domenica 24 febbraio 2013

ARGO: PREMIO OSCAR 2013 COME MIGLIOR FILM


Questa notte a Los Angeles sono stati conferiti i prestigiosissimi premi Oscar  e sul film Lincoln ha prevalso Argo di Ben Affleck, sulla vicenda degli ostaggi americani nella ambasciata U.S.A. a Teheran.
Ne ripropongo la recensione da me scritta e  pubblicata qualche settimana fa su questo blog ,  ricordando che già al tempo  ne auspicavo la vittoria.
Buona lettura!
Fabrizio Giulimondi


 Locandina Argo
“Argo”, un vero action movie di impronta classica holliwoodiana come non se ne vedevano da molti anni sul grande schermo (l’altro che mi viene in mente è Apollo13), di Ben Affleck con Bryan Cranston, Ben Affleck, Michael Cassidy, Taylor Schilling, la cui visione è obbligatoria per la straordinaria dinamicità, per la tensione che cresce e monta ogni minuto di più sino ad  esplodere negli ultimi minuti, oltre  per i contenuti commemorativi e didattici che ricordano, specie alle nuove generazioni, cosa hanno rappresentato e rappresentano tutt’ora,  in termini di minaccia per l’Occidente,  le teocrazie islamiche (non dimenticando  che proprio  i questi  giorni il parlamento egiziano sta varando la nuova costituzione -  dopo la c.d. primavera araba -  che assume la sharia come fonte primaria di diritto).
La trama si sviluppa introno agli eventi realmente verificatisi all’interno della ambasciata statunitense a Teheran, capitale dell’Iran (l’antica Persia, dal 1 aprile 1979 denominata Repubblica Islamica dell'Iran a seguito di referendum popolare), nei mesi successivi alla partenza per l’esilio dello  Scià e l’arrivo al potere nel 1979 degli Ayatollah, ossia degli esponenti più importanti del clero sciita (la componente islamica più diffusa in Iran),  e della loro  guida spirituale suprema  Khomeyni( 1902-1989).
La storia del film si snoda attraverso il  movimento rivoluzionario iraniano, iniziato nel 1978 e poi affermatosi  nel gennaio  del 1979 con la partenza in esilio nella terra d’Egitto dello Scià e  il trionfale ritorno il 1 febbraio a Teheran  dell'Ayatollah Khomeini. Il 22 ottobre 1979 lo Scià di Persia  Mohammad Reza Pahlavi si reca a New York per essere sottoposto ad un trattamento contro un grave tumore che lo assediava. Il 1 novembre 1979 l'ayatollah Khomeini invitò la popolazione a manifestare contro gli interessi degli americani, indicati col nome di "Grande Satana" e di "Nemici dell'Islam".
Il 4 novembre 1979, alle ore 6.30 del mattino, un gruppo di circa 500 studenti  assaltò l'ambasciata degli Stati Uniti nella capitale della neonata Repubblica  (ndr le ambasciate, i consolati e le residenze private degli ambasciatori e dei consoli sono, per diritto pattizio e consuetudinario  internazionale,  territorio extraterritoriale, ossia non appartenenti al territorio dello Stato ove insistono, bensì a  quello di cui essi fanno parte).
Gli occupanti-sequestratori, rabbiosi, spietati e invasati fedeli dell'Islam (che i lingua araba vuole dire Sottomissione), sono efficacemente interpretati nella pellicola, molto simili ai barbuti talebani afgani raffigurati nell'opera letteraria e cinematografica Il cacciatore di aquiloni e nei romanzi Mille splendidi soli Le rondini di Kabul.
Sei persone tra quelle che al momento dell'attacco si trovavano all'interno dell'ambasciata (circa una sessantina)  riuscirono a fuggire ed a trovare rifugio nella residenza dell’ambasciatore del Canada: il film racconta proprio la loro complessa, pericolosa, ingegnosa e turbinosa liberazione, avvenuta il 28 gennaio 1980,  grazie al coraggio, alle capacità ed all’intuito di un agente della CIA (che per questo ricevette la intelligent star, la più alta onorificenza nei ranghi dei servizi segreti americani) che riuscì ad entrare a Teheran, fingendosi un produttore cinematografico di Hollywood e,  a far scappare dall’Iran i sei, sotto le mentite spoglie di  componenti di una troupe colà giunti solamente in quei giorni, al fine di effettuare un sopralluogo per la realizzazione di un film di fantascienza intitolato Argo (siamo negli anni di Star Wars e Star Trek).
Gli ostaggi dell’ambasciata, dopo 444 giorni di vessazioni di ogni tipo e false fucilazioni (in una Teheran che vedeva ogni giorni decine di vere fucilazioni, veri impiccati penzolanti dalle gru, vere e bestiali torture e vere    e  ancora perduranti – abolizioni dei diritti umani, specie delle donne e delle minoranze etniche (pensiamo ai curdi  oggetto di una sorta di genocidio), furono finalmente liberati il 20 gennaio 1981, poche ore dopo l’elezione del nuovo presidente repubblicano Ronald Reagan, dopo la pessima prova data dalla Amministrazione del presidente democratico Jimmy Carter durante tutta la gestione della crisi e, in particolare, dopo il drammatico fallimento dell’operazione militare Eagle Claw il 24 aprile 1980, dove persero la vita anche otto soldati americani.
Argo è candidato all’Oscar e, certamente,  merita di vincerne a profusione!
Fabrizio Giulimondi

sabato 23 febbraio 2013

FABRIZIO GIULIMONDI: L'ULTIMO LIBRO DELLA TAMARO DOVREBBE ESSERE LETTO DA TUTTI!


