lunedì 30 dicembre 2019

“GLI INGANNI DI PANDORA. L’ORIGINE DELLE DISCRIMINAZIONI DI GENERE NELLA GRECIA ANTICA” di EVA CANTARELLA


Gli inganni di Pandora. L’origine delle discriminazioni di genere nella Grecia antica” (Feltrinelli) è un breve ed intrigante saggio della ottantatreenne grecista, giurista e storica Eva Cantarella, che ancora affascina con i suoi scritti il lettore, proiettato con rinnovato vigore nel mondo ellenico sempre da nuove visuali.
Tramite i miti, a partire da quello di Pandora, la filosofia e la medicina con il pensiero ippocrateo la Cantarella traccia l’origine della discriminazione delle donne e gli albori della loro sudditanza fisica, spirituale, morale, esistenziale e antropologica all’uomo, stato di inferiorità durato per millenni e che ancora perdura in molte zone del pianeta, come quelle a prevalenza arabo-islamica e induista.
La eclettica e prolifica scrittrice per mezzo del pensiero di Aristotele, Platone, Socrate e di altri grandi intelletti ellenici  fa comprendere come immense menti possano parimenti forgiare idee del tutto fuori dal vero e capaci di determinare per tempi imperituri soggezioni devastanti per decine di milioni di esseri umani: le astrazioni che galleggiano nel mondo invisibile ed impalpabile delle creazioni intellettuali calate in rerum natura possono trasformarsi in tragedie non teatrali ma reali come è stato, ed è, per moltitudini di bambine, fanciulle, ragazze, donne ed anziane.
Un lavoro che si legge agevolmente nell’arco di poche ore e che molto insegna a chi lo affronta.
Fabrizio Giulimondi

giovedì 26 dicembre 2019

"L'ARCHITETTRICE" di MELANIA G. MAZZUCCO


La storia sembrava ripetersi, con una lugubre mancanza di fantasia”.
Un lungo e complesso studio ha spinto la pluripremiata letterata Melania G. Mazzucco ad aggirarsi per archivi, biblioteche e musei, per poi farla approdare ad un romanzo impervio e denso, fitto come nebbia, “L’Architettrice” (Einaudi), sulla vita romanzata della prima donna architetto, Plautilla Briccia, nata e vissuta a Roma nella metà del 1600.
La scrittura si fa architettura, poesia, prosa, scultura, pittura, letteratura, pietanze odorose come giardini floreali: nella Roma seicentesca dei papi e repubblicana del 1849 “L’Architettrice” è “architettura, pittura, letteratura e giardino narrati in ogni dettaglio con stile vivace”.
Un mosaico di parole molto ricercate a struttura tridimensionale innerva la narrazione rendendola difficoltosa come una coltre di nuvole che si adagia su un terreno sconnesso di intrighi di palazzo, intrecci familiari e storie di armi e di tenzoni, inestricabili come fili di un tappeto persiano. Vocaboli impolverati tirati fuori da cassetti dimenticati incontrano espressioni del vernacolo di Belli e di Trilussa.  La lingua è come “un disegno in pietra, un pensiero in qualcosa di solido, perenne”. La trama si dipana fra merletti e ricami arzigogolati imbevuti d’arte, d’artisti, di uomini comuni, di cardinali, principi, abati e Pontefici.
La peste manzoniana trasloca da Milano a Roma nel 1656 e si allunga sulla aggressione francese alla brevissima esperienza della Repubblica romana, aggressione illustrata similmente alle possenti prime scene del film di Spielberg “Salvate il soldato Ryan”.
L’Architettrice” ricorda un arazzo ed evoca una orchestra di melodie dissonanti in cui singole sinfonie si impongono sulla interezza dell’opera, talora intabarrata ed offuscata dal florilegio di storie che figliano altre narrazioni che a loro volta generano ulteriori racconti.
L’eteronimia è il respiro del romanzo, pittura dei sogni degli altri: tutti sono se stessi solo quando fingono di essere gli altri.
La cultura è strumento salvifico di anonime e miserande esistenze e disarticolazione della romanità, autentica anima del romanzo: “I romani mugugnano e sfottono, ma non si espongono, aspettano sempre che sia qualcun altro a disarcionare il cavaliere, e poi amano infierire su chi è caduto”.
La morte, sfrontata accompagnatrice dei protagonisti e delle comparse più nascoste, è il verace flautus vocis del romanzo
L’Autrice seziona Roma in tutta la sua grandiosa quotidianità: “Roma è lontana, ma non si lascia dimenticare neanche per un istante. È un tumulto di barcaioli che si chiamano sulla riva del fiume, odore d’acqua e di fango, passi ritmati di soldati, litanie di accattoni, cantilene di ambulanti”.
Fabrizio Giulimondi

lunedì 16 dicembre 2019

"LA COMMEDIA BORGHESE" di IRÈNE NÉMIROVSKY (ELLIOT, 2013)


