giovedì 29 marzo 2018

FABRIZIO GIULIMONDI: "RATING DI LEGALITÀ NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE"


I GIOVANI SONO I VERI ANTICORPI CONTRO LA CORRUZIONE E CONTRO LE MAFIE.  COME DICEVA FALCONE “SE LE GIOVANI GENERAZIONI NEGHERANNO IL CO0NSENSO ALLA MAFIA LA MAFIA FINIRA’ DI ESISTERE.
INIZIATIVA LUNGIMIRANTE PERCHE’ UNISCE TECMOLOGIE, BEST PRACTICE, TRASPARENZA, PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E CONTRASTO ALLA CORRUZIONE (E, QUINDI, ALLE MAFIE)

STATI GENERALI CONTRO LA CRIMINALITA’ ORGANIZZATA: Gli Stati Generali della lotta alla criminalità organizzata voluti dal Ministro della giustizia Orlando (e che si concluderanno questa settimana in presenza del Presidente Mattarella) vanno incontro a questo nuovo modello di approccio: “fotografare” ad oggi le esperienze e le modalità con cui in Italia il fenomeno viene affrontato nei diversi ambiti e, di conseguenza, evidenziare nell’ambito sociale, economico e culturale eventuali proposte di nuove prassi organizzative o misure legislative per meglio perseguire il contrasto a tutte le mafie. Il coinvolgimento delle associazioni dedite alla lotta ad esse è sostanziato un contributo prezioso.
Come suggerito dai tavoli tecnici di lavoro per gli Stati Generali Antimafia, due possono essere le strade da seguire: il rafforzamento della cooperazione del sequestro e della confisca dei beni mafiosi all’estero, unitamente al consolidamento della cooperazione internazionale, rendendo capaci gli uffici giudiziari italiani a compiere azioni oltre i confini nazionali
Di grande rilievo il lavoro svolto nei due tavoli su “Mafie e PA” e “Mafie ed economia” che hanno affrontato la fenomenologia delle infiltrazioni malavitose in questi settori estremamente strategici per lo Stato.
Il settore degli appalti pubblici è di primaria appetibilità per la Mafia che vi vede un modo per riciclare capitali illeciti ed ottenere lecite ed ingenti somme di denaro, fornendo contestualmente occupazione. Questo è un salto sociale e, mi si passi l’espressione, “culturale”, che le organizzazioni criminali stanno operando: dalla fase intimidatoria e violenta a quella della cooptazione della volontà umana tramite l’offerta di vantaggi ed utilità, come un posto di lavoro. La Mafia si struttura ad impresa, paragonabile ad una grande azienda multinazionale che vive nell’illegalità utilizzando, però, strumenti e percorsi formalmente legittimi. La prevenzione della infiltrazione mafiosa nelle gare d’appalto è uno dei grimaldelli principali per ostacolare l’avanzata del potere economico-mafioso, consentendo solamente alle imprese sane e tecnicamente e finanziariamente attrezzate di poter partecipare a procedure ad evidenza pubblica: se ne avvantaggia lo Stato che riceve lavori, servizi e forniture qualitativamente ottimi ed il mercato, che vede valorizzati i suoi operatori migliori.
Il rating di legalità e di impresa va esattamente in questa direzione. Il primo diventa un vero e proprio motore concorrenziale per le imprese, grazie ad un sistema di valutazione delle aziende, a fini premiali o sanzionatori, basato sul rispetto della normativa e dei codici di autoregolamentazione. L’affidabilità di un operatore economico è di primaria importanza non solo per la stazione appaltante, ma per le stesse imprese in fase di affidamento dei lavori in sub-appalto: è in questa fase che la Mafia si insinua ed è in questa fase che deve essere bloccata. Il rating di impresa, introdotto nella riformulazione del codice degli appalti, va esattamente in questa direzione, soccorrendo le stazioni appaltanti nella individuazione del soggetto aggiudicatario, che deve possedere sin dalla presentazione dell’offerta requisiti reputazionali in relazione alle proprie capacità strutturali e d’affidabilità.

