L’art. 2, comma 12, legge 25 luglio 2005, n. 150 («Delega al
Governo per la riforma dell’ordinamento giudiziario di cui al R.D. 30
gennaio 1941, n. 12, per il decentramento del Ministero della
Giustizia, per la modifica della disciplina concernente il Consiglio di
Presidenza della Corte dei Conti e il Consiglio di Presidenza della
Giustizia amministrativa, nonché per l’emanazione di un testo
unico») (pubblicato in «Mondo G.» n. 38/2005, a pag. 407 e segg. -
n.d.r.) prevede l’emanazione di uno o più decreti legislativi per il
decentramento su base regionale del Ministero della Giustizia per il
tramite, come indicato dalla lettera a), dell’istituzione di Direzioni
Generali Regionali o Interregionali.
Il decreto legislativo 25 luglio 2006, n. 240 («Individuazione delle
competenze dei magistrati capi e dei dirigenti amministrativi degli
uffici giudiziari nonché decentramento su base regionale di talune
competenze del Ministero della Giustizia, a norma degli articoli 1,
comma 1, lettera a), e 2, comma 1, lettere s) e t) e 12, della legge 25
luglio 2005, n. 150») (pubblicato in «Mondo G.» n. 39/2006, a pagg.
426 e 427 - n.d.r.) ha attuato tale delega: il Capo II (artt. 6-10) prevede
la istituzione di dette Direzioni Generali.
Invero, originariamente i decreti legislativi dovevano essere due:
uno per la disciplina dell’annoso problema della c.d. doppia
dirigenza; l’altro per provvedere al decentramento dell’Amministrazione
giudiziaria.
Il Governo ha optato per un unico provvedimento normativo che
potesse assemblare la disciplina delle due materie: il Capo I (artt. 1-5)
interviene sulle competenze dei dirigenti amministrativi degli uffici
giudiziari, rafforzandone ruolo e poteri, coordinandoli con quelli del
magistrato «capo». L’art. 5, altresì, prevede l’istituzione (disposizione
che probabilmente rimarrà inattuata) di Direttori tecnici (c.d. court
manager), da individuare fra la dirigenza amministrativa, aventi il
compito di organizzare a livello tecnico e di gestire i servizi non
aventi carattere giurisdizionale presso le Corti di Appello di Roma,
Milano, Napoli e Palermo.
È di palmare evidenza la confusione di ruoli fra la figura dei
Direttori tecnici (di natura a dire il vero un po’ ectoplasmatica), i
preesistenti dirigenti di Corte di Appello e le Direzioni Generali
Regionali e Interregionali.
Il Capo II, come già detto, ha dato vita, a far data dallo scorso 27
ottobre in virtù dell’art. 13, comma 1 («a far data dal novantesimo
giorno successivo a quello della pubblicazione nella Gazzetta
Ufficiale» - 29 luglio 2006) alle Direzioni Generali Regionali e Interregionali
(Abruzzo e Molise, Marche e Umbria, Calabria e Basilicata,
Piemonte e Valle d’Aosta).
La nascita di tali strutture dal 27 ottobre 2006 non è in nulla
inficiata dalle previsioni di cui agli articoli 6, comma 2, e 7, comma 4.
La prima disposizione configura un regolamento «facoltativo»: il
Legislatore conferisce al Governo la facoltà, qualora lo ritenga
opportuno per assicurare economicità di gestione e più elevati livelli
di efficienza del servizio, di adottare regolamenti che possano
«creare» nuove Direzioni Generali decentrate, ovvero modificare o
sopprimere quelle già esistenti e istituite con il D.Lgs. 240/2006 o,
infine, modificare le loro sedi.
È uno strumento che il Governo si riserva di utilizzare per intervenire
in un secondo momento qualora ravvisi la necessità di cambiare
in melius le geografia giudiziaria delle Direzioni Generali Regionali
ed Interregionali: a riprova di ciò il Legislatore non ha indicato alcun
termine, né perentorio né ordinatorio, entro il quale provvedere in via
normativa secondaria.
Il secondo articolo prevede un regolamento «obbligatorio», per il
quale è fissato un termine ordinatorio di 180 giorni dall’acquisto di
efficacia del decreto legislativo, necessario per ritagliare, delineare e
configurare al meglio le aree funzionali proprie di queste ultime e
tracciare i rapporti fra esse e l’Amministrazione centrale (Dipartimenti
e Direzioni Generali).
Entrambi non hanno condizionato affatto l’entrata in vigore del
decreto lo scorso 27 ottobre.
Federalismo e deconcentrazione
Le Direzioni Regionali in parola realizzano senza dubbio un interessante
esperimento di una sorta di federalismo interno ad una
Amministrazione centrale dello Stato come il Ministero della
Giustizia. In realtà sotto un aspetto squisitamente tecnico l’espressione
«federalismo» non è idonea ad illustrare adeguatamente il
fenomeno delle neo istituite Direzioni Generali periferiche.
Con «federalismo» si suole significare il trasferimento della titolarità
delle competenze statali — e non, quindi, una mera delegazione
di esse — alle Regioni, trasferimento che si è via via implementato
dai primi anni ’70 ad oggi. Il federalismo, pertanto, attiene a due
realtà ordinamentali territoriali ben determinate: lo Stato e le Regioni
(1).
È sicuramente più corretto adoperare l’espressione «deconcentrazione
», introdotta da autorevole Dottrina (2) nel panorama terminologico
amministrativistico-costituzionale.
