La coraggiosa dichiarazione di Papa Francesco sul genocidio perpetrato dall'impero ottomano ai danni del Popolo armeno durante il biennio 1916-1917, mi ha sollecitato la ripubblicazione di un mio articolo intitolato " La Turchia e l'unione Europea: riflessioni e dubbi",
pubblicato su "Il Mondo Giudiziario" n. 6 del 7 febbraio 2005 (pp.66-67).
Buona lettura!
Fabrizio Giulimondi
"Il Consiglio europeo di Bruxelles del 16-17
dicembre 2004 ha dato il via libera ai negoziati per l’adesione della Turchia
alla Unione Europea a far data dal 3 ottobre 2005.
Il 14 dicembre il Parlamento europeo aveva
votato una risoluzione per esortare il Consiglio europeo ad avviare senza
irragionevoli ritardi i negoziati di adesione della Turchia alla Unione
Europea.
È solo l’ultima tappa di un percorso iniziato
nel 1987 con la presentazione formale da parte del Governo turco della domanda
di adesione alla Comunità europea.
Il 6 marzo 1995 la risoluzione del Consiglio
di associazione U.E. - Turchia proponeva l’adozione di iniziative in un certo
numero di settori allo scopo di ampliare la portata della cooperazione tra
Unione Europea e Turchia, includendo anche la possibilità, per tale Stato, di
partecipare a taluni programmi comunitari.
La domanda è stata ripresentata nel 1996, in
quanto la precedente non era stata tenuta in considerazione per la lontananza
del sistema giudiziario sociale ed economico turco dal modello comunitario.
Il Consiglio europeo di Lussemburgo del
dicembre 1997 ha fatto della partecipazione ai programmi comunitari uno
strumento per potenziare la strategia di pre-adesione rafforzata a favore dei
Paesi candidati, stabilendo che tale partecipazione venga decisa caso per caso.
Il partenariato rappresenta lo strumento fondamentale della strategia della pre-adesione
poiché mobilita in un quadro unico tutte le forme di assistenza ai Paesi
candidati. Tale procedura è stata estesa anche alla Turchia.
Però solamente nel 1999 il Consiglio europeo
di Helsinki ha stabilito che la Turchia è uno Stato candidato destinato ad
aderire alla Unione Europea sulla base degli stessi criteri applicati agli
altri Paesi candidati: beneficerà della strategia di pre-adesione volta a
promuovere e sostenere le riforme al suo interno, avendo anche la possibilità
di partecipare a programmi e agenzie comunitari, nonché a riunioni tra i Paesi
candidati e l’Unione convocate nell’ambito del processo di adesione.
Il Consiglio europeo di Nizza ha rafforzato
tale linea: si passa, pertanto, da un approccio caso per caso alla
partecipazione da parte del Paese candidato ad una ampia serie di programmi
comunitari.
In attuazione di tale linea e di quella
stabilita dal Consiglio europeo di Lussemburgo nel marzo 2001 fu stipulato il
primo partenariato per l’adesione della Turchia.
Il Consiglio europeo di Copenaghen del 12-13
dicembre 2002 ha deciso che la strategia di adesione per la Turchia sarebbe
stata rafforzata al fine di assistere la Turchia nel processo di adesione all’Unione
Europea, invitando la Commissione a presentare una proposta relativa ad un
partenariato per l’adesione riveduto (rispetto a quello del marzo 2001).
Alla decisione del Consiglio europeo di
Bruxelles del 19 maggio 2003 è allegato un nuovo partenariato che contiene i
principi, le priorità, gli obiettivi intermedi e le condizioni che la Turchia
dovrà rispettare per aderire alla Unione Europea.
La Commissione europea, su mandato del
Consiglio di Copenaghen del dicembre 2002, ha nel corso del 2004 stilato una
importante relazione sullo stato di avanzamento delle riforme attuate dalla
Turchia.
Giungiamo, infine, al
Consiglio europeo di Bruxelles che ha dato il via libera dal 3 ottobre 2005 ai
negoziati per la definitiva entrata della Turchia nella Unione Europea. I
negoziati avranno una durata decennale. Nel frattempo gli organismi comunitari
dovranno accuratamente monitorare l’avvicinamento della Turchia al modello
comunitario.