 La commedia borghese - Irène Némirovsky - copertina
 “La commedia borghese”, edita nel 2013 da Elliot, è una suggestiva raccolta di racconti scritti dalla Autrice ucraina Irène Némirovsky -  risucchiata il 17 agosto 1942 nell’inferno terreno del campo di sterminio nazista di Auschwitz-, il cui titolo riprende quello di una delle quattro storie in essa contenute ("I fiumi del vino"; "Film parlato"; "Ida"; "La commedia borghese").
Gli spostamenti residenziali della scrittrice si ritrovano in questo lavoro, che attraversa l’Europa dalla Finlandia alla Francia e le cui ambientazioni e atmosfere costituiscono le scenografie delle vicende che vi sono narrate.
In mezzo alle stupende descrizioni di caratteri, persone, luoghi, strade, piazze, vicoli, locali, paesaggi, vengono dipinte con le parole della letteratura, vicina a quella d’oltralpe e russa, la vita scollacciata di donne di malaffare immerse in ambienti carnascialeschi di una Parigi che appare come la trasposizione in Francia della Roma felliniana.
Il lettore vede scorrere davanti a sé pagine affascinanti che danno forma scritta a cortometraggi e a vere e proprie sceneggiature di piece teatrali. L’aria rivoluzionaria sovietica del 1917 inonda le terre di Finlandia e persino la mollezza dei costumi parigini. I personaggi sono tutti protagonisti, nessuno escluso, di vicende nella loro ordinarietà del tutto avvincenti.  Prostitute, cortigiane e maitresse, al pari di donne per bene annoiate e vittime di un ottuso formalismo, sono paritariamente eroine, dentro le quali la Némirovsky scava delicatamente e impercettibilmente.
Il lettore avverte distintamente branduardeschi “canti, balli e suoni di risa”, tanto che le parole scritte non sono percepite dalla vista ma da dall'udito.
Una sensualità decadente e disperata trasuda da corpi di non più giovani donne afflitte da un incipiente disfacimento della loro fisicità. Con i loro occhi sembra di guardare gli spettacoli “peccaminosi” che si svolgevano nei raffinati cabaret della Belle Époque francese, i primi spogliarelli, la comparsa del nudo femminile nei teatri. I racconti si sciolgono in un periodare che sa di champagne e di freddo finnico. La parola di Irène Némirovsky si fa immagine cinematografica, recitazione teatrale, movimento di danza, estetica letteraria, suono di can-can, chiazza purpurea di un colore ad olio su una tavolozza tenuta in mano da una scrittrice talentuosa e morta ignobilmente. Apparente quotidianità, autentico disagio che non muta mai in dramma. Personaggi farseschi tratteggiati in un drappeggio stilistico. L'eleganza convive con la sciatteria e la volgarità. Donne caste in cerca di una esplosione di sensualità. Lascive e non più giovani donne in cerca di una metamorfosi che le conduca verso talami coniugali, che possano cancellare una volta per tutte la fama che le perseguita e le emargina.
La commedia borghese”, ossia un “misto di orgoglio, di sensualità, di inquietudine”, tutto da gustare.
Fabrizio Giulimondi

martedì 10 dicembre 2019

"ILLMITZ" di SUSANNA TAMARO


 







Il romanzo breve di  






"Illmitz" (Bompiani, 2014) di Susanna Tamaro è uno scritto clandestino, emotivamente ed interiormente autobiografico, dove i particolari e il florilegio di aggettivazioni costituiscono la sua vera trama. In corsivo sono riportate chiazze di visioni oniriche che sganciano i sogni dalla quotidianità raccontata morbidamente dalla Tamaro. "Illmitz" è l'ode alla bellezza del quotidiano, della vita di tutti i giorni, della normalità composta di ricordi e affetti semplici, nella quale la voce narrante, Agnese, Cecilia, Attila e "Frankenstein" sono protagonisti a loro insaputa: "In città è diverso: ciascuno crede di poter essere differente da ciò che è, ciascuno aspira a qualcosa di più grande, senza comprendere quale grandezza sia invece il vivere ogni giorno".  Il giorno dopo giorno luccica come le acque placide di un lago.
Questo è "Illmitz": uno sguardo intenso e prolungato di un viandante puntato su un lago, al confine fra l'Austria e l'Ungheria.
Questo è "Illmitz": l'asperger che si fa prosa: "Sono giorni in cui la sofferenza interna cresce più acuta e, nella sua dimensione estrema, mi impedisce qualsiasi contatto".
La morte è solo un momento che perde di significato dinanzi alla potenza della vita, semplice, anonima, diluita nelle ore del giorno e della notte.
"La natura ha il potere di abolire il tempo", come la letteratura.
Fabrizio Giulimondi

lunedì 9 dicembre 2019

"IL DIO MERCATO LA CHIESA E L'ANTICRISTO" di ANTONIO SOCCI


 


