venerdì 22 giugno 2018

"DENTRO L'ACQUA" DI PAULA HAWKINS














 


Paula Hawkins, dopo La ragazza del treno (la cui versione cinematografica è stata realizzata da Tate Taylor), è tornata nelle librerie con “Dentro l’acqua” (Pickwick), thriller “classico” con poco mordente. Lo schema della trama e della narrazione ripete modelli già conosciuti dagli appassionati del settore: un andirivieni nel tempo fra l’epoca della “caccia alle streghe” (che richiama alla mente l’ultima opera di Camilla Läckberg) e quella attuale, oltre l’intersecazione di storie ad incastro di una moltitudine di personaggi che, talora, si fa fatica a collegare fra di loro .
Ambienti liquidi e misteriosi che si aggirano intono ad un fiume che non smette di sommergere vicende familistiche pregne di un orrore scontato. Il romanzo cerca di dare una versione “giallo” alla questione femminile che vede vittime donne che non accettano la propria  condizione di servaggio, nel 1600 come oggi: “Il luogo che lei aveva evocato, un posto di donne perseguitate, di emarginate, di disadattate, che non rispettano gli editti del patriarcato, di cui mio padre era l’incarnazione.”.
Fabrizio Giulimondi

venerdì 8 giugno 2018

"DI OCRA E DI COBALTO” DI GIULIANA SARTI


Ma c’era un quadro di lui, rivelatore, negli anni tristi seguiti a Miguel, un quadro di grandi proporzioni, lo sfondo nero e cobalto, grappoli di fuoco al posto delle stelle sparite, alberi spogli neri e bruciati, e al centro il menino, il bambino, angoli aguzzi le spalle, angoli aguzzi le mani chiuse e strette al petto, occhi vuoti e orbite nere, croci ovunque e di lontano, come rimembranze, labili apparenze di sogno, una donna col capo reclinato sul suo piccolo in atto di protezione e di amore. Alberi spogli simili a mani imploranti. Quasi immateriale, piccolo e indifeso nel gran fragore e nella morte, nella guerra e nell’abbandono, la criança, la creatura innocente doveva essere il simbolo, un totem onirico e morale.”.
Diocra e di cobalto” (www.servizi-per-editoria.it) è la quarta fatica letteraria di Giuliana Sarti.
Quando si riesce a rendere palpabile la Bellezza non è agevole parlarne.
Scrivere un romanzo autobiografico come si dipinge un quadro. La parola come il colore. La parola usata sulla carta come una pasta pigmentata su un acquerello, sino a non riuscire più a vedere i contorni che li differenziano.
L’Autrice è dentro la parola e, in maniera raffinata, la manovra.  Questo è il libro delle parole e dei colori che si appaiano con tratti incerti, persi in un orizzonte confuso e tremolante simile a quello del Sahara immerso in una nube di sabbia rosso fuoco. La Sarti dipinge con la scrittura e la penna è un pennello usato con maestria che dà vita a parole che incarnano emozioni allo stato brado.
Non si capisce se una parola sia tale o, invece, sia un colpetto di spatola su una tavolozza o la voce di Edith Piaf o il fermoimmagine di una strada affollata di San Paolo o di un villaggio polveroso africano o, semplicemente, uno dei tanti mattoni di una magnificente opera architettonica.
Di ocra e di cobalto” è un lago placido cui improvvisamente irrompe un sasso violentemente lanciato, una passeggiata su una morbida moquette che muta in una distesa di spilli per diventare poi di chiodi, o il profumo di un fiore rosso acceso che prima sprigiona un delicato sentore di miele, per pungere inaspettatamente l’olfatto del lettore con un aroma acuto e penetrante.
 Di ocra e di cobalto” è un instancabile flusso di energia, è un andare e tornare, un salire scale che non hanno abbastanza pioli per discenderle.
Si odono da un luogo indecifrabile i ritmi malinconici della bossa nova e i suoni che usciranno dalle pagine conducono per mano il lettore a danzare la batucada.
E’ un libro errante, un incessante peregrinare di Dario, mentre la sua amata moglie Maria vaga ininterrottamente lungo sentieri impervi dell’anima che nessuno riesce a scrutare.
Un tocco leopardiano inebria d’immenso gli occhi soggiogati da parole che non racchiudono ma sono racchiuse da spazi infiniti, come le grandi foreste amazzoniche o la stilizzata ed algida Brasilia. Dal tappeto magnifico di aggettivi e giochi sintattici emergono Dario, Maria, Bruno, Lele e Miguel, come da una pittura la cui prospettiva si acuisce sempre più prepotentemente sino a fuoriuscire dal quadro come un bassorilievo: i loro sentimenti, emozioni e stati d’animo, prima tenui e soffusi come la luce ambrata e gentile di uno studiolo shakespeariano, irrompono nella narrazione senza più riguardi per alcuno, senza pelle, disincarnati nella loro più brutale autenticità nel tramonto della storia, non concedendo più scusanti alla saudade, alla malinconia, alla tristezza, alla sconfitta.
Come direbbe Sartre, la gardenia è un fiore che abbellisce il giardino di Maria o, forse, è il fiore che decora i capelli di Maria o, meglio ancora, è una parola che diventa una chiazza purpurea che si compone in fiore o, in realtà, non è altro che una voluminosa gardenia che si fa parola per impreziosire di flora tutta la storia?
Personaggi che delicatamente incedono e avanzano lungo lo sfogliare delle pagine per mostrare la loro tragicità ellenica solo al termine.
La parola che, poliforme e polimorfa, germoglia in architettura e musica e danza e pittura e impenetrabile quanto vigorosa scultura, ma anche in ornamento floreale; una trama che, posizionata in un primo momento sullo sfondo del palcoscenico, balza all’improvviso sul proscenio con fare accigliato.
La prosa abbraccia la poesia in un amoroso ed indistinguibile amplesso. Pagine immacolate che invadono lo spazio per conferirgli un senso di non più procrastinabile morte, di rassegnata fatalità, di destino a cui non ci si può più opporre, di solitudine carica di un amore denso come il sangue rappreso, di un irrinunciabile desiderio di tornare ad una forma eterea.
E’ il vecchio uomo addormentato che sogna di essere diventato una farfalla gialla – si domanda il “trovatore” Branduardi -  o è la farfalla gialla che sogna di essere un vecchio uomo addormentato alle radici di un albero?
Immergersi in un mare di letteratura per naufragare in essa: come è dolce questo abbandono in segni tinti nell’inchiostro “di un cielo imprigionato dai fili”!
La base su cui noi camminiamo è il quotidiano e le persone che noi amiamo sono quelle che ci salvano o ci portano alla distruzione. Siamo sempre accompagnati da una solitudine che ignoriamo, da un amore che non conosciamo appieno.”.

giovedì 7 giugno 2018

“DEREK DOLPHYN E L’ENIG-MAGO" DI CHRISTIAN CAPRIELLO (TULLIO PIRONTI EDITORE)


DEREK DOLPHYN E L'ENIG-MAGO

Derek Dolphyn e l’Enig-Mago” (Tullio Pironti editore), pregno di beltà e magia, è il sequel di Derek Dolphyn e il varco incantato. Dotato di una maggiore maturità ed esperienza autoriale, Christian Capriello continua ad indagare ambiti del fantasy sconosciuti ai più, con una ampiezza di vedute che oramai molti scrittori hanno perso (o non hanno mai posseduto). Capriello, la cui prospettiva culturale e fiabesca fornisce un tocco di unicità e signorilità ai suoi lavori, oramai è irrefrenabilmente proiettato verso dimensioni tridimensionali.
Fabrizio Giulimondi