L’ordinamento nazionale si è preoccupato, nel tempo, di
portare avanti, tra le altre, anche una azione di contrasto agli interessi economici
e patrimoniali delle associazioni
criminali di natura camorristico - mafiosa.
Nella formazione antimafia italiana la lotta avverso le
ricchezze delle mafie si articola in due grandi fasi: la prima nasce con la
legge Rognoni - La Torre nel 1982 (L.13
settembre 1982, n. 646) e riguarda le indagini della polizia e i procedimenti
aventi ad oggetto il sequestro e la confisca di specifiche unità immobiliari;
la seconda si rivolge all’uso che lo Stato fa dei patrimoni sottratti al
crimine organizzato e fondamentale è stata, a questo proposito, la legge 7
marzo 1996, n. 109. Si può asserire che, fino alla approvazione di quest’ultima,
l’intervento dello Stato nell’ambito dei beni accumulati illecitamente da Cosa Nostra è
stato soprattutto di carattere repressivo. Un grande patrimonio immobiliare, strappato
alla mafia grazie all’applicazione delle misure di prevenzione di ordine patrimoniale,
introdotte con la legge Rognoni-La Torre del 1982, giaceva in una situazione di
totale abbandono, o addirittura, in
alcuni casi paradossali, continuava ad essere nella disponibilità delle cosche.
Con la citata legge n. 109/1996 è stato stabilito che i
beni confiscati debbano essere restituiti ai cittadini ai quali furono sottratti
con la violenza e il delitto.
Dal punto di vista applicativo, la problematica
principale emersa sin dal principio si è
concretizzata nelle lungaggini procedurali e
burocratiche fra il sequestro e la
confisca, per giungere in ultimo all’utilizzo dei beni: la notevole rilevanza
degli interessi economico – finanziari –commerciali in gioco hanno attivato le agguerrite difese messe in
campo dalle associazioni previste dall’art. 416 bis c.p. per il loro mantenimento.
Le procedure amministrative attraverso le quali il
cespite viene posto nella disponibilità delle associazioni e delle cooperative
si sono mostrate lunghe e dense di
ostacoli (ipoteche, stato di degrado degli immobili, occupazioni abusive), e si
è rilevata una inadeguatezza complessiva
della macchina burocratico – amministrativa (in particolare della Agenzia del Demanio
e delle Prefetture).
Questa situazione ha dilatato sensibilmente la durata
dell’iter di assegnazione del bene
che, seppur, in molte ipotesi, in buone condizioni all’atto della confisca, al
momento della sua assegnazione risulta essere in stato di abbandono e di
degrado.
Ulteriore punto di forte criticità che il tempo ha potuto
evidenziare, è rappresentato dai diritti dei c.d. terzi in buona fede,
soprattutto banche, che vantano garanzie reali a fronte di crediti posseduti nei
confronti del soggetto sottoposto a misura di prevenzione.
Per la disciplina relativa alla destinazione e
all’utilizzo dei beni confiscati, occorre far riferimento alla legge 31 maggio
1965, n. 575.
Tale normativa descrive le modalità con le quali deve
avvenire la confisca dei beni: su iniziativa del procuratore della Repubblica,
del direttore della Direzione Investigativa Antimafia o del questore
territorialmente competente, il
tribunale (in veste collegiale), anche di ufficio, ordina con decreto motivato
il sequestro dei beni nella disponibilità diretta o indiretta della persona nei cui confronti è iniziato il
procedimento, quando il loro valore
risulti sproporzionato al reddito dichiarato o all’attività economica esercitata,
ovvero ogniqualvolta, sulla base di
sufficienti indizi, si abbia motivo di ritenere che gli stessi siano il frutto
di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego.
Il tribunale affida ad un amministratore il compito di
provvedere alla custodia, alla conservazione e alla amministrazione dei
beni durante tutta la durata del procedimento di sequestro, anche al fine di
incrementarne, se possibile, la redditività.
Quanto alla gestione dei beni e alla loro destinazione
(anche per sopperire alle problematiche burocratiche cui si è precedentemente
accennato), il Parlamento italiano ha approvato alcune leggi (legge 24 luglio
2008, n. 125 di conversione del decreto legge 23 maggio 2008, n. 92; legge 15
luglio 2009, n. 94), volte a rendere più incisiva l’azione di individuazione e
confisca dei beni e più rapida ed efficace la loro restituzione alla
collettività.
Per semplificare
e velocizzare le procedure e dare efficienza all’opera delle Istituzioni,
attraverso una iniziativa di coordinamento e di impulso, è stato istituito nel
2007 l’Ufficio del Commissario Straordinario del Governo per la gestione e la
destinazione dei beni confiscati ad organizzazioni criminali.
È stata modificata la legislazione che regola il
procedimento di destinazione dei beni: dai tribunali il bene passa direttamente
alla Autorità amministrativa; il Prefetto
diventa la massima autorità di governo sul territorio ed ha il compito di
emanare i provvedimenti di destinazione (generalmente affidati ai Comuni) e di
vigilare affinché i beni siano effettivamente utilizzati per fini sociali
pubblici.
