sabato 28 gennaio 2017

FABRIZIO GIULIMONDI: "WE, THE PEOPLE" O "WE, THE COURT"?

Risultati immagini per foto corte suprema
We, The People” o “We, The Court”? Rischia di prevalere il secondo sul primo. Rischia di prevalere, pertanto, il potere senza responsabilità delle Corti Supreme e costituzionali sulla responsabilità senza potere delle Camere elettive. Dalla Corte Suprema russa che si è pronunziata sulla questione della non punibilità penale delle percosse non determinanti lesioni se non reiterate (sul quale tema sta dibattendo proprio in questi giorni la Duma), al pronunciamento sul referendum britannico conosciuto con il nome di “Brexit” , al quale la Corte Suprema inglese ha tolto efficacia costitutiva e lo ha degradato a momento meramente consultivo, propositivo ed indicativo (con alcuna efficacia vincolante), rimettendo la decisione al Parlamento di Sua Maestà, alla nostra Corte costituzionale che “crea” leggi elettorali e forgia diritti e filiazione di diritti (quarta, quinta, sesta generazione, e così via), alla stregua della giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo che plasma diritti su diritti, imponendoli agli Stati (salvo quando ragiona, come nel caso recentissima decisione della Grande Camera, che, fortunatamente, ha accolto il ricorso del Governo italiano non disponendo nel nostro ordinamento giuridico interno il c.d. utero in affitto). Non ultima la Corte Suprema statunitense (seppur appartenente ad un sistema istituzionale, ordinamentale e giuridico molto differente da quello del Vecchio Continente e, in particolare, dal nostro) che insuffla diritti a iosa (desiderata che tramite una metamorfosi ontologica e di ingegneria normativa divengono diritti).
Le Corti Supreme, costituzionali e di ultima istanza, i cui componenti non sono eletti da nessuno e che a nessuno debbono rispondere, spesso si impongono alla volontà popolare rappresentata dagli organi assembleari da essa voluti, sovvertendola: a questo punto i Parlamenti sono costretti, anche contro la volontà popolare sottesa alla legge dichiarata incostituzionale, a legiferare per adeguarsi ai diktat delle Corti.
Potere senza responsabilità (delle Corti) su responsabilità senza potere (delle Assemblee elettive); “We, The Court” su “We, The People”.

Fabrizio Giulimondi

giovedì 26 gennaio 2017

"FALSE TESTIMONIANZE.COME SMASCHERARE ALCUNI SECOLI DI STORIA ANTICATTOLICA" DI RODNEY STARK (LINDAU)

Il coraggioso ed erudito saggio storico, filosofico, economico e teologico, “False Testimonianze”, del sociologo della religione Rodney Stark (Lindau), si pone l’ambizioso obiettivo di “smascherare alcuni secoli di storia anticattolica”.
Dettagliato, puntiglioso, analitico, corposamente documentato, accompagnato dal pensiero di studiosi delle più variegate discipline scientifiche e culturali, “False Testimonianze” viviseziona ampi stralci di epoche storiche, sfarzosamente falsificati da pseudo studiosi, mossi prevalentemente o solamente da odio per la Chiesa Cattolica.
La storia studia i fatti ed i fatti devono essere in primo luogo accertati, per poi essere adeguatamente scrutinati mediante le lenti fornite da autentiche fonti documentali e testimoniali. La storiografia, quella seria, quella attendibile, non “crea” la storia, ma valuta, osserva, se vogliamo, giudica, fatti la cui esistenza deve essere rigorosamente accertata: i fatti prima di tutto devono esistere.
Il lavoro di Stark parte proprio da questa drammatica constatazione: molti accadimenti attribuiti alla Chiesa Cattolica  - dal Medioevo (“Secoli bui?”), alle crociate, all’Inquisizione, a Galileo Galilei, al Rinascimento ed all’Illuminismo, ai rapporti con il franchismo ed il  nazismo, finanche alla nascita del capitalismo e della economia di mercato -  non si sono mai verificati. Lo storiografo serio deve approfondire la fonte che egli propone per lumeggiare il  periodo esaminato: deve indagare oculatamente sul suo autore, su quali siano i rapporti fra questi  e l’oggetto dell’ indagine e verificarne  le basi ideologiche, politiche e religiose. Questa operazione di pulizia scientifico-metodologica degli strumenti di ricerca storica fa emergere con chiarezza, al termine della lettura dell’affascinante  “False Testimonianze”, che siamo cresciuti in presenza di incredibili menzogne sul nostro remoto e recente  “passato”.
L’odio religioso e la faziosità politica non dovrebbero albergare fra storiografi, letterati e filosofi.
Una massima deve guidare il lettore di questa opera, come di qualsiasi altro libro di questo stesso genere: non accontentarsi mai delle verità apparenti e superficiali che il “Pensiero Unico” ci impone, ammantandole di melliflua scientificità: potrebbero  essere deviate e devianti, meretrici e, persino, del tutto false.