Lo stesso Consiglio
europeo di Bruxelles si è impegnato ad ammettere la Bulgaria e la Romania dal 1°
gennaio 2007 ovvero dal 1° gennaio 2008 e ad avviare i negoziati con il governo
croato il prossimo marzo 2005.
Vi è sufficiente tempo per verificare la
riforma che medio tempore la Turchia
vorrà e dovrà realizzare nei settori economico-finanziario, sociale,
ordinamentale, giuspenalistico, giudiziario e dei diritti umani (tortura, pena
di morte, tutela delle donne e delle minoranze etniche e religiose quali i Curdi
e gli Armeni), ma nel frattempo è opportuno effettuare alcune riflessioni. Riflettere
sulla storia e sulla collocazione geografica di questo Stato e sulla storia
della Europa medesima può risultare necessario per rispondere ad alcune domande
che sorgono dalla possibilità dell’entrata della Turchia in Europa.
La prima, e forse l’unica, domanda è la seguente:
la Turchia è Europa, fa parte del suo spirito, partecipa della sua storia, ha
contribuito alla costruzione di quei valori, di quei principi, di quelle linee
di pensiero che hanno dato corpo prima alla Comunità Economica Europea e poi
all’Unione Europea? Quei valori, quei principi, quelle linee di pensiero che
non sono sorti dal nulla, ma sono il frutto di un processo di elaborazione
compiuto da intelligenze di uomini e mediato da culture di popoli squisitamente
europei. Valori, principi, linee di pensiero che negli anni si sono andati a
trasfondere nelle Carte Costituzionali dei singoli ordinamenti degli Stati
membri dell’Unione ed oggi nella Costituzione europea.
Uomini e popoli che hanno un idem sentire nell’approccio ai problemi
dell’essere umano nella sua individualità corporea, spirituale e psicologica,
essere umano che nella storia dei popoli europei — salvo quando essi sono
caduti nelle tenebre del nazismo e del comunismo — è stato sempre al centro
della attenzione dei sistemi giuridici e sociali.
Uomini e popoli che hanno un idem sentire nell’arte e nella cultura
costruite in millenni di storia le cui radici affondano nella visione cristiana
dell’uomo (1).
Storia e religione — inscindibilmente legate
fra di loro — sono i due momenti unificanti dei popoli europei. I due parametri
inscindibili per capire come si è giunti ad una Unione di Stati affasciati non
solamente da vincoli ed interessi economico-finanziari ma anche politici,
sociali, etici, religiosi ed umani.
L’unificazione della più gran parte degli
Stati europei non è stata solamente una dismissione di una porzione della
propria sovranità da parte dei governi a favore di una struttura
sovranazionale, ma è stata l’espressione della volontà di un gruppo cospicuo di
Stati di unificare, per mezzo di organi supernazionali, una stessa storia
giuridica, sociale, economica e culturale: un idem sentire, una stessa idea di uomo e di Stato, di religione e di
politica che si va a sostanziare in forme e procedure sovrastatuali.
L’Europa non solo come sommatoria di singoli
ordinamenti ma come ordinamento essa stessa: la storia e la civiltà millenaria
e cristiana europea che si fa res
istituzionale.
Il processo di unificazione degli Stati
europei è chiaramente interconnesso con il nostro passato, in primo luogo con
il Medio Evo, quando, sulle rovine dell’Impero romano, si sviluppò una nuova
civiltà che unificò, sulla base della comune tradizione greco-latina, tutti gli
uomini in Europa sotto il segno della Cristianità. Nell’Europa medioevale l’appartenenza
al Cristianesimo divenne il vincolo sociale fondamentale, che univa gli uomini
in uno spirito più forte e più profondo dei vincoli di ceto e di carattere
etnico e politico.
Questa tradizione cristiana ha conferito alla
storia d’Europa una tensione permanente verso la realizzazione dei valori di
libertà e di eguaglianza e, nella sua versione più moderna, è confluita nelle
ideologie liberale e socialista e nella dottrina sociale della Chiesa che, a
loro volta, hanno dato vita alle Carte costituzionali degli Stati occidentali a
base religiosa giudaico-cristiana (2) (3) e, dal 1° gennaio 2006, alla
Costituzione europea.
L’Europa, quindi, è il momento unificante
delle storie di popoli che insistono su una area geografica determinata e che
hanno condiviso lotte per mantenere le conquiste della propria civiltà. La
religione cristiana ha rappresentato il collante di quei popoli, la loro arte,
la loro cultura, la loro filosofia, la loro anima, la loro essenza stessa, la
loro medesima storia.
