domenica 29 novembre 2020

“IL PIÙ GRANDE SPETTACOLO DEL MONDO” di DON ROBERTSON

 

Il più grande spettacolo del mondo” (Nutrimenti) appartiene alla volumetrica produzione letteraria dell’americano Don Robertson, composta da diciotto romanzi -  di cui ho già letto e recensito “Paradise Falls” – in corso di pubblicazione dopo la sua morte avvenuta nel 1989.

Il linguaggio di Robertson è molto agevole e la storia scorre placida e carsica sino all’“esplosione”, non solo autentica e devastante ma anche in senso narrativo e descrittivo. Il lettore vive la tragedia, la catastrofe, sente il clangore dei crolli, avverte il puzzo di carne umana bruciata, percepisce il calore insopportabile sulla propria pelle, è stordito dal gas di cui è satura l’aria, si immedesima nella disperazione e nell’eroismo dei giovanissimi protagonisti mentre l’azione gli scorre davanti agli occhi come un film carico di effetti speciali. La brezza si trasforma in uragano in un istante, il tratto stilistico muta rapidamente registro e la confusione, il caos, la perdita di tempo e di spazio travolge un intero quartiere di Cleveland insieme alle certezze di chi legge: il boato sembra di viverlo in diretta, anzi, di stare proprio lì, sul luogo dove è avvenuto.

Questo libro magmatico e molto americano esalta i valori del coraggio, della determinazione, dell’onore, dell’autostima e del riscatto, valori potenziati dall’ essere perseguiti da ragazzini sotto i dieci anni.

È un romanzo onomatopeico e ritmato da grumi di parole che aggettivano ossessivamente le persone.

Ogni fatto, ogni ambiente, ogni situazione richiama un ricordo in cui i tanti personaggi divengono protagonisti di vicende minute di vita quotidiana. L’Autore guarda le proprie creature dall’alto, al pari di un corpo astrale, ove ogni accadimento è accompagnato dalla descrizione di ciò che succede in quel momento in altri spazi e nelle esistenze di altri esseri umani, similmente a pennellate rapide e decise di un pittore: un fatto deflagra in più tranci di vita che palesano ulteriori mondi.

Una delle sensazioni più belle che si possono provare è realizzare di aver compiuto qualcosa di difficile. È qualcosa che è tuo. È qualcosa che nessuno può portarti via. Ed è anche qualcosa di coraggioso, molto coraggioso. Determinazione significa coraggio e coraggio significa che sei una persona vera.”.

Fabrizio Giulimondi

 

martedì 24 novembre 2020

"OGGI FACCIO AZZURRO" di "DARIA BIGNARDI"

Oggi faccio azzurro

"La cosa più importante riguardo al problema della forma è se la forma scaturisca o meno da una necessità interiore.".

"Oggi faccio azzurro" (Mondadori), deludente ultimo romanzo di Daria Bignardi, sembra scritto da altre mani rispetto a quelli precedenti.

La locuzione adoperata nel titolo riprende un modo di dire medioevale germanico, utilizzato dagli artigiani che vedevano il cielo soltanto durante giorno in cui non lavoravano.

La storia gira intorno ad una donna lasciata dopo venti anni dal marito e che comincia a sentire nitidamente la voce di Gabriele Münter, pittrice tedesca e per molti anni amante e compagna del grande artista russo naturalizzato francese Kandinskij, precursore della pittura astratta. La "Voce" le dà consigli in continuazione, la rampogna aspramente sul suo modo di comportarsi e pensare e le racconta della sua storia di amore e professionale con Vasilij: "La vita è come l'atelier di un pittore: ci sono tele appoggiate alla parete e altre sul cavalletto, in lavorazione. Ci sono i colori, le tavolozze, i modelli. E l'ispirazione che guida l'Autore dentro l'avventura della sua opera.".

Lo studio della psicoanalista cui chiede aiuto diventa il palcoscenico dove si svolge prevalentemente l'azione e ove la protagonista incontra il "Primo" e il "Dopo", ossia l'uomo che la precede e la giovane ragazza che le succede all'ora di analisi.

La narrazione è fin troppo facile e quasi scontata, come il finale, alternandosi, in maniera un poco pretenziosa, fra fughe debolmente introspettive e intimistiche e richiami pittorici.

