Il genere
fantasy dai suoi primordi ai giorni d’oggi
pareva aver spremuto se stesso sino all’ultima goccia sia in sede letteraria
che cinematografica.
Invero,
per poter parlare compiutamente di questo genere letterario, non si può non
approcciare Derek Dolphyn “Derek Dolphyn e il Varco
Incantato” (Tullio Pironti editore)
di Christian Capriello, primo di cinque volumi di una saga che farà
parlare molto di sé.
Il
titolo fa repentinamente comprendere al passante che getta un’occhiata alla
vetrina di una libreria la natura del racconto e, seppur del tutto difforme nel
tratto di penna e nel contenuto, la titolazione richiama repentinamente alla mente
i lavori di Licia Troisi.
Dialoghi
continui, intensi, incisivi, serrati, talune volte quasi goldoniani,
visivamente posti in risalto anche dai differenti stili, tipi e dimensione dei
caratteri, talora coralmente avvincenti come liriche greche.
Suggestive
le interpolazioni che punteggiano la storia fatte di filastrocche, cantilene,
fanciullesche poesiole, che si cadenzano in modo tale da sembrare di udire la
voce infantile o roca di chi le recita: ”Quando
si fece più vicino, sempre più ciondolante, Josh capì che il vecchio
canticchiava, anzi gracchiava una canzone, scandendone minuziosamente ogni
singola sillaba. Quel motivo assumeva via via sempre maggiore musicalità: si
percepiva inoltre che essa, pur suonando come vagamente funesta, aveva un
obiettivo molto chiaro: conteneva un messaggio.”.
Capriello è
abilissimo nell’uso sonoro delle parole, riuscendo a far percepire al lettore l’intonazione
della voce che le pronunzia, il suo gracchiare, squittire o acutamente
penetrare nelle orecchie, ammagliandole o debolmente infastidendole.
Nulla
è scontato, ciò che appare tale potrebbe non esserlo, le piccole creature “follettesche”
che si aggirano furtivamente fra le righe raramente compaiono come protagoniste
in altri scritti di analoghe creazioni letterarie.
I
ricorrenti aspetti autobiografici nelle descrizioni intimistiche dei personaggi
sono rari in questa tipologia di racconti ed è bene che l’attento lettore
cerchi di indagare, appropinquandosi guardingo verso la fine, chi sia Josh e,
soprattutto, se incarni o meno l’Autore.
Due
sono le cartine di tornasole di un buon lavoro letterario.
Se,
varcata la quinta pagina, si vuole continuare a leggerlo e, superata la
trentesima, si procede, drogati dalla storia, sino alla conclusione.
Se
la pistola introdotta nell’ incipit della
narrazione, come sostiene Cechov, al suo termine spara.
La
pistola spara…e come se spara!
Un’
ultima annotazione: come d’estate gradiamo un bicchiere di vino bianco fresco,
mentre d’inverno apprezziamo di più un
bicchiere di “rosso” o, magari, un cognac vicino al camino, la lettura di “Derek Dolphyn e il Varco Incantato” è
particolarmente raccomandata nel periodo che ci accingiamo a vivere.
Fabrizio Giulimondi