 
Ogni angelo è tremendo” (Bompiani), ventesima fatica letteraria di Susanna Tamaro, dovrebbe essere letto, meditato e approfondito dal maggior numero possibile di donne e uomini.
Romanzo autobiografico della compassione, del disadattamento sociale, del disturbo mentale, dell’abbandono,  della scomparsa di persone e animali a cui è affettivamente legata l’Autrice che, come fugacemente compaiono, altrettanto improvvisamente scompaiono; è il racconto del perdono e della misericordia, della solitudine e del silenzio, di una cupa pazzia nascosta dietro una apparente e  tragica normalità; è la storia  della ricerca dell’Amore, quello con la A maiuscola,  che si trova solo attraverso la misericordia e il perdono; è il saggio della sofferenza e della rinascita, delle tante e  continue rinascite, che giungono sempre  dopo  ogni inevitabile dolore;  è la narrazione di una famiglia completamente disaffettiva, con una madre incapace di sentimenti e di intelletto, che meriterebbe l’odio della figlia da cui invece  riceverà tenerezza e comprensione (“avrei dovuto odiarla  per come mi aveva trattata, invece ho scelto il cammino più lungo e impervio del perdono. Che me ne sarei fatta dell’odio, una volta che lei fosse morta?Come una scheggia gelata sarebbe rimasto per sempre conficcato nel mio cuore”) e un padre assente, completamente assente e girovago, assente, girovago e deresponsabilizzato (“del nulla a cui, fin dalla più tenera età, ero stata ammaestrata da mio padre – un nulla deserto, brullo, sterile in cui l’unica forma di movimento era quello di qualche rotolo di spine o di qualche barattolo trascinato dal vento”), che non potrebbe non essere motivo di disprezzo se non intervenisse nell’epilogo la dolce pietas della Scrittrice, che rende la morte del genitore un momento di commovente riconciliazione.
Al posto del padre sopravvengono altri uomini e altri mariti con cui la madre si accompagna per la sua accidiosa esistenza, fra cui ve ne è uno gravemente disturbato di mente, malvagio  come nella migliore  tradizione favolistica italiana ed europea, se non si trattasse  di vita vissuta, di sangue e carne, di anime demolite,  menti lesionate e  cuori umiliati (“nello sviluppo di una persona, il sadismo e il non amore possono creare delle profonde destrutturazioni alle quali è difficile porre rimedio”), che si risollevano, però, impercettibilmente, lentamente, lievemente ma inesorabilmente, fuoriuscendo dal tetro guscio ove erano stati cacciati e rinchiusi,  per riveder le stelle.
La nonna della Tamaro si metterà di traverso e impedirà alla patologia psichica della nipote di svilupparsi, di crescere e di avvilupparla definitivamente: la nonna la avvicinerà alla lettura e il sapore, il colore e il significato delle parole la trascineranno verso la Vita. La nonna è protagonista di Va dove ti porta il cuore (Biblioteca Universale Rizzoli), trasformato sul grande schermo in un melenso prodotto cinematografico, ma che in realtà è un opera che realizza una lucida analisi della misteriosa articolazione dei sentimenti e degli anfratti dove essi vengono fatti rifugiare.
La Tamaro del libro è una ragazza spaventata, in eterna attesa dell’inevitabile, pronta a farsi  fagocitare da qualsiasi imprevedibile – ma per lei certo -  evento: il particulare, l’universale, tutto può annientarla in ogni istante. La giovane scrittrice si sente di incarnare la preda di un icneumonide, che Darwin descrive come un insetto che trafigge i bruchi inoculandogli una sostanza che ha la capacità di mantenerli in vita, così che possano essere   lentamente divorati come cibo fresco dalle sue larve. La giovane Tamaro, a sua insaputa, è colma di ricchezze che le faranno superare i momenti oscuri della storia nazionale degli anni ’70,  dal  terremoto del Fiuli-Venezia Giulia, all’omicidio di Giorgiana Masi, al  sequestro e l’assassinio di Aldo Moro, calati nell’asfissiante clima culturale marxista dell’epoca, simile agli edifici grigio-leviatanici della parte orientale di  Belino.
Sullo sfondo vi sono  Trieste, i panorami carsici che la circondano, le foibe inzuppate del sangue degli italiani ferocemente trucidati dalle belve comuniste di Tito, l’ululato assordante della bora, “ il gelo degli Urali, il gelo dei Kurgan…il gelo della Transilvania, dei vampiri addormentati nelle segrete dei castelli, dei morti viventi ..” degli incubi adolescenziali della Scrittrice: "Perché vivo con un nemico dentro, con la nebbia, con la notte, con lo smarrimento. Perché vedo il dolore e non posso farci niente. Perché vedo l’incompiutezza, il vuoto, il fallimento,  e non ne capisco il senso. Perché sono sola, nessuno mi ascolta, nessuno mi prende per mano. Perché da qualche parte in me  intuisco un’armonia e una luce immense e, da questa luce e da questa armonia, mi sto allontanando come una nave che prende il largo”.
La famiglia, il senso della famiglia, l’appartenenza ad una famiglia, rappresentano l’urlo di Munch della Tamaro: ”E’ vero che i bambini si adattano a tutto e che trovano modo di sopravvivere in qualsiasi situazione ma, in fondo al proprio animo, desiderano una sola cosa: avere una mamma e un papà, preferibilmente che si vogliono bene; e, preferibilmente anche dei fratelli. La vita desidera la vita……I figli hanno un bisogno assoluto di ammirare i genitori, di esserne orgogliosi
E possente, è extra ordinem  la conclusione di “Ogni angelo è tremendo”, è vera, è autentica, è fuori dalla forviante estetica della felicità di plastica: ”Viviamo in tempi di semplificazione massificate, di conseguenza l’inquietudine è il più reietto dei sentimenti. Puoi essere infelice, certo, anzi, lo devi essere, perché tutti gli oggetti che ti suggeriscono di comprare non sono altro che succedanei della felicità, ma l’inquietudine non ti è concessa perché è uno stato che produce domande e le domande richiedono risposte e, per avere risposte, bisogna mettersi in viaggio come Abramo e, alla fine del viaggio, magari puoi scoprire che non sono le cose a darti pace, ma la profondità dei sentimenti che sgorgano dal tuo cuore”.
Grazie Susanna!

Fabrizio Giulimondi

domenica 17 febbraio 2013

FABRIZIO GIULIMONDI: PUBBLICAZIONE DELLA LETTERA ALLA LITTIZZETTO

In deroga allo stile di questo blog pubblico la lettera di una signora appartenente al Popolo, quello vero,  indirizzata alla Littizzetto, la cui volgarità le ha fruttato milioni di euro

Fabrizio Giulimondi


Una signora di 81 anni, colpita dalle parole e dalle parolacce di Luciana Littizzetto, ha deciso di spedirle una lettera:

“Gentile signora Littizzetto,

CARA SIGNORA LITTIZZETTO !!!! ho 81 anni, ho lavorato nei campi da quando ne avevo dieci anni e sono andata in pensione quando ne avevo 60, oggi percepisco una pensione di 478,00 euro al mese. Grazie a Dio ho un fazzoletto di terra dove ancora oggi coltivo un piccolo orto, zappando la terra come si faceva una volta, riesco a racimolarci ben poco: qualche cipolla, qualche patata, un po’ di insalata…..

Ho difficoltà a salire le scale perchè la vita dura dei campi mi ha massacrato la schiena, dovrei fare delle terapie, ma dovrei pagarle perchè il servizio sanitario nazionale non le passa, dovrei assumere degli integratori alimentari che costano sui trenta euro per 15 giorni di cura, ma come può immaginare non posso acquistarli, perchè con 478 euro ci devo pagare la luce, il riscaldamento e il ticket per i farmaci che devo prendere per il mio cuore (circa 15 euro ogni 15 giorni).

Non esco quasi mai da casa, perchè abito in campagna a 6 km dal paese e ora c’è la neve e la mia compagnia è spesso la Televisione. Mi hanno detto che lei prende circa 5 mila euro al giorno per andare a dire qualcosa su Rai Tre, così l’altro giorno ho guardato il programma di Fazio per sentire le cose che avrebbe detto.

Pensavo che per prendere 5 mila euro al giorno dicesse cose importanti, mentre invece l’ho sentita dire solo parolacce e insultare Silvio Berlusconi che io ho votato, perchè grazie a lui la mia pensione oggi è di 478,00 euro, altrimenti sarebbe stata mi pare di 387,00.
Ora le chiedo, perchè dovrei pagare alla RAI oltre cento euro per sentire le sue parolacce? Con cento euro potrei farci 4 cicli di terapia per le mie ginocchia!

Lei se la prende con le escort, con Ruby etc ma non è differente, visto che guadagna 5 mila euro al giorno per tenere in bocca solo il ca…. e il turpiloquio! E’ comodo far finta di stare dalla parte dei poveri, far la parte delle verginelle, quando si prendono 5 mila euro al giorno facendo la escort del turpiloquio!
Io sono una contadina vera, io sono una povera vera, io sono un’ignorante vera, ma le parolacce non le ho mai dette e non accetto che lei venga pagata anche con i miei soldi per dirle in RAI. Vada a dirle in un teatro dove solo chi vuole sentirle possa venire ad ascoltarla e si faccia pagare da quelli che vogliono sentirla, non da me che devo vivere con 478 euro al mese ad 81 anni!