La tecnica editoriale è commercialmente furba per le dimensioni grandi dei caratteri, l'ampio spazio dell'interlinea e i capitoli fra il corto e il cortissimo: la gente non abituata a leggere (la maggior parte) si sentirà certamente rassicurata.

Peccato perché la Bignardi nei suoi precedenti lavori ha mostrato di saper catturare il suo pubblico.

Non vi saranno certamente problemi di vendite: basterà qualche passaggio televisivo nei "salotti" giusti.

"L'antitesi spirituale che distingue rosso e azzurro produce una strana, potente armonia...".

Fabrizio Giulimondi

 

domenica 22 novembre 2020

“LE PARTICELLE ELEMENTARI” di MICHEL HOUELLEBECQ


Sarebbe bello se l’io fosse un’Illusione, anche se comunque sarebbe un’illusione dolorosa

Le particelle elementari” (Bompiani) è la terza opera di Michel Houellebecq che recensisco. Lo scrittore francese, famoso per essere l’autore di “Sottomissione”, a causa del quale è stato messo sotto scorta per le minacce di morte islamiste, ha partorito un romanzo particolarmente complesso, consigliabile a persone maggiorenni che non si infastidiscano dei numerosi e troppi passaggi erotico-pornografici che punteggiano – fastidiosamente – la narrazione incisiva, affascinante, affabulante, coinvolgente, intelligente, erudita e tormentata.

Lo scrittore attraverso la più brutale e violenta decadenza morale dei protagonisti, due fratelli e le loro “amiche” costellanti il proprio mondo, percorre il tramonto dell’Occidente (per dirla con Spengler) per aver sprezzantemente messo da parte e cancellato la sua storia, le sue radici e la sua spiritualità. Houellebecq è un Virgilio che indica al mondo quanto possa essere infernale la vita degli uomini quando essa è costruita con le fondamenta e le mura fatte della più pura e materialistica libertà. La tensione del racconto è proprio verso la spiritualità e la religione tramite l’illustrazione di una tossica disperazione e di una venefica solitudine malata di sesso. Il lavoro si regge su tre gambe: la solitudine, la disperazione e una sessualità putrida e forsennata, sino alle aberrazioni snuff del satanismo.

L’elemento erotico e pornografico è presente in ogni scritto di Houellebecq ma qui assume un connotato esasperato e esasperante, vero baricentro della storia e forza motrice autodistruttiva e di isolamento esistenziale. La parte più cupa e disgregante della letteratura e della cinematografia di Pasolini permea non pochi momenti narrativi e descrittivi de “Le particelle elementari”. La liberazione transalpina ed europea dei costumi ha condotto l’uomo al più tragico solipsismo. Il senso di invecchiamento, inutilità, malattia e morte avvolgono drammaticamente ed inesorabilmente gli attori quarantenni (in realtà ancor prima) del romanzo, mentre la libertà assoluta e deificata accompagna loro in direzione del totale vuoto interiore, del tutto privo di una prospettiva di futuro, ove i figli non si possono più avere perché l’aborto non è un atto di liberazione ma di negazione (“Non si rendeva conto di vivere l’esperienza concreta della libertà; qualunque cosa fosse era terribile, e Annabelle era destinata a non essere più la stessa, dopo quei dieci minuti”). Il vuoto aleggia per tutta la lettura, impregna le parole ed assorbe il lettore che lo percepisce come reale, conseguenza di un edonismo lugubre e asfissiante che non ha emancipato i protagonisti ma li ha resi servi.

Accattivanti la fungibilità fra modelli scientifici e sistemi di pensiero completamente diversi fra di loro, come la fisica, la biologia, la chimica e la letteratura, oltre l’interscambio fra profonde riflessioni filosofiche e teologiche con studi tecnico-scientifici.

Possenti e chiarificatrici, riassuntive dell’idea che sottende centinaia di pagine da leggere, nonostante passi brutali e finanche disgustosi, sono queste poche righe: “Coppia e famiglia rappresentano l’ultima isola di comunismo primitivo in seno alla società liberale. La liberazione sessuale ebbe come effetto la distruzione di queste comunità intermedie, le ultime a separare l’individuo dal mercato. Un processo di distruzione che continua oggigiorno.”.

Fabrizio Giulimondi