La deconcentrazione è una formula organizzatoria che si esplica
attraverso un sistema misto di accentramento - decentramento: da un
lato l’organizzazione statale centrale rimane fortemente strutturata in
alcuni settori, mantenendo rapporti organici con la periferia (nel
tema trattato: Ministero della Giustizia - Uffici giudiziari nelle loro
variegate articolazioni); dall’altro lato sussiste una organizzazione
fondata su enti a base territoriale dotati di una «robusta» autonomia,
in buona parte svincolati dal «centro» (neo istituite Direzioni
Generali Regionali ed Interregionali). In sostanza, ad una struttura
gerarchica centrale, con propri rapporti fortemente gerarchizzati con
le strutture giudiziarie periferiche, si aggiunge una organizzazione di
Uffici locali «territoriali» (le Direzioni Generali in parola), autonomi
a livello gestionale, organizzativo, contabile e decisionale.
V’è una inevitabile interconnessione e interferenza fra i due
sistemi, ossia fra l’Amministrazione giudiziaria centrale e le Direzioni
Regionali, fra queste e gli uffici giudiziari e fra le stesse Direzioni
decentrate.
Preferiamo continuare ad adoperare la parola federalismo, una
volta precisato il significato ad essa sotteso, per marcare bene le peculiarità
di non poco momento introdotte dal decreto legislativo
240/2006 e le innovazioni apportate al tessuto connettivo dell’ordinamento
del Ministero della Giustizia e, di conseguenza, dello Stato.
Poteri e competenze
Partiamo dalla relazione allo schema del decreto legislativo in
parola, approvato in via preliminare dal Consiglio dei Ministri il 18
novembre 2005 e, in via definitiva, lo scorso 14 luglio: «l’articolo 6…
prevede l’istituzione dei nuovi organi periferici del Ministero…
chiamati ad esercitare localmente le attribuzioni trasferite dall’Amministrazione
centrale». Altresì la relazione all’articolo 7 adopera
l’espressione devoluzione di grandi aree funzionali alle Direzioni
Generali Regionali e Interregionali.
Trasferimento, dunque, e devoluzione: ma di cosa? Art. 7, comma
1: personale e sua formazione; sistemi informativi automatizzati;
risorse materiali, beni e servizi; statistiche.
Quattro macro aree che risultano essere trasversali a tre dei quattro
Dipartimenti che compongono l’intelaiatura del Ministero della
Giustizia: in via preponderante le funzioni trasferite interessano il
Dipartimento dell’Organizzazione giudiziaria, del Personale e dei
Servizi (tutte e quattro le grandi aree funzionali di cui all’art. 7,
comma 1, lettere a), b), c), d)). Ma, seppur in misura minore, le competenze
riguardano anche il Dipartimento per gli Affari di Giustizia
(funzioni relative al servizio dei casellari giudiziali locali ex art. 7,
comma 2) e il Dipartimento della Giustizia Minorile (personale, informatica,
risorse materiali, beni, servizi e statistiche relativamente a
tale ambito).
Sono aree funzionali d’importanza strategica che, anche in termini
quantitativi e non solo qualitativi, rappresentano la più gran parte del
campo d’azione dell’Amministrazione giudiziaria, il cuore del sistema
giudiziario.
In primo luogo si può pacificamente affermare che i Direttori
Generali Regionali e Interregionali intervengono, decidono, gestiscono
e incidono su settori che rappresentano presumibilmente la più
gran parte delle attività istituzionalmente svolte dal Ministero della
Giustizia. A supporto di ciò basta verificare che tali Direttori esercitano
i compiti di quattro Direzioni Generali centrali: Direzione
Generale dei beni e servizi, delle statistiche, della informatica giudiziaria
e del personale.
Le quattro aree funzionali interessano tre Dipartimenti su quattro:
quello dell’Organizzazione giudiziaria, del Personale e dei Servizi,
quello Minorile e quello degli Affari di Giustizia, rimanendo fuori il
Dipartimento della Amministrazione Penitenziaria. Non solo. Le
funzioni svolte da detti Direttori hanno una particolarità: sostituiscono
totalmente, in tre casi su quattro, quelle svolte dalle Direzioni
Centrali. Tranne ipotesi residuali, le Direzioni Regionali esercitano i
propri compiti in luogo delle Direzioni Generali centrali delle statistiche,
dei beni e dei servizi e, inoltre, dei sistemi informativi automatizzati.
Per quanto attiene al personale viene sensibilmente ridimensionato
l’ambito di azione della Direzione generale del personale e della formazione,
alla quale rimangono — e non poteva essere altrimenti — i
compiti che oltrepassano i confini regionali e che solo Roma può
gestire: la determinazione del contingente di personale amministrativo
da destinare alle singole Regioni, nel quadro delle dotazioni
organiche esistenti; i bandi di concorso da espletarsi a livello
nazionale; i provvedimenti di nomina e di prima assegnazione (salvo
per i concorsi regionali); il trasferimento del personale amministrativo
tra le diverse Regioni e i trasferimenti da e per altre Amministrazioni;
i passaggi di profili professionali, le risoluzioni del rapporto di
impiego e le riammissioni o ricostituzioni del rapporto di lavoro; i
provvedimenti in materia retributiva e pensionistica; i provvedimenti
disciplinari superiori al rimprovero verbale e alla censura (art. 7,
comma 3, lettere d), e), f), g), h), i), l)).