Ai fini del rating le imprese dovranno:
  • rispettare i contenuti del Protocollo di legalità sottoscritto dal Ministero dell’Interno e da Confindustria, delle linee guida che ne costituiscono attuazione, del Protocollo sottoscritto dal Ministero dell’Interno e dalla Lega delle Cooperative e, a livello locale, dalle Prefetture e dalle associazioni di categoria;
  • utilizzare sistemi di tracciabilità dei pagamenti anche per importi inferiori rispetto a quelli fissati dalla legge;
  • adottare una struttura organizzativa che effettui il controllo di conformità delle attività aziendali a disposizioni normative applicabili all’impresa o un modello organizzativo ai sensi del d.lgs. 231/2001;
  • adottare processi per garantire forme di Corporate Social Responsibility ;
  • essere iscritte in uno degli elenchi di fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativi di infiltrazione mafiosa (le c.d. white list);
  • avere aderito a codici etici di autoregolamentazione adottati dalle associazioni di categoria;
  • di  aver adottato modelli organizzativi di prevenzione e di contrasto della corruzione




I PROTOCOLLI DI LEGALITA’
Negli ultimi anni si registra una grande diffusione dei “protocolli di legalità”, con cui le amministrazioni assumono, di regola, l’obbligo di inserire nei bandi di gara, quale condizione per la partecipazione, l’accettazione preventiva, da parte degli operatori economici, di determinate clausole introdotte per la prevenzione, il controllo ed il contrasto dei tentativi di infiltrazione mafiosa, nonché per la verifica della sicurezza e della regolarità dei luoghi di lavoro.
Molto frequentemente con detti strumenti convenzionali si estendono talune misure di controllo previste dalla legislazione antimafia (recentemente modificata) al di fuori dei casi strettamente previsti dalla legge.
Una fattispecie molto ricorrente è quella del subappalto che può essere acquisito solo da imprese appartenenti a determinate categorie e che hanno sottoscritto “protocolli d’intesa”.
TRASPARENZA E’ LA PREVENZIONE PER ECCELLENZA CONTRO I FENOMENI DI CORRUTTELA, CRIMINALI E MAFIOSI  Quanto sino ad ora accennato suggerisce la necessità di investire in trasparenza: una Pubblica Amministrazione intesa, per dirla con Turati, come una “Casa di vetro” costituisce il più grande ostacolo all’opera di corruttela, che sostanzia uno dei principali cromosomi del DNA mafioso.
Gli open data formano gli agenti di contrasto ai condizionamenti malavitosi degli apparati pubblici. Di questi anticorpi più se ne immettono nel sistema e più la resistenza alla ramificazione metastatica mafiosa è efficace e vincente.
IL PARLAMENTO ITALIANO SI È BEN ATTIVATO IN TAL SENSO.
                       I recenti provvedimenti adottati dal Governo, in particolare l’approvazione del decreto legislativo sulla corruzione tra privati (decreto legislativo 38/2017, in attuazione della delega prevista dall’art. 19 della legge di delegazione europea 2015 - legge 170/2016), costituiscono un ulteriore passo in avanti all’interno di un percorso riformatore che, in questi anni, ha inteso combattere senza quartiere la corruzione, riformulando le ipotesi criminose, aggravando la risposta sanzionatoria ed introducendo anche meccanismi premiali e di deterrenza.
L’intervento in esame si polarizza ancora una volta sia sui soggetti operanti che sulle condotte di reato punendo, per il reato di corruzione nel settore privato, coloro che svolgono funzioni direttive all’interno di un ente ed ampliano le condotte sanzionatorie ricomprendendovi anche l’istigazione alla corruzione.
Il fenomeno corruttivo provoca, infatti, danni all’interno del sistema, pubblico e privato, creando un deficit di trasparenza ed efficienza che incrina la fiducia dei cittadini nelle istituzioni e indebolisce il mercato, favorendo la concorrenza sleale e scoraggiando gli investitori stranieri. Il provvedimento ha completato la risposta normativa rispetto al fenomeno corruttivo tra privati, già colpita dal nuovo codice degli appalti che ha introdotto, tra le altre misure, il sistema del rating di legalità quale strumento di garanzia di accesso delle imprese sul mercato pubblico. Senza contare l’introduzione di poteri molto più pervicaci in capo all’ANAC sul fronte repressivo oltre che preventivo.
E’ necessario stabilire un lavoro sempre più sinergico fra tutti gli attori istituzionali che agevoli il nostro Paese ad implementare la propria crescita economica, i livelli occupazionali già in costante aumento ed il clima di fiducia (già migliorata), rafforzando contestualmente la cornice di legalità all’interno del sistema economico e sociale.
Vincere la sfida della legalità vuole significare, prima di tutto, una sfida che è prima di tutto culturale, sfida che devono, in prima battuta, compiere le aziende italiane nella propria azione economica: solo contrastando con efficacia gli incancreniti fenomeni mafiosi si può davvero ripristinare il rispetto della legalità nei rapporti sociali ed economici. Istituzioni e mercato hanno il dovere di garantire una leale concorrenza sul mercato, improntata a parametri di equità e di equilibrio sociale.  
Inoltre, occorre garantire una maggiore appetibilità delle strutture e delle funzioni statuali, a cominciare dalle regioni maggiormente in difficoltà dal punto di vista economico. Bisogna aiutare i cittadini a scegliere lo Stato e aiutare lo Stato stesso ad essere appetibile agli occhi dai cittadini. Dobbiamo rompere questo circuito pernicioso che conduce a trovare nelle mille opportunità sommerse dell’economia mafiosa le risposte ai piccoli e grandi drammi occupazionali e sociali esistenti, a maggior ragione in quei imprenditoriali sfibrati dalla crisi.
IL MERITO DEVE ESSERE IL CENTRO DELL’AZIONE POLITICA, ISTITUZIONALE E AMMINISTRATIVA. VALORIZZARE E “PUBBLICIZZARE” LE BEST PRACTICE DEVE ESSERE COMPITO PRECIPUO DELLA STESSA AMMINISTRAZIONE PER FAR VENIRE ALLA LUCE QUEL SISTEMA “DEI MIGLIORI” CHE GIÀ ESISTE ALL’INTERNO DELLE STRUTTURE PUBBLICHE E CHE DEVE ESSERE INCORAGGIATO E FATTO CONOSCERE ALLA PUBBLICA OPINIONE. QUESTA INIZIATIVA VA PROPRIO IN QUESTA DIREZIONE