Grazie e scusi per il disturbo.”

venerdì 15 febbraio 2013

FABRIZIO GIULIMONDI CONSIGLIA: CONVEGNO SULLE RELAZIONI ITALO-LIBICHE


Le relazioni italo-libiche. Tra storia e prospettive di collaborazione nella macro-regione del Mediterraneo (Lunedì 18 febbraio - ore 9,30 - Aula Organi Collegiali - “Sapienza” Università di Roma - P.le Aldo Moro, 5)


A latere della mostra Anime di materia. La Libia di Ali Wak Wak organizzata da Roma Capitale presso il complesso del Vittoriano, gli enti organizzatori -  HRS e il Centro Studi “Geopolitica.info” - stanno contribuendo ad alimentare il dibattito nelle sedi istituzionali sulle prospettive dei rapporti tra l’Italia e la nuova Libia emersa dalla guerra civile del 2011.
Particolarmente sensibile al tema si è dimostrato il primo Ateneo romano - l’Università degli Studi “La Sapienza” - che nella persona del Pro Rettore alla Cooperazione e rapporti internazionali prof. Antonello Folco Biagini ha voluto dare il suo fattivo contributo alla realizzazione della tavola rotonda Le relazioni italo-libiche. Tra storia e prospettive di collaborazione nella macro-regione del Mediterraneo. L'incontro sarà concettualmente diviso in due parti. Nella prima saranno affrontate le dinamiche legate alla formazione della Libia come soggetto politico unitario e alla sua collocazione internazionale dopo l'indipendenza. Nella seconda parte si analizzerà il ruolo strategico di Tripoli nella macro-regione del Mediterraneo, il collegamento tra la guerra civile e la missione internazionale della Nato e la fase di normalizzazione che il Paese sta attualmente attraversando, con particolare attenzione al meticoloso lavoro diplomatico intessuto tra l’Italia e la Libia. Il fil rouge dell'incontro è costituito dalla ricorrenza del centenario della Guerra italo-turca (1911) nell'anno in cui la Libia ha voltato pagina alla sua storia recente (2011).
Parteciperanno in qualità di relatori all’incontro: Antonello Folco Biagini (“Sapienza” Università di Roma); Claudio Camerino (HRS); Andrea Carteny (“Sapienza” Università di Roma); Elena Croci (curatrice della mostra “Anime di materia”); Fabio L. Grassi (“Sapienza” Università di Roma); Gabriele Natalizia (“Sapienza” Università di Roma); Roberto Reali (Centro Nazionale delle Ricerche); Franco Salvatori (Società Geografica Italiana).


"DJANGO UNCHAINED" DI QUENTIN TARANTINO


Django unchained”, un altro grande film di Quentin Tarantino, il mostro sacro del genere splatter di azione. Il regista americano riprende un cult del cinema western Django, la cui  prima e bella  trasposizione cinematografica fu realizzata in Italia da Sergio Corbucci nel 1966, lungo il  filone delle pellicole sui cow boy in salsa nostrana, di cui Sergio Leone fu l’indiscusso Maestro.
Le musiche dei film di Sergio Leone e d Sergio Corbucci sono presenti per tutta la durata della proiezione, prorompendo al suo termine  il brano che ha fatto da colonna sonora a “Lo chiamavano Trinità” e “Continuavano a chiamarlo Trinità”. Le stesse splendide scenografie texane e del Colorado rimandano la memoria ai  c.d. spaghetti western, anche se il tocco del regista Tarantino si fa notare negli  spruzzi di sangue, nel  materiale organico e celebrale che ad ogni colpo di revolver schizza  virulentemente fuori e, ancor di più, nelle  scene particolarmente “forti”.
L’ambientazione storica si aggira intorno al 1858, a tre anni dall’inizio della guerra civile americana (sulla quale mi sono soffermato durante il commento al film “Lincoln” di Steven Spielberg), mentre quella geografica vede coinvolti i panorami montuosi e desertici degli Stati schiavisti del Sud.
Django (interpretato da oscar da Jamie Foxx ), schiavo dalla pelle scura che, al pari dei “fratelli” che vivono la sua stessa condizione, conduce una esistenza zuppa di orrore, ferocia e brutalità, viene  furbescamente  liberato da un cacciatore di taglie, il dott. King Schultz, killer professionale veloce di pistola e di favella, che sin dall’inizio scatena nello spettatore una notevole simpatia. Django imparerà facilmente il “mestiere”, sotto la cui “copertura” provvederà a vendicarsi  degli schiavisti che avevano inflitto a lui e alla bella moglie qualsiasi tipo di crudeltà. Ogni volta che sarà usata la colt spappolando cuore, cervello, arti e “parti intime” delle belve sfruttatori di neri, non potrete che provarne un certo sollievo, se non addirittura piacere.
Lo splatter in queste occasioni appare  in tutta la sua “estetica”: in realtà il sangue che fuoriesce  a profusione dai corpi attinti dalle pallottole di Django e del dott. Schultz (mirabile Christoph Waltz!) è talmente esagerato e sfacciato da risultare ilare!
La moglie di Django, Broomhilda,  è ritrovata  asservita in maniera animalesca ad un feroce schiavista. Il volto angelico di Leonardo Dicaprio si trasforma nella faccia di una belva, che gode nel vedere due mandingo lottare in salotto in modo gladiatorio fino ad una  morte sanguinolenta, sino allo strappo degli occhi, non ultimo il maciullamento del cranio dell’uno a colpi del martello dell’altro. Il volto angelico di Leonardo Dicaprio si trasforma nella faccia di una belva, che gode nel far evirare i "negri" o tenerli, come imposto a Broomhilda, per giorni all’interno di  una gabbia costruita completamente con materiale ferroso sempre esposta al sole. Il luogo tirannicamente dominato dallo schiavista- Dicaprio, ove è narrata parte della storia e la coppia di cercatori di criminali  a pagamento danno il meglio di se,  è folle e infernale insieme. Si alternano – come se nulla fosse – violenza estrema e momenti di serena convivialità: singoli individui ridotti nella più miserrima schiavitù  sono destinatari prima della più brutale cattiveria e poi proiettati in scenari di natura  ludica,  festa o cena che sia. Truculenza e giocosità: la banalità del Male.
Gli ambienti da incubo e di vita di bianchi e servi si tingono  improvvisamente  della luce sinistra del  volto dello schiavo di casa più anziano -  mimeticamente interpretato da uno straordinario Samuel L. Jackson -  nel quale promiscuamente convivono ottusità, servilismo e malvagità. Jackson  riuscirà a farVi odiare il nigger -  stravagante alter ego di colore del padre - padrone (Dicaprio) -  assetato di metodi di tortura e di terrificanti metodologie di morte, ribelle e lamentoso, però,  quando  la moglie di Django viene tolta troppo presto per i suoi umori dalla gabbia di sofferenza, calore e ustione. Lo schiavo - patron, privo di qualsiasi pietà come il suo dominus,  è simile  ai kapò dei campi di concentramento e di sterminio nazisti,  spietati al pari dei carcerieri “ariani”.
Non si può non sottolineare la presa in giro alla Mel Brooks  di un gruppo di appartenenti ai cavalieri del Ku Klux Klan, che sono fermati nel loro sanguinario raid punitivo dalla assenza di una buona visuale causata da cappucci mal cuciti  dalla consorte di uno di loro: il tutto accompagnato a ritmo di rap.
Molto ma molto consigliato a tutti coloro che non hanno lo stomaco debole e amano quello che i cineasti ben acculturati da adesso in poi potrebbero definire il pulp-western.
Fabrizio Giulimondi

giovedì 14 febbraio 2013

FABRIZIO GIULIMONDI:"DIRITTO ALL'OBLIO NELL'ERA DI INTERNET"


DIRITTO ALL’OBLIO E DAMNATIO MEMORIAE: RECENTI INTERVENTI GIURISPRUDENZIALI ITALIANI, DELLA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO E DELLA COMMISSIONE EUROPEA.