Nelle altre tre ipotesi (competenze proprie della Direzione Generale
dei beni e servizi, delle statistiche, dei sistemi informativi automatizzati)
ben può essere affermato che queste sono assorbite quasi completamente
dalle Direzioni Generali regionali e interregionali. In via
residuale la stessa disposizione, alle lettere a), b) e c), lascia alle
Direzioni Generali centrali (a ciò che ne rimarrà) i compiti di programmazione,
indirizzo, coordinamento e controllo degli uffici periferici;
il servizio del casellario giudiziale centrale; l’emanazione di
circolari generali e la risoluzione di quesiti in materia di servizi giudiziari.
Chi scrive ha adoperato l’espressione «ciò che ne rimane» in
relazione alle Direzioni Generali centrali, in ragione del fatto che,
come di qui a poco sarà argomentato, essendoci un vero e proprio
trasferimento di poteri, compiti e funzioni dalla Amministrazione
centrale alle Direzioni Regionali, v’è un consequenziale e inevitabile
svuotamento di poteri, compiti e funzioni di alcune Direzioni
Generali interessate (beni e servizi, sistemi informativi automatizzati
e statistiche) e un sensibile ridimensionamento di quella del
personale.
Un nucleo gestionale ovviamente rimane in capo alle Direzioni
Generali centrali in forza della necessità di garantire la unitarietà e la
omogeneità di azione amministrativa sull’intero ambito nazionale: la
Nazione è unica e indivisibile (art. 5 Cost.) e tale unicità e indivisibilità
è un baluardo per lo Stato da dover conservare in speciale modo
in un settore sensibile come quello della Giustizia.
Riorganizzazione della Amministrazione Giudiziaria
È opportuno — rectius necessario — intervenire sulla organizzazione
del Ministero della Giustizia, ridisegnando la struttura interna
costruita con il D.P.R. 6 marzo 2001, n. 55 (Regolamento di organizzazione
del Ministero della Giustizia), istituendo presso i Capi Dipartimento,
specialmente presso quello dell’Organizzazione giudiziaria,
del Personale e dei Servizi, un ufficio o più uffici che rendano
omogenei i compiti delle Direzioni Regionali sul territorio nazionale e
compiano un controllo ex post «centrale» dell’azione delle stesse, di
tal che vi sia uno stesso leit motif gestionale per tutte le Direzioni
Generali decentrate, una direttrice comune, un filo conduttore lungo
il quale esse si debbano muovere.
Una tale operazione è consentita dallo stesso decreto che all’art. 7,
comma 4, prevede l’adozione di un regolamento su proposta del
Ministro della Giustizia, di concerto con il Ministro per le Riforme e
le Innovazioni nella Pubblica Amministrazione e con il Ministro
dell’Economia e delle Finanze, che revisioni l’organizzazione del
Ministero della Giustizia. In seno a detto provvedimento normativo si
potrebbero individuare quali Direzioni Generali centrali siano da ridimensionare
o addirittura sopprimere e quale sia il nucleo operativo
non trasferibile alle Direzioni decentrate, da conferire agli Uffici
centrali in ragione del valore centrale e nazionale di alcuni procedimenti
amministrativi.
In particolare modo, de iure condendo, presso questi eventuali uffici
dei Capi Dipartimento deve essere svolta attività di studio e ricerca in
materia di organizzazione e di innovazione, fornita consulenza alle
Direzioni Regionali e realizzata opera di programmazione, indirizzo e
coordinamento nelle materie di spettanza delle Direzioni Generali,
proprio per formare una linea unitaria e omogenea sull’intero territorio
nazionale, anche emanando circolari e dando soluzione ai quesiti.
Anche il «nucleo essenziale-nazionale» delle attività delle Direzioni
Regionali deve rimanere in capo ai Capi Dipartimento.
In particolare modo per quanto attiene al Dipartimento della Organizzazione
giudiziaria, del Personale e dei Servizi, alla Giustizia
Minorile e agli Affari di Giustizia, è mantenuta, ognuna per la propria
competenza:
- La programmazione, il coordinamento e l’organizzazione per conferenze
ed incontri di studio a carattere statistico; i rapporti con il sito
www.giustizia.it; l’analisi ed elaborazione dei dati statistici a livello
nazionale; la progettazione di nuove rilevazioni statistiche di interesse
nazionale; i rapporti e l’attuazione del protocollo di intesa con
l’ISTAT; i rapporti con il sistema statistico nazionale (S.I.S.T.A.N.); il
piano statistico nazionale; le competenze ai sensi del decreto legislativo
6 settembre 1989, n. 322; i rapporti con gli organismi e le istituzioni
centrali in materia di acquisizione informatizzata e telematica dei
dati statistici; i rapporti con la Commissione criminalità costituita
presso l’ISTAT.
- Le procedure contrattuali relative alla fornitura di beni, servizi e
attrezzature per gli uffici delle Amministrazioni centrali (Ministero;
Corte di Cassazione; Procura Generale presso la Corte di Cassazione;
Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche; Procura Nazionale
Antimafia); l’analisi comparativa dei costi relativi alle diverse tipologie
di beni: la costituzione di un osservatorio dei prezzi; le attività
connesse con il controllo gestionale dipartimentale; l’espletamento dei
compiti e delle funzioni di cui al Decreto del Presidente della Repubblica
30 novembre 1979, n. 718; la gestione delle risorse materiali, dei
beni e dei servizi dell’Amministrazione centrale; la nomina della Commissione
di manutenzione del Palazzo di Giustizia di Roma.
- La programmazione, progettazione, sviluppo e gestione dei
sistemi informativi di rilevanza nazionale ed europea.