In questa storia e, pertanto, nella storia
della unificazione dei popoli europei l’Islam, anche nelle vestigia dell’Impero
ottomano, quale ruolo ha giocato? Per secoli l’Europa ha visto il tentativo
bellico dell’Islam e dell’Impero ottomano (id
est turco) di far sventolare la bandiera della mezza luna su Vienna e su
Roma.
La conoscenza della storia dei rapporti (rectius scontri) fra gli imperi
occidentali e quelli orientali è utile e necessaria per meglio comprendere la
realtà odierna.
Nel 1356 i Turchi invadono Gallipoli per poi
conquistare la Tracia, la Macedonia, l’Albania. Piegano la grande Serbia per
poi paralizzare Costantinopoli.
Nel 1396 fronteggiano i Mongoli e nel 1430
occupano la veneziana Salonicco.
Nel 1444 travolgono i Cristiani a Varna ed
occupano la Valacchia, la Moldavia e la Transilvania.
Il 29 maggio 1453 Costantinopoli è
conquistata da Maometto II che stermina con inaudita ferocia i Cristiani.
Nel 1456 gli Ottomani invadono Atene
completando l’invasione della Grecia, islamizzando con brutale violenza le zone
occupate.
Nel 1476 è attaccata Venezia e il Friuli è
invaso.
Nel 1526 viene invasa l’Ungheria e Buda (oggi
Budapest) è data alle fiamme ad opera di Selim il sanguinario.
Nel 1529 Selim tenta di invadere l’Austria ma
viene fermato a Vienna.
Nel 1566 i Turchi occupano la roccaforte
cristiana di Malta.
Nel 1571 Cipro viene conquistata.
Nel 1621 e nel 1672 la Polonia viene invasa.
Nel 1683 l’esercito ottomano tenta di nuovo
di invadere la cattolicissima Austria, non riuscendovi.
Un periodo di quasi quattro secoli di
invasioni e di tentativi — quasi riusciti — di dominazione dell’Europa, di sua islamizzazione
e riduzione sotto la schiavitù ottomana pare non rappresentino nulla nella
valutazione della domanda di accesso alla Unione Europea della Turchia.
Si potrebbe eccepire, certo, la lontananza di
quel periodo dai nostri giorni, ma lo sterminio degli Armeni e l’occupazione
militare di parte dell’isola di Cipro sono storia dei giorni nostri.
Nei confronti del popolo armeno è stato
perpetrato un autentico genocidio in due periodi diversi (1895-1896;
1915-1917): due milioni di armeni sono stati eliminati per ragioni etnico-religiose.
Altre centinaia di migliaia di loro sono dovute fuggire presso gli Stati
confinanti. È questo un aspetto di non secondaria importanza, anche a ragione
del fatto che i governi turchi succedutisi nel tempo non hanno mai riconosciuto
tale immane tragedia.
Il riconoscimento del genocidio degli Armeni
è stato posto come condizione imprescindibile per l’accesso della Turchia nella
Comunità europea da parte del Parlamento europeo.
