martedì 16 aprile 2019

ALESSIA GIULIMONDI: "15 APRILE 2019"


 Guarda.
Guarda e trema difronte a una civiltà che crolla. Trema e grida mentre le fiamme divampano, mentre si spezza la guglia e cade e langue, mentre la nostra storia muore in televisione, in diretta mondiale.
Guarda.
Guarda l’incendio che mangia il legno, le arcate e la corona di spine. Guarda e trema e piangi perché non la rivedrai mai più. Questi sono gli ultimi attimi, gli ultimi istanti in cui potrai ricordare e soffri perché il mondo ha perso un’altra meraviglia.
Te li ricordi quei rosoni colorati? E la luce che entrava di soppiatto, fra il brusio e i passi della gente. Io sono rimasta a lungo con la testa all’insù a guardare gli angeli e i demoni, le statue e l’oro. E non lo sentivi sulla pelle il suono dell’antico, la voce di chi è passato di qui e poi se n’è andato? Non vedi come qui dentro la morte non esiste? Su questo marmo che ha visto i secoli passare e morire, in questo legno che parlava latino e ascoltava le preghiere e le riportava in cielo. Non lo senti il sapore di un mondo che non è più e di quello di prima e quello prima ancora, l’odore della storia che è passata e si è impressa sulle mura e ora vive accovacciata sulle panche, china sull’altare e ci guarda e noi la guardiamo? Non la senti che ti parla, non vedi come ti scorre attorno e danza e ti prende le mani e ti racconta di ciò che è stato? Non riesci a sentire questa musica che viene da lì dietro, proprio dietro le nostre spalle e dice di Napoleone e canta. Non lo vedi come brucia ora tutta questa nostra meraviglia, quest’antichità perduta che tutti odiano, che tutti snobbano? Non la senti straziarsi il petto, stracciarsi le vesti. Non senti le ustioni, le ulcere nello stomaco? Non vedi come i nostri dolori siano così piccoli in confronto ai suoi dolori? Perché con lei se ne parte la storia e la filosofia, con lei se vanno secoli di vita e di altre vite. Con lei perdiamo la poesia.  Con lei, la nostra signora fatta a pezzi, crollano i sogni di generazioni con le loro guerre, con le loro ossessioni e se ne parte la poesia. La poesia che ci nutre e ci assiste, che ci sorregge e ci ama. Perché in lei sopravvivevano mille miliardi di vite passate e future che si univano e si parlavano. In lei non c’era tempo, non c’era spazio, ma solo un punto, un minuscolo punto che univa il passato al futuro e li faceva dialogare, li faceva ridere e le maniche del tempo, le pieghe della memoria si toccavano e facevano l’amore.
Con lei se ne parte la bellezza, quella che ha resistito al tempo, davanti alla quale ci si inginocchia e ci si commuove. Con lei se ne parte l’eternità e la memoria, la trascendenza che illumina i nostri giorni senza ninfe e senza dei. Con lei se ne va quell’eco di sacralità remota e fragile che è per noi l’antico, che ci sussurra la sua saggezza e ci riscalda il cuore, ci racconta la nostra anima. E la nostra anima sobbalza anche se fingiamo di rimanere indifferenti, sobbalza nel vedere il fuoco che divampa e divora il nostro cielo pieno di stelle, la nostra eternità, la nostra memoria. La nostra anima risponde a un’altra anima, l’anima del mondo nella sua totalità che abbraccia Minosse, Omero e la Casa Bianca; Google e i volumi di papiro, Virgilio e la pagina Facebook. E lì dentro gli angoli remoti della storia si toccavano e nessun uomo era mai morto, Cristo non era mai risorto, perché era tutto fermo, fisso nella creazione e nella morte insieme, dove la vita si eleva nell’immobilità dell’arte e trova la sua immortalità.

