mercoledì 31 gennaio 2018

"IL LUOGO DELLE REGOLE. RIFLESSIONI SUL PROCESSO CIVILE ROMANO" DI ANTONIO PALMA (G.GIAPPICHELLI EDITORE)




Le riflessioni che Antonio Palma elabora nel suo ultimo volume costituiscono lo sviluppo di ricerche che l’insigne Studioso ha da tempo intrapreso sul processo civile romano. Ma – come abbiamo sentito dalle parole degli autorevoli relatori che mi hanno preceduto – non coglierebbe nel segno chi presumesse di trovarsi di fronte all’ennesima indagine storica. Lo studio del Professore Palma mostra, infatti, un amplio respiro che si articola attraverso eterogenei snodi problematici di profondo interesse, non solo per gli storici del diritto ma, altresì, per la più vasta comunità dei cultori della teoria generale del processo.
D’altronde, Antonio Palma, tenendo un atteggiamento pioneristico, ha da sempre concentrato la propria analisi su argomenti utili ad aprire suggestivi scenari su aspetti di ermeneutica giuridica che innervano le strutture processuali proprie delle nostre aule di giustizia e non solo del diritto romano.
Si pensi ai contributi che hanno indagato i parametri interpretativi come la benignitas, l’humanitas e la civilitas nella creazione ed applicazione del diritto[1] e che hanno dimostrato come la giurisprudenza romana attraverso l’uso di motivazioni umanitarie abbia cercato di rifondare la giuridicità in termini universalistici. Non solo. Ma in più occasioni Antonio Palma ha indagato i meccanismi e le dinamiche attraverso cui il giurista – sia romano che contemporaneo – ha tentato e tenta di offrire il suo apporto alla risoluzione dei problemi della società in cui vive e opera per il tramite di soluzioni che siano considerate comunemente come “giuste”. Così viene evidenziato come nell’esperienza romana la sententia risolutiva di un singolo caso seppur potesse rimanere isolata poteva comunque innescare un ampio dibattito sulla sua adeguatezza alle istanze sociali e al quale avrebbero dato il loro contributo – di varia qualità e valenza pratica – magistrati, giudici, giuristi e pubblica opinione. Un dibattito che avrebbe potuto condurre, qualora la decisione fosse stata condivisa da queste diverse parti, alla fissazione della regola che, come si approfondisce nel volume, avrebbe così dimesso il suo originario carattere episodico per porsi quale precedente da cui le decisioni future non avrebbero potuto facilmente prescindere.
Il Professore che manifesta, così, tutta la sua sensibilità di storico e giurista positivo, attento conoscitore dei meccanismi del diritto romano e contemporaneo, soprattutto amministrativo, dichiara la sua convinta adesione a un diritto, come quello romano, di marca giurisprudenziale perché capace di garantire il massimo di aderenza delle singole decisioni al senso comune. L’Autore traccia nelle sue pagine suggestivi margini di corrispondenza tra l’esperienza giuridica antica e quella moderna, nella quale l’attenzione è concentrata sulla giurisprudenza delle Corti e non su quella iurisprudentia quale prodotto caratteristico delle attività dei giuristi romani. Emerge, così, la cifra metodologica dello Studioso che da sempre lo ha contraddistinto: una costante tensione ad una disamina diacronica tra il passato e il presente. Forte di questa prospettiva il flusso argomentativo dell’opera si riversa, dunque, sia nella correlazione tra interpretazione del diritto, giurisdizione del magistrato e attività decisoria del giudice; sia nella connessione tra la regula iuris intesa come nucleo decisionale del caso concreto e un sistema di regole generali a fattispecie astratta elaborato dai giuristi. Sistema di regole di derivazione casistica, ma di struttura generale, che si connette con l’alternarsi di un pensiero giurisprudenziale che ritrova nel diritto controverso la sua più feconda manifestazione.
Il titolo stesso del volume evidenzia, d’altronde, l’opzione ideologica dell’Autore per una prevalente efficacia del giudizio e, dunque, della regola che dal giudizio germina sull’astratta e generica previsione legislativa.
