sabato 30 dicembre 2023

"ADAGIO" di STEFANO SOLLIMA

 


Fra i tempi musicali lenti troviamo l’adagio, che, come direbbe Sartre, è anche un avverbio che esaspera la lentezza di un movimento, ma persino un film, “Adagio” di Stefano Sollima, che porta sul Grande Schermo un’azione scenica in totale contrasto con avverbio e sostantivo.

Il sottobosco suburbano e dell’anima percorre le rotaie di esistenza fatte di baccanali orgiastici e dionisiaci moderni, non certamente dissimili da quelli antichi, lungo pendii di storie di corruzione in divisa, nella cornice di una nuova Suburra romana puntellata di volti pasoliniani, visi efebici e donne boccaccesche e felliniane.

Al ritmo del rap ed house, ma anche delle sonorità del Califfo, i migliori attori della cinematografia italiana (Pierfrancesco Favino, Toni Servillo e Valerio Mastandrea, accompagnati da un ottimo Adriano Giannini) fanno vivere le ultime battute degli epigoni degli uomini della Banda della Magliana.

Narrazione avvincente e convincente immersa nei fumi tossici di uno dei tanti incendi di rifiuti che hanno avviluppato la periferia romana, incorniciata in una fotografia a tinte accentuatamente accese di una Roma infuocata dai rovi e dal caldo asfissiante estivo.

I bassifondi che fungono da set della malavita ruotano intorno al primo tratto della Tangenziale Est della Capitale, riportando la memoria dello spettatore a “Suburra” (film e serie), “Non essere cattivo” e a “Lo chiamavano Jeeg Robot”.

Film che, come tutti quelli del filone cui appartiene, fa uscire l’ibristofilia che è in noi.

Fabrizio Giulimondi


                            


giovedì 28 dicembre 2023

500ma RECENSIONE: "L'EDUCAZIONE DELLE FARFALLE" di DONATO CARRISI (LONGANESI)



Un Donato Carrisi in splendida forma è tornato nelle librerie con “L’educazione delle farfalle” (Longanesi). Romanzo bellissimo ed avvincente, “L’educazione delle farfalle”, con una narrazione didascalica, sviluppa una storia con tinte thriller ma spire psicoanalitiche, che trascinano il lettore dentro le conseguenze tragiche della perdita di un figlio e l’elaborazione del  lutto (sembra di leggere alcune pagine dell’opera scientifica di Antonio Onofri); entro la formazione della memoria e la sua manipolazione e deformazione; all’interno dei  legami ancestrali fra genitori e figli e di come un trauma possa  riverberarsi anche a distanza di anni nelle relazioni umane; nel misterioso sviluppo psichico di una donna che avrebbe voluto abortire e diviene una  madre che non accetta di subire la menzogna dell’apparenza.

Un romanzo valoriale, catartico e liberatorio, ambientato, come spesso accade nei libri di Carrisi, in una piccola cittadina di montagna in presenza di comunità religiose fortemente identitarie, dove la realtà non è mai tale.

Prestare attenzione ai particolari, ad una porta accostata, ad una finestra aperta: è un caso? È voluto? È stato fatto apposta per evocare altro?

La Festa delle Fate Farfalle.

Un battito d’ali di farfalla che, come dice il matematico e meteorologo Edward Lorenz, può creare una catastrofe in un’altra parte del pianeta.

La morte di un figlio come un male incurabile che, invece di ucciderti, ti costringe a vivere.

Ciò che ci lega gli uni agli altri sono i segreti.

Gli uomini non sono mai un unicum, ma appartengono al multiverso, ad universi paralleli dove vivono esistenze anche opposte le une dalle altre.

Ognuno è allo stesso tempo dott. Jekyll e Mr. Hyde.

Ognuno è lo gnomo buono ed il fratello cattivo de “Il magico villaggio di Noiv”: ma Noiv non è il bifronte di Vion, la località nella quale si svolge il racconto?

Le parole sono importanti, hanno un peso, una loro fisicità, nella vita, come nella morte: il nome Aurora può essere confuso con Aurélie!

L’educazione delle farfalle” vi inchioderà alla sedia. Non potrete smettere di leggerlo finché il finale nel sopraggiungere vi impedirà di smettere di pensare a quanto avete appena vissuto.

Fabrizio Giulimondi


venerdì 15 dicembre 2023

"VOLUNTAS DEI" di MARCO BRUSCHI

 


Non è certo un neofita del genere giallo-storico Marco Bruschi, che ambienta il suo ultimo lavoro, “Voluntas Dei” (Arpeggio Libero), nella Roma fascista e nazi-fascista e, poi, in quella a cavallo della prima decade del 2000.

Le storie si insinuano nelle vicende che hanno squassato la storia dell’Italia e della Chiesa cattolica: dai rapporti tra Mafia e Vaticano, allo IOR, alle “voci” sulla presunta non naturalità della morte di Papa Giovanni Paolo I, agli appetiti pedofili di taluni ecclesiastici, sino alle “misteriose” dimissioni di Papa Benedetto XVI.

Alcune ingenuità non tolgono il ritmo narrativo su un soft-thriller, che ripercorre un tipo di giallistica a sfondo storico che vede corifei autorevoli come Valerio Massimo Manfredi e Danila Comastri Montanari, ma che, talora purtroppo, cade in stantii attacchi al mondo cardinalizio, sacerdotale e papale: la storia ha dato le sue risposte ai “silenzi” di papa Pio XII, rimanendo, pertanto, ingenerosa la persistente aggressione alla sua grandiosa figura novecentesca (“Giusto fra le Nazioni” per la comunità ebraica).

Fabrizio Giulimondi  

sabato 4 novembre 2023

"C’È ANCORA DOMANI" di e con PAOLA CORTELLESI

 


C’è ancora domani” di e con Paola Cortellesi è un’opera prima proiettata verso il Premio David di Donatello 2024 come "Miglior Film".