Alessia Giulimondi

venerdì 12 aprile 2019

FABRIZIO GIULIMONDI: "IL DESIDERIO SOVRANO ASSOLUTO"

Il desiderio è sovrano, unico parametro, paradigma, archetipo e norma auto – prodotta. Il desiderio in quanto unico sovrano deve rimuovere ogni limite che possa contrastarlo al fine di impedire che la sovranità del desiderio sia ostacolata nel suo libero e arbitrario dispiegarsi. La discrezionalità è infarcita di regole. L’arbitrio non conosce regole. Il desiderio è arbitrio che si pone come legge. Ogni limite di qualunque natura al desiderio come unico sovrano sarebbe inevitabilmente colto come insopportabile argine alla sovranità del desiderio. La sovranità in ragione della sua stessa natura tende ad assolutizzarsi e si norma autonomamente, manifestandosi all'esterno (finché esisterà) in veste di principio assoluto. Il limite è un intralcio, discrimina l'assolutismo del desiderio. Il desiderio coniugato alla scienza e alla tecnica consolida il proprio assolutismo. La scienza e la tecnica sono a loro volta sovrane e tendono per propria natura ad espandersi sino ad abbracciare qualunque aspetto esistenziale in ragione del fatto che ciò che è scientificamente e tecnicamente possibile non può che implementare l'estensione illimitata del desiderio/ sovrano assoluto che è norma a se stessa, principio di tutte le norme invero  fatte della sostanza della prima norma, formali filiazioni della norma fonte, ossia il desiderio-assoluto-sovrano-illimitato, vera e autentica norma sostanziale e vincolante le altre norme, sola norma vivente: il desiderio che basta a se stesso, principio  e conclusione della condotta umana, intesa come movimento cinetico dello stesso desiderio. Il desiderio nel suo nucleo atomistico è assolutistico e insensibile a qualsiasi limite, argine, confine, termine, avvertiti al pari di minacciosi ostacoli. Il desiderio abbisogna di gemellarsi con la parallela sovranità assoluta della scienza e della tecnica le quali, in sinergia con il primo creano un assoluto sommatoria di due assoluti. L'assoluto del desiderio e l'assoluto della scienza plasmano l'assoluto dell'Io, un Io che incorpora, invera, incarna, plasma due assoluti. Il desiderio meccanicamente si espande e per propulsione interna -  dovuta alla propria natura eternamente in cerca di oggetti da desiderare ed ingoiare -  tutto ingloba e tutto attrae, supportato con necessario cameratismo dall'assolutismo della scienza e della tecnica. Ogni limite, ostacolo, argine, sono percepiti come discriminanti, ingombri tesi ad imporre un discernimento inconcepibile per l’esistenza del desiderio, ontologicamente incompatibile con qualsiasi recinto che ne freni o rallenti l’azione in eterno divenire.  La sua mancata realizzazione determina l’insorgenza della inesistenza del desiderio, perdendo esso la propria connotazione per cui esiste, ossia desiderare senza impedimenti: il non esaudimento del desiderio fa collassare le fondamenta di quest'ultimo, che si suicida. Il desiderio è assoluto ed esiste per essere esaudito e il suo non esaudimento nega se stesso. Un desiderio che non viene esaudito è un simulacro di desiderio, lo rende inesistente. Il desiderio deve portare a compimento se stesso per non divenire un non essere. Il desiderio o si compie o non esiste più o non è mai esistito. Il desiderio esiste in quanto si realizza. È essere che include l'azione della sua realizzazione per tornare all'essere. Il desiderio è impossibilitato a rimanere statico in virtù della forza motrice che lo muove che, per fisica antropologica, necessita di realizzazione permanente di se stesso, inclusiva dell'azione di realizzazione per captazione degli oggetti del desiderio da inglobare. Il desiderio è un essere in perenne divenire, in ricerca di continue realizzazioni di se stesso, acquisizione di oggetti del proprio desiderio da prelevare dall'esterno e portare al suo interno. Il desiderio è essere che esiste solo nel realizzare se stesso. Essere che nel divenire si mantiene come essere. Se non realizza continuamente se stesso non esiste più, si auto-demolisce. Il desiderio necessita per essere, ossia per esistere, della continua realizzazione di se stesso e, quindi, è essere che attrae in se stesso oggetti esterni a sé. Il desiderio esiste proprio nella attrazione di ogni oggetto del suo desiderio - posto al suo esterno -   al suo interno facendolo divenire parte del proprio essere. Il desiderio esiste solo desiderando continuamente, prendendo l'oggetto del proprio desiderio e facendolo divenire parte di se stesso. Essere. Azione. Poi di nuovo essere per poi ancora trasformarsi in azione e compiere una metamorfosi ossessiva dell'azione in essere, e dell'essere in azione al fine di far perdere all'oggetto del desiderio la sua autonomia per mutarlo in una parte inanimata e non più autonoma del desiderio/essere. Il desiderio/essere renderà l'oggetto esterno del proprio desiderio (termine finale dell'esercizio dell'azione costante che qualifica esistente il desiderio), una volta acquisito, parte non più identificabile di se stesso.  Il desiderio ha portato a compimento se stesso nell'acquisire l'oggetto della propria azione desiderante cooptandolo nel proprio interno e facendolo divenire parte di se stesso.  