La risoluzione del Parlamento europeo del 18
giugno 1987 (4) rappresenta un momento fondamentale di riflessione sul nostro
tema:
«A) B) omissis,
C) considerato che da parte armena tali fatti
vengono visti come genocidio premeditato ai sensi della Carta dell’O.N.U. del
1948,
D) considerando che lo Stato turco respinge
come infondata l’accusa di genocidi,
E) constatando che il governo turco, con il
suo rifiuto di riconoscere il genocidio del 1915, ha privato fino ad oggi e continua
a privare il popolo armeno del diritto ad una sua propria storia,
F) dato che a tutt’oggi il genocidio armeno,
storicamente accertato, non è stato oggetto di condanna politica né ha dato
atto a conseguenti riparazioni,
G) considerando che il riconoscimento del
genocidio degli Armeni da parte della Turchia dovrebbe essere considerato come
un atto profondamente umano di riabilitazione morale nei confronti degli Armeni,
che non può che fare onore al governo turco,
H) omissis,
I) dato che la posizione assunta sul problema
armeno dai vari governi turchi succedutisi nel tempo non ha mostrato segni di
cedimento né contribuito in alcun modo ad allentare la tensione,
1) (Il Parlamento europeo) ritiene che la
questione armena e quella delle minoranze in Turchia debbano ricevere una nuova
collocazione nell’ambito delle relazioni fra la Turchia e la Comunità;
sottolinea che di fatto la democrazia può essere costruita solidamente in un Paese
solo a condizione che questo riconosca e arricchisca la propria storia con la
propria varietà etnica e culturale;
2) ritiene che i tragici avvenimenti
verificatisi negli anni 1915-1917 a danno degli Armeni stabiliti sul territorio
dell’Impero ottomano costituiscono un genocidio ai sensi della Convenzione per
la prevenzione e la repressione del crimine del genocidio, approvata dall’Assemblea
Generale dell’O.N.U. il 9 dicembre 1948…;
3) chiede al Consiglio di intervenire presso
il Governo turco attuale per ottenere il riconoscimento del genocidio
perpetrato nei confronti degli Armeni negli anni 1915-1917 e di favorire l’instaurazione
di un dialogo politico fra la Turchia e i delegati che rappresentano gli Armeni;
4)
ritiene che il rifiuto dell’attuale governo turco di riconoscere il genocidio
commesso in passato ai danni del popolo armeno dal governo…… costituiscono
degli ostacoli insormontabili all’esame di un’eventuale adesione della Turchia
alla Comunità;».
Non risulta a chi scrive che il governo turco
abbia mai riconosciuto il genocidio di due milioni di Armeni di religione cristiana.
Per quanto le risoluzioni siano atti giuridici europei non aventi natura
vincolante, sarebbe opportuno riflettere sul netto rifiuto della Turchia — che fra
dieci anni potrebbe diventare membro della Unione Europea — di riconoscere il
genocidio del popolo armeno, rifiuto che, come ha sostenuto il Parlamento
europeo, concreta un ostacolo insormontabile per la sua adesione alla Unione.
E non di poco momento è il problema della
occupazione da parte dell’esercito turco di una porzione del territorio di Cipro.
Cipro, a seguito di un colpo di Stato
organizzato dalla comunità greca nel 1974, fu invasa da 40.000 soldati turchi
nella sua parte settentrionale, ove fu costituito nel 1975 uno Stato autonomo
federale turco-cipriota e nel 1983 la Repubblica turca di Cipro del Nord. Cipro,
pertanto, ha il 36% del suo territorio occupato da truppe turche e un c.d.
Stato sito nella zona settentrionale riconosciuto soltanto dalla Turchia.
Il 1° maggio 2004 è entrata nella Unione
Europea la parte greca di Cipro. È sicuramente in prima battuta un problema per
la Grecia ma, inevitabilmente, non può che esserlo anche per la Unione Europea,
tanto che la risoluzione del Parlamento europeo già citata, al punto 4), fra
gli «ostacoli insormontabili all’esame di un’eventuale adesione della Turchia
alla Comunità», oltre il mancato riconoscimento del genocidio degli Armeni e la
negazione della questione curda, inserisce anche «il mantenimento di truppe di
occupazione a Cipro».
Un anno prima, sempre il Parlamento europeo,
con la risoluzione dell’11 dicembre 1986 (6), al punto L) dichiarò la propria
preoccupazione «per il protrarsi dell’occupazione turca del 36% del territorio
nazionale della Repubblica di Cipro, Paese associato alla Comunità europea».
Le questioni degli Armeni e dei Curdi ci
conducono inesorabilmente al grave problema della violazione dei diritti umani
in Turchia (detenuti, donne, oppositori politici, difensori dei diritti della
persona, appartenenti a comunità religiose ed etniche di minoranza).
La tematica dei diritti umani non è di poco
momento in Europa: i diritti della persona rappresentano, per alcuni autorevoli
Autori (7), l’unica possibile appartenenza identitaria dei popoli occidentali.
Anche a tale proposito è bene far «parlare le
carte».