Il bianco e nero, nel potenziare la bellezza visiva del film, fa tornare lo spettatore indietro al neo realismo di De Sica. La caratura interpretativa degli attori (Valerio Mastandrea, Emanuela Fanelli, Giorgio Colangeli, Vinicio Marchioni) rende la recitazione fluida e penetrante, godibile e incisiva. La violenza del marito Ivano su Delia (una impareggiabile Cortellesi) è resa artisticamente tramite la danza, puro genio creativo, danza che funge anche da strumento di falsa pacificazione. La tensione durante il pranzo di fidanzamento della figlia Marcella (Romana Maggiora Vergano) è avvertita realmente in sala, con la platea pronta alla esplosione di violenza, che rimane però celata, nel rispetto dello spirito ellenico.

Il mistero è dentro una lettera ricevuta da Delia e il tempo si addensa in due date: il 2 giugno 1946, e al giorno successivo, il 3 giugno 1946.

In questa pellicola riverbera la più possente e grandiosa tradizione cinematografica italiana, sia come direzione che come gestualità attoriale.

I momenti comici punteggiano e rafforzano il pathos e la tragicità della narrazione.

Dietro la macchina da presa scorrono decenni di scene e fermoimmagine cineastici post bellici nostrani, accompagnati dai brani degli anni ’40, dai ritmi house, rap e breakdance e dalle sonorità musicali di Dalla.

Silenzio, è buio in sala.

Fabrizio Giulimondi




mercoledì 25 ottobre 2023

"VICO DEI MIRACOLI. VITA OSCURA E TORMENTATA DEL PIU' GRANDE PENSATORE ITALIANO" di MARCELLO VENEZIANI (RIZZOLI)

 




Quando abbiamo a che fare con Marcello Veneziani siamo ben consci di imbatterci nella densità di un pensiero che si impone sugli effluvi culturali imposti alle masse.

Vico dei miracoli. Vita oscura e tormentata del più grande pensatore italiano” (Rizzoli) accompagna il lettore nelle pieghe misteriche della filosofia di Giambattista Vico, entro i confini del “Cilento mistico e magico, agreste e patriarcale, parco di parole, generoso di frutti”, della “napolitudine” e delle mura perimetrali di una Napoli esoterica, alchemica, mistica e magica.

Veneziani, con suo stile antico e affascinante, effettua una indagine endoscopica dell’opera vichiana e del suo sommo lavoro “La scienza nuova”: “opera unica, inimitabile in cui convergono saperi diversi che s’intrecciano: storia e filosofia della storia, archeologia e antropologia, filologia e letteratura, scienza e diritto”.

Vico contrasta l’Illuminismo che oppone la scienza alla fede, affasciando entrambe nell’“unità di mito, religione e filosofia, legati in principio della poesia”.

Come Dante, Vico vuol collegare “cielo e terra, storia e metafisica, mito e realtà” con acutezza e profondità, ma anche in modo criptico, quasi oracolare. Non potrebbe essere altrimenti in una Napoli barocca e metafisica, bagnata dal Mediterraneo ponte fra Oriente e Occidente: “Non possiamo estraniare il pensiero di Vico dalla storia e dai luoghi in cui è stato concepito; è pensiero profondamente italiano, latino, mediterraneo, cattolico, meridionale, partenopeo”. Assistiamo in questo saggio all’inveramento del senso più autentico del genius loci.

Le riflessioni interpolate da inflessioni dialettali proiettano le pagine di Veneziani oltre il nostro tempo ed il nostro spazio, nel tempo e nello spazio che furono di Vico, non appartenenti più ad un tempo storico o ad uno spazio geografico, ma all’”Ultroneo”, a ciò che non è più qui ma nell’“Altrove”.

Il Mito, che permea le ultime opere di Marcello Veneziani, allunga il suo sguardo dalla Grecia classica e la Roma imperiale agli abbozzi di strade napoletane settecentesche e alle coste di una Campania spagnola, asburgica e borbonica reduce da antiche glorie, non più viventi ma oramai eterne.

Fabrizio Giulimondi

domenica 22 ottobre 2023

"L'ULTIMA VOLTA CHE SIAMO STATI BAMBINI" di CLAUDIO BISIO

 


L’ultima volta che siamo stati bambini” di Claudio Bisio – tratto dall’omonimo romanzo di Fabio Bartolomei -  è un film molto bello sulla capacità dei bambini di trascendere l’orrore della guerra per l’abilità innata che possiedono di far prevalere l’amicizia, la fantasia e il gioco sui bombardamenti, la distruzione, la morte e lo sterminio provocati dalla Seconda Guerra Mondiale.

Quattro attori giovanissimi -  che mostrano qualità interpretative incredibili (Alessio Di Domenicantonio, Vincenzo Sebastiani, Carlotta De Leonardis, Lorenzo McGovern Zaini) -  intraprendono un viaggio con animo fanciullesco verso l’inferno dei campi di sterminio: uno di loro è un ragazzo ebreo e incappa nella barbarie nazista inflitta nel ghetto romano il 16 ottobre 1943: i suoi tre amici di avventure (due ragazzini e una bambina molto in gamba) camminano lungo la ferrovia per andare in Germania e liberarlo. Tre ragazzini accomunati da una medesima mente eroica – per dirla con Gianbattista Vico – che li rende tre giganti: pensano di stare vivendo un gioco da grandi ma il tragitto li farà imbattere negli orrori del conflitto.

Indomita rimarrà l’amicizia e il desiderio di fare fuggire l’amico. L’estremo atto eroico di uno di loro sarà compiuto pensando di vivere dentro un fumetto.