È la medesima natura autoritaria, anzi totalitaria, della sovranità assoluta del desiderio a non consentite l’accettazione di altro da se stesso e ad imporsi a qualsiasi elemento sia in rerum natura, cioè al di fuori di sé desiderio. La Natura esterna ed oggettiva, animata e reale, non è consentanea alla natura tirannica e assolutistica del desiderio che può solo desiderare, volere, anelare a tutto ciò che è posto al di fuori di se stesso per annientarlo in se stesso, unico modo per consentire la propria permanenza in vita. Il desiderio, pertanto, è per moto proprio volto alla espansione illimitata di se stesso, in quanto finché sussiste l'esterno il desiderio può ancora inglobarlo: il desiderio esiste per desiderare tutto ciò che non ha ancora ottenuto e finché esisterà un altro fuori da sé esisterà il desiderio.  Il desiderio desidera l'altro da sé e per moto incessante agirà per fagocitare tutto ciò che esiste fuori dal suo essere. Il desiderio o è assoluto o non è. É prescrizione ineludibile del desiderio internalizzare l’esterno e metamorfosizzare l’oggetto del desiderio da dimensione del vivente a parte ignota del desiderio/essere. La dicotomia lecito e illecito è estranea al desiderio perché limiterebbe la sua azione ponendo in non essere se stesso. Il desiderio è sovrano assoluto e illimitato, non conosce né può conoscere il lecito e l'illecito, perché altrimenti estinguerebbe se stesso. L'etica, la morale, la politica, la sociologia, la psicologia sono plurime, pulviscolari, comunitarie, accumunanti, affascianti più e indeterminati soggetti, mentre il desiderio appartiene solo e soltanto all'Io, incessante desiderio pulsante personificato in una individualità monadica, solipsica, solitaria, disperata. La liceità o l'illeicità costituiscono un freno alla sovranità assoluta ed illimitata del desiderio, anzi, il freno nega l'esistenza stessa del desiderio. Il desiderio in quanto assoluto e illimitato non concepisce freni. Il desiderio è desiderio. La liceità esiste solo se soggettiva per essere compatibile con il desiderio in quanto componente del desiderio. Il desiderio, soggettività pura, conosce solo una liceità, una etica e una morale soggettiva, la propria, quella del desiderio stesso che decide ciò che è lecito, morale o etico, ossia ne nega la valenza eteronoma ed eterodiretta. Ogni desiderio decide ciò che è lecito e ciò che non lo è assolutizzando la soggettività dell'etica. È il desiderio a qualificare l'etica, non viceversa. L'etica non è esterna ma interna al desiderio: non esiste se non ad colorandam di una pulsione istintuale primordiale, conseguenza della pura soggettività del desiderio, istinto non mediato ma sorgivo, iniziatico bing bang, comportamento irrefrenabile; l'etica auto - creatasi nella perenne staticità (in un apparente divenire) dell’Io ne è la componente informe, anodina, unilateralmente e incondizionatamente potestativa e, pertanto, anarchica. Il desiderio stabilisce ciò che è lecito e ciò che non lo è.  L'istinto è il substrato del desiderio e la decisione ne è solo l'aspetto estetico, simulatamente razionale. Il desiderio è la sostanza la decisione la mera forma, pura apparenza. L'istinto è la parete tinteggiata dalla decisione. Il desiderio è unico motore, inizio e fine, buco nero che addensa in se stesso tutto ciò che vi è all'esterno. L'oggetto del desiderio è il desiderio stesso, la propaggine della sua espansione, la unica meta finale, la sua vera e unica ratio: soggettivizzazione del desiderio, oggettivizzazione del soggetto, soggetto che muta in oggetto e oggetto che diviene soggetto.  La personificazione del desiderio si struttura nell'Io che è istinto che si fa desiderio per trasformarsi in azione, che avvince a se medesimo l'oggetto prelevandolo dall'esterno e facendolo divenire parte indistinta del proprio essere. Istinto. Desiderio. Azione. Oggetto che passa dall'esterno all'interno. Essere. Di nuovo azione ossessiva, costante, permanente, compulsiva, dando corpo al proprio naturale e tirannico assolutismo che nulla vuole fuori da sé ma tutto in sé.
L'Io è desiderio e il desiderio l'Io che in se stesso assomma e comprime tutti gli oggetti del proprio desiderio che divengono il desiderio stesso e il desiderio è sovrano assoluto e illimitato, non permettendo l'esistenza di nulla al di fuori di se, ma tutto in sé. Il desiderio è forza coercitiva di se stesso e non tollera nulla che possa frapposi fra se stesso e l'oggetto della sua azione desiderante: l’oggetto del desiderio diviene il desiderio stesso, e il desiderio sostanzia l’Io che nella sua continua e improcrastinabile espansione non riconosce nulla al di fuori del proprio essere che si fa azione cooptante di beni che da aerobici mutano in anaerobici. L’Io desiderante riconosce a se stesso come unica legge solo il proprio desiderio che non ammette altro che se stesso. Il desiderio vuole solo desiderare e il desiderare vuole l’oggetto del suo desiderare e, una volta ottenuto e divenuto di nuovo semplice essere in posizione statica necessita subitaneamente di desiderare l’altro da sé in un moto perpetuo di desiderio, oggetto da desiderare, oggetto ottenuto con il desiderio pronto per desiderare immediatamente altro. Il desiderio esiste soltanto se diventa azione. Il desiderio sostantivo si coniuga inscindibilmente con il verbo desiderare. Il desiderio esiste perché desidera. Il sostantivo ed il verbo sono la