"Il Dio den











"Il Dio mercato la Chiesa e l'Anticristo" (Rizzoli) è un libro portentoso che scava nei cuori, nelle menti e nelle anime dei lettori, togliendo loro il respiro, diretto, implacabile, "senza pelle", coraggioso, incredibilmente coraggioso, erudito, dotto, puntuale e puntuto, scritto con piglio scientifico e tecnica saggistica dal giornalista Antonio Socci. "Il Dio mercato la Chiesa e l'Anticristo" apre a interrogativi, pone domande, fornisce bozze di risposte, suggerimenti, soluzioni, idee, provoca angosce e forgia speranze, evoca e invoca approfonditi e meditati scritti, studi e pensieri di sommi scrittori, letterati, filosofi, teologi, Pontefici, intellettuali, accademici di qualsiasi orientamento politico, religioso e areligioso. Ogni affermazione è corredata da documentazione.
Un lavoro che lascia il segno e turba il lettore costretto a riflettere su dove stia andando l'Europa e sulle origini e la natura delle organizzazioni internazionali regionali (come l'Unione Europea) e globali (al pari dell'ONU), oltre su cosa stia accadendo alla Chiesa Cattolica sotto il papato bergogliano. Ponderazioni che Socci fa scaturire dall'analisi testuale e interpretativa delle opere di Vladimir Sergeevič Solov'ëv "Il racconto dell'Anticristo" e di Robert Hugh Benson "Il Signore del Mondo". Noi siamo indotti dalla letteratura fantascientifica, terrifica e distopica ad immaginare l'Anticristo come un essere che si manifesta, sin dalle sue prime battute, nella sua pura malvagità. E se non fosse così? L'Anticristo potrebbe rivestire ben altre vestigia, come in maniera profetica e affabulante Solov'ëv ci istrada già nel lontano 1899: "Il nuovo padrone della Terra era anzitutto un filantropo, pieno di compassione e non solo amico degli uomini, ma anche amico degli animali. Personalmente era vegetariano, proibì la vivisezione e sottopose i mattatoi a una severa sorveglianza".
Le digressioni di Socci sul Capitale, sulla sua forza propulsiva e travalicante ogni settore della esistenza umana, devono essere non solo lette ma studiate. Il Capitale come inizio e fine di tutte le cose, alfa ed omega, forza motrice del  mercatismo globale senza confini e senza Popoli, fondamento della religione immigrazionista e causa della filiazione dei diritti oltre della fluidità sessuale priva di radici, in cui la famiglia naturale costituisce il più fastidioso ostacolo alla sua illimitata espansione: "La tendenza del capitale a espandersi nelle sfere dello spirito e dell'opinione pubblica ha occupato anche la coscienza e l'inconscio di quello che un  tempo era il quarto stato. Il 'nuovo vangelo' della deregulation finanziaria va dunque di pari passo con quello della deregulation antropologica e morale".
La Chiesa cattolica è ancora Santa Apostolica e Romana oppure apostata, eretica, pagana, sincretica e panteista? Il Mondo segue la Chiesa o è la Chiesa a seguire il Mondo? I Martiri e i Santi sono ancora i punti di riferimento dei fedeli o lo sono invece la Bonino e Greta? Prevale l'elemento spirituale ed escatologico o quello mondano? Cristo si è fatto scarnificare e inchiodare ad una Croce per salvare il mondo dalla plastica o per redimere l'uomo, salvarne l'anima e condurlo alla Vita Eterna? Si può parlare ancora di Vita Eterna o solo di vita materiale e materialistica insufflata da motivi new age?
"Dopo Lutero ... la cui statua è stata portata e onorata in Vaticano, in aula Paolo VI, durante un'udienza di papa Bergoglio e dopo la preghiera islamica nei giardini vaticani, sempre alla presenza di Bergoglio, il papa argentino ha permesso e in un caso anche presenziato a quei riti indigeni nel territorio vaticano, bagnato dal sangue di san Pietro e dei primi martini cristiani".
Fabrizio Giulimondi