domenica 2 aprile 2017

"LE NOSTRE ANIME DI NOTTE" DI KENT HARUF


E’ postuma l’ultima opera del grande romanziere statunitense Kent HarufLe nostre anime di notte” (NNE). Stava per accingersi a morire e Haruf aveva necessità di dare il suo “Addio” alla cittadina di Holt ed ai suoi abitanti della working e medium class. Il testo è pubblicato senza correzioni, così come partorito dall’Autore, ed è evocata dalla narrazione stessa la necessità di sbrigarsi, di fare in fretta, perché il tempo sta finendo. Il “Non c’è più tempo” è nei dialoghi dei protagonisti e nei silenzi, nelle pause, nel “non detto” del romanzo. Il tempo ed il suo cinico e feroce trascorrere è l’”in sé” del libro, la sua vera trama.

Lo stile è morbido e caldo come un piumone nelle notti gelide invernali.

L’intimità è il core del romanzo e la prova il lettore durante le chiacchierate notturne fra Louis e Addie mentre stanno al letto e fuori si sente il tintinnio delle gocce di pioggia, o nelle cene in campeggio intorno al fuoco all’aperto. Non vi impressionate, cari lettori, se avvertirete il tempore della legna che arde.

I sentimenti sono semplici quanto autentici e creano famiglia, senso di appartenenza e comunità.

Holt è un luogo dell’anima, oltre il tempo e lo spazio, come Hora nelle opere di Carmine Abate.

Ad Holt chi l’ha conosciuta vuole tornarci, chi non l’ha ancora incontrata vuole entrarvi.

Il tocco lieve di Haruf rende sopportabile il trauma di una morte terribile ed improvvisa, come dell’abbandono di un ragazzino da parte della madre.

I romanzi di Kent Haruf sono carezze in ambientazioni bucoliche che scrutano bonariamente la vita quotidiana di persone che, senza accorgersene, divengono eroi nella loro anti-eroicità.

Le nostre anime di notte” pone l’ultima pietra sulla elegia alla cittadina di Holt su cui era stata costruita la “Trilogia della Pianura” (“Canto della pianura”, “Crepuscolo” e “Benedizione”), e la lontananza si fa ricordo e poi già nostalgia.

 "Adoro questa cosa. E’ meglio di quel che speravo. E’ una specie di mistero. Mi piace per il senso di amicizia. Mi piace il tempo che passiamo insieme. Starcene qui al buio di notte. Parlare. Sentirti respirare accanto a me se mi sveglio. […] Amo questo mondo fisico. Amo questa vita insieme a te. E il vento e la campagna. Il cortile, la ghiaia sul vialetto. L’erba. Le notti fresche. Stare a letto al buio e parlare con te. […] Quando lui andava da lei, continuavano a passare le notti abbracciati, ma era più che altro abitudine e malinconia e presagio di solitudine e scoramento, come se cercassero di fare scorta di quei momenti insieme in previsione di ciò che sarebbe successo”.

Fabrizio Giulimondi

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