giovedì 20 luglio 2017

"CONCORDARE LA NORMA. GLI STRUMENTI CONSENSUALI DI SOLUZIONE DELLA CONTROVERSIA IN AMBITO CIVILE: UNA PROSPETTIVA FILOSOFICO-METODOLOGICA" DI FEDERICO REGGIO

Nessun tema può definirsi più attuale di quello dei percorsi alternativi ai procedimenti civili ordinari. Attenzione, però, che il “già detto” ed il “già sentito” non alberga in questo dotto lavoro monografico di Federico Reggio, “Concordarela norma. Gli strumenti consensuali di soluzione della controversia in ambito civile: una prospettiva filosofico-metodologica” (Cleup). Il titolo è affascinante e profetico.  “Concordare la norma”: la mente va alle Assemblee parlamentari e regionali che approvano atti normativi che contengono norme. La mente in questo caso è fallace. “Concordarela norma” richiama altri tracciati, altre linee di pensiero. Una norma può essere sì costruita all’interno di un iter procedimentalizzato dalla Costituzione e dai regolamenti parlamentari di Camera e Senato, ma può essere costruita anche entro il perimetro della volontà delle parti. La mediazione e gli Alternative Despute Resolution non sono solo algidi mezzi per rispondere a istanze di giustizia nel settore civile, ma esprimono una vera e propria nuova Weltanschauung del legislatore nel suo approccio al sistema giuridico privatistico. La norma non solo come disposizione eterodiretta da un organo a ciò costituzionalmente deputato, ma anche partorita entro l’incontro-scontro in una fase antecedente o contestuale alla lite processuale.
Il diritto come fruttificazione del dialogo e il dialogo come fonte feconda della norma: la norma nasce dal dialogo che include lo scontro che ripiana, poi, in una soluzione fornita nel disposto di una norma.
Il dialogo, in quest’ottica, non costituisce un’alternativa al diritto, né all’apporto professionale del giurista, bensì una categoria che innerva la struttura del primo e l’attività del secondo. Dialogo e diritto rivelano, ancora una volta – ricalcando lezioni di classica memoria – un inscindibile legame, in cui il diritto si pone a custode, promotore e ri-costrutture di una reciprocità intersoggettiva che, turbata dal conflitto, richiede rispetto e ripristino”.
La norma implica sinallagma, intersoggettività, regole che le parti processuali si pongono oltre il codice procedurale civile che vincolano loro stesse. Volontà che diventa vincolo e, quindi, norma che si impone alle parti che se la sono conferita.
“Una norma concordata” novella Weltanschauung di un diritto che partendo dall’ordinamento giusprivatistico si può estendere a quello giuspubblicistico e penalistico.
Andare verso il futuro attingendo dalle radici salde dell’antichità.
I dialoghi ci sospingono verso quelli di Platone e di Seneca. Il dialogo come metodo, come stanza di compensazione di interessi collimanti o in conflitto fra di loro, come strumento kantianamente razionale per individuare un percorso. Il dialogo è il percorso in forza del quale ed attraverso il quale le parti addivengono alla norma che si impongono: la maieutica socratica si manifesta attraverso il dialogo che “partorisce” una formula regolativa che in forza della volontà delle parti muta in norma: la metamorfosi di Kafka si proietta sul diritto per tornare, in forma di soluzione concreta, nella società.
Il giudice è l’amministratore che, terzo, interloquisce con le parti: con la mediazione viene sostituito da avvocati e soggetti privati, e il terzo, il mediatore, non è un soggetto chiamato a decidere quanto piuttosto il “maieuta del dialogo” che facilita il confronto fra le parti e la loro ricerca di una soluzione sostenibile, e possibilmente capace di creare un nuovo ordine concordato.
L’intuizione dell’Autore collega filosofia del diritto, metodo ermeneutico e creativo di norme e legislazione di rito civile: la mediazione civile è il fine; il lavoro di accurata ricerca di Reggio il cammino per giungerci.
La professionalità costituisce il momento di legittimazione del mediatore: più la professionalità di quest’ultimo si accresce più la sua figura ne viene legittimata dentro e fuori il rito: l’effetto deflattivo del carico giudiziario ne è il naturalia negotii.