Il professor Palma nelle sue pagine attraverso una ridefinizione dello ius controversum come diritto della controversialità sposta l’attenzione sul giudizio, sul giudice e sugli altri soggetti del processo, che concorrono, ognuno con la propria sensibilità, alla costruzione di un ciclo sapienziale dal quale scaturisce la res iudicata tesa a divenire regola di giudizio nella sua reiterazione giustificata dalla sua condivisibilità valoriale. Con ciò evidenziando come il diritto romano, come ogni ordine giuridico, non possa e non debba essere contemplato da un solo punto di osservazione, nel caso di specie quello dei giuristi. Nelle pagine che compongono il libro, il Professore Palma evidenzia, attraverso la lente dello storico volto alla comprensione del presente, il fenomeno di graduale superamento all’interno del diritto vivente delle differenze tra modalità, in sostanziale concorrenza, dell'interpretazione giurisprudenziale nei sistemi di diritto anglosassone e quelli continentali, che rappresenta il vero nodo problematico dell'attuale fase storica. In questa prospettiva, infatti, la Corte di Cassazione, come ricorda l’Autore, ha prestato l’avvallo alla prassi riduttiva della motivazione sulle questioni di fatto, ritenendo che il giudice abbia il dovere di motivare solo con riferimento alle prove su cui ha fondato la propria decisione, ma non in ordine a quelle contrarie, in tal modo esonerando, di fatto, il giudice dall'obbligo di esporre le ragioni della propria scelta: principio, questo, appena temperato dal dovere del giudice di appello di giustificare la decisione in ordine ai fatti principali della controversia, a pena di incorrere nel vizio di omessa o insufficiente motivazione.
Condivisibile fino in fondo è, in questa prospettiva, il punto di vista secondo cui a detta di Gabriella Muscolo "in un ordinamento in cui la legittimazione del giudice a dire il diritto è legittimazione democratica, la interpretazione creativa pone con maggiore urgenza la questione dei limiti alla discrezionalità del giudice"[2], per cogliere questo limite, appunto, nella motivazione della sentenza.
Viene indagata, in questa prospettiva, la natura della regula che è insieme: principio – norma – regola del caso, a seconda dalla strategia interpretativa di chi è chiamato a giudicare, siano essi giuristi o giudici. La costitutiva ambivalenza della regola si rispecchia così nelle fonti romane nella dialettica complessa tra regole consolidate che poi sistematicamente vengono disattese di fronte a casi limite, gli hard cases di cui ci parla Ronald Dworkin, ma non per l’intrusione di valori opposti a principi, ma per la costitutiva natura delle regole stesse. Infine, l’Autore, affronta dall’interno, attraverso una serrata esegesi testuale, il problema della denegatio actionis che sembra una conferma ulteriore di un potere giurisdizionale in grado di rompere il sistema delle regole, operando un adeguamento d’imperio della norma al caso ed alle esigenze sociali di giustizia. Sullo sfondo un contesto di pratiche processuali deformalizzate disponibili dalle parti dominate da una prevalente inafferrabilità documentale, l’oralità, con tutto ciò che consegue per istituti propri del diritto processuale come la definizione della res iudicata.
Numerosissimi, pertanto, i pregi di questo libro tra i quali il momento del rapporto dialettico con la modernità giuridica: il lavoro coglie i termini di un confronto tra le dinamiche processualistiche caratterizzanti ora il mondo romano, ora il mondo moderno
Di tutto questo, e di altro ancora, l’opera di Antonio Palma offre un nitido e affascinante affresco.







[1] A. Palma, Humanior interpretatio. Humanitas nell'interpretazione e nella normazione da Adriano ai Severi, Torino, Giappichelli, 1992; Id., Benignior interpretatio. Benignitas nella giurisprudenza e nella normazione da Adriano ai Severi, Torino, Giappichelli, 1997; Id., Civile, incivile, civiliter, inciviliter. Contributo allo studio del lessico giuridico romano, in Index, 12, 1983-1984, pp. 257-289.

[2] G. Muscolo, Il «volto non comune» della verità processuale, in A. Mariani Marini (a cura di), Processo e verità, Pisa, 2005, pp. 69-79.

Nessun commento:

Posta un commento