Con la sentenza n. 5525/2012 del 5 aprile 2012 la Corte di Cassazione sez III civile aggiunge un importante tassello al riconoscimento del diritto all'oblio,  smentendo il Tribunale di Milano, sez IV, sentenza del 24 febbraio 2010.
La decisione del Tribunale meneghino, per quanto non abbia riconosciuto alle parti lese il diritto alla rimozione dei file e dei relativi allegati, nella parte motiva espone argomentazioni di particolare interesse proprio riguardo  il tema trattato: Non esiste a parere di chi scrive, perlomeno fino ad oggi, un obbligo di legge codificato che imponga agli ISP (Internet Services Provider, fornitore di servizi internet), un controllo preventivo della innumerevole serie di dati che passano ogni secondo nelle maglie dei gestori o proprietari dei siti web, e non appare possibile ricavarlo aliunde superando d’un balzo il divieto di analogia in malam partem, cardine interpretativo della nostra cultura procedimentale penale……tuttavia questo procedimento penale costituisce, a parere di chi scrive, un importante segnale di avvicinamento ad una zona di pericolo per quel che concerne la responsabilità penale dei webmasters: non vi è dubbio che la travolgente velocità del progresso  tecnico in materia consentirà (prima o poi) di “controllare” in modo sempre più stringente ed attento il caricamento dei dati da parte del sito web, e l’esistenza  di filtri preventivi sempre più raffinati obbligherà ad una maggiore responsabilità chi si troverà ad operare in presenza degli stessi; in questo caso la costruzione della responsabilità penale (colposa o dolosa che sia) per omesso controllo avrà un gioco più facile di quanto non sia stato nel momento attuale.”
Posizione opposta lo stesso Ufficio giudiziario l’ha assunta con la decisione del 24 marzo 2011 (parzialmente riformata dalla  pronunzia della Corte di Appello di Milano del 21 dicembre 2012, depositata il 27 febbraio 2013, interamente riportata a piè di pagina)  con la quale ha disposto la cancellazione del sito e/o delle pagine web diffamatorie per il soggetto querelante, ordinando la loro rimozione a Google, responsabile di aver consentito un collegamento automatico  fra il nominativo del querelante (che ne ha avuto un permanente nocumento alla reputazione di non poco momento) e fatti giudiziari a lui correlati oramai vetusti, in quanto  superati dal lungo tempo trascorso, oltre dall’esito processuale a lui favorevole.
Conferente un passaggio della motivazione:” ….A tale proposito non si può condividere la tesi di google secondo la quale la suggestione  iniziale sarebbe    comunque subito eliminata dalla lettura dei contenuti inoffensivi del materiale  raccolto all’interno della ricerca stessa. Infatti tali contenuti non sono immediatamente visualizzabili dall’utente, che deve digitare le parole del suggerimento per  “entrare” nel relativo contenuto e leggerlo. Per essere indotto a ciò, all’evidenza, egli deve essere mosso da un qualche interesse specifico – in assenza del quale gli resta  solo l’originaria ed immediata impressione negativa ingenerata dall’abbinamento di parole…..La ritenuta valenza diffamatoria dell’associazione di parole che riguarda il reclamato è innegabilmente foriera di danni al suo onore, alla sua persona ed alla sua professionalità. Negare- come fa Google – che una condotta diffamatoria non generi nella persona offesa un danno quantomeno nella sua persona significa negare la realtà dei fatti ed i riscontri della comune esperienza. La potenzialità lesiva della condotta addebitata (ndr a Google) -  suscettibile, per la sua peculiare natura e per le modalità con cui viene realizzata, di ingravescenza con il passare del tempo stante la notoria frequenza e diffusione dell’impiego del motore di ricerca Google – giustifica il legittimo accoglimento …….” .                
Passiamo  alla sentenza della Cassazione 5525/ 2012 che ha iniziato a configurare  in seno alla complessa intelaiatura dei diritti – vecchi e novelli – quello dell’individuo all’oblio, ossia  ad essere “dimenticato” nelle proprie vicende personali, incluse quelle giudiziarie, dalla opinione pubblica e dai numerosi- e sempre più invasivi, specie con l’avvento della telematica -  strumenti massmediatici.
Il caso esaminato dai giudici della Suprema Corte è un classico: un esponente politico di un piccolo comune lombardo viene arrestato per corruzione nel lontano 1993 -  notizia andata subitaneamente e pomposamente su tutte le  cronache provinciali -  per poi essere – come capita purtroppo troppo spesso! - prosciolto. Ebbene, il protagonista della vicenda portata alla attenzione della Cassazione lamenta che,  ancora dopo molti anni, attraverso una normale ricerca in rete, la notizia del suo arresto appare online senza alcun riferimento al successivo epilogo positivo della vicenda processuale.
Nello specifico il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 2, 7, 11, 99, 102, 150, 152 del d.lgs. 196/2003, oltre degli artt. 3, 5, 7 del Codice di deontologia e buona condotta per i trattamenti di dati personali per scopi storici.
La Suprema Corte accoglie il ricorso e motiva la propria decisione in modo  ampio ed articolato,  ripercorrendo l'evoluzione del concetto di privacy, valutata, in questa sede,  da un angolo prospettico dinamico, specie in relazione alle  implicazioni con la  cronaca giudiziaria.
In particolare, secondo la Corte l'interessato, alla luce di quanto previsto dall'art. 11 del Codice per la protezione dei dati personali, ha diritto a che l’informazione oggetto di trattamento risponda ai criteri di proporzionalità, necessità, pertinenza allo scopo, esattezza e coerenza con la sua attuale ed effettiva identità personale o morale (c.d. principi di proporzionalità, pertinenza e non eccedenza). E’, pertanto, a lui  attribuito il diritto di conoscere in ogni momento il possessore dei suoi dati personali e come li adopera, nonché di opporsi al trattamento dei medesimi, ancorché pertinenti allo scopo della raccolta, ovvero di ingerirsi al riguardo, chiedendone la cancellazione, la trasformazione, il blocco, oppure la rettificazione, l’aggiornamento e/o l’integrazione (art. 7, d.lgs 163/2006).
Sempre secondo la Corte "se l’interesse pubblico sotteso al diritto all’informazione (art. 21 Cost.) costituisce un limite al diritto fondamentale alla riservatezza, al soggetto cui i dati appartengono è correlativamente attribuito il diritto all’oblio e cioè a che non vengano ulteriormente divulgate notizie che per il trascorrere del tempo risultano ormai dimenticate o ignote alla generalità dei consociati". Solo se un fatto di cronaca assume rilevanza quale fatto storico, ciò può giustificare la permanenza del dato, ma mediante la conservazione in archivi diversi (es.: archivio storico) rispetto a  quello in cui esso è stato originariamente collocato.
Al fine, quindi, di tutelare  l'identità sociale del soggetto cui afferisce la notizia di cronaca, bisogna garantire al medesimo l’aggiornamento della stessa notizia e, cioè,  il collegamento ad altre informazioni successivamente pubblicate concernenti l’evoluzione della vicenda, che possano completare o addirittura sovvertire  il quadro sorto a seguito della notizia originaria.
Naturalmente, secondo la Corte, questi principi vanno applicati anche avuto riferimento ad Internet ed alle sue specifiche peculiarità. Come è noto le notizie presenti in rete non sono organizzate come in un archivio, ma sono presenti in maniera diffusa e caotica. Il motore di ricerca si pone come un mero intermediario telematico, che offre un sistema automatico di reperimento di dati e informazioni attraverso “parole chiave”.
Proprio in considerazioni delle caratteristiche del mondo virtuale in cui si sostanzia  internet non si pone, in questo caso, un problema di pubblicazione o di ripubblicazione dell’informazione, quanto di permanenza della medesima nella memoria della rete e, a monte, nell’archivio del titolare del sito “sorgente”: i  dati immessi nel sistema internauta attraverso il giornale online debbono comunque risultare esatti ed aggiornati (dal sito “sorgente”), in relazione alla finalità del loro trattamento.
Nel caso di specie, è obbligatorio per il giornale online che ha inserito la notizia della traduzione in vinculis del soggetto, di informare i propri lettori (che potenzialmente sono tutti gli abitanti del globo), che quest’ultimo è stato poi assolto dalle imputazioni a lui ascritte.
Questo compito di aggiornamento spetta al titolare del sito  e non al motore di ricerca.
Da un punto di vista tecnico, sostiene la Corte, è necessaria una misura che consenta l’effettiva fruizione della notizia aggiornata, non essendo sufficiente la mera generica possibilità di rinvenire all’interno del «mare di internet» ulteriori notizie concernenti il caso di specie: è cogente  la predisposizione di un sistema idoneo a segnalare  la sussistenza di un ulteriore  sviluppo della notizia rispetto a  quella “madre”, specie se favorevole al protagonista di essa.