- L’interconnessione con i sistemi informativi automatizzati delle
altre Amministrazioni.
- Le relazioni con l’ufficio stampa e gli uffici relazioni con il
pubblico.
- La gestione delle banche dati.
- L’interazione con l’Autorità per l’Informatica nella Pubblica
Amministrazione.
- L’interazione con la Corte dei Conti per quanto riguarda il
controllo preventivo e successivo della spesa informatica, ai sensi
dell’art. 14 D.Lgs. 12 febbraio 1993, n. 39.
- Le forniture di beni e servizi informatici a livello nazionale.
- Il piano di formazione informatica di cui al D.P.R. 28 ottobre
1994, n. 748.
Natura delle Direzioni Generali Regionali e Interregionali
La creazione delle Direzioni Generali decentrate non è operazione
di poco momento sotto il profilo ordinamentale ed organizzatorio.
Probabilmente con le Direzioni Generali Regionali e Interregionali si
determina una sorta di primo caso di federalismo interno ad una
Amministrazione centrale dello Stato, un vero e proprio caso di devoluzione
effettiva di poteri, di funzioni e, soprattutto, di competenze
dallo Stato a strutture locali le quali, pur conservando legami funzionali
con il «centro» e pur essendo incardinate nella compagine amministrativa
del Ministero, sono responsabili esclusive delle materie loro
conferite, senza rapporto di soggezione gerarchica nei confronti degli
organi centrali, ai quali spettano solamente compiti di coordinamento
e direzione.
A tale riguardo è sufficiente citare gli articoli 8, comma 4, e 10,
comma 1.
Il primo recita nel seguente modo: «Il Direttore Generale presenta
annualmente ai Capi dei Dipartimenti… una relazione riguardante,
per la circoscrizione di competenza:
a) lo stato dei servizi;
b) le risorse materiali;
c) l’informatizzazione;
d) il personale e la formazione;
e) i risultati conseguiti anche sotto il profilo economico-finanziario
in rapporto all’anno precedente;
f) il programma delle attività e degli obiettivi per l’anno successivo
comprendente la proiezione delle esigenze riferite alle risorse
umane, materiali e finanziarie».
Il successivo prevede: «Alla allocazione delle risorse umane,
materiali ed economico-finanziarie destinate alle Direzioni Generali
Regionali ed Interregionali provvedono, per quanto di rispettiva competenza,
il Capo del Dipartimento dell’Organizzazione giudiziaria, del
Personale e dei Servizi, il Capo del Dipartimento per la Giustizia
Minorile ed il Capo del Dipartimento per gli Affari di Giustizia… ».
La nuova realtà nata con tali strutture si discosta con evidenza
dalla «tradizione» dello Stato, che localizza in periferia una serie di
poteri, mantenendone però saldamente in mano il controllo e, quindi,
la possibilità di avocarli a sé, continuando ad esercitare la supremazia
gerarchica nei confronti della «periferia». Le Direzioni Generali
Regionali e Interregionali nell’ambito della Amministrazione giudiziaria
sono altra cosa e la loro natura è diversa.
Facciamo un passo indietro e prendiamo in mano la Carta Costituzionale.
L’art. 5 dichiara che la Repubblica «attua nei servizi che dipendono
dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo».
Questo precetto aveva avuto fino al 1972 una realizzazione estremamente
limitata, non essendo l’organizzazione amministrativa dello
Stato riuscita a discostarsi dal suo tradizionale carattere accentrato,
consolidatosi al tempo della dominazione napoleonica. Solo col trasferimento
alle Regioni delle attribuzioni amministrative previste
dalla vecchia versione degli artt. 117 e 119 della Costituzione si è
determinato un vero e proprio decentramento di molte attribuzioni
statali.
Così è stato fatto un primo passo verso il decentramento «reale» di
poteri, funzioni e compiti dello Stato, che per lungo tempo ha
preferito porre in essere un decentramento organico delle proprie
funzioni, mantenendo saldamente in mano le sue competenze.
All’interno di questa concezione «tenue» del decentramento gli organi
locali dello Stato (ad es. i Prefetti (3), i Provveditorati agli Studi, le
Sovrintendenze per i Beni Culturali, le Direzioni Provinciali del
Lavoro, le Direzioni Regionali delle Entrate, i Provveditorati
Regionali della Amministrazione Penitenziaria, di cui più innanzi si
tratterà) sono uniti a quelli centrali da una relazione che li pone,
rispetto a questi, in posizione di subordinazione gerarchica, consentendo
agli Uffici centrali non soltanto la possibilità di dare loro orientamenti,
impulsi e direttive (cosa che avviene anche nel caso di vero
decentramento, in forza del quale il soggetto assegnatario ha una
marcata autonomia decisionale), ma anche di impartire ordini e
avocare a sé le funzioni originariamente delegate.
Nei Paesi dell’Occidente europeo alcuni ordinamenti ad amministrazione
accentrata hanno organizzato i propri uffici statali periferici
secondo il sistema prefettizio, proprio della tradizione francese,
basato sul principio di subordinazione di tutti gli organi periferici
delle differenti Amministrazioni dello Stato al Prefetto: collocato in
posizione di preminenza, questo è dotato di poteri di direzione ed è
responsabile dei singoli settori dell’Amministrazione periferica.
Il nostro ordinamento, invece, ha fatto proprio il sistema per il
quale le funzioni esercitabili localmente sono attribuite a distinti
organi periferici, dipendenti direttamente dalle Amministrazioni
centrali preposte al rispettivo settore (nella persona, presumibilmente,
dei Direttori Generali).
