IL DIRITTO ALLA VITA NELLE CARTE COSTITUZIONALI DEGLI STATI MEMBRI DELLA
UNIONE EUROPEA
Prof. Fabrizio Giulimondi
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Il concetto di diritto alla vita
Il potere del soggetto, certamente, esiste
sul beni della vita e dell'Integrità fisica, facenti parte del sua essere: beni
Il cui godimento è a lui attribuito e che quindi sono oggetto del suo diritto.
L'attribuzione di tale godimento però comporta, sul piano giuridico, la sua
difesa contro tutti i terzi, la facoltà di esigere da questi quel contegno
negativo che è necessario per la conservazione dei detti beni e per il loro
godimento.
Quindi, il diritto sulla vita e
sull'integrità fisica è anche diritto alla conservazione della vita e
dell'integrità fisica, ossia, diritto all'altrui osservanza di quel contegno
negativo che è necessario per tale conservazione.
L'uso ha consacrato l'espressione più
idonea a marcare il lato esterno del diritto: si parla così dl diritto alla
vita, all'integrità fisica, intendendosi significare per alcuni Autori, con le
cennate espressioni, non già il diritto di conseguimento della vita,
dell'integrità fisica, bensì semplicemente il diritto verso i terzi alla
conservazione dei beni medesimi. Per questa corrente di pensiero la vita è
un bene insito nell'essere umano, che il diritto vuol conservare, di tal che la
vita non può che essere considerata come bene futuro, come bene che debba
essere conseguito.
A mio avviso, confortato da autorevole
dottrina, il diritto alla vita implica come suo presupposto necessario il
diritto alla nascita, spettante al concepito. Avere diritto all'atto iniziale
della vita significa avere diritto a cominciare la vita, ovverosia diritto a
che i terzi non ostacolino l'inizio della vita.
Vita e integrità fisica attengono
all'essere fisico della persona. La vita si identifica con la mera esistenza
biologica, laddove l'integrità fisica si sostanzia nella presenza integrale
degli attributi fisici, ossia nell'assenza di menomazioni organiche ed
estetiche.
Problema oggetto di discussione
dottrinaria è stato quello riguardante la posizione che assume l'integrità
fisica nei confronti del diritto alla vita. Si può ritenere il diritto
all'integrità fisica come semplice complemento del diritto alla vita ovvero
entrambi i diritti possono essere riferiti a beni giuridici autonomi e
distinti. Il diritto alla vita però assume una valenza sicuramente superiore al
diritto all'integrità fisica: difatti è diritto essenziale tra gli essenziali.
I diritti essenziali sono quelli che hanno per oggetto i beni più
elevati. Poiché tra tali beni ve ne è uno che a sua volta sovrasta gli
altri, il correlativo diritto non può non riceverne una nota distintiva tale da
essere denominato diritto essenzialissimo: il diritto alla vita sovrasta tutti
gli altri e alcuna altra posizione giuridica può essere concepita
disgiuntamente da esso.
Il diritto alla vita è anche diritto
innato, in quanto spetta all'individuo per il semplice fatto di essere munito
della personalità acquisita con la nascita.
Ulteriore carattere del diritto In parola
è quello di essere un diritto privato. — ossia un diritto soggettivo assoluto
rientrante in quelli della personalità — che spetta al singolo come tale, vale
a dire considerato nella cerchia degli 'scopi che ha come semplice essere
umano, non perdendo tale aspetto neanche qualora collida con l'autorità
statale.
Certamente insieme all'interesse privato
concorre un pregnante Interesse pubblico, che è diretto oggetto della tutela
penale.
Proprio per una necessità sociale di
carattere fondamentale la tutela della legge penale è intervenuta,
relativamente al bene della vita, con assoluta priorità storica. Senza dubbio il
diritto alla vita fu riconosciuto e protetto già nell'antichità. Un aspetto del
suo riconoscimento è da ravvisarsi, a mio avviso, nella punizione dell'omicidio.
Questa potrebbe sembrare connaturata alla
nascita di qualsiasi comunità giuridicamente organizzata e non meritare quindi
particolare rilievo. Posto pure che ciò sia esatto, non ne risulta meno vero
chela sanzione cosi riconosciuta ai componenti della comunità manifesti
l'esistenza di uno ius antenato
dell'odierno diritto alla vita.
Inoltre vi è un secondo aspetto dl questo
diritto: il diritto a non essere messo a morte a titolo dl vendetta o di pena
al di fuori del casi e dei modi previsti dalle nonne, che limitavano appunto
sia il potere di vendetta, sia il potere dl infliggere ed eseguire la pena di
morte. Mancando una di queste condizioni, il diritto ella vita dell'accusato
avrebbe potuto essere salvaguardato, con conseguente illecita dell'uccisione.
Vi è poi un terzo aspetto dl interesse
storico del diritto alla vita: quello di avere o ricevere il minimo dei mezzi
indispensabili per sopravvivere (vitto, vestiti, abitazioni). Nelle fonti
antiche una norma, che sembra considerare questo terzo aspetto, si ritrova
nella XII Tavola relativa a chi, avendo compiuto una manus iniectio contro un soggetto a lui vincolato (debitore o
colpevole dl un delitto), lo tenesse in catene nella propria casa: la norma
Invero gli prescrive di dare a questi una data quantità di cereali e di
fornirgli altri mezzi di sopravvivenza. Infine il diritto in argomento possiede
una spiccata inerenza soggettiva: questo diritto è intrasmissibile e
irrinunciabile e, inoltre, in parte delle legislazioni europee, la sua
indisponibilità comprende anche l'inefficacia del c.d. consenso dell'esente
diritto,
L'inefficacia del consenso è dovuta
proprio alla peculiare natura del diritto alla vita, in quanto il consensus non può avere la capacità dl
poter sopprimere la vita umana; al più, detto consenso può avere la valenza dl
mutare la qualità del reato, degradandolo a crimine di minore entità (come, ad
esempio, l'art. 379 c.p.).
La dimensione del diritto alla vita
nell'ordinamento Internazionale.
ll diritto alla vita viene, esplicitamente
o implicitamente, compreso nell'elenco del diritti fondamentali delle
costituzioni europee e delle Carte internazionali.
Prima di individuare e comparare le norme
costituzionali europee offerenti l'oggetto del nostro studio, ci sembra
opportuno fare un rapido richiamo alla comunità internazionale, nella quale si
parla esplicitamente del diritto alla vita.
In primo luogo pietra fondamentale di una
esplicita attribuzione di detto diritto è l'art. 3 della Dichiarazione
universale dei diritti dell'uomo, approvata dall'Assemblea Generale delle
Nazioni Unite il 10-12.1948, che recita nel seguente modo: 'Ogni individuo ha
il diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona.
L'art. 2 della Convenzione europea per la
salvaguardia del diritti dell'uomo, firmata a Parigi il 20-3-1952, resa
esecutiva in Italia con la legge 4-8-1955 n. 848, afferma: 41 diritto dl ogni
individuo alla vita è protetto dalla legge. La morte non può essere
inflitta intenzionalmente a nessuno, salvo che in esecuzione di una sentenza
capitale pronunciata da un tribunale ne) caso in cui li delitto sia punito
dalla legge con detta pena.
Inoltre la raccomandazione n. 874 del
4.10.1979, approvata dall'Assemblea del Consiglio d'Europa, afferma con vigore
il diritto alla vita come proprio del bambino fin dal concepimento: “Les drolts de chaque enfant à la vie dès le
moment de sa conception, au logement, à une nourriture convennable ét à une
environnement adequats devalent etre reconnus et les gouvernernents nationaux
devraient accepter l'obligation de tout mettre en OCUkTe pour permeare l'application
Mtégraie de ce droit.”
Tale raccomandazione è stata deliberata
sulla base di una relazione (7) nella quale testualmente si legge La scienza ed
II buon senso mostrano che la vita umana comincia con il concepimento e che,
da questo specifico momento, sono presenti In potenza tutte le proprietà
biologiche e genetiche dell'essere umano maturo. I diritti appartenenti al
bambino devono riguardare tutto il periodo della sua infanzia, senza escludere
quello in cui egli si trova nel seno materno... ciascun bambino deve godere dei
diritti dell'uomo ala prima che dopo la nascita.
Si può correttamente dire che nella
espressione ciascun bambino deve godere del diritti dell'uomo. sia Incluso
anche il diritto alla Vita.
La Commissione per le questioni sociali e
la salute del Consiglio d'Europa, nella medesima relazione, ha chiarito
ulteriormente che: il diritto alla vita di ogni essere umano è il diritto
fondamentale che precede e condiziona ogni altro diritto e che dovrebbe essere
senza alcun limite o discriminazione.] genitori che danno origine ad una nuova
vita non hanno alcun diritto su di essa, ma solo gli obblighi di proteggerla,
nutrirla e metterla nelle migliori condizioni.
