lunedì 30 gennaio 2023

"BABYLON" di DAMIEN CHAZELLE

 


"Babylon” di Damien Chazelle: l’evocazione biblica del titolo riassume compiutamente il senso caotico del film. L’ouverture richiama quella de “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino, seppur in versione di baccanali orgiastici, mentre la storia si snocciola lungo tracciati surreali, grotteschi, crudi, alcune volte sgradevoli alla vista. Il mondo del cinema statunitense degli anni ’20, ’30 e ’40 è travolto dal passaggio dal muto al sonoro e dal bianco e nero al colore. Lo star system e le vecchie glorie sono espulsi dalle Luci della ribalta, opera di Charlie Chaplin sottolineata con una manciata di fotogrammi, che fornisce un sentore agro-dolce come solo il contrasto della poetica mestizia di Chaplin con la virulenza artistica di Chazelle può produrre.

Il suicidio è la tragica quanto naturale conseguenza in un trancio di umanità nel quale l’apparire è l’alfa e l’omega.

La complessità è l’autentica trama di questa pellicola, spudorata e disturbante, laddove dietro il luccichio del set v’è l’abisso infernale, le bolge dantesche dove tutti (tranne uno) precipitano.  La discesa agli inferi richiama “The Wolf of Wall Street” di Martin Scorsese, anche se in “Babylon” tutto è accentuato e forzato, tanto da potersi accostare le raffigurazioni degli spazi, dei volti e degli atteggiamenti corporei e psichici alle rappresentazioni pittoriche terrifiche e oniriche di Bosch e Bruegel.

Le tecniche cineastiche e le immagini sono perfette. La narrazione - incisiva, brutale, dura e ritmata da un assordante swing e jazz - insiste sulla naturale ferocia regnante nelle riprese sceniche, durante le quali i morti sono solo effetti collaterali. L’ossessione per la perdita dello scettro della fama devasta le esistenze dei protagonisti, a partire da quelle di Jack Conrad (Brad Pitt) e Clara Bow (Margot Robbie).

Il set cinematografico come metafora della ambientazione entro cui sono calate le nostre vite, la pornografia mentale e morale, che governa la coralità delle “marionette” saltellanti sul palcoscenico, è la medesima di quella di tanti comuni mortali che impegnano il tempo a trotterellare e sgambettare per riempire le proprie vite vuote con altro vuoto.

I Premi Oscar fioccheranno anche se le tre ore di proiezione non sono agevolmente digeribili.

Fabrizio Giulimondi


                                


lunedì 16 gennaio 2023

“I MIGLIORI GIORNI" di MASSIMILIANO BRUNO e EDOARDO LEO

 


I migliori Giorni” è una commedia tragicomica e dissacrante in quattro episodi, ambientati nelle notti della Vigilia di Natale e di San Silvestro, a San Valentino e durante la Festa della Donna, dove si alternano alla regia Massimiliano Bruno e Edoardo Leo ed il fil rouge è uno solo: l’ipocrisia. Attento ai canoni del politicamente corretto, “I migliori giorni” affronta la complessità e la fuggevolezza dei sentimenti fra tre donne ed un uomo; le conseguenze divisive nelle famiglie dopo la martellante propaganda terroristica e discriminatoria ai tempi dell’obbligo vaccinale; la solidarietà tutto apparenza di chi è completamente disinteressato a qualunque problema ed a qualsiasi persona, inclusi moglie e figlia; il diffuso finto femminismo Me Too all’italiana che implode l’8 marzo nel luogo più artefatto che esista, ossia la televisione.

Le storie si snodano solo negli interni come se fossero quattro piece teatrali trasportate su set cinematografici.

Un cast corale di attori italiani di eccezione, che vede, oltre i due direttori- interpreti Massimiliano Bruno e Edoardo Leo, anche Anna Foglietta, Max Tortora, Paolo Calabresi, Luca Argentero, Valentina Lodovini, Greta Scarano, Claudia Gerini, Stefano Fresi, Marco Binini e Liliana Fiorelli.

Gradevole ed intelligente.

Fabrizio Giulimondi




sabato 14 gennaio 2023

"GRAZIE RAGAZZI" di RICCARDO MILANI

 


La lettura è terapeutica. La scrittura è terapeutica. Parlare e sfogarsi sono terapeutici.

Il teatro è terapeutico: la scrittura teatrale è uno stato meraviglioso e avvincente.

E poi c’è l’attesa. C’è chi vive solo di attesa. Attende.  E fra un’attesa e l’altra v’è il vuoto. Pensare non conviene, anzi, è deleterio, perché se pensi impazzisci.

Il luogo della permanente attesa è il carcere: è lo spazio dell’attesa, del vuoto e dell’assenza di pensiero.

E poi arriva un uomo che sostituisce ai mugolii orgasmatici dei doppiaggi dei film porno la parola recitata di “Aspettando Godot” di Samuel Beckett, e tutto cambia: le menti si aprono ad un’attesa diversa, un’attesa fatta di suoni, cieli romani, piazze toscane, borghi umbri, umanità ritrovata o forse mai conosciuta.