Infine, il decreto
-legge 4 febbraio 2010, n. 4 (modificato dalla legge di conversione 31 marzo
2010, n. 50) ha istituito l’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione
dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata.
Allo stato attuale, dunque, i beni immobili e aziendali
confiscati (il cui sequestro, quindi, si è trasformato e cementificato in un
provvedimento definitivo di confisca), con delibera del Consiglio Direttivo della
Agenzia Nazionale, sulla base di specifica stima del valore, possono acquisire
diverse destinazioni:
·
sono devoluti allo Stato: il provvedimento definitivo di
confisca è comunicato dalla cancelleria dell’ufficio giudiziario alla Agenzia del Demanio competente per territorio
(ossia quella del luogo ove si trova il
cespite o la sede della azienda oggetto
di confisca), alla Agenzia Nazionale per la amministrazione e la destinazione
dei beni sequestrati e confiscati, e, infine, al Prefetto territorialmente
competente. L’Amministratore giudiziale, qualora confermato, prosegue il
proprio ufficio sotto la vigilanza dell’Agenzia;
·
sono mantenuti al patrimonio dello Stato per finalità di
giustizia, di ordine pubblico e di protezione civile e, ove idonei, anche per
usi governativi o pubblici connessi allo svolgimento delle attività
istituzionali di amministrazioni statali, agenzie fiscali, università statali,
enti pubblici e istituzioni culturali di rilevante interesse, salvo che si
debba procedere alla vendita degli
stessi finalizzata al risarcimento delle vittime dei reati di tipo mafioso;
·
sono mantenuti al patrimonio dello Stato e, previa
autorizzazione del Ministro dell’Interno,
utilizzati dalla Agenzia per finalità economiche;
·
sono trasferiti per finalità istituzionali o sociali, in via
prioritaria, al patrimonio del comune ove l’immobile è sito, ovvero al
patrimonio della Provincia o della Regione. Gli enti territoriali, anche
consorziandosi, possono amministrare direttamente il bene o, sulla base di
apposita convenzione, assegnarlo in concessione, a titolo gratuito e nel rispetto
dei principi di trasparenza, pubblicità e parità di trattamento, a comunità,
anche giovanili, ad enti, ad associazioni maggiormente rappresentative degli
enti locali, ad organizzazioni di volontariato di cui alla legge 11 agosto
1991, n. 266, a
cooperative sociali di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381, oppure a
comunità terapeutiche e centri di recupero e cura di tossicodipendenti di cui
al T.U. delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze
psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di
tossicodipendenza, di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, nonché alle
associazioni di protezione ambientale riconosciute ai sensi dell’art. 13 della
legge 8 luglio 1986, n. 349. La convenzione disciplina la durata, l’uso del
bene, le modalità di controllo sulla sua utilizzazione, e le cause di
cessazione dell’utilizzo. Se entro un anno l’ente territoriale non ha
provveduto alla destinazione del bene, l’Agenzia dispone la revoca del
trasferimento ovvero la nomina di un commissario con poteri sostitutivi;
·
sono trasferiti al patrimonio del comune ove sono ubicati,
se confiscati per il reato di cui all’art. 74 del citato T.U. 309/1990 (associazione
finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope). Il Comune
può amministrare direttamente il bene oppure, preferibilmente, assegnarlo in
concessione, anche a titolo gratuito, ad associazioni, comunità o enti per il
recupero di tossicodipendenti operanti nel territorio ove è sito l’immobile;
·
sono trasferiti al patrimonio del comune ove essi sono individuati
e, qualora possiedano caratteristiche
tali da consentirne un uso agevole per scopi turistici, dati in concessione a cooperative di giovani di età non superiore a
35 anni, ai sensi dell’art. 56, comma 2, decreto legge (c.d. Semplifica Italia)
9 febbraio 2012, n. 5, convertito in legge 4 aprile 2012, n. 35
I beni immobili di cui non sia
possibile effettuare la destinazione o il trasferimento per le finalità di
pubblico interesse sono destinati alla vendita con provvedimento della Agenzia,
osservate, in quanto compatibili, le disposizioni del codice di procedura
civile.
I beni aziendali sono mantenuti al
patrimonio dello Stato e destinati, con provvedimento della Agenzia che ne
disciplina le modalità operative:
·
all’affitto, quando vi siano fondate prospettive di continuazione
o di ripresa dell’attività produttiva, a titolo oneroso;
·
alla vendita, per un corrispettivo non inferiore a quello
determinato dalla stima eseguita dalla
Agenzia, a soggetti che ne abbiano fatto richiesta;
·
alla liquidazione, se vi sia una maggiore utilità per
l’interesse pubblico o qualora la liquidazione medesima sia finalizzata al
risarcimento delle vittime dei reati di stampo mafioso, con le modalità di cui al
punto precedente.