Oltre il decentramento organico l’ordinamento, specie negli ultimi
anni, ha conosciuto il decentramento istituzionale, grazie al quale si
assiste ad una vera e propria assegnazione di poteri, competenze e
funzioni dello Stato ad altri enti pubblici territoriali (Regioni,
Province, Comuni et alia) che ad esso si sono affiancati nella gestione
della res publica.
La produzione normativa sta procedendo celermente verso un
federalismo amministrativo e, pertanto, alla formazione di robusti
spazi di autonomia decisoria, gestionale e contabile di alcuni enti,
riducendo sensibilmente i legami gerarchici di questi con il «centro».
Di trasferimento di competenze, come prima accennato, si inizia a
parlare con la delega conferita al Governo per il tramite dell’art. 17 L.
16 maggio 1970, n. 281, la cui attuazione ha portato all’approvazione
dei D.P.R. 14-15 gennaio 1972, nn. 1-11, da cui si comincia a intravedere
la rottura del rapporto gerarchico con lo Stato centrale. In un
secondo momento, con ancora più determinazione e incisività, a
seguito della legge delega 22 luglio 1975, n. 382, i D.P.R. 24 luglio
1977, nn. 616, 617 e 618 hanno consentito il trasferimento di materie
statuali per blocchi omogenei alle Regioni a statuto ordinario.
Queste normative hanno ben chiarito la differenza che v’è fra il
«trasferimento» — pieno — di competenze dallo Stato alle Regioni e
la «delega» di funzioni, che consente il mantenimento alle Amministrazioni
centrali della piena titolarità delle competenze.
Procedendo lungo il percorso federalista, incontriamo la legge
sull’ordinamento delle autonomie locali 8 giugno 1990, n. 142,
arriviamo poi all’importante decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112
(Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dallo Stato alle
Regioni ed agli enti locali, in attuazione del Capo I della legge 15
marzo 1997, n. 59 (4)), per passare attraverso il Testo Unico delle
leggi sull’ordinamento degli enti locali (D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267)
e, infine, giungere alla riforma del Titolo V della Costituzione ad
opera della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.
L’interprete, tenendo in considerazione le regole della tecnica legislativa,
conclude agevolmente che lo Stato, nella veste della Amministrazione
giudiziaria centrale, ha trasferito a queste nuove realtà ordinamentali
— le Direzioni Generali Regionali e Interregionali —
poteri, compiti e funzioni in materie sino al 27 ottobre 2006 rientranti
intieramente nella sfera gestionale delle Direzioni Generali dei Beni
e Servizi, delle Statistiche e dell’Informatica e, in parte, della
Direzione Generale del Personale e della Formazione.
Tali poteri, compiti e funzioni sono in capo ai Direttori Regionali,
responsabili nella propria circoscrizione territoriale delle materie loro
conferite (beni e servizi, informatica, personale e statistiche), non
subordinati gerarchicamente ai Capi Dipartimento interessati dal
decentramento, i quali, ognuno nel proprio ambito, hanno solo un
ruolo di indirizzo volto ad uniformare le strategie operative delle
Direzioni Regionali sul territorio nazionale e ad allocare le risorse
umane, materiali ed economico-finanziarie in base alle dimensioni
del territorio, al numero e al «peso» degli uffici giudiziari e alla
relazione annuale loro presentata dai Direttori Generali decentrati ex
art. 8, comma 4.
Le espressioni tecnico-legislative usate dal Legislatore nella
relazione e nel testo del decreto confortano tale tesi.
Come già riportato precedentemente, la relazione allo schema,
nella parte di commento agli artt. 6 e 7, utilizza le espressioni: «attribuzioni
trasferite dall’Amministrazione centrale» e «devoluzione».
«Trasferimento» è l’espressione adoperata da tutte le normative
sino ad ora citate per rappresentare la traditio di competenze da un
soggetto istituzionale ad un altro. Il destinatario ne diventa completamente
titolare e responsabile, non potendo il primo incidere in alcun
modo sulle attività gestionali che saranno esercitate dal secondo, né
tanto meno avocarne poteri e funzioni.
La «devoluzione» è termine più recente e di sapore «politico», di
significato pari all’espressione «trasferimento».
L’art. 6, comma 1, qualifica le Direzioni in argomento come
«organi periferici del Ministero».
Le Direzioni Generali decentrate indicate come organi periferici
del Ministero e non di specifici Dipartimenti — come di qui a poco
vedremo essere per i Provveditorati Regionali, qualificati organi
decentrati del Dipartimento della Amministrazione Penitenziaria —
sono strutture a base territoriale, incardinate in seno alla Amministrazione
della Giustizia, ma — questa è la peculiarità e l’autentico
ius novum — realtà ordinamentali con piena autonomia decisoria
nelle materie loro conferite, rispettose delle linee guida fornite dallo
Stato centrale, id est dal Ministero della Giustizia.
Tali Direzioni Regionali, pertanto, rappresentano un’ipotesi di
federalismo interno ad una Amministrazione Centrale dello Stato, ad
un Ministero: strutture locali territoriali su base regionale, appartenenti
all’Amministrazione giudiziaria, funzionalmente legate ad
alcuni Dipartimenti del Ministero della Giustizia, ma da essi indipendenti
per l’opera gestionale e di spesa nelle materie indicate dall’art. 7,
comma 1, lettere a), b), c), d).