·       LEGISLAZIONE E BUONA AMMINISTRAZIONE

·       Appare ad un primo approccio un dato meramente formale, ma in realtà il numero delle leggi e la loro qualità redazionale incide profondamente su una corretta gestione della “cosa pubblica”:  Corruptissima re publica plurimae leges” (affermava saggiamente Tacito).
·       Altissimo numero di leggi, struttura delle stesse, presenza eccessiva di articoli, commi, lettere, articolati composti da una unica disposizione con centinaia di commi, commi aggiunti con le diciture latine bis, ter, quater, etc, troppe sottodivisioni dei commi in lettere, terminologie troppo tecniche e poco comprensibili al comune cittadino, eccessive interpolazioni, determinano un complesso normativo di difficile lettura non solo per il quisque de populo, ma per gli stessi tecnici.
·       Se ci caliamo, poi, in seno alla complessa materia delle procedure ad evidenza pubblica ci si rende conto di quanto sia importante un approccio agevole di un testo legislativo. L’utilizzo di Testi Unici e Codici costituiscono strumenti utili ed efficaci e il codice degli appalti 50/2016, corretto con quello n. 57/2017, è senza dubbio un giusto tentativo di aiuto per l’operatore economico ed imprenditoriale onesto di accedere al mercato senza “tagliole” da parte delle aziende “scorrette”. La normazione sulla trasparenza e in contrasto al tentacolare fenomeno della corruzione risulta essere un ausilio di grande importanza per tutti coloro che interloquiscono economicamente, finanziariamente e commercialmente con la Pubblica Amministrazione. Una maggiore attenzione da parte del Legislatore  alle regole in tema di legistica può certamente consentire un più facile accesso al “mercato” da parte delle tantissime aziende e società oneste e capaci, avendo esse una maggiore agibilità fra le direttive e le procedure da rispettare. Non è cosa da poco una legge chiara con dettami certi che siano perfettamente compresi da un imprenditore, che comprende in pieno ciò che può e non può fare. Dalla chiarezza delle leggi deriva direttamente un mercato sano scevro da metastasi corruttive.



