Nel
Settecento i casi criminali escono dalle corti di giustizia per divenire un
genere letterario a sé stante. Nella seconda metà dell’Ottocento l’attrazione
per il delitto sfocerà prima nel romanzo gotico e poi in quello giallo. L’omicidio
e l’assassino divengono attraenti, il crimine è osservato come una forma d’arte
e i Poeti Maledetti lo esaltano, mentre l’occhio torbido dello Scrittore ammicca
a favore del criminale, assecondato dalla simpatia del lettore.
Elizabeth,
Ron, Ibrahim e Joyce si riuniscono ogni giovedì per analizzare crimini famosi,
finché si imbattono in un reato in carne e ossa, anzi in più reati in carne e
ossa.
“Il club dei delitti del giovedì” dell’inglese
Richard Osman (Società Editrice Milanese) è un giallo, ironico e surreale in nulla
simile ai romanzi di Agatha Christie, non essendovi una telecamera puntata sullo
stesso ambiente, vuoi una elegante abitazione, uno studio vittoriano o un lustro
treno, ma una macchina che riprende dinamicamente luoghi al chiuso e spazi a
cielo aperto. Non si percepisce alcun sentore di drammaticità nel delitto,
quasi che sia l’ultima e inevitabile forma di giustizia a torti precedenti
subiti.
È
presente qualcuno innocente fra i protagonisti? Potrebbero essere tutti assassini?
E se tutti sono assassini nessuno potrebbe esserlo? O tutti colpevoli o tutti
assolti? O almeno giustificati!
Dopo
il giallo nipponico di Isaka Kōtarō "I sette killer dello Shinkansen",
ne arriva uno di Sua Maestà Britannica che fa gustare un’altra angolatura di
Caino.
Fabrizio Giulimondi