Fabrizio Giulimondi

venerdì 14 luglio 2017

"CODICE CRIMINALE" DI ADAM SMITH

Quanto le immagini, le scene e la fotografia in “Codice criminale” (di Adam Smith, con Michael Fassbender) sono intriganti, quanto il contenuto narrativo è deludente.
In un incedere lombrosiano e decadente, personaggi con linguaggio volgare e licenzioso vagabondano fra roulotte “zingaresche”, tentativi di taluni di avviluppare gli altri sempre di più nella morsa delle spire stritolanti e soffocanti della banda e, di talaltri di uscirne, provandoci non convintamente e di malavoglia, senza, ovviamente, riuscirvi.
Al centro del sipario cineastico si colloca un padre - padrone - capoclan e un figlio deprivato della propria personalità, in movenze recitative vagamente evocanti l’antichità classica del teatro greco, nel tormentato scontro fra il genitore autoritario ed il figlio succube ed incapace di liberarsi dalle angherie del primo.

Fabrizio Giulimondi  


martedì 11 luglio 2017

FABRIZIO GIULIMONDI: "IL DECRETO SICUREZZA: DEVOLUTION O SCARICO DI COMPETENZE AGLI ENTI LOCALI?"


Il decreto legge n. 14 del 20.2.2017 ( convertito  nella legge 18 aprile 2017, n. 48) ha ambizioni ulteriori rispetto ai tanti “pacchetti sicurezza” cui ci ha abituato la legislazione emergenziale degli ultimi anni. Sarebbe ingiusto negare che, questa volta, l’approccio al tema della sicurezza appare più articolato e meno proteso alla definizione di semplici “misure manifesto” capaci di sedare per poco le preoccupazioni della pubblica opinione.
Il tandem tra decreto sicurezza e decreto immigrazione (d.l. 17.2.2017, n. 13, convertito in legge 13 aprile 2017, n. 46) assegna, innanzitutto, un ruolo centrale agli apparati di prevenzione.
Se il decreto n. 13 del 2017 individua nel Dipartimento della Pubblica Sicurezza e, quindi, nel Capo della Polizia, l’Istituzione chiamata a coniugare le esigenze di contenimento dei flussi migratori con la necessità di controllare gli ingressi illegali in Italia (anche) a fini di anti- terrorismo, il decreto n. 14 del 2017 ha una visione plurale della sicurezza urbana e segna, per così dire, un significativo arretramento delle forze di polizia dalla piena responsabilità del controllo delle aree urbane e del contrasto all’illegalità di strada.
L’esordio del decreto mostra, in modo significativo, il percorso che si intende perseguire, abbandonando le precedenti incertezze e percorrendo in maniera decisa la via del coinvolgimento delle Istituzioni comunali nel contenimento del degrado cittadino.
La nozione di “sicurezza integrata” appare l’architrave del decreto legge 14/2017: “Si intende per sicurezza integrata l’insieme degli interventi assicurati dallo Stato, dalle Regioni, dalle Province autonome di Trento e Bolzano e dagli enti locali, nonché da altri soggetti istituzionali, al fine di concorrere, ciascuno nell’ambito delle proprie competenze e responsabilità, alla promozione e all’attuazione di un sistema unitario e integrato di sicurezza per il benessere delle comunità territoriali”.
La nozione di “concorso” delle competenze in vista del “benessere” locale traccia un importante arretramento della mera prevenzione di polizia verso un più complesso approccio al contesto urbano, all’interno delle quali devianze criminali e insicurezza collettive vengono in emergenza.
Se l’orientamento normativo precedente era quello di “militarizzare” la sicurezza urbana (pensiamo alle operazioni “Strade sicure”), estendendo alle polizie locali i compiti e talune funzioni proprie delle forze dell’ordine, in una visione destinata  alla immediata repressione dei fattori di criticità della tranquillità dei cittadini, la mission del 2017 è interamente volta  a stimolare e corresponsabilizzare tutti i soggetti pubblici legati alla  gestione del territorio affinché contribuiscano alla costruzione di una città ordinata.
L’ordine pubblico si materializza negli spazi urbani e ambisce alla costituzione di comunità agevolmente gestibili e, quindi, sicure. E’ vero che l’art. 2 esordisce salvaguardando “le competenze esclusive dello Stato in materia di ordine pubblico e sicurezze”, ma questi due ambiti convergono e si amalgamano risultando alla fine difficile distinguere tra misure rientranti nel novero della “sicurezza” e provvedimenti appartenenti al perimetro dell’”ordine pubblico”. La norma costituzionale affida alla competenza legislativa esclusiva statale la materia dell’ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale [art. 117, comma 2, lett. h), della Costituzione], mentre le Regioni possono cooperare a tal fine solo mediante misure ricomprese nelle proprie attribuzioni.
L’azione è multilivello e si snoda fra lo Stato, le Regioni ed i Comuni che, per la naturale maggiore vicinanza alla Comunità, vedono rafforzati i propri poteri, competenze e funzioni.
La filosofia di questo intervento legislativo si incentra sulle finalità identificabili nell’esigenza di realizzare più incisive forme di coordinamento tra Stato, Regioni, Province autonome, enti locali e altri soggetti istituzionali, quali il Prefetto e il Questore, onde comporre al meglio un sistema unitario e integrato di sicurezza per il benessere delle Comunità territoriali.  
