venerdì 28 febbraio 2020

"ESODO" di e con SIMONE CRISTICCHI al TEATRO VITTORIA in ROMA SINO ALL'8 MARZO


Esodo” è il secondo debutto teatrale di Simone Cristicchi come autore (insieme a Jan Bernas), regista e attore, dopo la sua prima esperienza sul palcoscenico con “Magazzino 18”, che lo ha visto oggetto di minacce di morte e ritorsioni - oltre gli spazi che lo ospitavano di danneggiamenti - per aver osato parlare di foibe.
Due date: 8 settembre 1943, 10 febbraio 1947.
Due numeri: 350.000 profughi italiani istriano-giuliano-dalmati; non meno di 10.000 infoibati.
Da chi fuggivano? Chi li infoibava? La ferocia tirannide comunista del maresciallo Tito che voleva slavizzare “con ogni mezzo” terre da secoli abitate da italiani.
Cristicchi per un’ora e mezzo con la prosa e la musica ferma il tempo, dirada lo spazio, accelera i battiti cardiaci del pubblico, inumidisce gli occhi dello spettatore.
Cristicchi con altitudine fisica, interpretativa e morale domina la scena e per un’ora e mezza irrompe nel silenzio odioso, premeditato e violento costruito dalla storiografia dei soliti noti che aveva imposto al Popolo italiano di non sapere.
La tragedia di una Comunità si fa verità e la verità finalmente si fa storia e la storia arte e l’arte scorre lungo le vene di chi ascolta e guarda e si emoziona e…ora sa.
I muscoli si rilasceranno solo dopo un poco che sarete usciti dal teatro.
Simone Cristicchi: il coraggio di un artista a tutto tondo.
Fabrizio Giulimondi   




lunedì 24 febbraio 2020

"PICCIRIDDA - CON I PIEDI NELLA SABBIA" di PAOLO LICATA


"Picciridda - Con i piedi nella sabbia", opera prima di Paolo Licata (produzione: Panoramic Film, Moonlight Pictures e Alba Produzioni), tratto dal romanzo "Picciridda" di Catena Fiorello, è bellezza estetica veritiera, poetica degli sguardi, dei volti e dei silenzi. I dialoghi sono composti di parole e immagini che raccontano esistenze fatte di particolari che mutano in tratti poetici: occhi che emozionano, piedi che fanno sentire la frescura della sabbia, mani, dita, vesti, mobilia, vaste vedute e angusti cortili. La morte fa parte della vita e punteggia il trascorrere dei giorni di Nonna Maria (Lucia Sardo, la Eleonora Duse siciliana), il pathos riposa nella quotidianità, la drammaticità dimora nella vita di tutti i giorni. Fronti indomite e visi fieri che la sofferenza non ha spezzato accompagnano con la ritmica musicalità del siciliano Lucia (interpretata da una straordinaria neofita del cinema italiano, Marta Castiglia), presenza eroica nella sua semplicità. Licata passa dalle luci intense di Favignana ad una penombra che disvela cupi ricordi. L'oscurità dell'animo si tinge delle tinte dell'ambiente circostante. Una chiazza di sangue scaturita da violenza infame riceverà autentica quanto verace giustizia.

La narrazione, fra amori spezzati e antichi rancori di una Sicilia persa nel tempo, rende intensa la vergogna, la solitudine, l'amore, la durezza, l'umiliazione, la brutalità, il coraggio di una ragazza che per guardare al futuro non può non chiudere i conti con il passato.
Che la proiezione abbia inizio!
Fabrizio Giulimondi 


giovedì 20 febbraio 2020

"LA VITA BUGIARDA DEGLI ADULTI" di ELENA FERRANTE (edizioni e/o)


Dopo la splendida tetralogia "L'amica geniale" - riprodotta anche su piccolo schermo -, Elena Ferrante ha immesso nel circuito librario un ultimo romanzo: "La vita bugiarda degli adulti" (edizioni e/o). L'energia cinetica creativa e letteraria mostra, almeno in questo lavoro, una battuta d'arresto. "La vita bugiarda degli adulti" è un mosaico stinto, un'antica bellezza appannata, un brano musicale ripetitivo. Alla grandiosità del modus scribendi della Ferrante si contrappone un contenuto stantio che estende la storia dell'"Amica geniale" dai rioni ai quartieri alti di Napoli, Vomero e Posillipo. Giovanna è una Lila all'ennesima potenza. Anche qui v'è un reticolato di protagonisti, coprotagonisti, personaggi secondari, comparse, affasciati tutti da una napoletanità volgare e oscena e da una bassezza di costumi. La destrutturazione individuale, familiare e sociale è il nume ispiratore dell'Autrice. Una polvere di degrado copre ogni volto, ogni azione, ogni pensiero. Non un genius loci ma un miser loci permea il racconto di un'adolescente in crisi giovanile circondata da famiglie fallite e da frustrazioni che rendono un tutt'uno ragazzi e adulti, la cui scontata analisi psicologica ne banalizza la ricerca introspettiva. Devastazioni interiori ed umane oltre l'immaginabile scaturiscono da una frase sbagliata proferita da un padre alla figlia tredicenne. Il finale tragicomico della deflorazione della fanciulla intorno a cui rotea la narrazione è squallido, come l'Umanità dipinta dalla Scrittrice. Le tinte grigie necessiterebbero, talvolta, di qualche chiazza maggiormente vivida.
Fabrizio Giulimondi