·       D.LGS. 231/2001 E MODELLI DI GESTIONE IN CHIAVE ANTICORRUZIONE
·       Art. 6 d.lgs. 231/2001
·       (Soggetti in posizione apicale e modelli di organizzazione dell'ente)
·       1. Se il reato è stato commesso dalle persone indicate nell'articolo 5, comma 1, lettera a), l'ente non risponde se prova che:
·       a) l'organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi;
·       omissis
·       3. I modelli di organizzazione e di gestione possono essere adottati, garantendo le esigenze di cui al comma 2, sulla base di codici di comportamento redatti dalle associazioni rappresentative degli enti, comunicati al Ministero della giustizia che, di concerto con i Ministeri competenti, può formulare, entro trenta giorni, osservazioni sulla idoneità dei modelli a prevenire i reati.
omissis
·       (Soggetti sottoposti all'altrui direzione e modelli di organizzazione dell'ente)
·       Omissis
·       2. In ogni caso, è esclusa l'inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza se l'ente, prima della commissione del reato, ha adottato ed efficacemente attuato un modello di organizzazione, gestione e controllo idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi.
·       3. Il modello prevede, in relazione alla natura e alla dimensione dell'organizzazione nonché al tipo di attività svolta, misure idonee a garantire lo svolgimento dell'attività nel rispetto della legge e a scoprire ed eliminare tempestivamente situazioni di rischio.
·       4. L'efficace attuazione del modello richiede:
·       a) una verifica periodica e l'eventuale modifica dello stesso quando sono scoperte significative violazioni delle prescrizioni ovvero quando intervengono mutamenti nell'organizzazione o nell'attività;
·       b) un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello.

·       L’ISO 37001 “Anti-bribery management systems” rientra nei modelli di organizzazione e di gestione di cui agli artt. 6 e 7 d.lgs. 231/2001, ed è volto ad aiutare le organizzazioni private (NB CONTRASTO COMUNE ED OMOGENEO ALLA CORRUZIONE SIA IN AMBITO PRIVATO CHE PUBBLICO) nella lotta contro la corruttela, dando vita ad una cultura di integrità, trasparenza e conformità. Anche L’ISO 37001 non può garantire lo sradicamento della corruzione, può implementare  le misure efficaci per prevenirla e incisivamente affrontarla. La 37001 specifica le misure e i controlli anti corruzione adottabili da un’organizzazione per monitorare le proprie attività aziendali al fine di prevenire la corruzione. Rientrano tra questi:
·       ·        la predisposizione di una politica anticorruzione,
·       ·    l’individuazione di un incaricato (oltre all’impegno del top management),
·       ·        la formazione a tutti gli interessati,
·        ·   la valutazione dei rischi specifici, la definizione di relative procedure, come ad esempio la regolamentazione di omaggi e regali, il monitoraggio dei fornitori e dei partner commerciali.
·       La razionalizzazione della data governance, ossia quell’insieme di strategie e processi che indirizzano e regolano l’utilizzo e la gestione informatica e telematica dei dati pubblici e privati, è vitale per il progresso digitale della pubblica amministrazione ed è uno dei nodi centrali della Strategia per la Crescita Digitale 2014-2020. L’Italia in questo settore sconta gravi ritardi rispetto alle amministrazioni di altri paesi competitor a livello globale ed europeo, pagando lo scotto dell’estrema frammentazione delle migliaia di micro-PA in fatto di gestione e conservazione dei dati.
·       Ai fini di una migliore governance del sistema e per garantire maggiore interoperabilità, è necessario operare ed anche orientare la scelta verso un utilizzo centralizzato. In questo senso solo il dato deve essere centralizzato affinché ogni ente della PA, sia locale sia nazionale, possa comunicare direttamente con la banca dati centrale. E’ opportuno garantire il collegamento diretto con i dati a livello centrale per ottimizzare la disponibilità di dati in modo omogeneo.
·       Nel concreto, dal momento che ogni singola articolazione della PA ha già un servizio e che tutte le strutture si stanno uniformando verso l’interoperabilità, non è necessario costringere il singolo ad adottare un sistema unico, ma è sufficiente premiare i modelli migliori a livello locale e spingere perché altri enti li assimilino, anche con il semplice principio di prossimità territoriale. .
·      
Nella PA vi sono dunque best practice di evoluzione digitale, a cui fare riferimento e a cui è giusto dare risalto. Pure la fatturazione elettronica, uno dei pilastri della strategia italiana per la PA 2.0, è una di queste. La percentuale di imprese tricolori che utilizza la e-fattura nei confronti della PA si attesta infatti al 30%, superando abbondantemente il dato medio dell’UE (18%)..