In aggiunta, la dettagliata indicazione effettuata dall’art. 7, comma
3, delle materie rimanenti in capo alla Amministrazione centrale
esprime lo stesso percorso seguito dal Legislatore nel procedere alla
modifica dell’art. 117 della Costituzione (legge costituzionale 18
ottobre 2001, n. 3): il comma secondo indica nominatim le materie di
legislazione esclusiva dello Stato. Parimenti, l’art. 18 del D.Lgs.
112/1998 indica specificamente i compiti amministrativi conservati
allo Stato, trasferendo i restanti alle Regioni.
Una simile formulazione legislativa in due sedes materiae così qualificate
— specie l’art. 117 della Costituzione —, traccianti un
percorso marcatamente federalista in campo legislativo e amministrativo,
induce a ritenere che il Governo, adoperando le stesse
cennate regulae iuris nel testo del decreto in esame, abbia avuto in
animo di provvedere ad un vero e proprio trasferimento di materie di
sapore federalista.
Altresì la stessa rubrica del Capo II del decreto («decentramento del
Ministero della Giustizia») rafforza ulteriormente l’interpretazione in
chiave federalista della istituzione delle Direzioni Generali Regionali e
Interregionali.
Inoltre, la possibilità fornita dall’art. 7, comma 4, di adottare un
regolamento che revisioni l’organizzazione del Ministero della
Giustizia, comporta la possibilità, oltre che di ridisegnare la geografia
giudiziaria della Amministrazione in parola, anche di ponderare
l’opportunità — come d’altronde si è dettagliatamente esposto in precedenza
— di riconsiderare i compiti delle Direzioni Generali centrali,
potendo meditare anche sulla loro abrogazione.
Tale possibilità non si è ventilata quando si sono create, ad
esempio, le istituzioni periferiche del Ministero dell’Economia e delle
Finanze (Direzioni Regionali delle Entrate), in quanto esse sono state
concepite all’interno del decentramento organico, ove le Direzioni
centrali delle Entrate mantengono saldamente il munus e l’imperium.
Il fatto stesso che Direzioni Generali centrali del Ministero della
Giustizia possano essere «dimesse» significa che le nuove Direzioni
Generali decentrate si surrogano in pieno (beni e servizi, statistiche,
informatica giudiziaria) oppure in parte (personale e formazione) ad
esse, alle loro competenze, ai loro compiti ed ai loro poteri, palesandosi
come i vertici della Amministrazione giudiziaria nelle proprie
circoscrizioni territoriali; esse Direzioni decentrate debbono
solamente adeguarsi alle direttive e alle guidelines dettate dai Capi
Dipartimento, nelle rispettive competenze, tenendo ben presente, a
mo’ di stella polare, l’unicità e indivisibilità della Repubblica.
Provveditorati Regionali del Dipartimento della
Amministrazione Penitenziaria
Il parametro di riferimento più vicino alle Direzioni di cui si tratta
all’interno della compagine giudiziaria sono i Provveditorati Regionali
della Amministrazione Penitenziaria.
Il Dipartimento della Amministrazione Penitenziaria è l’unico
escluso dalla normativa in argomento.
Questo Dipartimento ha conosciuto, invece, il classico decentramento
organico con la istituzione dei cennati Provveditorati
Regionali. Essi sembrano le figure organizzatorie più vicine alle
Direzioni Regionali, ma, in realtà, sono molto distanti da queste per
tipologia delle fonti istitutive e natura delle strutture.
La fonte utilizzata per la istituzione dei Provveditorati Regionali
della Amministrazione Penitenziaria è il decreto ministeriale, segnatamente
del 22 gennaio 2002 (Individuazione e disciplina delle articolazioni
interne di livello dirigenziale nell’ambito degli uffici dirigenziali
generali istituiti presso il Dipartimento dell’Amministrazione
Penitenziaria con il D.P.R. 6 marzo 2001, n. 55, nonché presso i Provveditorati
Regionali dell’Amministrazione Penitenziaria).
Questo provvedimento è stato adottato dal Ministero della
Giustizia in attuazione del regolamento di organizzazione del
Ministero della Giustizia 6 marzo 2001, n. 55.
Mentre quest’ultimo è un regolamento governativo adottato ai
sensi del combinato disposto dei commi 2 e 4 bis dell’art. 17 L. 23
agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento
della Presidenza del Consiglio dei Ministri), il decreto ministeriale
istitutivo dei Provveditorati Regionali ha natura non regolamentare,
in quanto approvato a mente dell’art. 17, comma 4 bis, lett. e), L.
400/1988, così come introdotto dall’art. 13, L. 15 marzo 1997, n. 59.
Il decreto ministeriale istitutivo dei Provveditorati, quindi, è
persino gerarchicamente inferiore al regolamento ministeriale, che è
considerato unanimemente dalla Dottrina fonte terziaria, in quanto
subordinata al regolamento governativo classificato come fonte
secondaria. A tale proposito il decreto ministeriale di natura non
regolamentare non può essere considerato una fonte normativa, in
quanto privo degli elementi propri della normazione (generalità e
astrattezza), ed in possesso di quelli peculiari del provvedimento
amministrativo (determinatezza e concretezza).
Il decreto legislativo che ha partorito le Direzioni Generali
Regionali e Interregionali, invece, è fonte primaria e, unitamente al
decreto legge, è per natura ed efficacia equiparato alla legge
ordinaria.
