“Quello che hai costruito può essere distrutto;
non importa, tu costruisci….Quello che hai sognato può non realizzarsi; non
importa, tu continua a sognare.”.
Una
ragazza di nome Amelia di anni 18 è da diciotto anni che attende l’Ossuta
perché il suo cuore, sin dai primi giorni di vita, ha mostrato la propria
fragilità e quello nuovo di zecca che le stava arrivando si è perso fra le
spine degli arbusti.
“A che distanza è il cielo” di Bruno Manca (Narrativa TEA) è un inno alla vita ed al suo godimento attimo per
attimo.
“A che distanza è il cielo” dà voce ad una
celebrazione della famiglia, ai padri e alle madri adottivi ed alle mamme
ritrovate dopo essersi ritrovate.
“A che distanza è il cielo” è il dialogo
serrato fra Amelia e il “Comandante”, ossia Dio la cui migliore qualità è l’ascolto.
In un’epoca
pagana e materialista questo romanzo ripercorre la ricerca spirituale di una
ragazzina adottata che adora il proprio “papi”, mentre ha un rapporto più
complesso con sua madre, la quale, dietro il muro di libri che legge di
continuo, nasconde il proprio dolore. Non esiste nulla di più personale della
sofferenza, nulla di più individuale, diversificandosi in miliardi di rivoli,
tutti tragici, tutti imperscrutabili.
Ogni
personaggio è marcato, umano, straordinario nella propria ordinarietà, eroe
della porta accanto, come don Stefano, gigante in una fede che sente che sta
evaporando, o l’entomologo che cura le ali rovinate delle farfalle, perché ogni
essere vivente, anche il più piccolo e nascosto, merita di vivere con dignità.
Amelia
parla per metafore meteorologiche e tramite il linguaggio tecnico dell’arte di
pilotare un aereo. I piloti che hanno fatto la storia della aeronautica
mondiale sono i suoi idoli - non le rock
star -, idoli come lo statunitense Sully Sullenberger.
Lo
stile è morbido, affabile, ironico e il pathos è diluito nelle pagine del
racconto per evitare la condensa della drammaticità, pur mantenendo Manca il lettore ben inchiodato ad una
costante tensione emotiva.
Potremmo
dire che questo romanzo, di indubbio valore narrativo ed etico, ha la sua
intelaiatura nella corrispondenza epistolare fra Dio ed una giovane ragazza che
si prepara – e prepara i suoi genitori adottivi, sua madre, il suo amico
sacerdote e Davide – alla morte.
Difficile
non commuoversi nelle battute finali.
“Non rimpiango niente. Ho giocato. Ho perduto.
Fa parte del mio mestiere. Ma, quantomeno, ho respirato il vento di mare.”.
Fabrizio Giulimondi