Dall’osservatorio della Commissione UE emergono però anche alcune ombre, legate allo scarso accesso a Internet per usufruire dei servizi pubblici. Sotto la voce e-government si legge infatti che nel nostro Paese solo il 24% dei cittadini utilizza la Rete per interagire con la Pubblica amministrazione, con un aumento di appena 4 punti percentuali negli ultimi 9 anni e contro una media nei 28 Paesi UE del 48%. Non va meglio con l’uso della Rete per accedere alle informazioni delle PA (19% contro media UE al 42%). Il risparmio sui costi è la grande priorità dei piani di digitalizzazione delle Pubbliche amministrazioni. Servono però un’azione organica, roadmap delineate e obiettivi precisi: “La PA italiana – afferma Carlo Mochi Sismondi, presidente di Forum PA - che è stata tra le prime negli anni ’90 a dare inizio ad una trasformazione digitale dei servizi, è rimasta però fortemente indietro in termini della loro diffusione e fruibilità e, spesso, non ha usato il digitale per trasformare processi e modelli organizzativi. Qui è la sfida e qui si orienterà lo sforzo di informazione, formazione e confronto fra soggetti della PA. Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione costituiscono il più potente strumento di cui i governi, aziende e soggetti del terzo settore dispongono oggi per risolvere le grandi sfide mondiali delineate dall’Agenda 2030”. Il digitale, rappresenta un fondamentale acceleratore del processo di attuazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile, che potranno essere realizzati sia avvalendosi delle tecnologie esistenti e già largamente diffuse a livello globale, sia sfruttando, e in alcuni casi orientando, gli sviluppi futuri dell’innovazione comunicativa tecnologica.

·       N.B. In data 13 novembre 2017 il Procuratore Nazionale Antimafia (D.N.A.) e il Presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione (A.N.A.C.) hanno firmato un Protocollo d’ Intesa per un reciproco scambio di dati e informazioni per una maggiore trasparenza nella Pubblica Amministrazione in chiave di contrasto al fenomeno della corruttela e delle infiltrazioni mafiose nelle procedure degli appalti.
     Fabrizio Giulimondi




giovedì 22 marzo 2018

FABRIZIO GIULIMONDI: "UFFICIO DEL PROCESSO E TIROCINANTI"



L’Ufficio per il processo è un progetto di miglioramento del servizio giustizia, che partendo da prassi virtuose di revisione dei moduli organizzativi del lavoro del magistrato e delle cancellerie, consente di supportare i processi di innovazione negli uffici giudiziari.
Il Ministero, nell’ambito delle sue competenze, ha posto in essere un programma di interventi, organizzativi e normativi, per fornire a Tribunali e Corti di appello, la cornice normativa, le prime risorse finanziarie e strumenti informatici per avviare l’organizzazione di strutture di staff in grado di affiancare il giudice nelle attività d’ufficio. I singoli uffici giudiziari, nell’ambito della loro autonomia, potranno dare la completa attuazione all’avvio di strutture di supporto e assistenza all’attività giurisdizionale dei magistrati.
Le attività che possono svolgersi nell’Ufficio per il processo sono di vario contenuto, anche in relazione al soggetto che le svolge: ricerca dottrinale e dei precedenti giurisprudenziali, stesura di relazioni, massimazione di sentenze, collaborazione diretta con il magistrato per la preparazione dell’udienza, rilevazione dei flussi dei dati statistici, et alia.
L’ufficio per il processo è anche un intervento che consente ai giovani di avere un’ulteriore opportunità formativa, affinché i giovani laureati possano acquisire strumenti di concretezza operativa a completamento della formazione universitaria. Formazione che consentirà maggiore consapevolezza e dinamismo culturale sull’innovazione tecnologica, organizzativa nelle future funzioni di magistrati, avvocati o altri operatori del diritto.
La legge di bilancio 2017 ha autorizzato i soggetti che stanno attualmente svolgendo l’ulteriore periodo di perfezionamento (1.502 persone) a proseguire l’attività, dalla data di entrata in vigore della legge di bilancio per altri 12 mesi (e dunque sino alla fine del 2017), nello stesso ufficio nel quale sono attualmente assegnati.
La legge di bilancio 2018 ha prorogato di altri 12 mesi, sino al 31 dicembre 2018, l’utilizzo degli indicati “tirocinanti”.
Il decreto legge n. 90/2014 (conv. in legge 114/2014)contiene due norme di importanza cruciale:
1)  Il 1° comma dell’art. 50 costituisce presso le Corti d’Appello e i Tribunali “strutture organizzative denominate ufficio per il processo”, di cui fanno parte, oltre al personale di cancelleria e ai giudici onorari, coloro che svolgono presso quegli uffici i tirocini formativi disciplinati dall’art. 37 della l. 111/2011 e quelli disciplinati dall’art. 73 della l. 69/2013.
2)  Il 2° comma dell’art. 50 modifica proprio quest’ultima norma (l’art. 73) prevedendo, da un lato, che i tirocini possano svolgersi, oltre che presso i Tribunali e le Corti d’Appello, anche presso le Procure della Repubblica presso i Tribunali; e dall’altro che l’esito positivo di questi stages costituisce titolo per l’accesso al concorso per magistrato ordinario.