Fabrizio Giulimondi

mercoledì 25 gennaio 2017

"ARRIVAL" DI DENIS VILLENEUVE

Locandina Arrival
Dopo il già recensito Passengers di Morten Tyldumnelle, nelle sale cinematografiche italiane si è affacciato un'altra produzione di fantascienza: Arrival di  Denis Villeneuve, candidato come “Miglior Film” e “Migliore Regia” agli imminenti Oscar (con una Amy Adams che avrebbe meritato senz’altro la nomination come “Miglior Attrice Protagonista”).
Il film, partendo da uno spirito neoclassico fantascientifico statunitense, con alieni a metà strada fra La guerra dei Mondi e Indipendence day, si spinge verso sentori, sapori e stili onirici ed introspettivi, pervenendo a riflessioni sentimentali. Le luci ed immagini, in un primo momento proprie delle opere di Spielberg,  mutano nell’incedere della narrazione in silenzi meditativi e in fotografie che proiettano lo spettatore indietro nel tempo, in direzione dei ricordi immaginifici di Solaris e di 2001: odissea nello spazio.
La comunicazione è al centro del proscenio filmico e le raffigurazioni tondeggianti e circuitali, tramite le quali gli extraterrestri eptapodi dialogano con i terrestri, molto vogliono significare e molto vogliono trasmettere.
Le pacate e delicate sonorità scaturite dal violino di Jóhann Jóhannsson accompagnano in filodiffusione scene che sfumano in un finale carico di emozioni, che prende inavvertitamente  per mano il pubblico cullandolo  sino all’uscio di casa.
Fabrizio Giulimondi



domenica 15 gennaio 2017

"IL MAESTRO DELLE OMBRE" DI DONATO CARRISI (LONGANESI)

Il “Padrone” indiscusso del thriller “colto” e venato di storicità, Donato Carrisi, è tornato nelle librerie con “Il maestro delle ombre” (Longanesi).
Come i casi letterari che lo hanno preceduto (“Il Suggeritore”, “L’ipotesi del male”, “Il cacciatore del buio” e “La ragazza nella nebbia”, tranne il primo, tutti recensiti in questa stessa Rubrica), “Il maestro delle ombre” cancella il passare del tempo, perché il lettore ne è risucchiato, immerso in una Roma oltre il tempo, oltre lo spazio, in una Roma galleggiante lungo una dimensione innominata. La Roma di Carrisi sotterranea e claustrofobica, una Roma magica, misteriosa ed esoterica, ora si ammanta di un clima apocalittico. Quarantotto ore di piogge torrenziali e vento violento si abbattono sulla Città Eterna, costringendo le Autorità ad un blackout elettrico e telematico di ventiquattro ore. Roma piomba nel buio e nel caos, in un epoca pre-moderna.
Nell’A.D. 1521, nove giorni prima di morire, una bolla di papa Leone X dispose l’obbligo che Roma non rimanesse “mai, mai, mai” al buio. Perché?
Che cosa è la Chiesa dell’eclissi? Chi è il Signore delle ombre? Chi sono il Vescovo, il Giocattolaio e l’Achimista?
Torture orripilanti. Omicidi terrifici e rituali. Ricatto.
Un’azione che si svolge fra il dedalo labirintico delle fogne di Roma ed i suoi splendidi palazzi aristocratici e papali, dove storie irraccontabili cercano di soffiare la verità ad orecchie che vogliono udirle.
Il Tevere esonda i tre punti della Città ed il morbo dilaga. Il morbo? Cosa è il morbo?
La narrazione ha come colonna sonora immagini cinematografiche che accompagnano la lettura del romanzo, in cui il lettore viene proiettato verso il dialogo fra la detective e Hannibal Lecter ne “Il silenzio degli innocenti” di Jonathan Demme, o balzato dentro le scene caotiche e demoniache del film di Dario Argento “La terza madre”.
E poi c’è lui. Marcus, il Cacciatore di buio.
C’è un luogo in cui il mondo della luce incontra quello delle tenebre…E’ lì che avviene ogni cosa: nella terra delle ombre, dove tutto è rarefatto, confuso, incerto. Io sono il guardiano posto a difesa di quel confine. Perché ogni tanto qualcosa riesce a passare…Io sono un cacciatore del buio. E il mio compito è ricacciarlo indietro”.

