Libro
che consiglio a giuristi, operatori del diritto e a tutti coloro che si sentono
attratti dalle questioni normative, e saggio che mi ha suscitato un turbinio di
riflessioni e meditazioni: “La giustizia
come professione” (Einaudi) dell’immenso
dottore della legge Gustavo Zagrebelsky.
Il
titolo, nel riprendere quello dell’opera di Max Weber “La scienza come
professione”, rischia di sviare il lettore sul contenuto del lavoro, perché
nulla ha a che fare con esso. Zagrebelsky analizza in modo puntuto le
locuzioni “diritto” e “giustizia” attraverso molteplici lenti di ingrandimento,
da quella letteraria, filosofica, politologica, antropologica, sociologica e storica,
a quella aderente all’architettura e alle arti figurative e propria dei Padri
della Chiesa e del Nuovo Testamento, sino al vetrino giurisprudenziale e dottrinale.
Il
racconto di teocrazie, tirannidi, dispotismi, dittature, autoritarismi e
democrazie è snocciolato attraverso il linguaggio dell’edilizia giudiziaria. Il
vestiario e l’arredamento degli uffici dei protagonisti del processo
costituiscono l’alfabeto in virtù del quale si comunica il ruolo professionale e
la collocazione sociale, il carattere e la personalità di costoro.
Poliformi
sfaccettature, angoli prospettici, visuali e punti di fuga convergono su quell’orizzonte
affascinante e tortuoso rappresentato dal binomio “diritto” e “giustizia”.
Il
grande pensiero e gli aspetti terrifici che allignano in ogni processo, da
quelli del 1300 a quelli odierni, sono maneggiati con cura in una operazione
chirurgica-culturale, con puntigliosità ma anche con ironia e, talora, con un
atteggiamento altezzoso e sprezzante. Ogni singola minuzia facente parte della
costellazione composta da tribunali, studi forensi e atenei viene sottoposta al
microscopio dell’esimio studioso. La simbologia giuridica, simile a
rappresentazioni mitologiche egizie, greche e latine, assume le forme della
potenza del mito, indicando al lettore una diversa, e per lo più sconosciuta,
lettura del diritto, non mera e angosciante sommatoria di codicilli ed
astruserie da azzeccagarbugli, bensì immerso, sino a rischiare di affogarvi,
nell’oceano tumultuoso delle vicissitudini umane.
Le
immagini della fanciulla bendata, della bilancia a due braccia o della stadera,
dello scettro o della spada, e molte altre ancora, sono puntigliosamente analizzate
allo scopo di far fuoriuscire lo spirito vitale da parole ed istituti
apparentemente algidi, distaccati e disinteressati alle vicende delle persone
in carne ed ossa: il diritto è nella vita e la vita è nel diritto.
La
struttura espositiva di Zagrebelsky
ricorda quella del noto processualpenalista Cordero e, in qualche modo e nascostamente,
apre pertugi evocativi all’almanaccare di Veneziani. Di Veneziani si ritrova il
senso del mistero simbolico e mitologico, della forza creatrice e vorticosa dell’etica
e della morale, che propiziano il dubbio se debbano affiancare il diritto o diversamente
da esso scostarsi, riversando la loro essenza nella ben diversa dimensione
della “giustizia”: “Il nodo che stringe tra le due opposte realtà,
al diritto e alla coscienza resta irrisolto. In più: si chiede perdono, ma a
chi? e lo si può ottenere? E, soprattutto, si può vivere senza scioglierlo? E
scioglierlo in che senso: la prevalenza della legge o della coscienza? Purtroppo,
nei casi più gravi si può solo stare o di qua o di là. Stare in mezzo è
impossibile. Fatta una scelta, si dovrà accettare la condanna per non avere
fatta l’altra. Se fai prevalere la legge, subirai la condanna della tua
coscienza. Se fai prevalere la coscienza, subirai le sanzioni della legge”.
La coscienza veste la morale individuale, la legge l’etica collettiva ed
entrambe si soffermano sul dubbio se nel magistrato debbano convivere la
condotta proba con la perizia tecnica.
“All’università si studia per il voto? La saggezza
antica e moderna, da Plutarco a Montaigne, ripete frasi come queste: la mente
degli alunni non è un vaso da intasare o un sacco da riempire, ma un fuoco da
accendere. Il compito dei maestri è di scoccare le scintille”. Un monito,
un dito che indica un percorso, una meravigliosa visione che abbraccia docenti
e discenti, uno sguardo gettato in direzione dell’albeggiare di un futuro dove lo
scontro fra esoterismo ed essoterismo sarà inevitabile.
Fabrizio Giulimondi