Il legislatore ha riconosciuto il valore, l’efficacia e la potenzialità espansiva di quelle esperienze in cui gli stagisti sono stati proficuamente inseriti nell’organizzazione dell’ufficio.
Attualmente è possibile svolgere un tirocinio presso gli uffici giudiziari in base alle disposizioni di due norme: l’art. 37 della 111/2011 e l’art. 73 della l. 98/2013. Si tratta di tirocini che, pur avendo contenuto analogo, hanno presupposti e finalità differenti. Infatti:
I tirocini ex art. 37 presuppongono la stipula di una convenzione fra l’ufficio giudiziario e il consiglio dell’ordine, o la facoltà universitaria, o la scuola di specializzazione (SSPL); hanno durata di 12 mesi; sostituiscono il primo anno di pratica forense per l’ammissione all’esame da avvocato, o il primo anno del corso di dottorato o il primo anno della scuola di specializzazione.
I tirocini ex art. 73 non richiedono alcuna convenzione, né l’iscrizione del tirocinante alla pratica forense o alla scuola di specializzazione; richiedono però il possesso di requisiti soggettivi (età, voto di laurea, voti in alcuni esami); hanno durata di 18 mesi; sostituiscono il primo anno di pratica per l’ammissione all’esame da avvocato o da notaio; sostituiscono anche il primo anno di scuola di specializzazione, ma il tirocinante è comunque tenuto a sostenere le verifiche intermedie e finali (e quindi deve essere iscritto alla scuola e pagare le relative tasse); l’esito positivo di questo tirocinio costituisce titolo di preferenza, a parità di merito, nei concorsi pubblici, e titolo di preferenza per la nomina a giudice onorario.
In sostanza, i tirocini del primo tipo (che, nella pratica, sono stati attivati solo in base a convenzioni con gli ordini degli avvocati, non essendo state stipulate convenzioni con le SSPL) si inseriscono in un percorso formativo orientato alla libera professione; sostituiscono quindi (solo se vengono stipulate convenzioni con i consigli dell’ordine e alle condizioni in esse stabilite) un anno della pratica presso lo studio di avvocato; resta ferma la necessità per il tirocinante di completare il percorso svolgendo altri 6 mesi di pratica effettiva presso uno studio professionale. Al termine di questi 18 mesi, chi ha scelto di percorrere questa strada, potrà accedere all’esame da avvocato. Va anche notato che le convenzioni con gli ordini professionali prevedono di solito un controllo da parte del Consiglio sull’attività formativa svolta durante lo stage.
I tirocini del secondo tipo sono piuttosto destinati a chi intende entrare a far parte dell’amministrazione della giustizia; chi vi accede non è tanto interessato a sostenere l’esame da avvocato (per il quale dovrebbe svolgere 18 mesi di tirocinio più altri 6 di pratica legale effettiva: quindi 24 mesi invece di 18); intende piuttosto svolgere un’esperienza in stretto affiancamento a un magistrato, inserito nella organizzazione giudiziaria. Del tutto coerentemente quindi l’art. 73 prevede il titolo di preferenza, a parità di merito, nei concorsi; e considera questi stages titolo di preferenza per la nomina a giudice onorario.
L’art. 50 del decreto 90/14 ha invece (re)introdotto una prospettiva di sicuro interesse per gli studenti che puntano al concorso in magistratura e, al tempo stesso, una concreta possibilità per gli uffici giudiziari di disporre di quegli assistenti qualificati oggi indispensabili.
Va poi sottolineato che il tirocinio non si sostituisce alla preparazione teorica, indispensabile per il superamento del concorso. Lo studente che sceglie, però, questo percorso potrà (non già dovrà, essendo ben possibile la contemporanea frequenza dei corsi delle scuole di specializzazione) costruirsi questa preparazione teorica in modo diverso.