La “sicurezza integrata” si pone come sintesi delle iniziative di polizia di prevenzione e degli interventi in tema di decoro urbano, di corretta fruizione degli spazi pubblici, di cura delle aree collettive. L’eliminazione delle condizioni di insicurezza pubblica è l’obiettivo di un’azione composita delle forze di polizia (chiamate a reprimere i fenomeni illegali) e delle Istituzioni locali, che devono bonificare gli spazi, impedendo il ricrearsi delle situazioni di allarme sociale.
Per intendersi: nessuno potrà invocare una “retata” di polizia in un parco pubblico adoperato dai pusher, senza al contempo prevedere iniziative di sistemazione di quell’area onde prevenire il riproporsi di fenomeni analoghi a breve durata.
Il decreto legge 14/2017, come si legge nella Relazione che accompagna il d.d.l. di conversione, evidenzia che la sicurezza “non è più soltanto da identificarsi con la sfera della prevenzione e repressione dei reati …  ma è intesa anche come volta al perseguimento di fattori di equilibrio e di coesione sociale, di vivibilità e di prevenzione situazionale connessi ai processi di affievolimento della socialità nei territori delle aree metropolitane e di conurbazione”. Un compito certo impegnativo, che costringe le Comunità locali a prevedere l’impiego di cospicui finanziamenti che dovranno svolgersi, nella prospettiva del decreto 14/2017, in sincrono con l’attività di polizia in senso stretto.
Lo Stato, nelle sue articolazioni centrali e periferiche, prende definitivamente atto che è impossibile garantire una “sicurezza dall’alto”, prendendo contezza della necessità di un maggiore avvicinamento alla popolazione, rafforzando la dimensione funzionale dell’ente più ad essa viciniore, ossia l’amministrazione comunale.
La nuova via annunciata dal decreto 14 è quella di attuare interventi radicali nei centri urbani a rischio, per risanare le condizioni di vita e di tranquillità, corresponsabilizzando da subito gli organi di polizia e le entità del “benessere” collettivo.
In questo scenario lo Stato e le Regioni possono concludere specifici accordi per la promozione della sicurezza integrata, anche diretti a disciplinare gli interventi a sostegno della formazione e dell’aggiornamento professionale del personale della polizia locale. Le Regioni, anche sulla base di accordi, possono sostenere, nell’ambito delle proprie competenze e funzioni, iniziative e progetti volti ad attuare interventi di promozione della sicurezza integrata nel territorio di riferimento, ivi inclusa l’adozione di misure di sostegno finanziario a favore dei Comuni maggiormente interessati da fenomeni di criminalità diffusa.
E’ un punto di svolta.
Non solo presidio armato e qualificato de territorio, ma bonifica della marginalità sociale, inclusione, recupero.  
La “sicurezza urbana”  è “il bene pubblico che afferisce alla vivibilità e al decoro delle città, da perseguire anche attraverso interventi di riqualificazione e recupero delle aree o dei siti più degradati, l’eliminazione dei fattori di marginalità e di esclusione sociale, la prevenzione della criminalità, in particolare di tipo predatorio, la promozione del rispetto della legalità e l’affermazione di più elevati livelli di coesione sociale e convivenza civile, cui concorrono prioritariamente, anche con interventi integrati, lo Stato, le Regioni e gli enti locali, nel rispetto delle rispettive competenze e funzioni”.
Quel che preme evidenziare è la novità del c.d. Daspo cittadino, ossia la misura dell’allontanamento e del divieto di accesso a determinati luoghi ai fini della tutela della sicurezza delle città e del decoro urbano. E, tra le regole che ne disciplinano il funzionamento, una in particolare manifesta i segni del riposizionamento istituzionale e politico, ossia l’art. 9 che prevede che “i regolamenti di polizia urbana possono individuare aree urbane su cui insistono musei, aree e parchi archeologici, complessi monumentali o altri istituti e luoghi della cultura interessati da consistenti flussi turistici, ovvero adibite a verse pubblico, alle quali si applicano le disposizioni di prevenzione pubblica”. Le amministrazioni locali potranno, pertanto, rafforzare la tutela di porzioni consistenti del proprio territorio interdicendo la presenza di quanti metteranno a repentaglio, con le proprie condotte, non solo la sicurezza, ma anche il decoro di quelle aree.
Di grande interesse, come luogo di interlocuzione istituzionale dove avviene un confronto alla pari fra strutture periferiche dello Stato e autorità locali, è il (novello) “Comitato metropolitano”, co-presieduto dal Prefetto e dal Sindaco, cui sono chiamati a partecipare soggetti pubblici e/o privati dell’ambito territoriale interessato.
Questo Comitato si affianca al “Comitato provinciale per l’ordine pubblico e la sicurezza pubblica” (presieduto solamente dal Prefetto) e non ne costituisce affatto un duplicato.