Nel preambolo della Dichiarazione dei
diritti del bambino approvata all'unanimità il 20-11-1959 dall'Assemblea
dell'O.N.U., si esprime la necessità di una protezione giuridica appropriata
per il bambino, sia prima che dopo la nascita: “Considerant que l'enfant, én ralson de son rnanque de maturità phisique
et intellectuelle, a besoin d'une protection speciale et des soins spéciaux,
notamment d'une protection juridique appropriée, avant corame après la
naissance”.
Inoltre, al principio n. 4 si ribadisce
che al bambino devono essere garantite cure prenatali e postnatali: “L'enfant doli bénéficer de la securité
sociale. Il doit grandir et se developper d'une faeon saine; à celle fin, une
afide et une protection spèciales doivent lui etre assuréess alesi qui sa mete,
notamment des soins prénaml et postnatal adéquats.
L'art. 6 par. 5 del Patto delle Nazioni
Unite relativo ai diritti civili e politici, approvato dall'Assemblea Generale
nel 1966, proibisce l'esecuzione della pena di morte nel confronti delle donne
Incinte. Anche basandosi su tale disposizione è lecito affermare che,
pro-" supposto della proibizione della applicazione della pena capitale ad
una donna incinta, sia proprio il diritto che ogni soggetto 'concepito’
consegua la vita.
La legge del 25-10-1977 n. 881, con la
quale è stato ratificato e reso esecutivo ll Patto citato nei territorio
Italiano, a sua volta dichiara, all'art. 6 comma 11 diritto alla vita é
inerente alla persona umana. Questo diritto deve essere protetto dalla legge.
Nessuno può essere arbitrariamente privato della vita. Anche se il diritto
Internazionale positivo non precisa il significato dell'avverbio arbitrariamente usato
dall'art. 6 del Patto solenne dei diritti civili e politici (“Nessuno può essere arbitrariamente privato
della vita”) e dall'art. 4 della Convenzione americana dei diritti
dell'uomo (“No one shall be arbitrarily
deprived of his life”), le Dichiarazioni delle Nazioni Unite sui diritti
degli handicappati e degli insufficienti mentali impongono che queste persone
godano degli stessi diritti degli altri e, dunque, del diritto di vivere.
I diritti dei genitori sui minore,
previsti da tutti gli strumenti internazionali riguardanti i diritti dell'uomo,
si scontrano con il diritto fondamentale del bambino a vivere: viene ad essere
soppresso questo diritto se non si dà luogo a tutti i possibili e salvifici
Interventi terapeutici. Un rifiuto del genitori di consentire a che sia
preservato il diritto di vivere del figlio, pur se accompagna. te da
limitazioni dovute ad una malattia o ad una deficienza psicofisica, si risolve
dunque nella soppressione del diritto alla vita del bambina.
Se le convenzioni e I Mutati
internazionali costituiscono oggi la fonte principale delle norme di diritto
internazionale, esistono tuttavia altri strumenti normativi di cui gli
operatori del diritto tengono conto: le risoluzioni adottate dalle
organizzazioni internazionali.
Per quanto attiene la Comunità Europea, di
particolare interesse, segnatamente all'oggetto del Parlamento Europeo del
12-4-1989, la quale stabilisce che:
Chiunque ha diritto alla vita.
La problematica del diritto alla vita è
stata presa in particolare considerazione dalla giurisprudenza delle Corti
Costituzionali degli 'Stati europei, che è oggetto di esame nel prossimo
paragrafo.
3. Il diritto alla vita nelle Costituzioni
europee i diritti fondamentali originariamente erano diritti di singoli ceti di
fronte al Signore e che, con la democratizzazione dello Stato, evolvono in
diritti del popolo. La tutela del diritti fondamentali negli ordinamenti
giuridici occidentali viene riconosciuta e garantita odiernamente a qualsiasi
cittadino.
Quanto più Io Stato si struttura In Stato
costituzionale e come tale si democratizza, tanto più, accanto alle
prescrizioni sull'organizzazione del medesimo, compaiono anche i diritti in
questione come parti della Costituzione. Il rilievo di questi diritti in seno
alle Costituzioni assume una minore o maggiore importanza a seconda del
processo liberale che ha avuto l'ordinamento statale: tali diritti assumono
peculiare rilevanza in seno alle Costituzioni occidentali, grazie al profondo
mutamento in senso democratico avuto dai Paesi europei.
La natura pluralistica propria della
democrazia, cosi come configurata nelle Costituzioni che attingono vigore dal
consenso popolare, consegna un ampio spazio al relativismo, inteso come libertà
dl ognuno di configurare il proprio mondo, secondo scelte individuali. Però, le
Costituzioni delle democrazie pluralistiche occidentali presuppongono anche un
nucleo di valori fondamentali, i diritti inviolabili, i diritti della persona
umana che non possono prender parte alla negoziazione politica, alla
contrattazione tra soggetti operanti nell'ordinamento, ossia essere relativizzati.
Essi rappresentano un nucleo dl valori intoccabili, Immodificabili, in quanto
esprimono una sorta di principi fondamentali etici, positivizzati attraverso un
secolare riconoscimento da parte delle Cane, degli Statuti e delle
Costituzioni.
Quindi è bene sottolineare che questi
diritti, e fra questi è incluso inevitabilmente il diritto alla vita, sono al
di fuori di una collocazione politico-ideologico-partitica, rappresentando le
solide fondamenta di una società libera e democratica.
Le moderne Costituzioni occidentali e, In
particolar modo, europee, soro caratterizzate da un ampio riconoscimento del
diritti di libertà, dei diritti dell'uomo e, direttamente o indirettamente, del
primo tra i diritti, il diritto alla vita. Scrutando attentamente II diritto
costituzionale sia nazionale che estero, questo diritto è ampiamente garantito.
Alcune Costituzioni europee, come quella
italiana, hanno una matrice compromissoria, ossia risultano essere i punti dl
convergenza di differenti ideologie, Infatti Sul concetto di persona
nell'Assemblea Costituente italiana si è verificato l'incontro tra le
componenti culturali cristiana, marxista a liberale, che, pur con premesse e
obiettivi diversi, sono convogliate tutte sulla tutela dell'uomo.
La saldatura tra umanesimo religioso e
umanesimo laico si operò nell'affermazione della persona, assunta quale fondamento
e fine ultimo del sistema normativo, la cui espressione normativo-costituzionale
è rappresentata dagli artt. 2 e 3 Cost.
La Costituzione italiana non conosce la
categoria del diritti fondamentali, prescrivendo all'art. 2 Cost. che: “La Repubblica riconosce e garantisce i
diritti inviolabili dell'uomo sia come singolo, sia nelle formazioni sociali
ove si svolge la sua personalità”.
L'interpretazione dell'art. 2 Cost. come
norma a fattispecie aperta. può essere la conseguenza di una premessa che è
comune a qualsiasi possibile fondamento dell’inviolabilità dei diritti, tanto
se di tipo giusnaturalistico quanto di tipo positivistico. Tale premessa è data
da una irriducibile trascendenza che si assume come ratio giustificativa dei diritti inviolabili, la quale fa sì che
questi ultimi non possano mai esaurire nel loro concreto contenuto le potenzialità
imita nel relativo fondamento valoriale.
Se si analizzano alla luce di quanto
affermato le disposizioni della nostra Costituzione relative ai diritti e ai
doveri dei cittadini, si può constatare che le loro potenzialità normative sono
talmente ampie ed elastiche, da ricomprendere qualsiasi ulteriore ipotesi che
lo sviluppo della coscienza sociale o della civiltà propongano come “nuovi diritti… Le cennale disposizioni della
nostra Carta, almeno in via di principio, rappresentano un sicuro aggancio per
ogni azione umana che concreta un diritto o una libertà.”.
Del resto, se si procede ad una verifica
puntuale della relatio dei presunti diritti
non-enumerati nuovi diritti alle disposizioni costituzionali sulle libertà
fondamentali, si trae conferma che l'ipotesi interpretativa del diritti inviolabili
come .clausola aperta costituisce un appiglio nella costituzione formale a
imperiosi “diritti dell'uomo non
collocabili in nessuna delle caselle conosciute”.
