venerdì 7 settembre 2018

FABRIZIO GIULIMONDI: "VIGILANZA DINAMICA: COSI' NON VA!"


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La graduale introduzione del sistema di “vigilanza dinamica”, di fatto, prevede che i detenuti siano aperti almeno 8 ore al giorno, si autogestiscano e siano impegnati in attività lavorative e trattamentali.
Nel corso del tempo si è avuto modo di riscontrare che tale sistema, però, non abbia sortito i risultati auspicati.
In circa il 95% degli Istituti penitenziari italiani è stato applicato tale sistema di vigilanza, o meglio, è stato garantita l’apertura delle celle per almeno 8 ore al giorno.
Tale ultima precisazione è necessaria in quanto nella stragrande maggioranza degli Istituti che gestiscono i detenuti a regime penitenziario aperto, gli stessi, non sono impegnati in alcuna attività lavorativa ma stazionano nei corridoi delle Sezioni detentive a far nulla.
Si è avuto modo di constatare, altresì, una graduale diminuzione del livello di vigilanza da parte del Personale di Polizia penitenziaria che, anche in considerazione della vetustà delle strutture penitenziarie e la difficoltà nell’investire per l’adeguamento sia strutturale che tecnologico delle strutture penitenziarie, ha inevitabilmente causato un incremento delle evasioni e un’esponenziale aumento delle aggressioni da parte di detenuti nei confronti del personale di Polizia Penitenziaria che dal 2015 ad oggi sono aumentate di circa il 15% all’anno.
Sempre per ciò che concerne la gestione del detenuto nell’ambito delle sezioni, un incremento pari al 15/16% si è avuto anche per ciò che concerne gli atti di autolesionismo, tentati suicidi, colluttazioni e ferimenti con, in alcuni casi, la costituzione di vere e proprie bande di ristretti organizzate per assumere mediante atteggiamenti violenti la supremazia ed il controllo sulla restante popolazione detenuta.
Ciò posto si ritiene di dover osservare che il nostro sistema penitenziario non sembra essere pronto al sistema di vigilanza in questione.
Ben vengano le innovazioni ma, le stesse, devono necessariamente garantire sia la sicurezza sociale che le aspettative delle persone detenute.
Quanto sopra denota che vi è un limite nella individuazione dei soggetti che possono essere gestiti con modalità aperte sia in ragione del titolo di reato ascritto sia, e principalmente, per il comportamento serbato in ambiente penitenziario che qualora ritenuto “non corretto”, non possono non essere oggetto di modalità custodiali più rigorose e di una assidua sorveglianza.

CONCLUSIONI
Obiettivo primario dell’Amministrazione Penitenziaria, dovrebbe essere che ogni istituto penitenziario possa avere la possibilità di gestire la popolazione detenuta, a custodia aperta e a custodia chiusa, ferma restando la possibilità, per coloro i quali sono gestiti a “custodia chiusa”, di revisionare nel tempo il giudizio di pericolosità e il conseguente transito dalla custodia chiusa alla “custodia aperta” a mo’ di concessione premiale e viceversa.
Fabrizio Giulimondi
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