mercoledì 28 dicembre 2016

"FLORENCE" DI STEPHEN FREARS


Locandina Florence
“Florence” è uno straordinario film di Stephen Frears, florilegio attoreo di ultraterrene capacità interpretative e mimiche di tre personalità del mondo cinematografico anglo-americano: Meryl Streep, Hugh Grant e Simon Helberg. Opera biografica che accentra l’attenzione sull’ultimo anno di vita (1944) della più famosa cantante-stonata newyorkese Florence Foster Jenkins, “Florence” pare essere la riproduzione su grande schermo delle bellissime parole di Sartre rinvenibili in “Che cosa è la letteratura?”, che qui mutuiamo, parafrasiamo ed integriamo. La parola Florence può rimembrare un fiore, ma anche la meravigliosa città italiana modellata dalla famiglia medicea, ma non da ultimo il nome di una donna un tempo molto amata dal filosofo esistenzialista, ma può anche far balzare alla memoria il volto di una cantante i cui vocalizzi, virtuosismi, acuti, infarciti dalle più urticanti stonature, l’hanno resa grande anche dinanzi al pubblico della Accademy Hall; la mente corre ad una signora il cui amore per la melodia le ha consentito di vivere  una lunga e gioiosa vita nonostante l’incipiente sifilide.
E’ un film in cui l’armoniosa sinergia fra amore (di un marito commovente), musica, canto e nobiltà d’animo conforma la corporeità e la vocalità di un trio di attori, tra i quali si alterna la grandiosità dell’uno sopravanzata da quella dell’altro, per essere scansata dal terzo e poi nuovamente raggiunta dal primo, per continuare ancora e ancora in una girandola di acrobazie espressive e recitative.
Verso certa nomination agli Oscar 2017.

Fabrizio Giulimondi


giovedì 22 dicembre 2016

"IL SIMPATIZZANTE" DI VIET THANH NGUYEN: VINCITORE PREMIO PULITZER 2016



Il simpatizzante

Il Premio Pulitzer 2016, riconosciuto al primo romanzo del vietnamita naturalizzato statunitense Viet Thanh NguyenIl simpatizzante” (Neri Pozza), si concentra tutto sull’ultimo centinaio di pagine. La lunghissima, interminabile descrizione delle torture psicologiche e fisiche inflitte dai “rieducatori” vietcong al “Capitano” solo fittiziamente narra vicende “sensibili”, raccontando in realtà la dicotomia dell’uomo e il paradosso delle storie umane. “Il simpatizzante” è un’ opera che si sofferma sulla separazione della mente di ogni persona, sul contrasto al totalitarismo comunista realizzato a colpi di napalm e di “agente arancio”, responsabili di migliaia di vietnamiti bruciati vivi o  nati con più teste, più braccia e più gambe; è una meditazione sulla dilaniante scissione fra essere una spia ed una contro-spia, fra l’ossessivo parlare di indipendenza e libertà da parte del Governo nord-vietnamita e poi, dal 1975, vietnamita, e la sistematica oppressione del Popolo indocinese annichilito in ogni suo più elementare diritto di pensiero,   fra l’internalizzazione della democrazia e dei diritti umani negli States e l’esternalizzazione ad opera degli stessi di conflitti armati portatori di sangue più che di libertà: “I francesi e gli americani non avevano fatto esattamente lo stesso? Un tempo rivoluzionari a loro volta, erano diventati imperialisti, colonizzando ed occupando la nostra piccola terra ribelle e togliendoci la libertà con la scusa di volerla salvare. La nostra rivoluzione era stata più lenta della loro e decisamente  più sanguinosa, ma avevamo recuperato il tempo perduto. Quando si era trattato di apprendere le peggiori abitudini dei nostri padroni francesi e dei loro sostituti americani, ci eravamo dimostrati ineguagliabili”.
E’ la dicotomia della storia che interessa l’Autore, insieme allo studio delle esistenze umane che la storia rende dicotomiche, al pari del Vietnam, carne e sangue ma anche  simbolo del genere umano e di ogni “Regno” terreno dove esso si sparpaglia e si spariglia: “La nostra stessa patria era maledetta, imbastardita. Divisa tra Nord e Sud, e se si poteva dire di noi stessi che avevamo scelto la separazione e la morte lanciandoci in una guerra incivile, anche questo era vero solo in parte. Non avevamo scelto di essere corrotti dai francesi, di essere suddivisi per opera loro in una blasfema trinità del Nord, Centro e Sud, per poi venire consegnati alle grandi potenze del capitalismo e del comunismo per una ulteriore bipartizione e vederci affidare un ruolo di eserciti in lotta, in una delle tante partite a scacchi della Guerra Fredda, giocate in stanze con l’aria condizionata da uomini bianchi in giacca e cravatta”.
Il simpatizzante” è una riflessione costellata di “se”, un’ode all’umiltà tramite la metafora del canto (evangelico?) al piede, su cui tutto il corpo si regge, un paradosso che fa della parolina “niente” elemento dirompente che salverà il “Capitano” da certa ed orripilante morte, mettendo all’angolo gli abusati, storpiati e  vilipesi vocaboli di “indipendenza” e “libertà”.
Cento pagine conclusive su cinquecento che racchiudono, come un cofanetto di pietre preziose, il Pulitzer 2016.