Nel tessuto connettivo che nella nostra
Costituzione lega le disposizioni staglianti il contenuto normativo e
naturalistico del diritto In questione rientra anche, e non secondariamente,
l'art. 27 Cost. che pone il divieto della pena di morte. Si può ritenere che
questa norma, unitamente agli artt. 18 della Costituzione lussemburghese e
4 della Costituzione svedese, possa implicitamente sottendere il diritto alla
vita, in quanto presupposto naturale 'della proibizione della pena capitale, è
proprio l'esistenza di un diritto alla vita insito in ciascun essere
umano. La Corte Costituzionale italiana, intervenendo sulla norma che
attribuiva al Ministro di Grazia e Giustizia il potere di estradare up
cittadino ad uno Stato ove vige la pena di morte, ha recentemente individuato
chiaramente il collegamento tra il divieto della pena capitale e la tutela del
diritto in parola. Nel dichiarare incostituzionale l'art. 698, 2° comma,
c.p.p., prendendo come parametro essenziale di valutazione il combinato
disposto degli atm. 27, 4' comma e 2 della Costituzione, la Corte ha stabilito
che le possibilità dell'attuazione della pena capitale. La stessa possibilità
è già costituzionalmente inammissibile, poiché il divieto contenuto
nell'art. 27, 4° comma della Costituzione ed i valori ad essa sottostanti,
primo fra tutti il bene essenziale della vita», impongono all'Autorità politica
e giudiziaria straniera di prestare una garanzia assoluta.
Il divieto della pena di morte - dice la
sentenza - ha un rilievo del tutto particolare nella prima parte della Carta
Costituzionale. Introdotto dal 4' comma dell'art. 27, sottende un
principio che 'in molti semi può dirsi italiano e che, ribadito nelle fasi e
nei regimi di libertà del nostro Paese, è stato rimosso nei periodi di reazione
e di violenza, configurandosi nel sistema costituzionale quale proiezione della
garanzia accordata al bene fondamentale della vita, che è il primo dei diritti
inviolabili dell'uomo riconosciuti dall'art. 2 Cost.
Questa sentenza rappresenta il punto di
arrivo di un proficuo dibattito giuridico che in ambito europeo ha dato luogo a
risoluzioni del Parlamento che hanno invitato I Governi alla completa
eliminazione di tale pratica punitiva e, sul piano nazionale, alla
promulgazione della legge del 31-10-1994 n. 589, che ha abrogato l'art. 241
c.p.m.g.: l'ultimo baluardo dell'applicazione della pena capitale, ammessa in
caso di guerra, è crollato, svuotando di contenuto la deroga al divieto prevista
dall'art. 27, u.c., Cost.
Ad ulteriore supporto nella configurazione
della posizione soggettiva in questione possiamo indicare la protezione che la
Costituzione Italiana assicura alla maternità (art. 31, 2° comma: “La Repubblica protegge la maternità,
l'infanzia e la gioventù”), inevitabilmente e logicamente legata alla
tutela del diritto alla vita dell'essere umano, anche allo stato embrionale.
Storicamente tale riconoscimento indiretto del diritto in parola è possibile
dedurlo anche dall'art. 119, 3' par., Costituzione di Welmar dell'11-8-1919,
che recitava: “La maternità ha diritto
alla protezione ed alla assistenza dello Stato”.
La Costituzione spagnola si differenzia
notevolmente da quella italiana per la manifesta delineazione del diritto alla
vita: questo diritto viene ad inserirsi espressamente tra i diritti fondamentali
previsti nella Carta.
Il Tribunale Costituzionale spagnolo, apprestando
una tutela ai diritti fondamentali, ha incentrato la sua attenzione, in special
modo nell'arco dl tempo che va dal 1985 al 1990, sul diritto alla vita.
Particolarmente significative in tema di
tutela del diritto alla vita ed all'integrità fisica sono le sentenze nn. 120 e
137 del 1990.
Queste decisioni hanno risolto ricorsi di
“amparo” - ossia di appello - contro ordinanze con le quali gli organi
giurisdizionali avevano disposto trattamenti sanitari nei confronti di
detenuti in sciopero della fame. Scopo di tale singolare forma dl protesta,
posta in essere dagli appartenenti al Gruppo dl resistenza antifascista 1°
ottobre, era la revoca dei provvedimenti con i quali l'amministrazione
penitenziaria aveva deciso l'internamento di questi reclusi in carceri
diverse.
I trattamenti terapeutici disposti dal
giudice dovevano essere effettuati solo per scongiurare Il pericolo di morte,
anche contro il loro consenso.
I detenuti ricorrenti impugnarono i
provvedimenti per lesione di numerosi disposti costituzionali e, In particolare,
per violazione del diritto alla vita, all'integrità fisica e ai trattamenti
umani e non degradanti a mente dell'art. 15, comma primo della Costituzione.
Il Tribunale Costituzionale ha però
ritenuto che la limitazione, del detti diritti sia necessitata dal dover
provvedere al trattamento sanitario, indispensabile per proteggere il superiore
bene della vita.
L'argomentazione più significativa della
sentenza si basa proprio sulla individuazione della reale portata di tale
diritto. A parere del ricorrenti, in questo bene supremo riconosciuto dalla
Carta fondamentale andrebbe ricompreso il potere di disporre della vita.
Il Tribunale non ha ritenuto, però, che il
diritto alla vita potesse essere cosi considerato. All'interpretazione del
diritto alla vita, infatti, è stata dedicata la sentenza n. 53 del 1985:
secondo l'Alto Tribunale la Costituzione impropriamente garantisce un diritto
alla vita, posto che questa è non tanto un diritto, ma un valore supremo che
serve dl base per la fruizione delle altre libertà fondamentali. Il
riferimento costituzionale all'esistenza di tale diritto dovrebbe essere
valutato come il tentativo di garantire la vita con lo strumento più elevato di
tutela conosciuto dall'ordinamento giuridico, cioè la medesima
Costituzione. Logica conseguenza del pronunciamento del Tribunale
Costituzionale spagnolo è l'indisponibilità del bene della vita da parte dei
soggetti.
Riferimento manifesto al diritto alla vita
si riscontra anche nella Costituzione irlandese, portoghese, tedesca e finlandese.
La prima statuisce 'che: “Lo Stato riconosce il diritto alla vita del nascituro
e, con il debito riguardo al pari diritto alla vita della madre, garantisce con
le sue leggi il rispetto e, per quanto possibile, la tutela e l'azionabilità di
tale diritto” (art. 40.3.3). La valenza immediatamente precettiva di
questa disposizione, tale da essere in grado di modificare le norme vigenti, è
rinvenibile nella sentenza del 1988 (Attorney General. v. Society for the
Protection of Unborn Children), con la quale la Corte Suprema irlandese ha
dichiarato te disposizioni per l'informazione sull'aborto in contrasto con
l'art. 40.3.3.
La Costituzione del Portogallo in via
generale dichiara che: «il Portogallo è una Repubblica fondata sulla dignità
della persona umana» (art. l). Inoltre l'art. 24, titolando proprio
con l'espressione di diritto alla vita, proclama che: “La vita umana è inviolabile”; e al 2° comma del medesimo articolo
proibisce conseguentemente l'applicazione della pena dl morte. A ragione
della tutela complementare del diritto alla vita, l'art. 25 garantisce
che: “L'integrità morale e fisica della
persona è inviolabile”. Altro esplicito riferimento al diritto in questione
si ha nella Legge Fondamentale della Germania - che, dal 1990, è in vigore
anche nel territorio della ex Germania comunista -che, in primis la Grundgeset all'art. 1, 1° paragrafo, solennemente,
afferma: “La dignità umana è
intangibile. E' dovere di ogni potere statale rispettarla e proteggerla”
e, inoltre: “Il popolo tedesco riconosce
gli inviolabili e inalienabili diritti dell'uomo, come fondamento di ogni
comunità umana, della pace e della giustizia nel mondo (par. 2°).
Relativamente al diritto alla vita, la Costituzione tedesca dispone: “ognuno ha diritto alla vita e all'incolumità
fisica” (art. 2, par. 2°) e, tale norma, in quanto diritto fondamentale,
vincola la legislazione, il potere esecutivo e la giurisdizione come diritto
immediatamente valido, in virtù dell'art. 1 par. 3, Grundgeset.
Infine, un espresso richiamo al diritto
alla vita si ritrova nella recentissima Costituzione finlandese del 17-7-1994,
la quale, alla sezione 6, riconosce e garantisce che: Ogni cittadino della
Finlandia deve essere protetto dalla legge per quanto attiene la sua vita.
La Costituzione greca, proclamando il
rispetto e la protezione della dignità della persona umana, che costituiscono
l'obbligo fondamentale dello Stato (art. 1), garantisce indirettamente il
diritto in questione, affermando che: “Tutte
le persone che si trovano sul territorio greco godono della assoluta protezione
della loro vita”. La Costituzione lussemburghese, come quella greca,
appronta una tutela indiretta e mediata del diritto di cui trattasi, sancendo
all'art. 11 la garanzia del diritti naturali della persona e della
famiglia e, all'art. 18, dichiarando “l'abolizione
della pena di morte in materia politica e della morte civile”.