sabato 15 febbraio 2020

"GLI ANNI PIÙ BELLI" di GABRIELE MUCCINO


La narrazione, la sceneggiatura e le tecniche per punteggiare il trascorrere del tempo (gli scontri politici, la Caduta del Muro, Mani Pulite, l’avvento di Berlusconi, le Torri Gemelle, scandiscono lo spazio temporale di svolgimento dell’azione scenica) rientrano in un canovaccio oramai ampiamente sperimentato nei film su amici che, perdendosi e ritrovandosi, vivono intensamente la propria e la vita dell’altro, in una perenne intersezione di storie che  divengono un unico quadro corale  finale.
Gli anni più belli” di un grande Gabriele Muccino è tutto questo, ma rinvigorito da un pathos ben avvertito dal pubblico che ne rimane avvinto e soggiogato. Dal 1982 ai giorni nostri brani da Baglioni ai Simple Minds accompagnano un quartetto sinfonico attoriale straordinario (Pierfrancesco Favino, Micaela Ramazzotti, Kim Rossi Stuart, Claudio Santamaria), in un lungo, emozionante, commovente e convincente racconto che parla di una amicizia immersa nella bellezza di Roma e nella quotidiana drammaticità che la vita riserva ad ognuno di noi, una drammaticità mai soverchiante, perché alla fine la foto del capodanno vedrà sempre quegli stessi quattro ragazzi di quella lontana notte di San Silvestro di quarant’ anni prima, tre ragazzi e una ragazza diversi e eguali come allora.
Fabrizio Giulimondi


venerdì 14 febbraio 2020

"SAN GIOVANNI PAOLO MAGNO" di PAPA FRANCESCO con LUIGI MARIA EPICOCO (SAN PAOLO).

 















"San Giovanni Paolo Magno" di Papa Francesco con Luigi Maria Epicoco (San Paolo).
Recensire un'intervista a Bergoglio, ad opera di Luigi Maria Epicoco, sulla immensa figura di San Papa Giovanni Paolo II nel centenario dalla sua nascita non è un batter di ciglia.
L'attuale Pontefice tramite un gioco di parallelismi e intersezioni ripercorre la propria vita umana, sacerdotale, vescovile, cardinalizia e papale attraverso le medesime tappe percorse dal gigante del XX secolo, Karol Wojtyla, dalla sua venuta al mondo il 18 maggio 1920, alla sua elezione a Pontifex Maximus il 16 ottobre 1978 sino alla sua morte.
Il Vescovo di Roma argentino si identifica con il pensiero teologico e pastorale del Successore di Pietro polacco e, per mezzo di questo breve scritto, rimarca in maniera granitica punti fermi della Tradizione della Chiesa Cattolica Apostolica Romana.
Possenti ed estremamente chiare le pagine sul gender. L'intervistatore chiede: "Secondo Lei, in questo momento storico qual è la modalità più specifica attraverso cui il male si fa presente e agisce?". Papa Francesco risponde senza giri di parole: "Una di queste è la teoria del Gender".
L'annuncio del messaggio cristiano (il kerigma) viene prima di ogni cosa e non deve essere corrotto dall'ideologia marxista come ha inopinatamente fatto la Teoria della Liberazione, giustamente contrastata da Giovanni Paolo II: "C'è sempre il rischio di lasciare il kerigma e di idealizzare la cultura. Ma la grande sfida dell'evangelizzazione è proprio quella di salvare il kerigma e di trovare sempre l'alfabeto giusto per poterlo raccontare nella cultura".
Le aree progressiste  particolarmente attratte dall'orbita protestante e luterana rimarranno deluse dalle lapidarie parole di Bergoglio sulla questione del sacerdozio femminile ("Molto spesso, quando mi viene posta la questione del sacerdozio femminile, io dico che non soltanto sono d'accordo con Giovanni Paolo II, ma che la questione non è più in discussione, perché il pronunciamento di Giovanni Paolo II è stato definitivo") e sul celibato dei preti verso il quale non v'è la più che ben minima apertura. Papa Francesco fa proprio il grido di Wojtyla sulla famiglia (costituita solamente da uomo e donna) minacciata e aggredita da chi vuole ridurla ad una paccottiglia indistinta.
Commoventi le parole di commiato del Pontefice sudamericano dedicate a Giovanni Paolo II nel suo ritorno alla Casa del Padre alle ore 21.37 del 2 aprile 2005: "È stata un'azione di abbassamento totale, sembrava realizzarsi in lui ciò che la Lettura ai Filippesi dice di Gesù: 'Abbassò se stesso fino al nulla, fino all'umiliazione liberamente scelta' (cfr Fil 2,5-11). Giovanni Paolo II è stato un uomo libero, fino alla fine e, anche nell'immensa debolezza che ha vissuto, sono certo che ha sempre mantenuto una grande lucidità e una grande consapevolezza di quello che stesse vivendo la Chiesa".
La Weltanschauung di Jorge Mario Bergoglio fuoriesce prorompente dalle coltri massmediatiche che possono pur distorcere i discorsi on plein air, ma certamente non quanto messo nero su bianco.
Buona lettura!
Fabrizio Giulimondi