Già questo la dice lunga sulla stessa natura «autonoma» di queste
ultime. Ma a fortiori la stessa formulazione del dettato dell’art. 9,
comma 1, del decreto ministeriale in questione è ulteriormente chiarificatoria
della natura dei Provveditorati Regionali, definiti «organi
decentrati del Dipartimento della Amministrazione Penitenziaria», a
differenza dell’art. 6, comma 1, del D.Lgs. 240/2006, che qualifica le
Direzioni Generali Regionali e Interregionali «organi periferici di
livello dirigenziale generale del Ministero della Giustizia».
Il discrimen linguistico mostra una notevole diversità della natura
dei due enti: i Provveditorati sono organi che localizzano le funzioni
centrali, ossia sono specifici organi locali funzionalmente e gerarchicamente
legati al Dipartimento della Amministrazione Penitenziaria
e, in particolar modo, alle Direzioni Generali romane a seconda del
settore interessato (personale, beni e servizi, etc.). Le Direzioni
Generali centrali continuano ad essere competenti nelle materie
delegate ai Provveditorati Regionali, mentre questi ultimi sono legittimati
ad esercitare in loco le funzioni ad esse materie correlate: le
Direzioni Generali centrali, pertanto, rimangono in vita, disciplinate
dallo stesso decreto ministeriale 22 gennaio 2002.
Le Direzioni Generali Regionali e Interregionali non sono articolazioni
interne di un singolo Dipartimento, bensì costituiscono organi
periferici del Ministero della Giustizia, cui sono trasferite le competenze
su materie finora appartenenti a Direzioni che, per effetto del regolamento
governativo previsto dall’art. 7, comma 4, potrebbero e
dovrebbero — almeno in parte — essere soppresse: il relativo
personale e i necessari supporti materiali potrebbero opportunamente
essere trasferiti in prevalenza alla Direzione Generale Regionale del
Lazio.
Il Ministero della Giustizia ha dato coraggiosamente vita al
primo caso di federalismo interno ad una Amministrazione
centrale dello Stato, attraverso un trasferimento di pieni poteri
su vaste e strategiche aree funzionali, qualitativamente e quantitativamente
importanti per l’opera della attività amministrativa
della Giustizia; ha operato un grande sforzo di avvicinamento
del servizio giudiziario al territorio e, quindi, agli uffici giudiziari
in esso ubicati, con un inevitabile e indubbio vantaggio per
i cittadini: essi, per fruire delle micro e delle macro attività, non
dovranno più rivolgersi a Roma ma direttamente agli uffici delle
Direzioni Generali decentrate: Roma avrà in mano, in parte qua,
le grandi strategie nazionali.
Fabrizio Giulimondi
Governo per la riforma dell’ordinamento giudiziario di cui al R.D. 30
gennaio 1941, n. 12, per il decentramento del Ministero della
Giustizia, per la modifica della disciplina concernente il Consiglio di
Presidenza della Corte dei Conti e il Consiglio di Presidenza della
Giustizia amministrativa, nonché per l’emanazione di un testo
unico») (pubblicato in «Mondo G.» n. 38/2005, a pag. 407 e segg. -
n.d.r.) prevede l’emanazione di uno o più decreti legislativi per il
decentramento su base regionale del Ministero della Giustizia per il
tramite, come indicato dalla lettera a), dell’istituzione di Direzioni
Generali Regionali o Interregionali.
Il decreto legislativo 25 luglio 2006, n. 240 («Individuazione delle
competenze dei magistrati capi e dei dirigenti amministrativi degli
uffici giudiziari nonché decentramento su base regionale di talune
competenze del Ministero della Giustizia, a norma degli articoli 1,
comma 1, lettera a), e 2, comma 1, lettere s) e t) e 12, della legge 25
luglio 2005, n. 150») (pubblicato in «Mondo G.» n. 39/2006, a pagg.
426 e 427 - n.d.r.) ha attuato tale delega: il Capo II (artt. 6-10) prevede
la istituzione di dette Direzioni Generali.
Invero, originariamente i decreti legislativi dovevano essere due:
uno per la disciplina dell’annoso problema della c.d. doppia
dirigenza; l’altro per provvedere al decentramento dell’Amministrazione
giudiziaria.
Il Governo ha optato per un unico provvedimento normativo che
potesse assemblare la disciplina delle due materie: il Capo I (artt. 1-5)
interviene sulle competenze dei dirigenti amministrativi degli uffici
giudiziari, rafforzandone ruolo e poteri, coordinandoli con quelli del
magistrato «capo». L’art. 5, altresì, prevede l’istituzione (disposizione
che probabilmente rimarrà inattuata) di Direttori tecnici (c.d. court
manager), da individuare fra la dirigenza amministrativa, aventi il
compito di organizzare a livello tecnico e di gestire i servizi non
aventi carattere giurisdizionale presso le Corti di Appello di Roma,
Milano, Napoli e Palermo.
È di palmare evidenza la confusione di ruoli fra la figura dei
Direttori tecnici (di natura a dire il vero un po’ ectoplasmatica), i
preesistenti dirigenti di Corte di Appello e le Direzioni Generali
Regionali e Interregionali.
Il Capo II, come già detto, ha dato vita, a far data dallo scorso 27
ottobre in virtù dell’art. 13, comma 1 («a far data dal novantesimo
giorno successivo a quello della pubblicazione nella Gazzetta
Ufficiale» - 29 luglio 2006) alle Direzioni Generali Regionali e Interregionali
(Abruzzo e Molise, Marche e Umbria, Calabria e Basilicata,
Piemonte e Valle d’Aosta).