·
Compatibilità fra Il diritto alla vita e l'eutanasia
Ora, il problema che ci si pone innanzi è
se un individuo già nato, che versi In particolari condizioni di sofferenza
psico-fisica, possa dismettere il proprio diritto alla vita,
ll delicato interrogativo ci conduce
indietro nel tempo, poiché la problematico dell'eutanasia fu affrontata già ai
tempi di Platone. Il grande filosofo legittimava l'abitudine di sopprimere, con
la cooperazione dei medici, gli adulti gravemente malati, A Roma molti uomini di
cultura seguaci dello stoicismo praticavano il suicidio, che coinvolse anche
personalità eminenti. Non mancarono, però, anche nel mondo greco-romano, gli
oppositori di simili pratiche e teorie (Pitagora, Ippocrate e Caleno).
Tradizionalmente l'eutanasia, cioè
l'omicidio pietoso, non ha trovato accoglienza nelle civiltà e nelle culture
occidentali. Dal punto di vista semantico, il significato attuale del
termine eutanasia sembra essere posteriore al XVII secolo. Prima di tale
periodo, tale termine era usato per individuare una morte «buona e facile»
quale, ad esempio, quella che poteva concludere una vita morigerata. Si
ritiene che la pubblicazione dell’Advancement of Leaming. nel 1605, da parte di
Francesco Bacone, abbia determinato una svolta nel significato del termine eutanasia.,
che da allora indica misure attive od omissive del medico per accelerare la
morte, allo scopo di evitare sofferenze ritenute inutili ed
Insopportabili. Successivamente si è cominciato a parlare di eutanasia
eugenetica e di eutanasia economica, per Indicare l'eliminazione degli
individui deformi e tarati, effettuata allo scopo di migliorare la razza, e la
soppressione degli invalidi, dei malati incurabili ed anche dei vecchi per
alleggerire la società da bocche inutili. Queste forme di eutanasia, che sono
propugnate da vari Autori (Nielzsche, Binding, Wells, Richet, Carrel), non
riguardano il nostro argomento.
Quello che a noi interessa è l'eutanasia
in senso stretto e cioè l'uccisione per pietà: l'omicidio misericordioso, vale
a dire la morte provocata per Interrompere le sofferenze di un essere colpito
da morbo Inguaribile. La legittimità di questa forma di eutanasia ha avuto
ed ha molti fautori: fra essi ricordiamo Tommaso Moro, Francesco Buone,
Maeterlink, Shaw. A questo punto occorre un breve chiarimento che consenta di
distinguere tra la c.d. eutanasia passiva, l’eutanasia attiva e accanimento
terapeutico.
Si è concordi nel definire la prima come
una omissione tale da non consentire la permanenza delle funzioni vitali, ossia
gli operatori sanitari non effettuano più le cure necessarie o scollegano gli
apparecchi che consentono al paziente di restare In vita; la seconda come un
atto che procura intenzionalmente la morte di un soggetto, ad esempio,
praticando una iniezione o somministrane% medicinali; per accanimento
terapeutico si suole significare il ricorso a interventi medici di
prolungamento o mantenimento in vita dl una persona che, per le vie naturali,
morirebbe. Come ben ha esplicitato la Corte di Appello di Milano (16),
l'accanimento terapeutico si sostanzia in quei 'trattamenti che non hanno la
capacità di migliorare o dl preservare la salute del paziente.
Per quanto riguarda l'eutanasia attiva,
numerose disposizioni di diritto internazionale positivo- affermano che
nessuno può essere intenzionalmente privato della vita, prescindendo dal
problema della legittimità della pena capitale.
L'eutanasia «attiva è dunque chiaramente e
totalmente vietata dal diritto Internazionale, anche se la morte viene inflitta
su richiesta dl un paziente colpito da sofferenze acute e penose. Infatti,
per quanto attiene la richiesta dl voler morire da parte del malato, non è
concesso ad alcuno di rinunciare alla titolarità del diritto fondamentale alla
vita, con l'ausilio dl un altro soggetto di diritto, e che quest'ultimo possa
legittimamente fornire la sua collaborazione.
Specie nei Paesi anglosassoni esiste un
vasto movimento per patrocinare il riconoscimento della legittimità
dell'uccisione per pietà, movimento che ha portato alla creazione di
associazioni, alla presentazione di petizioni e di progetti di legge.
L'Euthanasia Society of America ha
presentato all'ONU una petizione affinché il diritto alla eutanasia venga
inserito nella Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo. Il movimento di
opinione in favore della preparazione di documenti dl questo tipo si è
sviluppato anche in altri Stati: in Svezia e in Danimarca, ad opera del “My life
testament”; gruppi similari si sono costituiti ed hanno operato anche in
Svizzera ed in Gran Bretagna.
(U.SA.) Sul plano legislativo, dopo
numerose proposte di legge presentate In vari Stati degli States (dal Nebraska allo Stato del New York, dall’Idaho al West
Virginia), il primo documento con forza dl legge è stato varato dallo Stato
della California nel 1976, noto come il Natural
Death Act. E' proprio in questo testo che si introduce per la prima volta
l'espressione living will, il testamento
della buona morte, che ha per oggetto l'eutanasia passiva: ad ogni adulto viene
riconosciuto di disporre anticipatamente il rifiuto delle terapie di
sostentamento vitale, nel caso che egli versi all'estremo della condizione
esistenziale.
Successivamente altri Stati dell'Unione si
sono incanalati su questo tragitto legislativo: nel 1977 altri 7, fino ad
arrivare ad essere 47. Nel 1991 è entrata in vigore la legge federale
sull'autodeterminazione del paziente, nella quale si riconosce il diritto del
malato stesso a prendere decisioni sulle terapie che lo riguardano. Dal
riconoscimento della Uccisi dell'eutanasia, passiva, il Leghiate,- re
statunitense è issato a consentire quella attiva.
L'8 novembre del 1994 è stata approvata,
mediante consultazione popolare, una legge nello Stato dell'Oregon, denominata
suicidio assistito dal medico (Measure 16), che ha escluso l'applicazione del
diritto penale alla classe medica nelle ipotesi rientranti nella eutanasia
attiva, la cui entrata in vigore è stata però sospesa l’'8-121994 dalla Corte
Federale dell'Oregon.
Uno stop a questo incedere della normativa
verso una sempre maggiore decriminalizzazione dell'esercizio dell'eutanasia da
pane degli operatori sanitari è giunto dal 1994 dagli Stati del Michigan, di
New York, della California e di Washington: i loro organi legislativi hanno
posto un divieto assoluto al suicidio assistito, comminando sanzioni penali per
il medico responsabile di una condona che possa essere qualificata di assisted suicide. L'indirizzo
giurisprudenziale dell'Autorità Giudiziaria degli Stati, inizialmente contrario
alla penalizzatone del suicidio assistito, come nel caso dello Stato di New
York, le cui Corti si esprimevano nel 1950 e nel 1952 condannando un medico per
aver ucciso una sua paziente malata di tumore, in un secondo momento cominciò a
mutare andando verso una concezione più permissiva. Nel 1992, la stessa Corte
dello Stato di New York assolse un medico per aver aiutato a morire un
paziente, avendo «correttamente esercitatole professione medica.
In realtà già In precedenza, nel 1976, la
Suprema Corte del New Jersey aveva riconosciuto esplicitamente, come costituzionalmente
garantito, il right to die,
rientrante nell'ambito di azione del diritto alla privacy, il “diritto a morire”
- per la Suprema Corte – “si sostanzia nel far cessare i mezzi
straordinari atti ad assicurare un artificiale prolungamento della vita di
persone affette da gravissime ed irreversibili Infermità fisiche”.
La decisione della Corte Suprema del 25
giugno 1990 sul caso Nancy Cruzan rappresenta il primo intervento a livello
federale sul diritto a darsi la morte con l'assistenza medica. La Corte nella
sua motivazione non fa riferimento al tralatizio right Io privacy, ma alla nozione di integrità fisica e al consenso
informato (informed conseil). La
Corte afferma, come conseguenza applicativa dei cenati principi, il diritto del
paziente non solo di consentire i trattamenti sanitari, ma anche di non
consentirli. La Costituzione riconosce a una persona capace di intendere e
volere il diritto protetto costituzionalmente di rifiutare l’alimentazione e la
nutrizione, anche se life-saving, ma
si tratta di una decisione profondamente personale, che non può essere rimessa
a soggetti diversi dai diretti interessati.
Questa decisione rappresentò indubbiamente
una conferma di quell'indirizzo giurisprudenziale che oramai si stava affermando
nelle Corti distrettuali. Il diritto al suicidio assistito, inteso come diritto
di un paziente di rifiutare trattamenti sanitari, anche se di sostentamento
vitale, fra cui la nutrizione e l'idratazione, veniva affermato e confermato
come diritto costituzionalmente garantito, anche se non più come precipitato
giuridico del right to privacy, ma
come corollario del right to bodily
integrity e dell'informed conseil.
