giovedì 28 dicembre 2017

"L'UOMO DEL LABIRINTO" DI DONATO CARRISI

Nelle librerie è approdato l’ultimo lavoro letterario di uno dei maggiori Autori thriller europei, “L’uomo del labirinto” di Donato Carrisi (Longanesi). I successi di vendite e traduzioni in molti idiomi de Il suggeritore, Il tribunale delle anime, L’ipotesi del male, Il cacciatore del buio, Il maestro delle ombre e, non ultimo, La ragazza nella nebbia -  di cui Carrisi è stato anche registra della trasposizione cinematografica -, hanno lanciato l’eclettico e geniale Scrittore nel panorama internazionale.
L’uomo del labirinto” immerge di nuovo il lettore nel buio catacombale di labirinti sotto città che restano senza nome e senza connotazioni geografiche, in sotterranei privi di luce che si dipanano lungo la narrazione speculare di un sadico consolatore rinchiuso e rinchiudente le altrui esistenze in un reticolato nascosto nella terra che, nell’attraversare il deep web, risucchia e infetta i “figli del buio”.
Lo stile è meno di Carrisi e più di Faletti, al cui Niente di vero tranne gli occhi l’osservatore rimanda la mente quando si imbatte in un detective affezionato frequentatore di un trans. Lo schema narrativo si avvicina a quello del film Saw (e dei suoi sequel) di James Wan, con innesti evocativi alla pellicola del 1999 8mm – Delitti a luci rosse di Joel Schumacher. L’investigatore privato Genko è la storpiatura nel cognome dell’ispettore Ginko, che trascorre invano la sua vita a catturare Diabolik e, al pari di Ginko, l’investigatore protagonista del romanzo cerca da quindici anni di trovare una ragazza scomparsa nel buio. Genko, però, ignora che v’è in corso una staffetta del male che ha lo stesso sapore ricostruttivo che registriamo ne Il tocco del male, diretto nel 1998 da Gregory Hoblit.
Il coupe de theatre finale lascia aperto una probabile prossima opera che si ricongiungerà alla prima: Il suggeritore.
Meno mordace, in certi passaggi il racconto risulta un poco debole per la inspiegabile capacità dell’“attore principale” di giungere troppo facilmente a soluzioni e testimoni, pur rimanendo lo stile agile e accattivante, punteggiato da un linguaggio ben lungi da quello ricercato de Il cacciatore del buio e Il maestro delle ombre. L’itinerario immaginifico è lontano dalle passate atmosfere misteriose ed esoteriche. Le tinte claustrofobiche della storia si abbracciano con toni turpi che occhieggiano ad orripilanti pratiche pedofile (mai ellenicamente esplicitate) e a degenerazione porno- sessuali.
Non esiste azione umana che non lasci tracce. Specie se si tratta di un atto criminale”.

Fabrizio Giulimondi 

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