I beni mobili, anche iscritti in
pubblici registri, come autovetture, navi, imbarcazioni, natanti e aeromobili
sequestrati, sono affidati dall’autorità giudiziaria in custodia giudiziale
agli organi di polizia che ne facciano richiesta, per l’impiego in attività di
polizia di sicurezza e giudiziaria, ovvero possono essere affidati alla Agenzia
o ad altri organi dello Stato o ad altri enti
pubblici non economici, per finalità di giustizia, di protezione civile
o di tutela ambientale.
Occorre rilevare che la legge 109/96,
introducendo l’art. 2 duodecies nella
legge 575/65, non si è limitata ad apportare innovazioni sostanziali e
procedurali in tema di amministrazione dei beni sequestrati e confiscati, ma ha
recepito anche l’esigenza di attuare un monitoraggio permanente su di essi
anche attraverso la creazione di una banca dati unica.
L’esigenza di dare vita ad una banca
dati deriva anche dal fatto che, sino a quel momento, la raccolta delle
informazioni era stata rimessa alla iniziativa delle amministrazioni a vario
titolo interessate, le quali, senza alcun raccordo tra loro, avevano provveduto
a istituire autonomi sistemi di rilevazione, talvolta privi di precisi criteri
procedurali. L’art. 2 duodecies,
comma 4, l.
575/65, ha recato significative innovazioni, disponendo che la raccolta dei
dati relativi ai beni sequestrati o confiscati, concernenti lo stato del
procedimento per il sequestro o la confisca, nonché dei dati inerenti la
consistenza, la destinazione e il
riutilizzo dei beni in parola, venisse
disciplinata da un regolamento da emanarsi con decreto del Ministero della
Giustizia di concerto con le amministrazioni interessate (Difesa, Economia e Finanze
e Interno).
Atteso che il codice delle leggi
antimafia (d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, in attuazione degli artt. 1 e 2 della
legge delega 13 agosto 2010, n. 136, segnatamente al libro I, Titolo III (amministrazione,
gestione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati), Capi I, II, III e
IV) ha raccolto, semplificato, sistematizzato e
razionalizzato tutte le disposizioni sopra enunciate, l’art. 49 del codice ha
raccolto il richiamo al citato regolamento (ancora non emanato) che avrà
il compito di collazionare i dati relativi ai beni sequestrati o confiscati, le
informazioni concernenti lo stato del procedimento per il sequestro o la
confisca degli immobili, le notizie relative alla consistenza, alla
destinazione e alla utilizzazione dei cespiti sequestrati o confiscati, nonché
la trasmissione dei medesimi alla Agenzia.
Allo stato attuale, oltre la Banca dati S.I.P.P.I.
(Sistema Informatico Prefetture e Procure d’Italia) presso il Ministero della
Giustizia, esiste anche quella dell’Agenzia
del Demanio per le fasi procedimentali di sua competenza. Essa, destinata ad
avere come utenti i dipendenti delle filiali dell’Agenzia, raccoglie le
informazioni dei procedimenti amministrativi di destinazione dei beni
definitivamente confiscati. Le due banche dati fanno emergere ulteriori
problemi di coordinamento, in ragione del fatto che trattano separatamente due fasi
diverse del procedimento di confisca e destinazione senza alcuna integrazione
automatica. L’applicativo S.I.P.P.I., infatti, presta una attenzione maggiore
ai dati dei soggetti e alla ricostruzione dei patrimoni loro riconducibili,
adottando una classificazione che ricalca quella dei registri ufficiali per
materia, senza che vengano valorizzati i settori relativi alle informazioni attinenti
la gestione dei patrimoni medesimi
La banca dati dell’Agenzia del
Demanio possiede, invece, come fulcro le conoscenze necessarie alla gestione degli
immobili, con particolare attenzione al monitoraggio dei dati afferenti le ipoteche e
i contratti di affitto.
Un problema particolare va sottolineato
al termine di questo lavoro, ossia la questione del sequestro-confisca
delle unità immobiliari in odore di
mafia rinvenibili al di fuori dei confini nazionali, ancora non risolta
dall’ordinamento giuridico italiano, a causa della mancata adozione degli
strumenti legislativi necessari alla trasposizione nel diritto interno delle relative
norme U.E..
La decisione quadro del Consiglio
Europeo 2006/783/Gai del 6 ottobre 2006 (applicazione del principio di
reciproco riconoscimento ed esecuzione immediata delle decisioni di confisca),
pur oggetto dell’art. 49, comma 1, lett. a), della legge 7 luglio 2009, n. 88
(legge comunitaria 2008) che conferiva al Governo il potere-dovere di approvare
un decreto legislativo di recepimento entro il 29 luglio 2010, non risulta
ancora essere stata attuata in Italia: le ultime notizie risalgono al 22 luglio 2010, data in cui è stato
presentato uno schema di decreto legislativo attuativo della decisione
quadro da parte del Ministro delle Politiche Comunitarie, senza però che sia
seguita alcuna deliberazione definitiva da parte del Consiglio dei Ministri,
previo obbligatorio parere del Consiglio di Stato.
Prof. Fabrizio
Giulimondi