La Suprema Corte concentra l'attenzione sull'aspetto probatorio
dell'accertamento della volontà del paziente di suicidarsi per mano medica: la
volontà che viene riferita come volontà espressa in passato deve essere
effettivamente quella dell'interessato, accertata sulla base di solide prove.
Successivamente a questa decisione, si
sono succedute sentenze che solo in parte hanno confermato l'indirizzo
favorevole indicato dalla pronunzia Cruzan.
Indubbiamente contraria si è manifestata
la Corte di Appello federale che ha confermato il 9-3-1995 il divieto alla
eutanasia approvato dallo Stato di Washington. Questa pronuncia è stata la
prima a livello federale ad affermare che l'eutanasia è “antitetica alta difesa
della vita umana, che è sempre stata una delle principali responsabilità dei
Governi costituzionali”, e che non si può arrivare a garantire il diritto ad
avere la collaborazione di una seconda persona nel provocare la propria molte. La
Corte di Appello, inoltre, in motivazione ha scritto che: “da presunta libertà di suicidarsi è scavalcata da molti altri
interessi legittimi dello Stato, compreso quello di non avere medici che
interpretano il ruolo degli esecutori dei propri pazienti”.
Un indirizzo della medesima natura era
stato seguito dalla Suprema Corte del Michigan nel dicembre del 1994. Questo
organo giudiziario ritenne che la Costituzione non lascia spazi ad una legalizzazione
Altra giurisprudenza delle Corti dl
Appello federali di prima istanza confermò invece le posizioni favorevoli
assunte dalle Cotti Statali, sulla linea tracciata dalla sentenza della Corte
Suprema del 1990.
Un marcato cambiamento di rotta è
rappresentato dalla sentenza della Suprema Corte degli Stati Uniti del 26
giugno 1997.
Questa decisione, che segna un mutamento
di non poco momento dell'indirizzo giurisprudenziale statunitense, determinando
una ritrovata avversione per il riconoscimento del right to die, scaturisce
dalla impugnazione di due sentenze delle Corti di Appello federali,
qualificanti come diritto fondamentale il darsi la morte ad opera di attività
medica. La Corte Suprema, partendo dal presupposto che “In almost every State is a crime to assist suicide”, ritiene che i
divieti contenuti nelle legislazioni di Washington e di New York (entrambe
oggetto di censura di costituzionalità) non costituiscono innovazioni.
Piuttosto esse sono espressioni profonde dell'impegno dello Stato volto alla
protezione e alla conservazione della vita.
La sentenza del 1997 nega nettamente che
il diritto in questione rientri nell'ambito di applicazione del XIV emendamento,
anche per la presenza di sei Interessi essenziali che si oppongono alla
operatività di tale diritto: conservazione della vita; prevenzione del
suicidio; esitare influenze arbitrarie e ingiustificate; protezione dei membri
della famiglia; protezione della integrità della professione medica; evitare un
futuro movimento verso l'eutanasia ed altre forme di abuso.
Il vecchio continente ha seguito le stesse
cadenze temporali e di approccio alla legalizzazione della “dolce morte”,
consentendo prima l'eutanasia passiva, poi quella attiva.
(Svizzera) Il primo tipo di pratica è
stata approvata dall'Assemblea legislativa del Cantone di Zurigo il 27931967,
in seguito a referendum favorevole.
(Regno Unito) Il Regno Unito, in prima
battuta, non ha approvato due proposte di legge sull'eutanasia volontaria,
l'ultima delle quali presentata nel 1969. Tuttavia recentemente anche in Gran
Bretagna vi è stata una apertura alla morte assistita. La Carriera Alta del
Parlamento britannico ha espresso appoggio, il 17.2.1994, ad una specie di
“mini-eutanasia volontaria”, richiesta preventivamente ed in condizioni di
lucidità: il paziente deve stilare, prima dell'insorgere dell'eventuale
malattia, un documento nel quale manifesta preferenze e priorità una volta
costretto al letto di morte. Si tratta in reale di una delle tante forme in cui
si manifesta il living will. Lo
stesso Indirizzo viene seguito da parte della giurisprudenza di merito
britannica.
Una svolta direzionale verso un più chiaro
riconoscimento della eutanasia passiva si ha con la opinione adottata dalla
House of Lords nel 1993. Per l'Alta Corte britannica interruzione medica dl
ogni trattamento sanitario — compresa la nutrizione artificiale e l'idratazione
— nei confronti di una persona In stato vegetativo permanente non costituisce
omicidio, se il Tribunale ritiene che questa scelta, oltre ad essere conforme a
quanto prescritto dai codici di comportamento sanitario, si rilevi anche la più
idonea nei migliore interesse dei paziente. La decisione sulla sussistenza di
un test inserto — secondo la Suprema Corte del Regno Unito — spetta solo ai
medici, ma deve essere confermata dalle Corti.
La House of Lords, indicando un tale
orientamento, elabora nella cultura giuridica inglese un modello che
attribuisce un ruolo centrale alla classe medica (il medico diventa il vero decision maker), la quale, mentre rimane
sempre penalmente responsabile nei casi di eutanasia attiva, è invece
legittimata a salutare il best interest
del paziente nei casi di eutanasia passiva, previa autorizzazione giudiziaria.
La decisione del 1993 riprende l'apertura effettuata dalla Suprema Corte
nordamericana nel 1990, pur differenziandosene su un aspetto cardine: i giudici
statunitensi esaltano la volontà del diretto interessato, anche espressa nel
passato, purché provata con una certa precisione; quelli inglesi, invece,
attribuiscono grande importanza alla valutazione del medici. Lascia sconcertati
l'affermazione posta in essere dall'estensore della citata opinion; Lord Goff
of Chievely “II principio della sacralità
della vita è riconosciuto nell'art. 2 della Convenzione europea sul diritti
umani (Roma, 1950) e nell'art. 6 della Convenzione internazionale sui diritti
civili e politici (New York, 1966), ma non è un principio assoluto”.
Il caso deciso dalla House of Lords è
stato preso a modello in diciotto pronunzie successive. Allo stato, quindi, Il
modello inglese delineato dalla giurisprudenza prodotta dal 1993 e dal
Legislatore, pur qualificando sempre illegale l'eutanasia, esclude
l'antigiuridicità dell’eutanasia passiva, attuata tramite omissione di cure. La
High Court of Justice, Family Divisimi, recentemente (22 marzo 2002), ha
confermato questa nuova impostazione: “La
sentenza, autorizzando una persona gravemente ammalata e sofferente a decidere
per l'interruzione delle terapie che la tengono in vita, ha sancito il suo
diritto di morire In pace e con dignità, perché mentalmente in grado di
prendere la ma ultima decisione e perché la sua condizione può essere peggiore
della morte”.
La disciplina normativa nordamericana ed
europea, che, in buona sostanza, si è limitata a decriminalizzare, almeno in
parte, le diverse modalità di esercizio dell'eutanasia, è stata superata dalla
legislazione australiana.
(Australia) Il Parlamento dello Stato del
Northem Territory, con la legge appronta 1125 maggio 1995, emendata poi l'I
febbraio 1996, configura l'eutanasia come un diritto. Per ottenere di poter
morire è richiesto che due medici, di cui uno specializzato in psicologia,
esprimano diagnosi concordi sulla non curabilità del paziente. Questa legge ha
provocato una duplice opposta reazione: da una parte il dibattito politico e
parlamentare anche negli altri Stati che compongono l'Australia, come
Queensland, Australia meridionale e New South Wales, si è indirizzato a favore
di una liberalizzazione dell'eutanasia; dall'altra la vigorosa reazione delle
organizzazioni contrarie alla pratica in parola ha portato queste ultime ad
adire la Suprema Corte dello Stato dei Territori del Nord. Il ricorso, oltre a
contestare il potere del Parlamento dl questo Stato ad emanare la detta
normativa, ritiene che la configurazione dell'eutanasia come diritto contrasti
con il valore fondamentale del diritta inalienabile alla sita che, seppur non
preveduto esplicitamente, non può non essere incluso nei principi fondamentali
garantiti dall'ordinamento giuridico australiano.
La Supreme Court of the Northern Territory
il 24 luglio 1996 ha ritenuto valida la legislazione di cui si parla, in quanto
essa rispetta i criteri stabiliti da una precedente sentenza della “High Court federale del 1994: i diritti
fondamentali, le libertà e le immunità possono essere abrogati dal Parlamento
di uno Stato, purché Haienrione del legislatore sia chiaramente manifestata in
modo incontrovertibile e non ambiguo”.
Un pronunciamento cosi formulato non può
essere compreso se non calandolo nel tessuto normativo delineato dal
Costituente australiano dal 1900 al 1977. Nei 128 articoli che compongono la
Costituzione non si è alcuna norma dedicata a garantire, riconoscere e tutelare
quei diritti inalienabili che sono il prologo essenziale di qualsiasi Carta
occidentale degli Stati democratici.