Le citazioni cinematografiche sono numerose, dalla tragica giocosità de “La vita è bella” di Roberto Benigni, all’immagine della Luna e dei cieli stellati de “La notte di San Lorenzo” dei fratelli Taviani, alle scene lungo i binari dei ragazzini di “Stand By me” di Rob Reiner, sino al finale in qualche modo somigliante alla pellicola di Mark Herman “Il bambino con il pigiama a righe”.

Delicato, mai ruvido, pur calato in un proscenio tragico, il film vede nella suora di grande fede (Marianna Fontana) e nel milite fascista (Riccardo Cesari) il tentativo di dialogo fra due modi diversi e, talora, opposti, due mondi che stavano concludendo le proprie esistenze dinanzi allo stesso plotone di esecuzione nazi-fascista.

Peccato il tocco ideologicamente scorretto nel far dire una menzogna alla suora, che critica la Chiesa per non aver fatto nulla contro quell’indecente eccidio: il Regista omette le decine di migliaia di perseguitati politici ed ebrei salvati su ordine di Papa Pio XII, che fece aprire anche i conventi di clausura.

Fabrizio Giulimondi



mercoledì 11 ottobre 2023

"UN PAESE FELICE" di CARMINE ABATE (MONDADORI)

 



Carmine Abate, il cantore della terra e il poeta delle radici, ha scritto un libro che sa di zagara e di polvere: “Un paese felice” (Mondadori).

Esistono racconti tragici che si nascondono nelle pieghe della storia e che spetta alla lirica della parola disvelare ad un mondo sonnolento e disincantato.

Vi sono parole che possiedono la potenza evocatrice della profezia, come Eranova. Ci sono paesini, chiusi dentro i confini della bellezza, fra l’orizzonte del mare e l’arcipelago delle montagne, che sono destinati ad essere distrutti perché così vuole l’insensatezza umana, l’ottusità che, in quanto tale, è già portatrice di violenza.

 Eranova è una parola. Eranova è un luogo, un luogo fisico, un’espressione geografica, uno spazio dell’anima, una novella Hora, una Carfizzi che non esiste più.

Sartre nella parola Florence vi vedeva una città toscana, ma anche una bella donna.

Nella parola Eranova si intravede la fisica e la metafisica di un tratto di terra, si scruta la dimensione rinchiusa nell’anima ove tutti noi amiamo rifugiarci.

Eranova esisteva. Ora non esiste più.

1970-1971.

1983.

Un paese viene cancellato, e la descrizione, lenta, implacabile, che ne fa lo scrittore arbëreshë equivale ad un coltello tagliente che lentamente, molto lentamente, entra nelle carni del lettore.

Questa brutalità appare piano piano, fra un mare mozzafiato, profumi che magnificano l’aria e una comunità vera, una comunità autentica, fatta di uomini, donne, ragazzi, amori giovanili, famiglie, bambini che sciamano in spiaggia come atto di resistenza.

E poi si percepiscono odori di pietanze saporitose e piccanti e volti antichi e occhi profondi e una umanità saggia sciolta implacabilmente in una cecità densa.

Canti bucolici latini che nidificano fra idiomi calabresi per germogliare dentro di noi, oramai prigionieri del presente, desiderosi di avere ancora un passato che non venga cancellato da un futuro arcigno e beffardo.

Abate usa uno stile delicato, profumato, gustoso e soffice, per vibrare una coltellata impietosa finale.

Il dramma è che il set non è il proscenio di una tragedia greca, ma la realtà di un paesino incantevole, abitato da genti vere, che oggi non esiste più.

Eranova è “la nostra storia, la nostra memoria. Senza, non siamo niente”.

Fabrizio Giulimondi

martedì 3 ottobre 2023

“LA VERSIONE DI GIORGIA” di GIORGIA MELONI e ALESSANDRO SALLUSTI (RIZZOLI)

 


Una faccia mostruosa: famiglia, sesso biologico, appartenenza nazionale, fede religiosa, ogni ambito identitario è diventato improvvisamente e velocemente un problema”.

È prassi ricorrente che esponenti politici di variegata importanza e origine politica scrivano biografie, autobiografie, saggi, romanzi, monografie, racconti, ma credo sia la prima volta che un Presidente del Consiglio in carica accetti di essere co-protagonista di un libro-intervista.

La versione di Giorgia” di Giorgia Meloni e Alessandro Sallusti (Rizzoli) traccia il cammino di una donna da giovane militante di Destra a primo Premier italiano di sesso femminile.

Le soluzioni tecniche si abbracciano ai ricordi; i rapporti con i leader stranieri ed i Grandi della Terra si affiancano ad antiche amicizie. Una esistenza travolta da uno tsunami: trovarsi a quarantacinque anni al governo di uno Stato di sessanta milioni di persone, fra la Mitteleuropa e l’Africa che avanza. Idee e passioni che si calano in dimensioni nazionali ed internazionali per mutare in azioni, misure e norme. Anni e anni di battaglie passano dall’etere alla quotidianità degli esseri umani che abitano lo Stivale.

Fare i conti con responsabilità immani, sfide erculee, sforzi titanici: “La prima arte che devono imparare quelli che aspirano al potere è di essere capaci di sopportare l’odio”.

Il lettore passa dalla freddezza dei numeri al calore delle parole, dalla politica e dalle Istituzioni ad una mamma che sente che sta togliendo qualche cosa alla figlia e ad una moglie che scorge solo in lontananza il marito.

Valori che si tingono di speranza.

Futuro che non dimentica il passato.

Quando ho cominciato a leggerlo pensavo di trovarmi innanzi a paccottiglia pseudo-letteraria della personalità illustre del momento, mentre ho trovato un libro fatto di lacrime, umanità, orizzonti, rabbia e amore.