In caso di disaccordo tra le parti, spetta allora al giudice del merito individuare ed indicare le modalità da adottarsi in concreto per il conseguimento delle indicate finalità da parte del titolare dell’archivio.
La Corte di Cassazione ha quindi affermato la attualizzazione e contestualizzazione della notizia. Mentre una notizia pubblicata in un giornale cartaceo è agevolmente collocabile nel tempo, essendo riportata la data di sua “uscita” sul  frontespizio, una news inserita su un giornale online si perde nei meandri infernali del web e dei motori di ricerca, rimanendo invero  sempre attuale anche se  risalente nel tempo.
Ancora: le notizie presenti negli archivi storici online dei giornali sono da ritenersi – spesso -  parziali perché non riportano gli ulteriori sviluppi dei fatti, e pertanto vanno aggiornate. La Corte impone così l’obbligo per gli editori di aggiornare gli archivi online delle notizie pubblicate: “le testate online dovranno dotare i loro archivi di un sistema idoneo a segnalare (nel corpo o nel margine) la sussistenza di un seguito o di uno sviluppo della notizia e quale esso sia stato….. consentendone il rapido e agevole accesso da parte degli utenti ai fini del relativo e adeguato approfondimento”.
Nel tentativo di bilanciare l’interesse collettivo, garantito dal diritto di cronaca, con l’interesse individuale, tutelato dal diritto alla riservatezza e dal diritto all’oblio, la Corte ha quindi stabilito che gli articoli archiviati debbano essere correlati dai relativi aggiornamenti. La decisione tutela non solo il diritto all’identità personale e morale della persona coinvolta nei fatti, ma anche il diritto del cittadino utente a ricevere una corretta e completa informazione. La sentenza della Cassazione attribuisce, dunque, un nuovo valore al diritto all’oblio, sussumendolo  all’interno dei confini dei principi stessi del diritto di cronaca.
Nessuna attribuzione di responsabilità è invece stata riconosciuta dalla Corte di Cassazione ai motori di ricerca, ancora una volta definiti come “meri intermediari”.
Giungiamo al più recente intervento giurisprudenziale in subiecta materia.
Il  giudice monocratico del Tribunale di Chieti, sez.dist. di Ortona,  del 20 gennaio 2011, ha condannato un quotidiano online abruzzese alla cancellazione  dell’articolo diffamatorio oggetto della causa.
Finalmente prevale il diritto della “Persona”, della sua reputazione, della sua immagine e  del suo onore, sul diritto di cronaca giornalistica, sì tutelato dalla Costituzione all’art.21, ma non prevalente (così come comincia a stagliarsi nelle pieghe della giurisprudenza di merito e di legittimità), sui diritti del quisque de populo  e delle variegate espressioni della sua personalità, così come previsto e tutelato dall’art. 2 della Carta Costituzionale, dalle numerosissime diposizioni dei Trattati internazionali (a partire dall’art. 8 della Carta Europea dei Diritti dell’Uomo -  oltre da una copiosissima giurisprudenza nazionale – di merito, di legittimità e costituzionale -  e della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
Si delinea  in maniera più nitido  il diritto all’oblio sulla damnatio memoriae di romanistica memoria, diritto all’oblio di cui si discute non solo nelle aule giudiziarie italiane ma anche nelle  Istituzioni comunitarie, come di qui a poco si illustrerà.
Pubblichiamo ampi stralci della ben articolata parte motivazionale del provvedimento giudiziario abruzzese: “…Mentre da una parte non si può che condividere quanto dalla resistente (il giornale online) affermato in merito ai presupposti legittimanti l’esercizio di diritto di cronaca riferito all’attività giornalistica, verità storica e continenza formale della notizia, interesse pubblico alla  sua divulgazione, presupposti in presenza dei quali “recedono” i diritti, anch’essi, come il diritto di cronaca, costituzionalmente garantiti, alla riservatezza, onore, reputazione, immagine della persona cui i fatti divulgati si riferiscono; dall’altra parte non si possono ignorare le norme dettate dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n.196 – codice in materia di protezione dei dati personali  -  volto a garantire che il trattamento di essi si svolga nel rispetto dei diritti, delle libertà fondamentali e delle dignità dell’interessato, con particolare riferimento al diritto  alla riservatezza; norme, che ai sensi dell’art. 136 dello stesso decreto, si applicano anche al trattamento dei dati personali per scopi giornalistici. Tra le disposizioni del decreto in oggetto vengono in rilievo, ai fini del presente giudizio, l’art. 11, a mente del quale il trattamento dei dati personali può avvenire per un periodo di tempo non superiore a quello necessario agli scopi per i quali i dati sono stati raccolti e trattati; l’art. 25, che vieta la comunicazione e la diffusione dei dati  quando sia decorso il periodo di tempo indicato nel precitato art.11; l’art. 7, che attribuisce all’interessato il diritto di ottenere la cancellazione, la trasformazione in forma anonima o il blocco dei dati trattai in violazione di legge, compresi quelli di cui non è necessaria la conservazione in relazione agli scopi per i quali i dati sono stati raccolti o successivamente trattati; l’art. 15, in forza del quale chiunque cagiona danno ad altri per effetto del trattamento di dati personali è tenuto al risarcimento ai sensi dell’art. 2050 c.c. (che sancisce la responsabilità per i danni provocati nello svolgimento di una attività pericolosa, per sua natura, o per i mezzi adoperati); il secondo comma del citato art. 15 stabilisce che il danno non patrimoniale è risarcibile anche in violazione dell’art.11 quello, si rammenta, che vieta il trattamento dei dati personali per un periodo di tempo superiore a quello necessario agli scopi per i quali i dati sono stati raccolti e trattati. Ora se si tiene conto che il contestato articolo è stato pubblicato, e lo è tuttora, nella prima pagina del quotidiano in oggetto, del fatto che lo stesso ha ampia diffusione locale, è facilmente accessibile e consultabile, molto più dei quotidiani cartacei, trattandosi di testata giornalistica online, appare evidente come dal………………sia trascorso sufficiente tempo perché le notizie con lo stesso divulgate potessero soddisfare gli interessi pubblici sottesi al diritto di cronaca giornalistica, informare la collettività, creare opinioni, stimolare dibattiti, suggerire rimedi………il già citato art.7 attribuisce all’interessato il diritto di ottenere la cancellazione, la trasformazione in forma anonima o il blocco dei dati trattati in violazione di legge, compresi quelli di cui non è necessario la conservazione in relazione agli scopi per i quali i dati sono stati raccolti o successivamente trattati: per conseguenza l’articolo va cancellato. Volendo tenere conto della considerazione della difesa della resistente secondo cui i giornali online non possono ricevere un trattamento diverso da quello dei giornali cartacei che non vengono distrutti e cancellati, ma conservati negli archivi delle testate giornalistiche o nelle biblioteche a costruire memoria storica della collettività, uno scopo anch’esso di rilievo sociale, si può consentire la conservazione di una copia cartacea dell’articolo della testata…...”.
Ora facciamo un salto in Europa, per affacciarci sugli interventi giurisprudenziali, oltre che   normativo-integrativi  della strumentazione legislativa comunitaria,  sul tema che ci siamo proposti di affrontare.
La Corte Euopea dei Diritti dell'Uomo, sezione IV, sentenza 16 luglio 2013, n. 33846/07 (Wegrzynowski e Smolczewski contro Polonia), ha sancito che il ruolo dei tribunali nazionali non è quello di riscrivere la storia ordinando la cancellazione di ogni traccia della pubblicazione di un articolo giudicato diffamatorio. L'interesse all'accesso agli archivi della stampa in rete da parte del pubblico è coperto dall'art. 10 della C.ED.U.. Le violazioni dei diritti protetti dall'art. 8 C.E.D.U. (in particolare quello alla  reputazione) potrebbero essere risarcite da un commento  all'articolo presente nell'archivio telematico, che informi il pubblico del fatto che il processo per diffamazione relativo al contenuto dell'articolo in questione intentato dal ricorrente si è concluso a lui favorevolmente.
La Corte di Strasburgo mostra una palese avversione nei confronti di qualunque provvedimento censorio di un articolo, persino nell'ipotesi in cui il "pezzo" fosse stato riconosciuto illecito con sentenza definitiva. La soluzione individuata  dalla Corte si sostanzia, dunque, in una alternativa alla "ablazione" della pubblicazione dall'archivio on line, ossia nella imposizione all'editore di inserire una postilla al testo - a richiesta dell'interssato -  che ne aggiorni il contenuto favorevole a quest'ultimo.
Un simile percorso che bilancia salomonicamente  il diritto alla reputazione del soggetto leso e il diritto alla informazione da parte dei giornali on line, informazione valutata squisitamente sotto un aspetto storicistico e cronologico, sembra adottabile anche dalle pronunzie del Garante della privacy e  dei giudici penali e civili italiani.