Il capitolo di questa sofferta discussione
non solo giuridica, ma anche etica e politica, si è chiuso In forza di un
intervento del Senato Federale Australiano che, prima che intervenisse l'Alta
Corte di Canberra, adita in seguito all'impugnativa della cenata sentenza, in
data 24 marzo 1997 ha abrogato la suddetta normativa approvata dagli organi
legislativi dei Territori del Nord.
(Spagna) Il diritto spagnolo si discosta
in parte da queste posizioni. Il darsi la morte in modo attivo o passivo non è
oggetto di alcun diritto costituzionale, ma Costituisce una semplice libertà di
agire: si tratta, però, di un generico spazio di libertà non fruibile da tutti
allo stesso modo.
Il Tribunale Costituzionale spagnolo, con
le sentenze nn. 120 e 137 del 1990, ha infatti differenziato chi rifiuta
l'assistenza medica accettando il rischio di morire senza ledere altri diritti
o valori e, quindi, utilizzando la propria generica libertà per fini leciti,
dal recluso che, invece, respingendo adeguate terapie che gli impedirebbero di
decedere solo allo scopo di esercitare indebite pressioni nei confronti della
Pubblica Amministrazione. Il Tribunale ha inoltre affermato che l'art. 25,
comma 2, della Costituzione spagnola, demanda alla legge la restrizione dei
diritti del detenuto e che può essere annoverato tra questi anche il diritto
all'autodeterminazione nella scelta dl un trattamento sanitario.
Infatti la legge penitenziaria, emanata in
attuazione della disposizione costituzionale, prevede che l'Amministrazione
carcerarla abbia il dovere di preservare la vita e la salute del detenuto.
La Corte Costituzionale spagnola, nel
decidere la questione, ha posto In evidenza la difficoltà di valutare una
materia intessuta di profonde implicazioni sociali e religiose coni limitati e
riduttivi strumenti assicurati dal diritto: pur con questa consapevolezza, ha
preferito applicare le uniche norme legislative esistenti.
Esse pongono a carico dell'amministrazione
penitenziaria il dovere generico di assicurare la vita dei detenuti e di
impedire che questi possano recare danno alla loro persona, ma non prevedono
espressamente che, in casi come quello dello sciopero della fame degli
internati, sia possibile provvedere al trattamento sanitario coattivo.
I motivi di perplessità nei confronti di
questa decisione sono stati riassunti dai votos
particulares, rispettivamente formulati da M. Rodriguez Pinero y Bram
Ferrer e Leguina Villa. Entrambi i
magistrati spagnoli hanno affermato che la relazione di soggezione speciale tra
Amministrazione penitenziaria e recluso, pur basata sull'art. 25, comune 2,
della Costituzione, non permette di limitare i diritti fondamentali come quello
alla libera autodeterminazione in terna di trattamenti sanitari.
Sotto questo profilo, infatti, non si può
ritenere ragionevole alcuna discriminazione tra cittadino libero e recluso. Posto
che è rilevante la condizione di malato, piuttosto che quella di detenuto.
Inoltre non sembra possibile distinguere
il caso in cui il diritto alla determinazione in tema di trattamenti sanitari
sia legittimo oppure illegittimo in base alla liceità o meno dello scopo che si
intende raggiungere attraverso il rifiuto della terapia.
(Francia) L'orientamento della
giurisprudenza delle Corti di merito francesi, sin dall'inizio del secolo,
tende a far prevalere da una parte il fattore sentimentale e pietistico e
dall'altra l'elemento del dolore fisico, sulla indisponibilità del 'diritto
alla vita della persona affetta da malattia Inguaribile. (Olanda) La normativa in materia di
provocazione attiva della morte da parte del medico riceve però un notevole
balzo in avanti nei Paesi Bassi.
Oltre ad una vivace discussione condotta
dal Parlamento, sano stati formulati dalla giurisprudenza negli anni '80 alcuni
criteri in base ai quali in talune evenienze l'eutanasia non avrebbe dovuto
essere penalmente sanzionata.
Operatori sanitari e del diritto chiesero
la prescrizione da parte del Legislatore di direttive alla luce dei quali poter
valutare correttamente Il proprio operato.
Il Parlamento olandese ha promulgato il 9-2-993
una legge dichiarando non perseguibile penalmente il medico che mette fine alla
malattia di un malato terminale, solamente in presenza di 28 condizioni
necessarie e imprescindibili, fra cui l'esistenza di dolori insopportabili;
l'essere il paziente malato terminale; l'assenza di possibili 'miglioramenti;
una istanza della cessazione della propria vita effettuata in modo esplicito,
volontario, ripetuto e previa ponderata valutazione.
Questa legge, entrata In vigore il 1°
giugno 1994, rappresenta un primo passo verso li riconoscimento della eutanasia
attiva, tramite una sua parziale depenalizzazione.
La giurisprudenza dei Paesi Bassi ritiene
oramai che un medico che provoca la morte del suo assistito, ricorrendo le
condizioni sopra citate, può far appello alla sforza maggiore. Il pensiero giuridico
e legislativo olandese, però, ha compiuto dl recente un ulteriore passo in
avanti. Dalla estinzione della vita di un individuo afflitto da sofferenze
fisiche insopportabili prodotte da un morbo incurabile, si è passati a
considerare delictum exceptum, anche
la morte procurata dal medico in caso di sofferenza morale.
Uno psichiatra che aveva assistito al
suicidio di un paziente afflitto da una grave perturbazione mentale e che fece
appello, alla causa vide respinto, nel giugno del 1994, il suo ricorso in
Cassazione. La Corte Suprema olandese lo ha bensì giudicato colpevole, ma ha
rinunciato ad infliggergli la pena. Nella sua pronuncia l'Alta Corte ha riconosciuto
la possibilità per il-medico di invocare la sussistenza di una forza maggiore
nel caso in cui abbia prestato ausilio al decesso di chi è soggetto ad una
insopportabile sofferenza morale senza speranza di miglioramento, ma soltanto a
condizioni particolarmente severe. Condizione primaria nel caso di un paziente
gravemente sofferente a livello psicologico è che il medico sia convinto che il
suo assistito abbia espresso il desiderio di morire in piena capacità di
intendere e di volere; altresì la sofferenza non deve essere soggetta ad alcuna
possibilità di mutamento in melius. A
differenza, però, di una patologia meramente fisica, è praticamente impossibile
determinare obiettivamente, Ossia con mezzi scientifici, se colui che soffre di
gravi turbe psichiche sia destinato a percorrere un inevitabile ed
irreversibile percorso mortale.
La Cassazione olandese ha stabilito
inoltre la condicio che non vi sia più alcun trattamento sanitario valido, Il
dubbio rimane: se gli strumenti diagnostici e terapeutici al fine di
individuare e guarire una malattia di ordine mentale sono completamente
diversi da quelli riguardanti le patologie fisiche, in, quanto privi di
certezza scientifica, come può il medico candese stabilire la insussistenza di
ulteriori trattamenti curativi? Gli organi legislativi dell'Olanda hanno
positivizzato quanto espresso da questa sentenza. Nel febbraio del 1995 il
Parlamento, esprimendosi con un voto non formale, ha superato gli argini, già
molto fragili, delle legislazioni statunitensi, implementando le opportunità
di esercizio dell'eutanasia attiva: quest'ultima viene consentita anche nei
casi di gravi sofferenze dl ordine psicologico, conseguenti ad un male
incurabile, seppur non ancora allo stadio terminale.
Il Parlamento olandese termina questo
percorso di legalizza-alone della eutanasia attiva in data 10 aprile 2001, con
una normativa entrata in vigore recentemente, il 1 aprile 2002. Il medico che
pratica l'eutanasia o che presta assistenza ad un suicidio, per non essere
perseguibile penalmente, deve essere persuaso che il paziente ha fatto una
scelta volontaria e ben meditata» e che versa in sofferenze insopportabili.
Inoltre il medico deve informare il malato della sua situazione e su ciò che lo
attende e accertare che non esiste alcuna ragionevole soluzione alternativa alla
c.d. “dolce morte… Le procedure relative
alla eutanasia attiva devano essere sottoposte al controllo di Commissioni
regionali di verifica, già previste dalla legislazione precedente, composte da
almeno tre specialisti in campo legale, medico ed etico, il compito che questi
organismi dovranno svolgere sarà quello di verificare il rispetto di tutte le
condizioni previste dalla norma. Le violazioni della succitate regole devono
essere segnalate dalle Commissioni alla magistratura competente”. La
notevole — e direi clamorosa — novità consiste nella estensione del
riconoscimento del diritto di darsi attivamente la morte anche ai minori. In
particolare modo, i “grandi minori” (16-18 anni) possono autonomamente
scegliere di morire, previa consultazione dei genitori; i soggetti fra i 12 e i
16 anni possono optare per la “dolce
morte, solamente dopo l'approvazione dei genitori o del tutore”.