Un lavoro che molti non leggeranno per pregiudizio e, invece, dovrebbero affrontare per conoscere un’altra versione del mondo, un’altra visione della esistenza, un altro e sconosciuto punto di fuga.

“…..Il nostro destino dipenda soprattutto da quello che noi siamo disposti a fare, da quanto siamo disposti a lavorare, da quanto siamo disposti a sacrificare”.

Vi sono emozioni che hanno bisogno di una propria corporeità, di rendersi visibili agli occhi degli altri, per questo Giorgia Meloni si è fatta intervistare: per dare veste con le parole a sentimenti che altrimenti sarebbero rimasti rintanati nei pertugi nascosti dell’anima.

Fabrizio Giulimondi

lunedì 25 settembre 2023

"LA VISITA. LA BELLEZZA COLLATERALE" di ROCCO CESAREO

 



La visita. La bellezza collaterale”, pièce teatrale di Rocco Cesareo - che è anche voce fuori campo (Maurice) - è strutturata nel dialogo di una attrice (Lucille impersonata da Rita Charbonnier) con se stessa, una attrice un tempo “divina” ed oggi abbandonata dal mondo e da se stessa

Questa, attenzione, è solo la narrazione apparente, solipsica, monadica e monastica, nella quale la voce di Maurice non si comprende se sia reale o frutto della immaginazione allucinatoria di Lucille.

La vibrazione interna alla recitazione si direziona, invero, verso altre sorgenti: la bellezza collaterale.

Cinema e teatro si abbracciano di nuovo. Collateral Beauty, pellicola del 2016 diretta da David Frankel, anticipa la visione nell’opera di Cesareo. V’è una bellezza in ogni cosa, in ogni trancio di vita, anche in ogni tragedia. Una bellezza nascosta, a latere, non vista e non visibile, ma esistente e persistente.

Sta allo spettatore trovarla nel recitativo e fra le pieghe musicali de “La visita”.

 

Fabrizio Giulimondi

 

 


 


venerdì 8 settembre 2023

“OPPENHEIMER” di CHRISTOPHER NOLAN : PREMI OSCAR 2024 COME "MIGLIOR FILM", "MIGLIOR ATTORE PROTAGONISTA", "MIGLIOR ATTORE NON PROTAGONISTA", "MIGLIOR REGISTA", "MIGLIORE COLONNA SONORA", "MIGLIORE FOTORAFIA", "MIGLIOR MONTAGGIO"

 


Oppenheimer” (Premio Oscar 2024 come "Miglior Film") di Christopher Nolan (Premio Oscar 2024 come "Miglior Regista") è un film con incantevoli effetti speciali sulla coscienza e sulla sua reazione ogniqualvolta prende atto di aver compiuto qualche cosa di terribile, come creare un secondo sole.

Il fisico americano (Cillian Murphy, Premio Oscar 2024 come "Miglior Attore Protagonista") che tradusse le intuizioni di Einstein in bomba atomica e nei morti di Hiroshima e Nagasaki, era il direttore del “Progetto Manhattan” e comprese cosa avesse creato quando vide esplodere la Bomba durante il test Trinity che precedette di qualche settimana il lancio di Little Boy sulle due cittadine nipponiche: Oppenheimer vide sorgere il sole come i piloti dell’Enola gay.

Lo spettatore deve andare oltre la serrata e tragica recitazione, penetrare gli sguardi, le espressioni mimiche, le movenze della bocca, la postura dei corpi.

Lo spettatore deve scorgere nella fisicità lo sviluppo della crisi di coscienza del Prometeo a stelle e strisce.

Se non lo avessero costruita per tempo gli americani l’avrebbero fatta i nazisti.

Einstein: “Se pensate che la Bomba potrebbe distruggere il pianeta dovete condividere l’informazione con i nazisti”.

La coscienza dei giganti.

La coscienza che si muove sempre in ritardo.

La coscienza dovrebbe bloccare le azioni umane ma spesso non lo fa.

La domanda che si pone il pubblico con Oppenheimer: “E’ stato certamente giusto concepire la Bomba prima della Germania hitleriana, ma è stato giusto adoperarla contro una popolazione civile inerme di uno Stato che aveva già perso la guerra?”

La punizione il fisico se la impone offrendosi alla ingiusta accusa di comunismo rifiutandosi di partecipare alla ideazione dell’ordigno nucleare all’idrogeno.

Guardate oltre e dietro l’atomo: scrutate i misteri della coscienza.

Fabrizio Giulimondi




 

 

 

venerdì 4 agosto 2023

"BARBIE” di GRETA GERWIG

 


Mi sono chiesto e mi hanno chiesto come mai il film “Barbie” di Greta Gerwig sta sbancando al botteghino come terzo film più visto nelle sale dopo le riaperture post pandemia. La risposta è semplice e basta guardare la pellicola con attenzione, scrutando i dettagli sino alla fine.

Barbie” è un lavoro cinematografico di liberazione dello spettatore dalla opprimente imposizione fluida, liquida, queer e gender. È esaltata la “Bellezza” femminile, la bellezza di donne vere, non frutto del laboratorio transgender. Le differenze corporee e psicologiche dei due sessi, maschio e femmina, sono marcate, in chiave ovviamente macchiettistica, in modo chiaro e senza equivoci.

Nel mondo irreale e plastificato di Barbie - quello della bambola immessa in commercio il 9 marzo 1959 - la felicità è artefatta perché vissuta da donne irreali, prive di vagina, in quanto tali incomplete, e l’elemento maschile è un optional, un Ken, un maschio finto, senza il pene.

Il maschio vive di riflesso alla femmina: Ken vive per farsi notare da Barbie. Maschile e femminile sono in contrapposizione secondo la concezione vetero-femminista. La Barbie soppianta le bambole di un tempo che aiutavano le donne, sin dalla loro infanzia, a divenire buone mogli e brave madri.