Avviciniamoci adesso all'espetto più propriamente nromativo.
La questione è particolarmente rilevante in quanto da  anni è attesa la riforma alla corrente legislazione della Unione Europea sulla privacy, che risale  al 1995 (“Direttiva 95/46/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 24 ottobre 1995 relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati”), che sia in grado di  conciliare libertà di espressione e  diritto alla privacy.
Le linee guida in via generale che si riscontrano nella bozza di riforma  sono:
- il diritto all'oblio, cioè il diritto di cancellare i propri dati (in caso non esistano ragioni legittime per conservarli);
- multe in caso di divulgazione o di perdita dei dati.
Più specificamente, due sono le proposte di legge attualmente in preparazione.
La prima stabilisce un nuovo quadro normativo per la protezione dei dati personali. Il relatore per il Parlamento Europeo è il deputato tedesco dei Verdi Jan Philipp Albrecht, che ha indicato i tre  pilastri della novella: "Il diritto all'oblio, la necessità di autorizzare l'utilizzo o il trasferimento dei dati personali, e le sanzioni in caso di violazione dei diritti alla confidenzialità. Si tratta di tre elementi fondamentali per la protezione dei dati dei cittadini europei: non importante che essi siano violati all'interno o all'esterno dell'UE".
La seconda  si concentra sul trattamento dei dati personali da parte delle autorità giudiziarie per evitare ogni possibile abuso da parte della polizia o delle autorità di pubblica sicurezza. Il relatore del Parlamento europeo  per questo dossier è il deputato socialista greco Dimitrios Droutsas:
"L'Europa necessita urgentemente di una riforma della legge sulla protezione dei dati. Un bisogno dettato principalmente dai grandi progressi tecnologici, dall'evoluzione delle norme sociali e da una società sempre più presente online. La Commissione europea, il Parlamento europeo e il Consiglio dell'UE, devono lavorare con serietà per garantire ai cittadini degli standard di sicurezza alti entro la fine della legislazione nel 2014".
In un discorso tenuto nel  novembre del 2012 a Bruxelles durante la conferenza “The European Data Protection and Privacy”, Viviane Reding, Commissario europeo della giustizia,  ha dichiarato: “Come ha già detto qualcuno ‘Dio perdona e dimentica ma il web mai!’. Questo è il motivo per il quale ‘il diritto ad essere dimenticati’ è così importante per me. Con una quantità sempre maggiore di dati che vagano per la rete- specialmente sui social network – le persone dovrebbero avere diritto di poter rimuovere completamente i loro dati.”.
E’ opportuno precisare che le informazioni  non sono tutti uguali, necessitando una distinzione  fra notizie  inserite volontariamente e notizie  veicolate da circuiti giornalistici (o tramite blog, con il consequenziale problema della natura editoriale o meno di essi).
L’opera di studio e vaglio della Commissione europea indirizzata a  possibili integrazioni e modifiche alla citata direttiva 95/46/CE in tema di diritto all’oblio, diritto  alla effettiva tutela della riservatezza personale nella sua interezza,  diritto all’identità personale e, sull’altro versante,  diritto di cronaca e critica giornalistica,  trova come suo sostanzioso ostacolo l’individuazione di formule tecnologiche-telematiche adeguate a renderli  compatibili fra di loro. Questione principe a cui  l’”Europa” deve fornire soluzione attiene la  necessità di contestualizzare le informazioni sparpagliate e immerse nel mare magnum di internet. Non è più rinviabile l’associazione del nominativo della persona a dati a questi correlati correttamente inseriti “nel tempo”, ossia riportati fedelmente in relazione alle  coordinate cronologiche, di tal che si possa consentire la giusta attribuzione del loro peso quando galleggiano  per  troppi  anni su web.
Il problema  della rimozione delle informazioni dalla Rete è un problema che non si risolve, pertanto, solamente in forza del  diritto, ma anche -  e soprattutto -  per mezzo della  tecnologia. Il prof. Mayer-Schönberger Viktor nel suo studio del 2009 “Delete. Il diritto all’oblio nell’era digitale” (ed.Egea) propone di assegnare una scadenza alle informazioni: “Bisogna, invece, pensare a nuovi modelli normativi e negoziali e a nuove tecnologie che prevedano di limitare nel tempo il trattamento dei dati e tecnologie che lo consentano.”.
Mi piace terminare con le parole di  Peter Hustinx, European Data Protection Supervisor: "Le nostre informazioni personali sono preziose. Custoditele al sicuro e quando diffondete un'informazione, siate coscienti dei vostri diritti! ".