Fabrizio Giulimondi


“LADY BIRD” DI GRETA GERWIG



Lady Bird” di Greta Gerwig è un film (Golden Globe per il miglior film) sui primi passi nel mondo agro dolce della adolescenza, sulla voglia di fuga e sul desiderio una volta lontani di ricongiungersi con coloro da cui ci si è voluti a tutti i costi allontanare.
Film sfuggente - che si fa seguire ma che non parte mai, di sostanza ma senza costrutto - può far riflettere genitori e figli.
L’attrice che interpreta Christine 'Lady Bird' McPherson, Saoirse Ronan (Golden Globe per la miglior attrice in un film commedia o musicale), ha un volto molto espressivo e credo farà strada.
Fabrizio Giulimondi




lunedì 12 marzo 2018

“LE CARTE LIBERATE. VIAGGIO NEGLI ARCHIVI E NEI LUOGHI DELLE COLONIE PENALI DELLA SARDEGNA” DI VITTORIO GAZALE E STEFANO TEDDE (CARLO DELFINO EDITORE)


Le carte liberate. Viaggio negli archivi e nei luoghi delle colonie penali della Sardegna” (Carlo Delfino Editore) è un saggio estremamente approfondito, colto, attento ad ogni minimo particolare, e traccia la storia, anche sotto una visuale architettonica, edilizia e urbanistica, delle le colonie penali e delle aree geografiche che le hanno accolto e che le accolgono in Sardegna.
Gli Autori, con somma maestria, narrano le vicende delle colonie penali dagli Stati pre-unitari ad oggi, focalizzando la propria attenzione in relazione agli aspetti esistenziali di chi vi ha dimorato e vi dimora.
Le colonie penali rappresentano una storia di esseri umani, delle loro sofferenze e delle loro speranze, di donne e uomini che, mediante il lavoro, ritrovano se stessi, si ritrovano nella Comunità e si “fanno ritrovare” dalla societas. L’ambiente e la natura costituiscono elementi essenziali delle strutture coloniali penali e del lavoro che colà si svolge.
Un tempo ubicate in luoghi insalubri e malarici, oggi le colonie penali sono situate in aree ove la funzione terapeutica, rieducativa e di risocializzazione si può svolgere al meglio. La cura e l’allevamento degli animali da cortile, da pascolo e da stalla realizza un momento importante del percorso terapeutico al pari del lavoro agricolo e della produzione di prodotti caseari, culinari e alimentari
Lo zibaldone di fotografie d’epoca e contemporanee arricchiscono visivamente la studio accurato e dotto portato avanti da Vittorio Gazale e Stefano Tedde. Le foto formano, insieme alla scrittura, il linguaggio adoperato dagli ideatori per portare a conoscenza dei lettori, anche su un piano emozionale, le misure statuali di intervento sulle persone socialmente pericolose, a molti poco conosciute. Il lavoro scongela storie rinchiuse e tenute nascoste per decenni, mettendo a disposizione del lettore documenti, fascicoli, fogli matricolari, registri, minuziose relazioni di servizio, manoscritti redatti da internati, impilati in archivi o gettati in depositi: carte fredde e anonime piano piano prendono vita e assumono volti e nomi dei loro autori. Dalla damnatio memoriae si passa ad una rinnovata e inverata memoria collettiva.
Un autorevole lavoro letterario e figurativo che ha come “dietro le quinte” aspetti giuridici di primo piano inerenti l’ordinamento penitenziario nel loro sviluppo e nella loro evoluzione storica ed ordinamentale.
Fabrizio Giulimondi

"NOME DI DONNA" DI MARCO TULLIO GIORDANA


Marco Tullio Giordana è uno dei più capaci registi del cinema italiano politico -sociale e non possono non essere ricordate pellicole quali “Pasolini un delitto italiano” (1995), “I cento passi” (2000), “La meglio gioventù” (2003) e “Sanguepazzo” (2003), che hanno attraversato un florilegio di tempi, spazi e tematiche, dai misteri insoluti nostrani, alla mafia, ai sommovimenti post sessantottini, al terrorismo, al fascismo e alla lotta partigiana.
Non poteva Giordana non affrontare l’attuale e molto discusso tema delle molestie sessuali ai danni delle donne, specie nei luoghi di lavoro.
Il bel film “Nome di donna” vede una particolarmente brava Cristiana Capotondi (nei panni della coraggiosa molestata Nina) e attori come Valerio Binasco e Bebo Storti che riescono ottimamente nel loro intento di apparire luridamente invisi al pubblico, il primo in veste di dirigente profittatore di umili sottoposte, il secondo spregevole prete anch’egli con ruoli apicali nella casa di cura).
Il film si fa vedere assestando qualche pugno allo stomaco allo spettatore, che assiste basito allo sviluppo di una storia di ordinaria quotidianità per molte donne.
È un lavoro fatto di dettagli mimici e visivi cui bisogna prestare attenzione: l’espressione dell’avvocato donna (Laura Marinoni) del molestatore durante le udienze; il fazzoletto verde di marca leghista che in modo sfuggevole esce dal taschino della giacca di un componente del consiglio di amministrazione e che -  stranamente – è ben trattato al pari degli altri politici, pronti a costituirsi parte civile; la permanente, corporea, tangibile, irritazione delle compagne di lavoro avverso Nina, che vuole denunciare il vile e infame affronto subito. Quest’ultimo aspetto è ben analizzato da Marco Tullio Giordana: l’assenza di solidarietà fra donne, in particolar modo se una di loro è vittima di abusi, è dato esperienziale ed empirico ben posto in evidenza nella storia, provocando nella pancia dello spettatore più di un rigurgito acido.
L’atteggiamento guardingo e titubante del compagno di Nina (Stefano Scaldaletti) può apparire lontananza dai suoi problemi o menefreghismo, ma, in realtà, non è altro che una forma di protezione dallo strepitus fori giudiziario, dai mass media e dal tritacarne telematico.
Film intelligente, ben confezionato e altrettanto recitato che andrebbe visto in primo luogo dalle ragazze, per indurle ad avere un maggiore spirito di corpo.
Fabrizio Giulimondi