Barbie rivoluziona la percezione delle donne nella società, strumento ludico di lotta alla discriminazione.

Barbie è una wasp. È bianca, americana, bionda, molto californiana, bella e sexy: è femmina, parecchio femmina. Questa femminilità non smette mai di esistere e di imporsi per tutta la durata della proiezione, con i tacchi o con le orribili Birkenstock, con o senza trucco: Margot Robbie - l’attrice che veste i panni della creazione di Ruth Handler - è bellissima. La femminilità, l’essere donna, sono l’autentico leitmotiv della trama. Non si può essere donna senza il reale, senza l’umanità ed i suoi risvolti negativi, senza il pianto, il dolore e la morte. Barbie vuole questo per essere vera, completa, tutta ragazza, tutta essere umano. Barbie, così, decide di fare parte di quella Umanità composta di uomini con il pene e donne con la vagina. I dettagli sono fondamentali. Le ultime immagini mostrano una bambola Barbie con il bambino da inserirle nella pancia. La vagina è aperta alla vita e Barbie si reca dal ginecologo perché, in quanto donna e per volontà della natura, è potenzialmente madre. Non v’è alcuna concessione agli LGBT. Alcuna. Gli uomini e le donne sono complementari, non gli uni contro le altre: solo complementari realizzano se stessi, completano se stessi e possono cercare di migliorare l’esistenza umana, perpetuandone la specie.

Questo film è l’esaltazione della normalità e della naturalità e avversa gli stereotipi. Il pianto non appartiene solo all’ “altra metà del cielo” ma anche all’uomo, che non perde la propria mascolinità versando lacrime.

Ad essere preso in giro è chi qualifica “fascista” tutto ciò che non rientra fra le sue idee, ma v’è salvezza anche per lui. L’adolescente woke, eternamente triste e arrabbiata, ritroverà il sorriso e l’amore per la madre proprio entrando in contatto con il mondo leggero e “curvilineo” di Barbie.

Le citazioni sono numerose: dalle scene iniziali di “2001: Odissea nello spazio” con lo splendido brano “Così parlò Zarathustra” ai musical di Broadway (penso a “Tommy” degli Who), sino ai cantanti rock e rapper anni ’70 e ’80 con la pelliccia sopra il petto nudo (segno di virilità non di altro come taluni, inventando, hanno ideologicamente affermato).

Secondo me si sono sbagliati a produrre questa pellicola: proclama, in modo esplicito o subliminale, valori tradizionali.

Fabrizio Giulimondi


                                


 

 

mercoledì 2 agosto 2023

"LA PORTALETTERE" di FRANCESCA GIANNONE (NORD): VINCITORE PREMIO BANCARELLA 2023

 


La portalettere” di Francesca Giannone (Nord), vincitore del Premio Bancarella 2023, è un romanzo morbido ed emozionante che fa viaggiare il lettore nella metafisica degli affetti. La famiglia, oggetto di puntuale e premeditata aggressione da parte della odierna letteratura e cinematografia, in “La portalettere” viene descritta in maniera articolata e amorevole.  I personaggi – tutti ampiamenti raffigurati dall’interno e dall’esterno - non vi abbandoneranno terminata la lettura, ma continueranno a cercarvi.

L’Umanità è rappresentata ad ampio spettro ed ogni protagonista, coprotagonista, attore secondario o comparsa, ne compone la maestosità, fatta di ordinarietà e straordinarietà, quotidianità ed eccezionalità. La Giannone sembra voler sussurrare che ogni persona è un mistero a se stessa, amplificandosi il mistero ogniqualvolta una relazione sbocci.

L’Autrice sembra la Austen italiana che fa trasmigrare le sue creature letterarie dalle campagne britanniche a quelle salentine.

La narrazione è ritmata dalle sonorità che hanno punteggiato il ventennio fascista ed il primo dopo guerra.

I fatti storici, dalla “avventura” mussoliniana africana al crollo del Regime, sino all’arrivo della Repubblica, sono raccontati tramite i titoli delle pellicole dell’epoca, le canzoni del tempo e gli accadimenti sociali al pari del matrimonio fra la Regina Elisabetta con il principe Filippo e del sopraggiungere dell’uso del telefono.

Goethe e Cechov accompagnano il lettore e rafforzano il legame fra Anna, la Portalettere, la Forestiera dagli occhi del color delle foglie di ulivo, ed il cognato Antonio. Ogni membro della famiglia traccia una storia, verga un sentimento, marca il dualismo eterno dell’animo umano, il suo bianco come il suo nero, ripercorrendo la ricerca della felicità e la tragica condizione di costante insoddisfazione umana. Daniele porta con sé un segreto a lui nascosto che cambia non solo il suo percorso esistenziale, ma anche quello di chi lo circonda, prima fra tutti la tragico-ellenica Lorenza.

La portalettere è una Anna Magnani letteraria che incarna il turbinio innovativo e la voglia di rivalsa  delle donne, invera una suffragetta ligure trapiantata nella Puglia del marito, Carlo, pura energia creativa.

La portalettere” è un tappeto persiano ricamato con più fili, di colori smorti e pungenti, che portano il lettore e non mollare mai la presa.

Sul tronco del Grande Leccio poggiano la schiena Carlo e Antonio, fratelli legati da un legno duro come la quercia. Il dopobarba mentolato e l’odore speziato del sigaro di Carlo impregnano le pagine del libro, mentre il sentore del pesto di Anna e Giovanna si insinua nel palato del lettore che avverte anche sapore gustoso delle pietanze di Agata. Non esistono figure sgradevoli perché tutte vivono di una umanità profonda e radicale.

Ed il lutto tutto cancella e tutto innova.

Tutto vede e tutto cela.