domenica 9 febbraio 2020

"IL DIRITTO DI OPPORSI" di DESTIN DANIEL CRETTON


Alla corposa produzione cinematografica sulla questione razziale negli Stati Uniti, in merito al sistema giudiziario americano che porta alla condanna molti neri solo per il colore della pelle e relativa alla pena di morte e alla “vecchia scintillante” che uccide crudelmente colpevoli e innocenti (1 su 9), in questi giorni si è aggiunto un ulteriore tassello cineastico: “Il diritto di opporsi” (che riprende il titolo “Il diritto di contare” di Theodore Melfi) di Destin Daniel Cretton.
La storia lascia sgomenti anche perché è ambientata nell’Alabama (storicamente razzista) fra il 1987 e il 1992, quindi in tempi relativamente recenti.
La trama è vera e narra di un giovane black uscito da Harvard, Bryan Stevenson - con una inevitabile brillante carriera dinanzi - che, invece, impegna il proprio tempo – con tutti i rischi del caso – ad aiutare legalmente i disperati gettati nel braccio della morte anche solo per ragioni lombrosiane.
La battaglia dell’avvocato Stevenson (l’abilissimo Michael B. Jordan) nelle aule di (in)giustizia a stelle e strisce per dimostrare la palese innocenza di Walter McMillian, interpretato dal grande Jamie Foxx (ve lo ricordate protagonista in “Django Unchained” di Quentin Tarantino?), fa alzare abbondantemente le transaminasi allo spettatore.
L’approccio filmico del regista ricorda “Amistad” di Steven Spielberg quando i coprotagonisti siedono dinanzi alla Corte Suprema dell’Alabama e “Dead Man Walking” di Tim Robbins nello sviluppo scenico del tragitto dalla cella al luogo della esecuzione, senza tralasciare “Selma – la strada per la liberta” di Ava DuVernay e “Tre manifesti a Ebbing, Missouri” di Martin McDonagh.
Pellicola didattica e didascalica, “Il diritto di opporsi entra nella sanguinolenta carne viva della (persistente) tragedia della discriminazione negli States senza sbavature né eccessi: il garbo va a braccetto con la “banalità del Male”.
Fabrizio Giulimondi


giovedì 6 febbraio 2020

"1917" di SAM MENDES

 
"1917" di Sam Mendes rasenta il capolavoro. Tramite lunghi piani sequenza, riprese quadrangolari, profondità di campo, cupi sonori e angoscianti e nascoste colonne sonore che si materializzano nell'azione in cui è coinvolto il pubblico per la presenza dell'effetto tridimensionale, il registra, nipote di uno dei due protagonisti del film, forgia un'opera la cui tragicità blocca alla sedia la platea che, posizionata accanto all'angolo prospettico della macchina da presa, guarda i personaggi dal basso verso l'alto. Lo spettatore danza fra vedute di ampio respiro d'Oltralpe, fotografie e immagini mozzafiato, pozze di morte, cadaveri, ratti e putrefazione, proiezioni di trincee catacombali e claustrofobiche, ove l'orrore è di casa in una guerra che ha visto più morti del Secondo Conflitto Mondiale.
Mendes non cede mai alla retorica e non indulge nell'eroismo dei caporali di Sua Maestà Britannica Blake e Schofield, perché il loro eroismo è naturale e quasi ovvio in quanto dettato dalla necessità di salvare la vita a 1600 commilitoni. Blake e Schofield sono figure epiche che emergono dalla coralità di corpi disfatti e volti sfranti ma mai disperati. L'eroicità delle loro gesta è sciolta nella quotidianità simile ai tanti "militi ignoti" tritati nella scellerata macchina mossa dalla Vecchia Ossuta e dall'Oscuro Signore che la guida.
Il racconto, nella sua assoluta e implacabile drammaticità, veridicità e crudezza, rimane asciutto senza esagerare mai, privo di sbavature narrative e di esasperazione nei toni, sempre calibrato sul rispetto di ogni singolo soldato e dell'esercito inglese, dal cui angolo esso si dipana.
Fabrizio Giulimondi