Fabrizio Giulimondi

giovedì 12 gennaio 2017

"PASSENGERS" DI MORTEN TYLDUM

Locandina Passengers

È tornata la fantascienza con “Passengers” di Morten Tyldum, con una avvenente e (per la prima volta)  sexy Jennifer Lawrence, insieme ad un convincente Chris Pratt.
Nulla di innovativo ma piacevole a vedersi e  scenograficamente avvincente, lievemente agorafobico, “Passengers” non esagera con gli effetti speciali.
La trama richiama molto alla mente i romanzi di Asimov  e, in alcune sue scene finali,  il film Premio Oscar per “migliore regia” 2014 “Gravity” (di Alfonso Cuarón), mentre lo spettatore ha in mente per tutto il tempo il ritornello “Extraterrestre” di Finardi a mo’ di colonna sonora.
Un viaggio verso un altro pianeta,  perché la vita sulla Terra oramai è troppo distante dai desideri delle 5000 persone (metaforicamente l’Umanità) che si sono fatte ibernare sulla astronave  Avalon. Le macchine però sono “stupide” e si inceppano, molto più stupide dell’essere umano che ha l’intelligenza per sanare i propri difetti ed i propri “vizi di costruzione”.
Un passeggero si sveglia novanta anni prima dell’arrivo ed è solo, in compagnia unicamente di un barman, androide, filosofo e gentiluomo…ma sempre una robot privo di sentimenti.
Una nuova genesi in salsa fantascientifica con il suo Adamo e la sua Eva.

Fabrizio Giulimondi


giovedì 5 gennaio 2017

"LA BELLEZZA COLLATERALE" ("COLLATERAL BEAUTY") DI DAVID FRANKEL

Locandina Collateral Beauty

La bellezza collaterale” (“Collateral Beauty”) di David Frankel (che riprende vistosamente il tocco registico di Muccino, in particolar modo la splendida produzione "Sette anime") è uno di quei film  che vanno visti per provare e riprovare emozioni vere, autentiche, film che ti costringono a fermarsi a riflettere.
Will Smith è da nomination agli Oscar come miglior attore protagonista e il suo volto, la sua espressione mimica, la capacità di trasmettere il dolore con gli occhi e l’intensità dello sguardo sono talmente ultra vires da toccare lo spettatore nel profondo del cuore,  bloccandolo allo schermo.
La Morte, il Tempo, l’Amore: astrazioni date per scontate, variabili indipendenti della nostra esistenza, specie la Morte, accantonata dalla cultura occidentale; ma la Morte, il Tempo e l’Amore sono immanenti alla nostra esistenza e possono personificarsi e apparire ad un padre disperato che ha perso la figlia di sei anni per un tumore; ed un dolore senza confini può allontanare due persone ma non spezzarne l’amore, perché l’amore è dentro ogni trancio della vita di una persona e la persona può pur cercare di fuggire via da esso ma l’amore si ripresenterà sempre e comunque, magari  sotto forma di una ragazza dubbiosa e fuggente, piagnucolante e sorridente; e il tempo ci viene regalato e deve essere “destinato” e non sprecato, perché è sprecato anche il tempo consunto per troppo tempo dal troppo dolore.
In realtà, la Morte può interpretare anche i ruoli dell’Amore e del Tempo perché è la Morte a dare senso ad entrambi.
Quale era il nome di tua figlia?
Fabrizio Giulimondi



martedì 3 gennaio 2017

"IL LABIRINTO DEGLI SPIRITI" DI CARLOS RUIZ ZAFÓN: UN CAPOLAVORO ASSOLUTO



Con “Il labirinto degli spiriti” (Mondadori) siamo giunti alla conclusione della tetralogia del Cimitero dei Libri Dimenticati dell’iberico Carlos Ruiz Zafón, dopo aver goduto di “L’ombra del vento”, “Il gioco dell’Angelo” e “Il Prigioniero del Cielo”.
In questi anni ho letto centinaia fra romanzi, saggi e racconti, una buona parte da me recensiti, ma non si può recensire un’opera d’arte: “Il labirinto degli spiriti” è il più bel libro che abbia mai letto in vita mia.
Le parole di una recensione non possono contenere il sublime.
Le parole di una recensione non possono esprimere l’eccelso.
Non si può sezionare un testo ed analizzarne i vocaboli, l’architettura di espressioni, l’ingegneria di locuzioni, la composizione di sintagmi, lemmi e fonemi, l’urto di concetti e idee, pensieri e valori, storie, tragedie e gioie, sangue, sorrisi e sguardi, non si può scrutinare una narrazione che in ogni suo passaggio è la manifestazione di un capolavoro assoluto di uno scrittore come Zafón, probabilmente il più grande romanziere contemporaneo.
Il labirinto degli spiriti” strapperà al lettore l’anima.
Fermín è la creatura più nobile, adorabile e amabile che mente di letterato negli ultimi decenni abbia creato.
Chi non leggerà questo incanto in cui tutte, ma proprio tutte, le emozioni saranno divelte dalla sede dove riposano, compirà un incomprensibile errore: “Ogni libro, ogni volume che vedi, ha un’anima. L’anima di chi l’ha scritto e l’anima di coloro che lo hanno letto e hanno vissuto e sognato con lui. Ogni volta che un libro cambia di mano, ogni volta che qualcuno fa scivolare il suo sguardo sulle sue pagine, il suo spirito cresce e si rafforza”.
Fabrizio Giulimondi