Credo di aver sentito…di essere a casa. Di poter mostrare il mio lato più fragile, sapendo che l’altra persona lo capisce, lo accetta, se ne prende cura, e non lo userà mai contro di te.”.

Fabrizio Giulimondi

lunedì 24 luglio 2023

"MI LIMITAVO AD AMARE TE" di ROSELLA POSTORINO (FELTRINELLI)

 


Nel mondo una volta c’era tua madre e ora non c’è più, c’era un corpo, una voce, un flusso di pensieri, un insieme di gesti riconoscibili, di vezzi lessicali e idiosincrasie, e ora non ci sono più

Si può recensire una emozione?

Si può recensire una lunga e possente emozione?

Si può?

Mi limitavo ad amare te” di Rosella Postorino (Feltrinelli) - seconda al Premio Strega 2023 (prima in pectore), vincitrice del Premio Campiello nel 2018 (“Le assaggiatrici”) e di numerosi altri prestigiosi premi letterari - è una lunga e possente emozione. Un romanzo scritto con l’inchiostro della emozione e dei sentimenti più profondi e drammatici, dove la solitudine governa la storia ed è dentro gli occhi dei bambini di Sarajevo, fuggiti in Italia dall’”Assedio” (5.4.1992-29.2.1996) e dai cecchini cetnici che si divertivano ad ammazzare i figli davanti alle madri per godere della loro insaziabile angoscia e sofferenza.

Vi sarà difficile dimenticare le ragazze ed i ragazzi co-protagonisti della trama.

A Omar vogliono imporre una madre e un padre. Ma lui la madre già ce l’ha, e anche una casa e una città, Sarajevo. Omar sente che la madre è ancora viva anche se tutti dicono che è morta.

Nada ha i capelli biondi e un coltello le ha tolto un dito. Lo dice anche il nome: lei non è nulla ma vorrebbe tanto essere qualche cosa. Nada vorrebbe unire la sua solitudine con quella di Danilo che vuole dimenticare Sarajevo, i cetnici, la guerra, le teste mozzate dei serbi con cui i croati giocano a pallone. Anche Sen, fratello di Omar, vuole lasciare nell’oblio quella puzza di morte e orrore ed essere solo e unicamente italiano. Jagoda, sorella di Danilo, non vuole dimenticare, vuole ritornare, perché il balbettio della paura e dell’ansia  la conduce a dover aiutare prima sua madre e  poi suo padre. Azra, la madre di Danilo e Jagoda, mollerà quando tutto sarà finito, perché solo quando tutto è finito esplode ciò che lei ha visto e ha vissuto: gli stupri etnici, una crudeltà senza alcun limite umano.  Dio qui non c’è.

Ivo è il fratello di Nada, ha conosciuto la guerra. Non capiva perché doveva uccidere qualcuno ma lo ha dovuto fare. Questa guerra non gli appartiene più e sarà una madre prostituta che pensava di non avere più a salvarlo e a fargli incontrare di nuovo la sorella Nada. Nada, però, vuole dire “Niente” e neanche il fratello la vuole, ma la speranza è dura a morire e una nuova vita fa assumere alla esistenza tutto un nuovo colore e sapore.

Nino è la speranza. Nino è la vita: “Nada diventò madre in quel momento, lei che non era mai stata figlia”.

Sul sottofondo il vociare buono ed aspro di suore e volontari che impegnano il tempo a dare un nuovo e diverso tempo a chi ha conosciuto sin da bambino l’inferno in terra.

Doveva soffocare la speranza. Ma la speranza gli turbinava nella pancia e nella testa e nella gola”.

Il dolore permea tutto, come la solitudine, e contribuisce alla solitudine, perché separa anime e corpi.

Il dialogo notturno bolognese fra Danilo e Nada produce brividi su brividi, sospende il respiro e accelera i battiti, dà corpo ad atmosfere che non si disciolgono al calare delle parole.

La guerra è una nuvola nera impenetrabile che, una volta che si dirada, non lascia nulla come prima corrompendo e decomponendo al suo passaggio qualsiasi essere umano e qualunque  luogo.

La Postorino con intima bellezza racconta la devastazione interiore che un figlio incontra quando perde tragicamente i propri genitori e la sua rinascita, nella scoperta della loro esistenza in vita.

È strano pensare che il corpo che ti ha messo al mondo non sia più al mondo, che il luogo da cui hai avuto origine sia scomparso, è come se il mare avesse inghiottito la terra in cui sei nato”.

Un racconto che segna. Un racconto indelebile.

Non vi capisco, aveva replicato Ivo, con questa idea che voler vivere sia più logico o più sano che arrendersi alla morte. Non è più saggio lasciare che la morte ci prenda, dato che è inevitabile?”.

Fabrizio Giulimondi

 

venerdì 21 luglio 2023

"CATTIVA COSCIENZA" di DAVIDE MINNELLA

 


Cattiva coscienza” di Davide Minnella è una classica commedia italiana “di nuovo corso”, di cui Edoardo Leo e Massimiliano Bruno ne sono i capostipiti: brillante, amena e simpatica in superficie e sagace e profonda nel suo nocciolo. Commedia valoriale che ventila il dubbio che il libero arbitrio, in realtà, non esista, in quanto ognuno di noi è in qualche modo sempre manovrato da qualcuno o qualche cosa. Probabilmente se le persone fossero veramente libere di decidere tutte avrebbero intrapreso ben altre strade. Ottimamente riuscita l’introduzione dell’elemento del soprannaturale, riflettendo il Regista su quanto siano eterodirette  le scelte degli esseri umani.

La domanda, al termine della visione, sorge spontanea: la c.d. cattiva coscienza non è quella che ci potrebbe liberare dalla c.d. buona coscienza che ci spinge, invece, verso deliberazione che ci rendono infelici sul lavoro, nella vita affettiva ed amicale per una vita intera? Va dove ti porta il cuore o dove ti porta la mente? O entrambi se si è fortunati e ci si riesce?