Un Antonio Albanese semplicemente straordinario.  Un dendi, abile ed ammiccante Fabrizio Bentivoglio. Una Sonia Bergamasco che fa capire, o meglio, sentire al pubblico l’evoluzione interiore della direttrice di un istituto penitenziario. Un Giacomo Ferrara che, dopo Spadino di Suburra, si mostra dal lato rischiarato della Luna di chi vuole essere altro. Un Nicola Rignanese che esprime il volto tragico e sofferente del controllo poliziesco. Un Vinicio Marchioni nei panni del detenuto “capetto” che è cambiato pur rimanendo lo stesso, ed è rimasto lo stesso pur essendo cambiato. D’altronde è il Teatro dell’Assurdo e la vita è inspiegabile come i suoi personaggi che si agitano nelle proprie esistenze, al pari di cinque ristretti e di un regista che da anni ha abbandonato le scene ed adesso calca quelle di cinque anime che vogliono scoprire il proprio ruolo in questo mondo.

Godot, alla fine, appare e possiede le vestigia di un vecchio che non ha mai smesso di suonare la chitarra e sognare di essere migliore di come si sente ed è sentito “lì dentro”.

Grazie Ragazzi” di Riccardo Milani è un film che continua a galleggiare dentro lo spettatore anche dopo, perché parla dell’uomo in perenne ricerca di Godot, in costante attesa del suo arrivo.

Fabrizio Giulimondi


    








            



martedì 3 gennaio 2023

"LIVING" di OLIVER HERMANUS

 


Living” del regista sudafricano Oliver Hermanus, sceneggiato dal Premio Nobel Kazuo Ishiguro, è un remake del film del 1952 di Akira Kurosawa “Vivere”, a sua volta ispirato alla novella di Lev Tolstoj “La morte di Ivan Il'ič”.

Film bellissimo che certamente vincerà Premi cinematografici internazionali al pari dei Golden Globe e degli Oscar, “Living” è una lunga carrellata di immagini, fotografie (Jamie Ramsay), ambientazioni, atmosfere. Gli arredamenti vittoriani degli scompartimenti del treno e dei salotti dove i personaggi narrano le proprie storie sono essi stessi emozioni, emozioni che mutano in scene. Le musiche (Emilie Levienaise-Farrouch) ritmano i dialoghi e le sequenze. La recitazione ha la veridicità e l’incisività del teatro.

Al centro del racconto si posiziona Williams (un formidabile Bill Nighy) che incarna il dilemma in cui si possono imbattere gli uomini: come si cambia quando prendi contezza che hai pochi mesi di vita? Puoi peggiorare, abbandonarti all’offuscamento di te stesso, oppure puoi passare da essere un funzionario “accatastatore di pratiche inevase” per disinteresse ed indolenza, a divenire responsabile del proprio lavoro e realizzare, così, una piccola opera, un parco giochi, al posto di una putrida discarica.

La morte si apre ad altri significati, conduce ad altre albe, e può far morire con il sorriso sulle labbra mentre ci si dondola su una altalena al freddo, un freddo, però, che non si avverte, perché dinanzi agli occhi si vede realizzata, per la prima volta nella propria vita, una iniziativa per il bene della comunità.

Fabrizio Giulimondi


                            


lunedì 2 gennaio 2023

"THE FABELMANS" di STEVEN SPIELBERG: GOLDEN GLOBE 2023 - "MIGLIOR FILM DRAMMATICO" e "MIGLIORE REGIA"

 


The Fabelmans”, l’ultimo film di Sua Maestà il Cinema Steven Spielberg, ci proietta nella adolescenza dell’immenso regista per farci scrutare i suoi primi passi nel mondo dell’arte cineastica.

Autobiografico, intimistico, introspettivo, la narrazione scorre placida nel primo tempo, mentre, durante il secondo, si impenna per concludersi con la maestosità delle citazioni per immagini del funambolico Charlie Chaplin e del cow boy John Ford.

L’antisemitismo americano degli anni ’60 e la pazzia della madre, la debolezza caratteriale del padre ed il suo grande amore per la moglie che insisteva nel tradirlo, la macchina da presa usata per far percepire all’altro chi fosse veramente, la finzione artistica che descriveva come i compagni di scuola erano visti nella comunità e come in realtà loro si sentivano sul serio. La pellicola come strumento di maieutica socratica e l’orizzonte che rende un film capolavoro solo se è posto in alto o in basso e mai in mezzo: la chiave di lettura che porterà Spielberg ad essere l’inveramento della cinematografia.

Una pellicola dal carattere morbido e melodico come il pianoforte che accompagna la storia. Una pellicola che raccoglie la potenza del linguaggio di settanta anni di vette del Grande Schermo a stelle e strisce.

Una pellicola di Sua Maestà Steven Spielberg.

Fabrizio Giulimondi