domenica 11 marzo 2018

"STORIA DELLA MIA ANSIA" DI DARIA BIGNARDI (MONDADORI)

I libri di Daria Bignardi sono autobiografie camuffate da romanzi- astuti e ammiccanti - con tratti immaginifici confusi, non riuscendo a comprendere il lettore dove finisca la realtà e incominci il prodotto della fantasia.
Non è da meno la sua ultima fatica “Storia della mia ansia” (Mondadori), che parla del tempo che si consuma contro la nostra volontà, un tempo pigmentato dall’ansia trasmessa dalla madre alla protagonista, proiettata a vivere nuovi amori volendo, in realtà, vivificare quelli antichi ancora presenti, nella consapevolezza che il domani potrebbe non arrivare mai. Un tumore cambia tutto: prospettive, baricentri, punti di fuga, angoli visuali, tonalità ed intensità dei colori.
Storia della mia ansia” racconta di una donna, madre di tre figli e sposata con un uomo - in fuga dalla realtà che ha ormai assunto il gusto aspro della malattia -, i cui giorni sanno di chemio, terapie ormonali, capelli che cadono e vene che si rifiutano di farsi bucare, e di un corpo imprigionato nella paura e nella nausea. Ma forse la parte migliore della vita si vive quando si pensa di dover morire.
La protagonista non ha un nome perché è lei che assorbe la narrazione, è lei stessa la narrazione, è il sole intorno al quale roteano il marito Shlomo, il potenziale amante Luca e gli assenti e anonimi figli e amici che compongono il dietro le quinte della storia.
È un libro sul “se”, quei “se” che tormentano l’esistenza di noi tutti e che rischiano di divenire la forza gravitazionale che fa precipitare il presente nel fosso di un  passato alternativo a quello veramente vissuto: “Se non mi fossi massacrata di lavoro, se mi fossi protetta di più, se avessi mangiato poco di tutto, se fossi stata moderata, razionale, se non avessi piantato grane, non mi fossi gettata in ogni fuoco e in ogni sfida, se non avessi sposato un uomo che mi fa soffrire, se mi fossi accontentata di gioire del vento tra i rami e non mi fossi spinta oltre i miei limiti forse il mio corpo avrebbe saputo tenere a bada il male. Ma non l’ho fatto. I miei errori sono ciò che più rimane. Gli entusiasmi, gli slanci, le emozioni e le passioni, i rischi che ho preso sono la mia vita. Gli errori hanno fatto di me ciò che sono.”
Le parole e i periodi sono un prolungato e allungato carpe diem senza confini, inni alla resistenza, cantici alla persistenza e alla permanenza, uno sciogliersi in quell’ “altro Io” che non conoscevamo e che il cancro ci costringe a conoscere.
La conclusione è irradiata da una rara espressione letteraria di inchino alla famiglia che, al termine di tutto, è il solo scrigno che protegge la persona quando i tetri demoni della malattia sopraggiungono e si affacciano all’uscio dell’essere umano: questo cammino costellato di dolore ed umiliazioni lo faremo insieme.
Allora il tempo si dilata e sento dentro qualcosa che mi scalda, ma è un lume, non è più una fiamma. Fa una luce bellissima.”
Fabrizio Giulimondi