Il rapporto più recente, del 2004, di Amnesty
International, è esplicito: «La tortura e i maltrattamenti durante la
detenzione di polizia sono rimasti motivo di grande preoccupazione. Nonostante
siano diminuite di molto le denunce sull’uso di metodi di tortura, quali scosse
elettriche, falaka (percosse sotto la
pianta dei piedi) e sospensione per le braccia (diminuite non vuole dire
cessate - n.d.r.), sono stati
regolarmente segnalati casi di detenuti picchiati, denudati, molestati
sessualmente e privati di sonno, cibo, bevande e dell’uso dei servizi igienici…
È rimasto assai diffuso il ricorso all’uso sproporzionato della forza da parte
della polizia durante le manifestazioni… dimostranti picchiati, presi a calci e
malmenati dagli agenti… Le aggressioni e le molestie di natura sessuale nei
confronti di donne poste sotto custodia di polizia hanno continuato ad essere
motivo di grave preoccupazione… anche la violenza domestica, compresi i c.d.
delitti di onore, è stata fonte di timori molto seri… alcune decine di civili
sono stati uccisi dalle forze di sicurezza e da guardie dei villaggi
principalmente nelle province sud-orientali ed orientali del Paese (abitate
principalmente da popolazioni curde - n.d.r.).
Molti potrebbero essere stati vittime di esecuzioni extragiudiziali o di un uso
eccessivo della forza…».
La risposta data dal Consiglio dei Ministri
della Unione Europea il 7 ottobre 2003 (8) in relazione alla interrogazione
scritta E-1686/03 del 21 maggio 2003 (9) conferma questa preoccupazione: «Il
Consiglio riceve costantemente informazioni su casi di tortura e trattamenti
disumani in Turchia. Recenti relazioni delle organizzazioni internazionali di
difesa dei diritti dell’uomo e degli organi delle Nazioni Unite tendono in
effetti ad indicare che torture e trattamenti disumani — comprese le violenze
sessuali nei confronti di donne detenute — continuano e, pur diminuendo, sono
ancora molto diffuse in Turchia, in particolare durante il fermo di polizia, in
relazione ad accuse per reati politici… tutto ciò è motivo di preoccupazione…».
È giusto porre la nostra riflessione sugli
aspetti storici, nonché sul sistema giudiziario, carcerario e sociale della
realtà turca. È corretto, però, porsi alcune domande anche sotto un aspetto
squisitamente geografico.
La Turchia è dal punto di vista geografico
Europa?
Se l’Unione Europea non può che essere la
comunità economica, politica, monetaria, sociale di Stati che insistono sulla
stessa area geografica denominata Europa, la Turchia rientra in questa
comunità? Solamente il 3,2% del suo territorio può definirsi europeo, basandosi
sul confine tracciato dal fiume Ural, così come convenzionalmente indicato dai
geografi. Questi, individuando l’area europea nella parte ad Ovest della catena
montuosa degli Urali e del fiume Ural, includono nel continente europeo anche
la Russia e solitamente il Kazakistan.
Il 18,4% del territorio kazako è in Europa.
La Russia ha ben il 41% del proprio
territorio all’interno del continente europeo. È sicuramente più Europa la
Russia cristiano-ortodossa della Turchia islamica, la quale conta 24.011 Kmq
europei su 780.586 Kmq complessivi (pari appunto al 3,2% di tutto lo Stato) e
il 99% dei suoi quasi 69 milioni di abitanti appartenenti alla fede maomettana
(10).
La componente religiosa, infatti, non è elemento
secondario. La religione cristiana si identifica con l’Europa, con la sua
storia e con i suoi popoli che sono stati per 1300 anni in lotta (Maometto:
Mecca 570 - 632) con il mondo islamico e, per quasi quattro secoli, in guerra
con l’Impero ottomano. Milletrecento anni in cui gli imperi islamici tentarono
di invadere, occupare ed islamizzare con la violenza l’Europa cristiana.
La cultura musulmana e la sua storia sono
compatibili con la cultura cristiana e la sua storia? La concezione
tendenzialmente teocratica dell’Islam, di identificazione della religione con
lo Stato, è omogenea con la concezione laica, di separazione del «foro interno»
dalla sfera politico-statuale del mondo cristiano, nel quale lo stesso Gesù
Cristo afferma: «Date a Cesare quel che è di Cesare ed a Dio quel che è di Dio»?
Nel nuovo Parlamento europeo, così come
previsto dall’art. 1-20 della Costituzione firmata a Roma il 29 ottobre 2004 e
che entrerà in vigore il 1° novembre 2006, fra i 750 parlamentari almeno 70
saranno gli europarlamentari turchi: questo non creerà alcun problema?