Fabrizio Giulimondi

mercoledì 14 dicembre 2016

"E' SOLO LA FINE DEL MONDO" DI XAVIER DOLAN

Locandina È solo la fine del mondo
E’ solo la fine del mondo” di Xavier Dolan  è un film di produzione franco-canadese raffinato e di alto livello intellettuale, toccato dalla visione artistica ed estetica del cinema di Antonioni e Visconti e lambito dai richiami al simbolismo di Paolo Sorrentino.
E’ un film fatto di primi piani e di sguardi lunghi, intensi, penetranti, che dicono ciò che non può essere detto con la parola.
E’ un film sulla incomunicabilità perché i protagonisti non dialogano ma si scambiano monologhi, rintanati come monadi nella propria imponderabile chiusura.
E’ un film sulla attesa, di qualcosa che deve essere detto, ma non si sa se verrà detto, in un crescendo boleriano d’ansia.
E’ un film sui particolari che possono disvelare la vera essenza della storia.
E’ un film sui colori, che tingono tenuamente e densamente ogni scena, ogni immagine, avvolgendo caldamente l’occhio dello spettatore.
E’ un film sulla solitudine e sul dolore che, imprigionato nel proprio balbettio o rabbioso e dirompente, rimane immutato e tragicamente inalterato nella sua capacità di dilaniare l’animo di un essere umano.
Louis dopo dodici anni va a trovare la famiglia e lì trova la madre, la sorella, il fratello con sua moglie …e l’inizio anticipa la fine.
Fabrizio Giulimondi

giovedì 8 dicembre 2016

"SULLY" DI CLINT EASTWOOD

Locandina Sully
Il grande cinema patriottico americano torna con “Sully” del regista-mito   Clint Eastwood,  che emoziona il suo pubblico con un film tratto da una storia vera. Il 15 gennaio 2009 un aereo di linea partito dall’aeroporto La Guardia di New York perde i suoi due motori dopo l’impatto con un nutrito stormo di uccelli e viene fatto ammarare direttamente sul fiume  Hudson. I comandante Sully ( interpretato da un magico Tom Hanks) e il primo ufficiale (il bravo Aaron Eckhart) salveranno la vita ai 155 passeggeri e alla crew in un atterraggio senza precedenti su acqua. Nonostante tutto i protagonisti della vicenda subiranno una indagine da parte degli organismi della aviazione federale civile.
La pellicola esalta, come tutta l’opera dell’attore-regista, l’eroismo dell’uomo qualunque. Al pari di One dollar baby e di Gran Torino, Sully racconta  l’eroe della porta accanto che si erge sugli altri  semplicemente facendo il proprio  dovere. Il  dovere visto da Clint Eastwood è condito con quel pizzico di intuito esperienziale e di quel genio che solo un essere umano possiede, un genio che non si fa  catturare dall’automatismo ottuso delle macchine. L’eroe di Eastwood non appartiene alla mitologia ellenica ma al quotidiano, fatto di normalità, famiglia, affetti, lavoro e nobiltà d’animo.
Gli occhi dello spettatore sono incollati allo schermo, le pulsazioni cardiache crescono, le mani tormentano i braccioli, finché verso il crepuscolo della narrazione arriva lui, in carne ed ossa: il pilota Chesley Sullenberger,  con i “suoi” passeggeri. La mente è scossa dal ricordo delle ultime battute del capolavoro di Steven Spielberg   Schindler’s list, quando gli ebrei salvati dallo sterminio gettano un sasso nel giardino dei giusti in ricordo del loro straordinario salvatore, passato dal nazismo all’umanità.

Fabrizio Giulimondi