiterna gloria del cognome Lehman, per la glorificazione dell’unico idolo da adorare: “il vitello d’oro”.
Ogni passaggio è infarcito di ironia, tutto è ironia, non c’è momento della vita dei Lehman che non sia maneggiata da Massini con ironia, non leggiadra, ma sprezzante, feroce ironia; e poi il gioco fra termini italiani e in lingua yddish,  e il motteggio e l’allegro connubio tra plurimi idiomi con cui vengono tradotte medesime espressioni, per rendere allegro ciò che è tragico, un tragico  mercato globale fatto a immagine e somiglianza della  biblica Torre di Babele.
E nulla sarà come prima.

Fabrizio Giulimondi

giovedì 10 novembre 2016

"7 MINUTI" DI MICHELE PLACIDO

Locandina 7 minuti
Il film di Michele Placido (di cui è anche sceneggiatore, soggettista e attore)  - da standing ovation finale con nodo alla gola -  “7 Minuti” ha un cast quasi tutto al femminile, che vede interpreti neofiti e di lunga data tutte egualmente straordinarie: Ambra Angiolini, Cristiana Capotondi, Fiorella Mannoia (che richiama alla mente un poco la grande Anna Magnani), Maria Nazionale, Violante Placido, Clémence Poésy, Sabine Timoteo, Ottavia Piccolo, Anne Consigny, Balkissa Maiga, Luisa Cattaneo, Erika D’Ambrosio.
Vera nella sua autentica drammaticità, la pellicola racconta una storia che sarebbe veritiera anche se non trattasse una storia accaduta realmente nel 2012 fra l’Italia e la Francia.
Veri i volti tesi, veri gli sguardi spauriti, vero il senso di smarrimento, di gioia ed incredulità, vera la tensione dentro e fuori la fabbrica, vere le facce smunte di undici operaie che devono decidere il destino proprio e di altre trecento colleghe dinanzi ad una proposta dei nuovi datori di lavoro apparentemente innocua: nei dettagli si nasconde il demonio.
Questa opera, ambientata prevalentemente al chiuso fra le quattro mura di una  stanza, è una scuola di recitazione dove la finzione scenica si schiude alla quotidiana tragica realtà di centinaia di migliaia di donne e uomini che devono cedere invisibilmente, lentamente ed inesorabilmente diritti pur di tenersi uno straccio di lavoro che  riconosca loro uno straccio di stipendio.
Michele Placido, che mostra il lato attoriale della regia, mette in scena una piece teatral-cinematografica che riprende la tradizione neorealistica italiana con un incisivo tocco del cinema di Ken Loach.
Fabrizio Giulimondi 

mercoledì 2 novembre 2016

"L'ESTATE FREDDA" DI GIANRICO CAROFIGLIO


L' estate fredda
Ho una lunga esperienza recensoria dei racconti (La velocità dell’angelo nella raccolta Cocaina) e dei romanzi (Ragionevoli dubbi, Il silenzio dell’onda, Il bordo vertiginoso delle cose, Le regole dell’equilibrio) del magistrato-scrittore Gianrico Carofiglio.
L’ultima sua fatica proposta al pubblico edita dalla Einaudi è “L’estate fredda”, la cui storia si svolge fra la “Strage di Capaci” del 23 maggio 1992 e quella del 19 luglio che coinvolse Paolo Borsellino e la scorta. Seguendo il cliché della recente giallistica propria di De Giovanni e Camilleri ci imbattiamo di nuovo nel maresciallo dei carabinieri Pietro Fenoglio (il cui cognome evoca quello del grande Scrittore piemontese). Il maresciallo Fenoglio incarna  i tratti caratteriali peculiari dei protagonisti dei libri di Carofiglio: il pensiero moraleggiante e ideologicamente orientato; il loro essere precisini e perfettini; il volteggiare sopra gli altri con un indubbio sentore personale di superiorità nascosto dietro una apparente, quanto falsa, modestia. L’attenzione e l’attrazione è per i criminali, anche di alto cabotaggio, contestualmente  ad un certo senso di fastidio per la gerarchia e l’autorità. I veri eroi sono gli appartenenti alle forze dell’ordine (precipuamente i carabinieri), mentre i magistrati sono attori non protagonisti che apportano alla narrazione il caratteristico elemento tecnico proprio dello stile di Carofiglio. Il magistrato prevale sullo scrittore intrattenendo il suo pubblico con numerosi ed utili richiami al codice penale  e di procedura penale, oltre con dettagliate descrizioni degli istituti giuridici coinvolti e dei passaggi procedimentali e processuali.
In maniera stravagante ed inspiegabile in pieno core delle vicende raccontate, durante un lungo ed intenso interrogatorio di un malavitoso pugliese collaborante di giustizia, l’interrogato nel giro di poche pagine  compie due affermazioni in netto contrasto fra di loro, senza che gli inquirenti eccepiscano alcunché.
Incredibile ma Autore ed editor non si sono accorti di nulla!
Carofiglio adopera l’usuale  forma  linguistica  piacevole ed estremamente  scorrevole, consentendo un’agile e veloce lettura.

Fabrizio Giulimondi

martedì 1 novembre 2016

"PIUMA" DI ROAN JOHNSON

Locandina Piuma
Piuma è la bambina che sta per nascere da due ragazzi che sono in procinto di fare la maturità e il tosco-londinese Roan Johnson si avvicina ad un simil tema con una delicata, emozionante e commovente tragi-comica carezza.
La trama pulsa di tenerezza, una tenerezza che traspira dalla immatura incoscienza di ragazzi che non si fanno in alcun modo ingannare dalle pressanti ed insidiose richieste di aborto provenienti dalle famiglie dei ragazzi, nuclei molti eterogenei fra di loro e sociologicamente ben analizzati.
Film corale, con attori tutti molto bravi e un notevole Sergio Pierattini nella parte del futuro nonno dal lato paterno.
Artisticamente coinvolgente la tecnica filmica di punteggiare il racconto mediante passaggi immaginifici, che vedono i due protagonisti nuotare per un mare che funge da cielo e sovrasta un paesaggio fatto dai “casermoni” del quartiere tuscolano di Roma.

Fabrizio Giulimondi.