stessa cosa e anche il verbo e il suo complemento oggetto (l'oggetto del desiderare) si identificano e il medesimo complemento oggetto, al termine, si aggancia al sostantivo che è il desiderio che si incorpora nel complemento oggetto. Il desiderio desidera sempre qualche cosa: il desiderio si identifica nel desiderare, il desiderare nel qualche cosa che desidera, il qualche cosa desiderato che diviene l’Io desiderante/desiderio, e così via. Un circuito di soggetto, verbo e complemento oggetto che, in realtà, sono un unicum: uno e trino (Il desiderio che è l'Io desiderante e l'Io desiderante che è il desiderio stesso -  il desiderare come verbo e, quindi, come azione - l’oggetto destinatario del desiderio che si è fatto azione del desiderare -  l’oggetto desiderato e acquisito nell’Io che, a sua volta, diviene quell’oggetto, non essendovi più un discrimine fra Io desiderante e oggetto desiderato).  Il limite etico è fittizio perché è l’Io desiderante stesso che lo crea a sua immagine e somiglianza e, invero, l’etica non è altro che l’immagine creata dallo stesso Io desiderante. L’etica è la proiezione onirica, immaginifica, irreale dell’Io desiderante che si crea un fondamento -  in realtà inesistente -  alla sua esistenza. L’Io desiderante, ossia il desiderio che si personifica e si soggettivizza, non ha necessità dell’etica perché basta a se stesso e forgia una immagine narcisistica di se stesso ma, appunto, una immagine che, in quanto tale, è irreale. È reale solo il desiderio che si è dato un fondamento “etico” inesistente, ancorandosi unicamente a se stesso e non ad un patrimonio morale e valoriale oggettivato dall’esterno e nell’esterno. Il desiderio inventa una ragione fondante di se stesso, ragione che non esiste perché il desiderio è fondamento, ragione, causa e fine di se stesso e trova la sua ragione di essere nell’acquisire gli oggetti della sua azione desiderante, continuando ad esistere finché esisteranno oggetti esterni a se stesso da desiderare e da acquisire nel suo essere. L’etica vive nel cono d’ombra del desiderio ma è il desiderio stesso, il desiderio che inganna se stesso: l’etica individuale è auto-creazione, inganno del desiderio che vuole opporre giustificazioni al suo esistere e non consentire ad etiche esterne -  oggettivate dall’esterno e nell’esterno -  di penetrare in se stesso. L'etica è un punto di vista che non desidera, è specularmente opposto al desiderio ed è incompatibile con l'assolutismo illimitatamente sovrano del desiderio. L’etica è non desiderio che contrasta il desiderio che si fa assoluto e sovrano.  Per l'Io assoluto composto di solo desiderio assolutizzato sarebbe elemento disgregante ammettere elementi estranei a se stesso. I diktat etico-morali, politici e sociali costituirebbero un virus incontenibile e insopportabile che attiverebbero una rapida procedura di destrutturazione dell'Io - buco nero - desiderio assoluto posto a norma assoluta di se stesso. L’etica oggettivizzata e sostanziantesi in regole che parassitizza il desiderio relativizzandolo.  L'etica oggettiva che riconosce leggi a se superiori e che vede nel non desiderio il proprio substrato connettivo desovranizza e deassolutizza il desiderio, rimuovendolo dal trono.  L'Io cessa di essere Dio di se stesso, oggetto di divinazione e divinità esso stesso. O v’è l’etica esterna, oggettiva e soggetta ad altro, capace di partorire l’homo socius, ovvero v’è l’etica individuale che configura un Io solipsico e narciso che crea una propria etica, altrettanto solipsica e narcisa, individualità che si fa sovrano e Dio. Tante etiche per tanti desideri per tanti individui per tanti Io assoluti per tanti individui sovrani di se stessi.
L’Io che avrà esteso se stesso sino ad abbracciare ogni latitudine e longitudine degli oggetti da desiderare, nella sua imperitura azione desiderante giungerà al suo massimo compimento nella propria eliminazione perché, inglobato l’ultimo oggetto da desiderare, non avrà più null’altro al di fuori da se da catturare nella sua azione desiderante e, cessata la realizzazione di ogni desiderio, venendo meno il proprio esercizio desiderante che compone il suo essere stesso, verrà meno l’essere stesso. Il desiderio è essere che si fa azione desiderante ma, venendo meno ogni oggetto esterno a se stesso da desiderare, verrà meno anche il compimento della azione desiderante facendo venire meno lo stesso desiderio come essere che compone ed è lo stesso Io. L’Io -  che non pone in essere più l'azione desiderante perché non v’è più nulla da desiderare in quanto tutto è stato desiderato e nulla v’è più fuori dal desiderio e tutto è dentro il desiderio - cessa di esistere perché vengono meno le ragioni, le cause, le fondamenta e i motivi della sua esistenza. L’essere scompare e con esso la sua soggettivizzazione e la sua personificazione: l’Io desiderante non è più Essere ma Non Essere. Non esiste più. Fuori di esso non v'è più nulla. Anche dentro non v'è più nulla, perché è venuto a scomparire anche l'Io essendo evaporato l'Io desiderante che era l'unica componente dell'Io. Il desiderio è non essere, l'Io desiderante è non essere. L'io è non essere. Il di fuori di sé, ossia l'esterno oggetto del desiderio oramai tutto esaudito, è non essere. Il Non Essere ha sostituito definitivamente l'Essere.
Fabrizio Giulimondi