Il “Comitato provinciale per l’ordine pubblico e la sicurezza pubblica” affronta realtà in cui vi sono le condizioni attuali o potenziali di pregiudizio per la sicurezza pubblica, mentre il “Comitato metropolitano” assume una valenza più programmatica, in una ottica preventiva e di promozione degli interventi ritenuti necessari per il perseguimento del bene pubblico della sicurezza urbana. Il Comitato metropolitano svolge, quindi, compiti propositivi ed attuativi dei “Patti in materia di sicurezza urbana”, sottoscritti tra il Prefetto ed il Sindaco o i Sindaci delle aree interessate, in virtù dei quali si individuano gli obiettivi che i diversi attori pubblici, in via sinergica, debbono conseguire per attingere il "bene" della sicurezza urbana.
Fabrizio Giulimondi

martedì 4 luglio 2017

VINCITORE DEL PREMIO STREGA 2017: "LE OTTO MONTAGNE" DI PAOLO COGNETTI (EINAUDI)

Le otto montagne (Supercoralli) di [Cognetti, Paolo]
La sua (quota) era senz’altro il bosco dei 1500 metri, quello di abeti e larici, alla cui ombra crescono il mirtillo, il ginepro e il rododendro, e si nascondono i caprioli. Io ero più attratto dalla montagna che viene dopo: prateria alpina, torrenti, torbiere, erbe d’alta quota, bestie al pascolo. Ancora più in alto la vegetazione scompare, la neve copre ogni cosa fino all’inizio dell’estate e il colore prevalente è il grigio della roccia, venato dal quarzo e intarsiato dal giallo dei licheni. Lì cominciava il mondo di mio padre”.
Le otto Montagne” di Paolo Cognetti (Einaudi) non è un romanzo ma un lungo, interminabile panorama di montagne, una descrizione di boschi, una narrazione di anime di donne e uomini che in quelle montagne e in quei boschi vagano. Sono vette valdostane, sono cime nepalesi: “In fondo alla valle, le vette dell’Himalaya. Allora vidi cos’erano state le montagne all’alba del mondo. Montagne acuminate, taglienti, come appena scolpite dalla creazione, ancora non levigate dal tempo”.
Le otto montagne è una camminata incantata e reale, è un andare ed un tornare fra lecci e genziane dove le menti si perdono per poi ritrovarsi, in un pacato e virgiliano viaggio immaterialmente corporeo e corporalmente spirituale: “Ogni volta che tornavo lassù mi sembrava di tornare a me stesso”. Le pagine sono tratteggiate con odori, sapori e colori mescolati fra di loro da parole impegnate a trattenerli perché il lettore ne possa godere ad occhi chiusi.
L’opera di Cognetti è sentore di muschio bagnato, è fragranza di sottobosco e funghi, è suono di acqua di torrente che scorre, è profumo di acqua limpida e fresca di ghiaccio appena sciolto che penetra nel naso, è aroma di terra argillosa. Gli indumenti dei protagonisti esalano fumo di camino, reminiscenze di braci e cacciagione, fuliggine e punte di sudore. Il lettore avverte il suono degli scarponi che pestano fanghiglia di torrente, terriccio di fonte, tracce di resina a ridosso di un arbusto.
Il periodare morbido dell’Autore conduce altrove, oltre quelle alture che vedete confuse lungo l’orizzonte con il tramonto del Sole e la Luna che sta appena sorgendo.
Da mio padre avevo imparato, molto tempo dopo avere smesso di seguirlo sui sentieri, che in certe vite esistono montagne a cui non è possibile tornare. Che nelle vite come la mia e la sua non si può tornare alla montagna che sta al centro di tutte le altre, e all’inizio della propria storia. E che non resta che vagare per le otto montagne per chi, come noi, sulla prima e più alta ha perso un amico”.

Fabrizio Giulimondi