Prof. Fabrizio Giulimondi

 

lunedì 11 febbraio 2013

"IL GIOVANE HOLDEN" DI J.D.SALINGER



“Il giovane Holden” (titolo originale: The Catcher in the Rye) di  Jerome David Salinger (Einaudi) è un  romanzo fra i più autorevoli  della letteratura statunitense (insieme al quello già recensito “Il grande Gatsby” di Francis Scott Fitzgerald).
L’Autore adopera uno stile  autobiografico e  colloquiale, talune volte gergale (slang),  utilizzando  la struttura narrativa dell’intreccio.
Il giovane Holden Caulfield, ormai diciassettenne, ci racconta la sua avventura durata tre giorni quando ne aveva sedici. Egli era un ragazzo svogliato nei confronti della scuola, dell'ambito didattico e, come direbbe lui, “di tutto quello che segue”. Tutto questo pur non essendo un ragazzo ignorante ma, anzi, molto interessato alla lettura. Il problema di Holden  è la pigrizia, essendo scarsamente attratto dall’ambiente scolastico, giudicato  eccessivamente “falso”, al pari dei suoi professori.
Al termine di una breve descrizione di se stesso, evitando “prima di tutto dove sono nato e com'è stata la mia infanzia schifa e che cosa facevano i miei genitori e compagnia bella prima che arrivassi io, e tutte quelle baggianate alla David Copperfield”, Holden quasi subito passa a parlare del suo Istituto di Pencey, struttura educativa d'elite, situata in Pennsylvania, ove frequenta l’ultimo anno di  high school - “tutto fumo e niente arrosto” secondo il severo giudizio del  nostro protagonista -  da cui è stato  “buttato fuori” a causa della  sua assente  applicazione  sulle materie.
Il giovane Holden, nel trascorrere  gli ultimi giorni presso l’Istituto, ci presenta i personaggi che hanno roteato introno a lui nella sua “carriera” scolastica:  il suo professore di storia, uno dei pochi ai quali egli è affezionato; Stradlater, con cui condivide la stanza del college e che sopporta abbastanza, anche se da lui ritenuto eccessivamente falso con le ragazze, dalle quali vuole avere  una sola cosa; Ackley, sporco, maleodorante e disgustosamente foruncoloso.  
Stufo di quest'edificio e della vacuità dei ragazzi che lo frequentano, Holden decide di lasciarlo anticipatamente (rispetto alla data della sua  espulsione) e di andare a stabilirsi in un albergo nella “Grande Mela” fino al martedì successivo, giorno in cui sarebbe rincasato, come  gli altri studenti,  per le vacanze natalizie, non palesando, in tale maniera, alla propria  famiglia, la sua prematura e coattiva fuoriuscita da “Pency”.
La famiglia di Holden è bistrattata malamente dal Salinger, ad eccezione della sorellina, la vecchia Phoebe (Holden qualifica chiunque ”vecchio” o “vecchia”, come adopera continuamente intercalari come “eccetera eccetera”, “ e compagnia cantando”,  “o vattelapesca”, “schifo”, “siete scemi se non mi credete”.
 Nei giorni di permanenza a New York vivrà ulteriori vicissitudini.
Incontrerà la sua amata Jane, a cui propone di fuggire per condurre  una vita in piena libertà, magari in una casetta che si affaccia su un lago, al di  fuori della esistenza frenetica dei grandi centri abitati e del conformismo imposto dalle regole della buona borghesia americana, a cui appartengono entrambe le famiglie dei due ragazzi.
Si imbatterà in un professore amico di famiglia, pederasta, che compirà  pesanti avances al povero Holden.
Nel finale lo troveremo fatalmente in un luogo di cura per disturbi psicologici e della personalità, per la sua incapacità di affrontare  la normalità del quotidie.
L'adolescenza, la gioventù, la vita di Holden prospettate da Salinger nel suo scritto sono cosparse delle stesse incertezze, disagi, follia, talora sfiorante la pazzia, di giovani di qualsivoglia epoca.
Al di là del linguaggio e dello stile di Salinger,  il successo del libro è proprio dovuto alla seduzione esercitata sul lettore dal personaggio del giovane ebreo bianco newyorkese Caulfield.
Penso peraltro sia difficile per qualsiasi persona dotata di bastevole intelligenza e normale sensibilità non trovare punti di contatto con le esperienze del protagonista, con la sua percezione dell'insensatezza della scuola e del mondo adulto, il mistero vagamente inquietante rappresentato dal sesso e dall'universo femminile, l'ipocrisia e la falsità dei rapporti sociali. 
L'autenticità di ciascuno di noi è, per lo Scrittore, diversa dalla maschera sociale che indossiamo: le Istituzioni mortificano il nucleo più vitale di noi stessi; la convenzionalità ci uccide. La menzogna infiltra la morale delle classi medie. Patologie fisiche inventate possono risultare, allora, la sola difesa dall'aggressione potata dal mondo esterno, mentre  l'ironia muta in strumento di  ribellione. L’opera di Salinger possiede valenze terapeutiche, rivolgendosi ad anime travagliate, tormentate e particolarmente sensibili, sapendo abilmente scavare in quel turbinoso e periglioso passaggio rappresentato dalla adolescenza.

Fabrizio Giulimondi

sabato 9 febbraio 2013

10 FEBBRAIO 2013: GIORNATA DEL RICORDO DEI MARTIRI ITALIANI NELLE FOIBE






NEL RICORDO DELLE MIGLIAIA DI ITALIANI GIULIANI, ISTRIANI E DALMATI CRUDELMENTE MASSACRATI NELLE FOIBE FRA IL 1943 E IL 1945 DALLA FEROCIA COMUNISTA TITINA


NOI NON DIMENTICHIAMO!
Fabrizio Giulimondi

mercoledì 6 febbraio 2013

"MANCARSI" DI DIEGO DE SILVA



Mancarsi” è un breve racconto di Diego de Silva (Einaudi) che percorre le storie di Nicola e Irene.
Nicola è vedovo e vi sono passaggi narrativi toccanti, veri e tristi.
Irene ha lasciato il marito. Intensa la descrizione delle ragione: ”Funziona così anche nell’amore, dove si tace molto più di quanto si dica. Persino nell’ amicizia, che dovrebbe essere il luogo dove la parola non conosce inibizioni e divieti. Ci censuriamo continuamente per paura  di deludere, offendere, restare soli. Non difendiamo i nostri pensieri e li svendiamo per poco o niente, barattandoli con la dose minima di quieto vivere che ci lascia in quella tollerabile infelicità che non capiamo nemmeno di cosa sia fatta, esattamente. Siamo piuttosto ignoranti in tema dì infelicità, soprattutto della nostra. E’ per questa reticenza che quando ritroviamo i nostri pensieri nei libri, sembra che ce li tolgano di bocca con tutte le parole.”.
Le vite di Nicola e Irene partono da lontano, si avvicinano piano piano,lentamente, inavvertitamente, sino a sfiorarsi,  per poi incontrarsi.