Anche il dibattito che si è svolto in queste
settimane all’interno del Governo, del Parlamento e della società turca sulla
possibilità di riformulare l’adulterio («infedeltà coniugale») come fattispecie
penale incriminatrice, seppur conclusosi con un nulla di fatto, potrebbe essere
indicativo di un costume mentale alieno ai modelli occidentali ed europei.
Sicuramente il conferimento alla Turchia di
un ruolo privilegiato nei rapporti con l’Unione Europea apre per l’Europa ottime
prospettive, in ragione della dimensione demografica e geostrategica di quello
Stato. L’Unione avrebbe rapporti «forti» con uno Stato membro della Nato,
collocato a cavallo tra l’Asia e l’Europa, fra il mondo cristiano-occidentale e
quello islamico-orientale, avente una economia con una particolare potenzialità
di sviluppo.
Il passaggio fra l’assegnazione di uno
statuto «speciale» alla Turchia e la sua entrata come Stato membro nella Unione
Europea dovrà essere molto meditato e non potrà prescindere da una valutazione
rigorosa della realizzazione delle riforme e della loro effettiva attuazione in
relazione alla tutela dei diritti umani nei più variegati settori sociali: «La
tutela dei diritti umani è divenuta… strumento di politica estera… Un Paese come
la Turchia, che è già membro del Consiglio d’Europa… stenta ad entrare
formalmente nella Comunità… questo è un problema di politica estera… non è
tanto il discorso di vedere se la Turchia è in grado di far fronte agli
obblighi economici… ma piuttosto di valutare il suo rispetto dei diritti umani»
(11).
Last
but not least è la questione legata all’Accordo di
Schengen.
Tale Accordo, stipulato il 14 giugno 1985 e
integrato il 19 giugno 1990 fra la più gran parte dei Paesi dell’Unione,
consente a tutte le persone, indipendentemente dalla loro cittadinanza, di
circolare liberamente senza controlli sistematici al passaggio del confine di
ogni Stato firmatario. L’acquis di
Schengen impone ad ogni Stato ad esso partecipante di garantire l’efficacia dei
controlli sull’ingresso di persone provenienti da Paesi esterni alle frontiere
dell’Unione.
I limiti territoriali turchi garantiscono la
sicurezza dei cittadini europei ovvero saranno di osmosi per facilitare l’ingresso
di fondamentalisti musulmani che potrebbero giungere dagli Stati limitrofi?
L’entrata della Turchia in Europa in realtà
depotenzia l’«in sé» dell’Europa, la sua natura, la sua idea, la sua ontologica
essenza; pregiudica quell’Europa che ha vissuto parte della sua storia a
difendere le proprie conquiste — quelle che oggi noi viviamo come parti
integranti della nostra individualità e del nostro corpo sociale — dagli
attacchi dell’Oriente musulmano.
Il riferimento a tutti quei parametri
storici, geografici, sociali, religiosi che sono stati messi in evidenza in
questo breve scritto ci fa comprendere che probabilmente la Turchia di Europa
ha poco.
Se proprio risulta esservi la «necessità» che
essa entri a far parte a pieno titolo della Unione Europea (e a questo punto
perché non il Kazakistan e la Russia?), l’Unione ha gli strumenti economici e
di pressione utili a rafforzare una politica di democrazia e di diritti umani
in Turchia.
La prof.ssa Saulle ci può essere di aiuto per
concludere questo articolo e fornire un suggerimento a coloro che dovranno
valutare la domanda turca: «… Se in famiglia c’è un figlio degenere, la prima
cosa che dovrebbe fare un padre è quella di tagliargli i viveri. Se nella
comunità internazionale c’è uno Stato che non rispetta i diritti umani e la
democrazia, forse lo strumento al quale è maggiormente sensibile, più che a
raccomandazioni di principio, è proprio quello di decurtare gli aiuti» (12).
Mutuando il concetto alla questione in
parola, possiamo ritenere che sino a che tutte le riforme in ogni settore dell’ordinamento
turco, segnatamente quello penitenziario, giudiziario e della tutela delle
donne e delle minoranze etniche, religiose e linguistiche, non saranno
formulate e concretamente e solidamente attuate, la Turchia dovrà rimanere un partner economico e commerciale speciale
e privilegiato della Unione Europea ma non suo membro di pieno diritto.".
Dott. Fabrizio Giulimondi