Attrici e attori freschi che rendono bene la dinamicità del racconto che segue buoni ritmi narrativi e comici.

Fabrizio Giulimondi




martedì 11 luglio 2023

"COME D'ARIA" (ELLIOT) di ADA D'ADAMO: VINCITORE PREMIO STREGA 2023

 




Non è facile per me scrivere dell’ultimo lavoro letterario vincitore del Premio Strega 2023, “Come d’aria” (Elliot) di Ada d’Adamo, deceduta lo scorso 1” aprile di tumore, pochi giorni dopo aver saputo che era entrata nella “cinquina”.

Quando si è finito di leggere “Come d’aria” si avverte un senso di vuoto, di densità e di complessità.

Vuoto, perché avresti voluto continuare a leggerlo.

Densità, perché il lettore si imbatte nella tragicità di due esistenze, una tragicità composta e indomita.

Complessità, perché mentre l’Autrice invoca insistentemente, anche con una famosa lettera al quotidiano La Repubblica, il “diritto” all’aborto, sostenendo che lo avrebbe esercitato se avesse saputo in gravidanza che la figlia Daria sarebbe nata gravemente disabile, contemporaneamente, lungo tutto il percorso narrativo, racconta dell’amore incondizionato del nonno (il padre di Ada), del babbo Alfredo (il compagno, poi marito, di Ada) e del proprio. Avrebbe sul serio soppresso la destinataria di tanto amore? Di tanto riempimento della sua e delle altrui vite?

Ringrazio l’Autrice di aver usato il verbo più idoneo, “uccidere”, coraggio inusitato in un’epoca di tirannide linguistica.

Come d’aria” è una madre che partorisce una figlia gravemente disabile dopo aver abortito un anno prima per non perdere il proprio compagno, lo stesso compagno che adorerà un anno dopo quella bambina, Daria, che avrebbe voluto far abortire anche questa volta. Sarebbe stato adorato anche il primo figlio se non fosse stato soppresso? E Daria sarebbe nata se Ada avesse partorito il suo primogenito? E l’amica Francesca - che aveva abortito dopo aver scoperto che il bambino in grembo era affetto dalla stessa patologia di Daria - quando tiene in braccio Daria e la culla avrebbe voluto rimettersi dentro quel bambino abortito?

Ada si ammala gravemente di tumore, quel cancro che le impedirà di ricevere da viva, lo scorso 6 luglio, il Premio letterario italiano più prestigioso.

John Donne diceva: “La malattia è la miseria massima, la massima miseria della malattia è la solitudine”.

La solitudine genera disperazione ed è la disperazione che porta ai suicidi, agli aborti e all’eutanasia.

Cara Ada, hai scritto un libro magico come tua figlia, chissà se un mondo con meno solitudine e più vicinanza fisica ed affettiva ti farebbe cambiare idea sull’aborto. O forse avevi cambiato già idea quando, mentre giacevi su quel letto di ospedale e gridavi il tuo “No! No!”, ti hanno immobilizzato e praticato la sedazione per procedere alla interruzione della gravidanza?

Cara Ada, concordo con te su quanto hai scritto fra le righe dense della tua autobiografia: il Covid ha fatto capire ad un Occidente dimentico della malattia e della morte, che la malattia e la morte sono componenti naturali della esistenza umana.

Un libro lirico, emozionante, danzante e autentico come le vite di Ada, Daria e Alfredo, come le loro vicinanze e lontananze: “So che la nostra vita è andata così, che nella lontananza e nella distanza abbiamo scritto la nostra storia e che in questa storia gli spazi bianchi hanno avuto un peso tanto quanto le pagine scritte”.

Fabrizio Giulimondi

sabato 3 giugno 2023

“A CHE DISTANZA È IL CIELO” di BRUNO MANCA

 


Quello che hai costruito può essere distrutto; non importa, tu costruisci….Quello che hai sognato può non realizzarsi; non importa, tu continua a sognare.”.

Una ragazza di nome Amelia di anni 18 è da diciotto anni che attende l’Ossuta perché il suo cuore, sin dai primi giorni di vita, ha mostrato la propria fragilità e quello nuovo di zecca che le stava arrivando si è perso fra le spine degli arbusti.

A che distanza è il cielo” di Bruno Manca (Narrativa TEA) è un inno alla vita ed al suo godimento attimo per attimo.

A che distanza è il cielo” dà voce ad una celebrazione della famiglia, ai padri e alle madri adottivi ed alle mamme ritrovate dopo essersi ritrovate.

A che distanza è il cielo” è il dialogo serrato fra Amelia e il “Comandante”, ossia Dio la cui migliore qualità è l’ascolto.

In un’epoca pagana e materialista questo romanzo ripercorre la ricerca spirituale di una ragazzina adottata che adora il proprio “papi”, mentre ha un rapporto più complesso con sua madre, la quale, dietro il muro di libri che legge di continuo, nasconde il proprio dolore. Non esiste nulla di più personale della sofferenza, nulla di più individuale, diversificandosi in miliardi di rivoli, tutti tragici, tutti imperscrutabili.

Ogni personaggio è marcato, umano, straordinario nella propria ordinarietà, eroe della porta accanto, come don Stefano, gigante in una fede che sente che sta evaporando, o l’entomologo che cura le ali rovinate delle farfalle, perché ogni essere vivente, anche il più piccolo e nascosto, merita di vivere con dignità.

Amelia parla per metafore meteorologiche e tramite il linguaggio tecnico dell’arte di pilotare un aereo. I piloti che hanno fatto la storia della aeronautica mondiale sono i suoi idoli - non le rock star -, idoli come lo statunitense Sully Sullenberger.