Fabrizio Giulimondi

lunedì 4 febbraio 2013

"CLOUD ATLAS" DI TOM TYKWER,ANDY WACHOWSKI E LANA WACHOWSKI


Locandina Cloud AtlasCloud Atlas di Tom Tykwer, Andy Wachowski e  Lana Wachowski,  è un film della durata di quasi tre ore, visionario di genere fantasy-fantascientifico - informato alla filosofia  della interazione fra passato, presente e futuro - racconta cinque storie, che si alternano sempre più repentinamente nell’incedere della proiezione, saltellando gli occhi dello spettatore dall’una all’altra, incentrate in cinque epoche diverse e sviluppate in cinque aree  geografiche differenti.
I singoli episodi possono risultare, talora, poco comprensibili e confusi  -  forse anche per la realizzazione dell’opera a più mani -  , ma è estremamente suggestiva la linea di pensiero degli Autori .
Dal grembo alla tomba siamo legati agli altri esseri umani, passati, contemporanei e futuri.
Da ogni crimine e gentilezza generiamo il passato, il presente e il futuro.
La morte non è altro che la porta su una altra vita e, talune volte, è il sacrificio obbligato per la Verità.
Il libero Pensiero sovverte  l’ordine costituito – nella pellicola – dalla  Uninimità, versione fantastica del vecchio impero sovietico comunista, tanto che uno dei coprotagonisti cita più volte Solgenitsin, l’intellettuale di fama mondiale che  in ragione delle  sue idee fu internato nei  gulag siberiani.
Le storie ambientate  nel passato ricordano non poco Il gladiatore, Braveheart e Il Signore degli anelli; il linguaggio in esse adoperato è stravagante  nella sua inventata  antichità.
Il presente è di minore emozionalità seguendo le ordinarie dinamiche di un action movie e di una spy story.
Il futuro è senza ombra di dubbio di maggiore interesse estetico e contenutistico. La narrazione è  proiettata nel Giappone del 2144 (invero  non troppo distante da quello attuale nella visuale imprenditoriale - aziendalistica),  ove l’eroina  è raffigurata secondo i più classici canoni sexy  dei personaggi femminili  manga.
Le  metodologie computeristiche sono utilizzate a profusione anche se in maniera da non infastidire gli spettatori, come in modo esplicito si ammicca alle mostruose teorie nazionalsocialiste sulla soluzione finale della popolazione ebraica e alla esaltazione dell’efficientismo e della bellezza corporea giovanile propria del datato - ma sempre bel film- La fuga di Logan.
La cultura sottesa è originaria del Sol Levante: basti pensare alla contrapposizione fra Crimine e Gentilezza, che per un occidentale non ha senso, mentre per un cittadino di quelle Terre  è fondata, perché  attraverso la Gentilezza  le persone  esprimono il Bello e il Bene.
Nonostante gli scenari futuristici e l’approccio allucinatorio ed allucinante del quotidiano immaginato  dagli Autori,  è sempre l’Amore che riesce a legare  un essere inferiore – secondo le regole della  società così come strutturata  in Cloud Atlas  - con uno superiore: il forte vincolo sentimentale fra l’eroina e il suo salvatore (il principe azzurro nipponico del 2144) dimostra che non esistono “purosangue”, ma uomini eguali fra di loro.  L’affermazione di questa  Verità assoluta merita il sommo sacrificio della bella eroina dagli occhi a mandorla, sacrificio  affrontato con il sorriso sulle labbra: il primo che viene coinvolto dalla Verità,da cui viene contagiato e affascinato,  è proprio il suo accusatore che la condannerà alla pena capitale.
Sussiste un filo invisibile che unisce fatalmente la concezione degli uomini e delle donne viventi nei racconti, un mantra che soffia fra le pieghe della trama, una convinzione che si muove sempre più decisamente  dall’albore dei tempi sino ai giorni che verranno: la vita di ognuno si spande ben oltre i propri confini e i propri limiti, le proprie convenzioni e le proprie energie ed è questa l’autentica e geniale  intuizione dei fratelli Wachowski e di Mr.Tykwer.

Fabrizio Giulimondi

domenica 3 febbraio 2013

"QUELLA SERA DORATA" DI PETER CAMERON


“Quella sera dorata” di Peter Cameron (Gli Adelphi), romanzo sentimental-intimistico che si legge agevolmente in poche ore, da cui è stato tratto l'omonimo  film di   James Ivory,  merita il neologismo di aemozionale: l’alfa privativo dinanzi l’aggettivo emozionale è dovuto alla assenza di autentiche emozioni, nonostante la trama della  storia narrata.
Un ragazzo di ventotto anni (Omar Razaghi), ricercatore universitario destinatario di un assegno di ricerca,  è spronato dalla insopportabile fidanzata (Deirdre) ad andare direttamente in Uruguay per convincere la stravagante famiglia di uno scrittore (Jules Gund) da poco scomparso, a rilasciargli l’autorizzazione a scrivere la biografia sulla sua vita,  dopo l’opposizione di  un primo diniego per posta.
Lì Omar si imbatte nella moglie (Carolina) del defunto letterato, la quale  vive insieme alla di lui amante (Antes), dalla quale egli aveva avuto una figlia (Porzia), oltre  nel fratello omosessuale (Adam) e nel suo convivente (Pete).
Le vicende che vivrà, la morte che quasi lo sfiorerà e il sentimento che nascerà nei confronti di  Antes,  cambieranno  l’esistenza del protagonista che, finalmente, si sottrarrà alla sudditanza alla efficientissima  Deirdre, muovendosi verso più appaganti obiettivi.

Fabrizio Giulimondi

sabato 2 febbraio 2013

"PAZZE DI ME" DI FAUSTO BRIZZI


“Pazze di me” di Fausto Brizzi, classica commedia all’italiana scorrevole e divertente, assolutamente per famiglie, racconta le vicissitudini esistenziali di  un bravo Francesco Mandelli, figlio di una madre generalessa (la brava Loretta Goggi), fratello di tre sorelle – tutti volti più o meno noti del cinema nostrano -  di cui una  svampita ai limiti della demenza e molto  bagascia, l’altra ridicolmente  femminista e l’ultima insopportabilmente perfettina in tutto, nonché  nipote di una nonna out of mind, con badante rumena nullafacente a seguito. La vita gli è resa impossibile e le fidanzate -  con momenti della pellicola particolarmente ilari – fuggono tutte, ma proprio tutte!
Il nostro sfortunato protagonista alla fine, però,  prenderà in mano la situazione con maschia volontà e virile determinazione.
Fabrizio Giulimondi