“Il puro presente è il processo
impercettibile in cui il passato avanza divorando il futuro. A dire il vero, ogni percezione è già
ricordo………..Qui non c’è niente, salvo le variazioni atmosferiche, a
differenziare un giorno dall’altro. Se non ci fossero, si perderebbe ogni
distinzione. Il confine tra l’oggi e il domani, il domani e il dopodomani, è
labile: il tempo è come una nave senza ancora, trasportata qua e là dalla
corrente.”.
Si
avvicina la proclamazione della assegnazione del premio Nobel per la
letteratura 2014 e il favorito è il prodigioso scrittore nipponico Haruki Murakami, padre, insieme al
latino-americano Gabriel Garcìa Màrquez,
del “realismo magico”.
Non
è facile parlare di letteratura giapponese e, men che meno, dell’opera di un
genio globalmente riconosciuto come Murakami,
che, con il romanzo “Kafka sulla spiaggia” (Einaudi Super ET,2002), tocca livelli di
intrigata, intrigante e ineffabile bellezza.
“Kafka sulla spiaggia” turba e affascina
il lettore per il contenuto, lo stile e la stessa strutturazione del
linguaggio. Non si può approcciare questo lavoro – al pari delle altre fatiche
di Murakami – se non con la stessa
metodologia di avvicinamento usata dagli storici dell’arte per godere di una
tela cubista, surrealista o astrattista, in cui i punti di fuga, la visione
prospettica, il baricentro della rappresentazione figurativa, sono
completamente stravolti rispetto alla concezione pittorica classica, e dove la
riproduzione dell’immagine dell’essere umano è destrutturata e strappata dalla
realtà.
Alla
stessa stregua il lettore si deve muovere fra le pagine di “Kafka
sulla spiaggia”.
La
magia, il mistero, il soprannaturale, i risvolti onirici e favolistici, l’inverosimile,
la stravaganza, sono parte della realtà, sono un tutt’uno con essa. Non v’è una
separazione, una cesura, fra il mondo visibile e quello intangibile, fra lo
spazio e l’assenza di esso, tra il tempo nel suo fluire, il passato, il
presente ed il futuro, e la sua assenza. Un unico universo in cui nulla è
chiaro, non sussistono certezze nelle risposte e tutto è niente altro che una
ipotesi, avvolta in una coltre di fuliggine, che nasconde e rende indistinto, incomprensibile, impalpabile e irraggiungibile ogni particolare, ogni
verità.
L’armonia
romantica e la delicata poesia di un momento vengono improvvisamente scosse da sprazzi
di cannibalica violenza e incestuosa turpitudine erotica, propria della complessa
letteratura del Sol Levante, della ricca
cinematografia orientale e della fumettistica del “Paese dei fiori di loto”,
come le pellicole di animazione di Hayao Miyazaki ci insegnano.
Alle
descrizioni talora espressioniste,
talora impressioniste, della natura, si
sovrappongono dettagliati racconti introspettivi di ciascun personaggio. Ogni
rappresentazione della corporeità di un essere umano o di un animale è solo
l’occasione per penetrare il suo mondo interiore e la sua essenza. Fisicità e
spiritualità, yin e yang l’una dell’altra. Ogni elemento è
significante ed insignificante nello stesso tempo, avviluppato in una sacralità
panteista e scintoista.
La
narrazione è continuamente interpolata da richiami letterari risalenti alla
antichità greco-romana o alla
contemporaneità anglo-sassone e russa. Il leitmotiv
è l’Edipo re di Sofocle, ma c’è anche la ricerca
kafkiana dell’uomo e la presenza di Edgar
Allan Poe, perché Kafka in lingua ceca vuole dire Corvo, come “il ragazzo
che si chiama Corvo”, alter ego del protagonista Tamura Kafka, invero The Raven.
“Kafka sulla spiaggia” è il titolo del
capolavoro, ma è anche un brano musicale che funge da colonna sonora del libro,
ed è anche un dipinto su cui i personaggi si specchiano e attraverso di esso
tentano di capire e capirsi, senza riuscirci.
Sartre diceva che una
parola può avere molti significati, richiamare molte immagini, scatenare molte
emozioni. “Kafka sulla spiaggia” non
è solo un’opera letteraria, ma è musica e pittura e, quindi, una magmatica, vorticosa
e incontrollabile moltitudine di sentimenti, di emozioni, di sensazioni.
“Tutt’intorno a me ci sono molti validi
sostituti: il canto degli uccelli, le voci di infiniti insetti, il mormorio del
ruscello, il suono del vento che attraversa il fogliame degli alberi, i passi
di qualche animale che cammina sul tetto, il rumore della pioggia.”.
Fabrizio Giulimondi