giovedì 11 aprile 2019

"IL PROFESSORE E IL PAZZO" di FARHAD SAFINIA


 
"Il professore e il pazzo" del regista iraniano Farhad Safinia si posa su due pilastri: un tragico senso di colpa e la parola elevata ad altare. James Murray (Mel Gibson) incarna l'amore per i vocaboli, la loro storia, la loro ragione d'essere ed il loro mutamento di significato semantico nel fluido contesto del linguaggio, tracciato fra le pieghe dei romanzi dei giganti della letteratura.
Il dottor William Chester Minor (Sean Penn) - grazie a una mirabile mimica, corporeità e gesticolazione unita ad una rude, aspra e dolce vocalità - esprime potentemente l'angoscia imperdonata e imperdonabile per un delitto compiuto, per la vedova e gli orfani creati, per il ferale bacio dato alla moglie dell'assassinato.
Austeri saloni vittoriani, biblioteche che accolgono in librerie di Sua Maestà Britannica volumi che disvelano i segni visibili di sonorità  che galleggiano nell'aria, manicomi in cui la ricerca della salvazione  di menti offuscate si appella alla forza della lingua, per poi cedere orribilmente il passo alla barbarie: il film girovaga lungo ambientazioni auliche e sfarzose,  vuoti simulacri di animi contorti ma anche di intendimenti gentili ed ambiziosi, che vogliono donare all'impero inglese e alle ex colonie in Terra nordamericana il primo Oxford English Dictionary.
Parola e malattia mentale, follia e tangibilità estetica del fonema in un raffinato e non sempre agevole racconto del primo ottocento britannico.
Fabrizio Giulimondi