Lo stile è morbido, affabile, ironico e il pathos è diluito nelle pagine del racconto per evitare la condensa della drammaticità, pur mantenendo Manca il lettore ben inchiodato ad una costante tensione emotiva.

Potremmo dire che questo romanzo, di indubbio valore narrativo ed etico, ha la sua intelaiatura nella corrispondenza epistolare fra Dio ed una giovane ragazza che si prepara – e prepara i suoi genitori adottivi, sua madre, il suo amico sacerdote e Davide – alla morte.

Difficile non commuoversi nelle battute finali.

Non rimpiango niente. Ho giocato. Ho perduto. Fa parte del mio mestiere. Ma, quantomeno, ho respirato il vento di mare.”.

Fabrizio Giulimondi  

lunedì 8 maggio 2023

"CESARE PAVESE IL MITO" a cura di MARCELLO VENEZIANI




Il momento mitico è per definizione pre-storico, limitare: non appena lo s’intravede o lo si sfiora, quel tanto di esso che è scorto o toccato è già calato nella storia, nella vita umana, e qui vive non più miticamente, bensì come volizione, come fantasia poetica, come pensiero, secondo le leggi della realtà.”.

La produzione saggistica del filosofo Marcello Veneziani non cessa di fuoriuscire dai confini dell’ordinario e di liberarci dalla coltre asfissiante che, come una cappa, limita ogni giorno la nostra visione mentale. L’ultima opera, “Cesare Pavese il mito” (Vallecchi), a cura di Marcello Veneziani, detronizza il grande letterato ed intellettuale piemontese dallo scranno ideologico nel quale l’intellighenzia comunista, e poi progressista, lo ha intabarrato, per liberarlo dalle superfetazioni ideologiche e dalle incrostazioni politico-partitiche.

Esiste una bibliografia di Cesare Pavese che gravita nell’orbita dell’irrazionale, dell’epico e del mito, ben lontana dal racconto ufficiale portato avanti dai cantori della cultura marxista, come Italo Calvino. In “Cesare Pavese il mito” lo storicismo materialista cede il passo a marcate venature spirituali e metafisiche, eroiche e nietzschiane.

Pavese è stato quello raccontato dagli epigoni della Sinistra letteraria e militante, ma anche quello che Veneziani riporta in questo saggio imperlato di erudizione e pensiero sommo: la letteratura italiana abbraccia quella europea e nordamericana, allungando il proprio sguardo sulla tragedia e commedia ellenica, fra teatro dell’antichità e neorealismo cinematografico italico degli anni ’40.

Preparatevi: vi immergerete senza bombole d’ossigeno nel più nobile ed elevato cantico allo spirito, nel quale ogni scienza, arte e disciplina si uniscono in un amplesso dionisiaco e incorporeo.

La ricerca sul Mito - che Veneziani sta compiendo in queste sue ultime fatiche -  permea anche quest’ultimo lavoro, disvelando ai lettori la metà lunare sconosciuta di Pavese, quella mistica, estatica, contemplativa e misterica. Di Pavese Veneziani scopre “Il poeta – creatore di favole – (è) geloso e studioso di questi luccichii aurorali che di ogni bella favola sono l’avvio e l’alimento. Far poesia significa portare a evidenza e compiutezza fantastica un germe mitico.”

Il simbolo astrae la memoria per far vivere il passato nel presente e tramandarlo nel futuro grazie alla potenza del mito, immortale e, pertanto, capace di togliere all’umanità la finitudine che la depaupera: “Sensazioni remote che si sono spogliate, macerandosi a lungo, di ogni materia, e hanno assunto nella memoria la trasparenza dello spirito.”.

Fabrizio Giulimondi

domenica 30 aprile 2023

“IL SOL DELL’AVVENIRE” di e con NANNI MORETTI

 


Il sol dell’avvenire” di e con Nanni Moretti è un lavoro in alcuni suoi spunti felliniano, divertente e mesto, un amarcord triste, ironico e fantasioso dei giorni a cavallo fra l’ottobre ed il novembre del 1956, che videro la rivolta del popolo ungherese contro il proprio governo comunista, rivolta repressa dai carri armati sovietici con l’avvallo del Partito Comunista Italiano di Togliatti.

Moretti interpreta se stesso mentre inizia le riprese di un film proprio su come una sezione romana del P.C.I. al Quarticciolo ha vissuto quei giorni.

Il regista, con il suo cast storico (Margherita Buy, Silvio Orlando), insieme ad altri molti innesti che rendono l’opera corale, come Barbara Bobulova, Teco Celio, Francesco Brandi e ancora ulteriori, nel riprendere alcune tematiche già tratteggiate in “Palombella Rossa”, cita immagini e leit motiv presenti in “Bianca” (l’attenzione per le scarpe), “Mia madre” (il fortissimo legame con la mamma) e “Caro diario” (il disprezzo per l’abuso della violenza e del sangue nei film).

Già in “Ecce Bombo” il direttore – attore inizia il compimento di un cammino di critica della Sinistra, prima comunista, poi in eterna fase di transizione. Ne “Il sol dell’avvenire” lo sguardo è sempre più stanco e disincantato, rivolto ad un passato che avrebbe condotto ad un diverso presente, se – a detta dell’Autore – il Partito Comunista avesse intrapreso una direzione opposta nel 1956.

Troviamo di nuovo l’amore per il ballo e la musica, rigorosamente italiana, specie degli anni ’60, come abbozzato già in “Aprile”.

La pellicola, indubbiamente gradevole, mostra un Nanni Moretti che, come molti suoi colleghi, dopo anni e anni di produzione cineastica di ottima qualità estetica e narrativa, palesa una disillusione per la contemporaneità e uno scetticismo per il futuro, rivolgendo, alla fine, la propria curiosità solo al passato, magari per rimodellarlo.

Fabrizio Giulimondi