La legge riconosce la validità di una
dichiarazione scritta del paziente in cui si esprime l'intenzione di ricorrere
all'eutanasia. Il medico, ad ogni modo, non può esimersi dal valutare le
condizioni fissate dalla normativa, sia che la richiesta giunga da un malato
ancora lucido, sia che venga da un paziente che abbia redatto l'atto in un
lasso di tempo antecedente al realizzarsi della incapacità di intendere e dl
volere.
(Italia) In Italia all'impostazione giuridica
di tipo francese e inglese seguita dalla giurisprudenza di merito, si contrappone
marcatamente la giurisprudenza di legittimità, che riafferma con Forza la
natura di omicidio dell'eutanasia.
La giurisprudenza della Suprema Corte di
Cessazione ha negato che l'uccisione per pietà, anche nel caso di persona
affetta da malattia inguaribile e in preda a insopportabile tormento, possa
andare esente da pena, insistendo anzi nell'esigere un'accurata indagine sul
consenso eventualmente prestato, al fine di accertare con rigore se esso non
sia stato determinato dalla condizione di deficienza psichica del malato e, pertanto,
da ritenersi invalido.
La giurisprudenza qualche anno fa è
tornata sull'argomento con un provvedimento che non ha precedenti In Italia. La
Corte di Appello di Milano con il decreto 31 dicembre 1999 (39) ha sancito che:
Non può essere accolto il ricorso con cui il tutore (e padre) di un interdetto
chiede l'autorizzazione ad interrompere le cure mediche che consentono di
protrarre lo stato vegetativo, nonché l'alimentazione artificiale. Per la prima
volta un collegio di giudici Italiani ha affrontato il problema della scelta
dei trattamenti da effettuare su individui che si trovano In stato vegetativo
permanente, id est non hanno alcuna possibilità di recupero della coscienza, ma
per Legge non sono morti.
La motivazione — particolarmente lunga per
essere collegata ad un decreto — chiarisce che l'autorizzazione potrebbe essere
concessa se i trattamenti medici (inclusa l'Idratazione e l'alimentazione
artificiale), cui il malato è sottoposto, costituissero un accanimento
terapeutico, nel senso precedentemente configurato.
II trattamento terapeutico, per i giudici
milanesi, lede il primato dell'uomo concepito come supremo valore etico.
Giudicare se il singolo trattamento medico costituisca accanimento terapeutico
non può che spettare alla classe medica alla stregua delle nozioni scientifiche
acquisite e unanimemente condivise secondo i protocolli e le linee-guida a
livello internazionale.
Come è evidente, la giurisprudenza è
consolidata su posizioni contrarie alla liceità della eutanasia, sia di tipo
passivo, sia di tipo attivo.
Secondo autorevole dottrina l'attentato
alla persona umana non potrebbe essere realizzato nemmeno can leggi di
revisione costituzionale, atteso che queste leggi incontrano il limite implicito
di non poter intaccare. In nessun modo le norme principio, tra cui rientra
l'inviolabilità della persona umana - a
mente dell'art. 2 Cost - sulle quali si
fonda e nelle quali si identifica l'intero sistema costituzionale italiano:
Né al contrario può essere addotto che
nell'eutanasia la soppressione della vita avviene ad opera di un terzo (il
medico, il parente), su richiesta esplicita della persona interessata, e che,
quindi, la tutela dell'ordinamento non deve invadere la sfera privata
dell'autodecisione dell'uomo.
Si può in replica osservare che
nell'eutanasia, al contrario del suicidio, la decisione finale sulla morte è
rimessa al terzo e non già all'interessato, e non si può quindi consentire che
sia trasferita ad altri la disponibilità della vita umana.
In realtà l'intangibilità della vita deve
essere affermata anche da un punto di vista oggettivo che esclude rilevanza
all'autodecisione, e ciò non solo per il richiamo al diritto naturale, ma anche
per lo stesso art. 2 Cost, cose la inviolabilità dei diritti dell'uomo è posta
in relazione con l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica,
economica e sociale. Questa norma, nella sua parte finale, pone l'accento su
una impostazione solidaristica che esclude la liceità dell'autodecisione ad
eliminarsi dal novero dei consociati. Questa negazione dipende dal fatto che la
norma in parola, nel momento stesso in cui tutela e riconosce i diritti inviolabili
dell'individuo, contemporaneamente richiede al cittadino l'adempimento dei
doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. Il che
significa che la nostra Costituzione prevede un ordinamento giuridico in cui il
bene comune si avvantaggia della partecipazione di tutti i cittadini. Pertanto,
poiché l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà è previsto con
nonna precettiva costituzionale, si deve rilevare che in questo momento storico
nel nostro ordinamento una visione dl liceità dell'autodecisione del soggetto
a consentire la sua morte è inammissibile.
Sul piano costituzionale rileva anche
l'art. 32 Cost. che, tutelando il diritto alla salute, a maggior ragione tutela
il diritto alla vita del cittadino; di fondamentale importanza è l'ultima parte
di questa norma: “La legge non può in
nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.
Inoltre, non si può non prendere in
considerazione l'art. 5 c.c., il quale vieta gli atti di disposizione del
proprio corpo quando cagionino una diminuzione permanente dell'integrità fisica
—a fortiori la morte — o siano contrari all'ordine pubblico o al buon costume.
Sia il principio di solidarietà sia il
principio personalistico, ai quali si è ispirato il Costituente, sono validi
punti di riferimento per l'interprete al fine di ritenere che a decisione del
soggetto interessato, su cui 'si pretende di fondare la liceità dell'eutanasia,
trova un limite invalicabile nella tutela della vita umana: questa è un bene
riconosciuto alla persona, non solo come singolo, ma anche come appartenente
alla comunità che, nel perseguire il bene comune, si avvale degli apporti di
ciascun consociato.
Nella contrapposizione fra un presunto
diritto alla morte, non previsto direttamente o Indirettamente in alcuna Carta
internazionale, in nessuna Costituzione nazionale e non appartenente ad alcuna
tradizione del pensiero giuridico dottrinario e giurisprudenziale occidentale
(salvo, come è stato illustrato, in alcuni recenti episodi), e il “diritto alla vita, saldamente presente
nell'ordinamento transnazionale e statuale, prevale senza ombra di dubbio
questo ultimo”.
E' giusto, comunque, trovare una
soluzione, in termini giuspenalistici, a determinate situazioni particolarmente
gravose, avendo sempre dinanzi a sé, come una stella polare, il rispetto e la
tutela del diritto alla vita, il parere di alcuni Autorevoli Autori può essere
condiviso. Pur non ammettendo la possibilità di rinunciare al diritto alla
vita di cui ogni individuo è titolare e pur rimanendo inalterata la qualifica
delittuosa prevista dall'art. 579 c.p. (omicidio del consenziente), potrebbe
essere opportuno, sull'esempio di qualche codice (come quello norvegese),
introdurre nella nostra legislazione una norma speciale, la quale stabilisca
una sanzione non elevata, con un minimo edittale basso, per il caso che sia
cagionata per pietà la morte di una persona amata, clinicamente inguaribile e
al solo scopo di porre termine alle sue sofferenze. Questa tipologia di
disposizione affermerebbe sempre il principio che la vita umana è sacra e che
il diritto alla vita è assolutamente indisponibile, ma eviterebbe al giudice di
trovarsi nell'angoscioso bivio di infliggere una pena che la coscienza sociale
considera esorbitante ed iniqua, invero di pervenire ad assoluzioni che non
possono in alcun modo essere giustificate.
(Conclusioni) In conclusione un
riferimento alla deontologia medica non guasta.
Porse la riscrittura in termini moderni
del giuramento di lppocrate (460 A.C.-377 A.C.) avutasi all'inizio del 2002
solleva la classe medica da una grande ipocrisia. Il nuovo codice etico della
professione sanitaria a cui ogni professionista della medicina deve attenersi
non riporta più quelle straordinarie espressioni che il medico doveva
pronunziare nell'incipit della propria opera professionale: “...che questo mio giuramento e con questa...
attestazione osserverò integralmente con ogni vigoria e intelligenza... Per
quanto riguarda la cura dei malati (li) difenderò da ogni danno e,
inconveniente... né presso di me alcuna richiesta sarà valida per indurmi a
somministrare veleno ad alcuno, né darò consigli di tal genere. Similmente non
opererò sulle donne allo scopo di Impedire il concepimento e di procurare
l'aborto... La nuova formulazione, omettendo questi peculiari atteggiamenti
etici e deontologici” dell'esercente l'attività medica, rende maggiormente
compatibili alcune professioni medico-chirurgiche con le normazioni che hanno
depenalizzato o stanno- depenalizzando l'interruzione volontaria della
gravidanza e le varie forme di eutanasia.
Ci piace terminare un lavoro così delicato
che tocca con drammaticità ogni essere umano con un pensiero di Socrate che,
nel Pedone, esprime con forza la propria contrarietà al suicidio, alla
eutanasia e a ogni intervento sull'uomo lesivo della sua dignità e della sua
vita: .... In base a questo, dunque, non
è precetto irragionevole che nessuno debba uccidere se stesso - prima che Dio
non gli mandi un perentorio comando…”
Fabrizio Giulimondi
NOTE DI AGGIORNAMENTO APRILE 2002
1) In corso di redazione del presente
scritto la Corte di Assise di Appello di Milano ha adottato in data 24 aprile
2002 una sentenza di assoluzione per non aver commesso il fatto nei confronti
di una persona, già condannata in primo grado per aver staccato il respiratore
artificiale necessario per il mantenimento in vita della moglie, mentre la
Corte Europea dl Strasburgo in data 29 aprile 2002 ha rigettato all'unanimità
la richiesta di suicidio assistito presentata da una cittadina britannica. In
relazione al primo caso giudiziario si precisa che, come si evince da questo
lavoro, non si versa affatto in un caso di eutanasia: l'azione non è stata
portata innanzi dal soggetto affetto dalla patologia con l'ausilio del medico,
né da un operatore sanitario (o talora da un terzo, come in Diane Pretty's case, sottoposto al
cennato giudizio della Corte Europea) con il consenso del malato, bensì ad
opera di chi con propria autonoma iniziativa volontariamente ha ucciso una
persona, senza che la «vittima» abbia espresso in alcun moda il desiderio di
morire alla presenza di alcune condizioni. In attesa del deposito della
motivazione, chi scrive si augura che la Procura Generale della Repubblica di
Milano ricorra in Cassazione avverso la decisione de qua.
Riguardo al secondo caso la Corte Europea
dei diritti dell'uomo ha confermato il divieto del suicidio assistito previsto
dalla legislazione penale britannica e, quindi, ha ribadito la decisione del
novembre 2001 della Camera dei Lord, che si era già pronunciata al riguardo,
negando l'autorizzazione richiesta da una donna affinché il marito ponesse in
essere atti idonei a procurarle la morte. Il provvedimento della Corte Europea
rinforza l'indirizzo tendenzialmente contrario al riconoscimento giuridico
della eutanasia della giurisprudenza europea e, specie con la sentenza del 1997
della Suprema Corte, di quella statunitense.
2) Indubbiamente l'approvazione il 16
maggio 2002 da parte della Camera dei Deputati del Belgio di una legge ancora
più permissiva di quella olandese rappresenta un ulteriore vulnus per la sopra
esposta impostazione giuridica e culturale dell'Europa.
Fabrizio Giulimondi
NOTE DI AGGIORNAMENTO GIUGNO 2019
AUSTRALIA
Lo Stato di Victoria ha legalizzato l’eutanasia nel 2018, ma il dibattito è aperto anche in altre parti del Paese e si manifesta in posizioni sempre più estreme. Nel Queensland, per esempio, il presidente del Comitato per le libertà civili, Michael Cope, ha detto a una commissione parlamentare che la volontà dei “minori maturi” di essere sottoposti a eutanasia dovrebbe essere rispettata. Quanto maturi? Anche bambini di 12 anni o poco più. «Definiremmo un minore maturo come un bambino sopra i 12 anni di età che… ha una comprensione e intelligenza sufficiente per consentirgli di comprendere pienamente ciò che viene proposto», ha affermato Cope, aggiungendo la solita serie di sottigliezze per far sembrare la polpetta meno avvelenata. Interessante notare che Cope ha detto di ispirarsi ai casi del Belgio, dove tre minori avrebbero richiesto l’eutanasia dal 2014, e dell’Olanda, dove i minori uccisi per loro volontà sarebbero 13 dal 2002. Secondo Cope, inoltre, un medico non dovrebbe essere obbligato a praticare l’eutanasia ma dovrebbe indirizzare il paziente verso un collega disponibile a fornire il “servizio”: in breve, l’idea è di limitare l’obiezione di coscienza.
BELGIO
L’eutanasia è stata depenalizzata, come precedentemente riportato, nel 2002 per i maggiorenni che fossero malati terminali. Nel 2014 è stata estesa ai minori “capaci” di richiederla. Del resto, il consenso del paziente non è più ritenuto necessario da molti medici e, a volte, dagli stessi infermieri, che procedono autonomamente. Basti ricordare lo studio pubblicato sul New England Journal of Medicine, dove si indicava che l’1.7% (pari a oltre 1.000 casi) di tutte le morti registrate nel 2013 nella regione delle Fiandre era avvenuto senza richiesta. Una percentuale simile, l’1.8%, era stata trovata per l’anno 2007, sempre in riferimento alle Fiandre, da un altro studio, pubblicato sul Canadian Medical Association Journal, a conferma di un trend già radicato.
Dall’ultimo rapporto pubblico sull’eutanasia, si sa poi che nel 2018 sono stati dichiarati 2.357 casi (di cui 83 riguardanti persone con meri disagi psichici) che equivalgono a un +147% rispetto ai 953 casi del 2010. Molti neonatologi stanno ora chiedendo una modifica della legge per poter praticare attivamente l’eutanasia sui neonati, in sostanza attraverso l’iniezione letale. Tra i favorevoli c’è Wim Distelmans, medico coinvolto in diversi casi estremi di “dolce morte” e, malgrado ciò, copresidente del comitato di controllo belga sull’eutanasia: «Chiunque ponga fine attivamente alla vita di un neonato può essere perseguito per infanticidio. Ciò è molto diverso dai Paesi Bassi in cui è in vigore un protocollo. Lì, quando tutte le condizioni sono soddisfatte per la fine della vita, l’accusa viene semplicemente rigettata». A Distelmans fa da spalla il politico Jean-Jacques De Gucht, che già fu promotore dell’estensione normativa del 2014 e oggi dice: «Viene già fatto negli ospedali, semplicemente non abbiamo un quadro legale per questo».
CANADA
L’eufemisticamente detta Medical assistance in dying (Maid), che comprende sia l’eutanasia che il suicidio assistito, è divenuta legale in tutta la nazione nel giugno 2016. Limitandoci ai primi due anni interi di applicazione della nuova legge, si sono avute 2.704 “morti assistite” ufficiali nel 2017 e - stando a quanto riportato a marzo di quest’anno da Jocelyn Downie, un’attivista pro eutanasia - 4.235 nel 2018. Un aumento di oltre il 56%. Secondo la Downie tutti i pazienti che hanno usufruito, si fa per dire, della Maid, avevano i requisiti previsti dalla legge, ma sono i dati a smentirla: il rapporto provvisorio per la sola provincia del Québec riporta infatti che il 3% dei casi - pari a 19 persone - non rientravano tra i criteri stabiliti; cinque di queste persone non avevano una “malattia seria e incurabile” e due non erano in fin di vita.
OLANDA
Alla depenalizzazione del 2002 - già prima accennato - con il via libera all’eutanasia per maggiorenni, ha fatto seguito il Protocollo di Groninga approvato nel 2005 dall’Associazione dei pediatri olandesi, che prevede la possibilità per minori tra i 12 e i 16 anni di richiedere l’eutanasia con il consenso dei genitori. Si è passati dalle 1.882 persone uccise attraverso la morte assistita nel 2002 alle 6.585 del 2017, quasi il 250% in più. Nello stesso anno circa 1.900 olandesi hanno ottenuto il suicidio assistito mentre altre 32.000 sono morte per una sedazione estrema, con il risultato che più di un quarto di tutte le morti nei Paesi Bassi nel 2017 (circa 150.000) sono frutto della diffusa mentalità eutanasica.
Se all’inizio il requisito per l’eutanasia era essere un malato terminale, oggi la si può richiedere per una varietà enorme di ragioni, dalla demenza alla depressione, ai normali acciacchi dell’età. Il codice di condotta del 2018, elaborato dalla commissione di controllo dell’eutanasia, prevede infatti che un paziente che «vuole ricevere l’eutanasia […] non deve per forza essere affetto da una patologia terminale. L’accumulo di difficoltà tipiche della vecchiaia - come problemi di vista, problemi di udito, osteoporosi, artrite, problemi di equilibrio, declino cognitivo - possono causare sofferenze insopportabili senza prospettive di miglioramento». Basta anche una sola di queste condizioni per autorizzare l’eutanasia e, tra l’altro, nel documento si sottolinea che il criterio per valutare la sofferenza «insopportabile» è da considerarsi «del tutto soggettivo», cioè in capo alla percezione del paziente. A questo va aggiunto che anche nella super liberal Olanda l’idea dell’autodeterminazione è un’illusione: solo per il 2015 uno studio ha rilevato 431 casi di eutanasia non richiesta.
Fabrizio Giulimondi