La nascita di tali strutture dal 27 ottobre 2006 non è in nulla
inficiata dalle previsioni di cui agli articoli 6, comma 2, e 7, comma 4.
La prima disposizione configura un regolamento «facoltativo»: il
Legislatore conferisce al Governo la facoltà, qualora lo ritenga
opportuno per assicurare economicità di gestione e più elevati livelli
di efficienza del servizio, di adottare regolamenti che possano
«creare» nuove Direzioni Generali decentrate, ovvero modificare o
sopprimere quelle già esistenti e istituite con il D.Lgs. 240/2006 o,
infine, modificare le loro sedi.
È uno strumento che il Governo si riserva di utilizzare per intervenire
in un secondo momento qualora ravvisi la necessità di cambiare
in melius le geografia giudiziaria delle Direzioni Generali Regionali
ed Interregionali: a riprova di ciò il Legislatore non ha indicato alcun
termine, né perentorio né ordinatorio, entro il quale provvedere in via
normativa secondaria.
Il secondo articolo prevede un regolamento «obbligatorio», per il
quale è fissato un termine ordinatorio di 180 giorni dall’acquisto di
efficacia del decreto legislativo, necessario per ritagliare, delineare e
configurare al meglio le aree funzionali proprie di queste ultime e
tracciare i rapporti fra esse e l’Amministrazione centrale (Dipartimenti
e Direzioni Generali).
Entrambi non hanno condizionato affatto l’entrata in vigore del
decreto lo scorso 27 ottobre.
Federalismo e deconcentrazione
Le Direzioni Regionali in parola realizzano senza dubbio un interessante
esperimento di una sorta di federalismo interno ad una
Amministrazione centrale dello Stato come il Ministero della
Giustizia. In realtà sotto un aspetto squisitamente tecnico l’espressione
«federalismo» non è idonea ad illustrare adeguatamente il
fenomeno delle neo istituite Direzioni Generali periferiche.
Con «federalismo» si suole significare il trasferimento della titolarità
delle competenze statali — e non, quindi, una mera delegazione
di esse — alle Regioni, trasferimento che si è via via implementato
dai primi anni ’70 ad oggi. Il federalismo, pertanto, attiene a due
realtà ordinamentali territoriali ben determinate: lo Stato e le Regioni
(1).
È sicuramente più corretto adoperare l’espressione «deconcentrazione
», introdotta da autorevole Dottrina (2) nel panorama terminologico
amministrativistico-costituzionale.
La deconcentrazione è una formula organizzatoria che si esplica
attraverso un sistema misto di accentramento - decentramento: da un
lato l’organizzazione statale centrale rimane fortemente strutturata in
alcuni settori, mantenendo rapporti organici con la periferia (nel
tema trattato: Ministero della Giustizia - Uffici giudiziari nelle loro
variegate articolazioni); dall’altro lato sussiste una organizzazione
fondata su enti a base territoriale dotati di una «robusta» autonomia,
in buona parte svincolati dal «centro» (neo istituite Direzioni
Generali Regionali ed Interregionali). In sostanza, ad una struttura
gerarchica centrale, con propri rapporti fortemente gerarchizzati con
le strutture giudiziarie periferiche, si aggiunge una organizzazione di
Uffici locali «territoriali» (le Direzioni Generali in parola), autonomi
a livello gestionale, organizzativo, contabile e decisionale.
V’è una inevitabile interconnessione e interferenza fra i due
sistemi, ossia fra l’Amministrazione giudiziaria centrale e le Direzioni
Regionali, fra queste e gli uffici giudiziari e fra le stesse Direzioni
decentrate.
Preferiamo continuare ad adoperare la parola federalismo, una
volta precisato il significato ad essa sotteso, per marcare bene le peculiarità
di non poco momento introdotte dal decreto legislativo
240/2006 e le innovazioni apportate al tessuto connettivo dell’ordinamento
del Ministero della Giustizia e, di conseguenza, dello Stato.
Poteri e competenze
Partiamo dalla relazione allo schema del decreto legislativo in
parola, approvato in via preliminare dal Consiglio dei Ministri il 18
novembre 2005 e, in via definitiva, lo scorso 14 luglio: «l’articolo 6…
prevede l’istituzione dei nuovi organi periferici del Ministero…
chiamati ad esercitare localmente le attribuzioni trasferite dall’Amministrazione
centrale». Altresì la relazione all’articolo 7 adopera
l’espressione devoluzione di grandi aree funzionali alle Direzioni
Generali Regionali e Interregionali.
Trasferimento, dunque, e devoluzione: ma di cosa? Art. 7, comma
1: personale e sua formazione; sistemi informativi automatizzati;
risorse materiali, beni e servizi; statistiche.
Quattro macro aree che risultano essere trasversali a tre dei quattro
Dipartimenti che compongono l’intelaiatura del Ministero della
Giustizia: in via preponderante le funzioni trasferite interessano il
Dipartimento dell’Organizzazione giudiziaria, del Personale e dei
Servizi (tutte e quattro le grandi aree funzionali di cui all’art. 7,
comma 1, lettere a), b), c), d)). Ma, seppur in misura minore, le competenze
riguardano anche il Dipartimento per gli Affari di Giustizia
(funzioni relative al servizio dei casellari giudiziali locali ex art. 7,
comma 2) e il Dipartimento della Giustizia Minorile (personale, informatica,
risorse materiali, beni, servizi e statistiche relativamente a
tale ambito).
Sono aree funzionali d’importanza strategica che, anche in termini
quantitativi e non solo qualitativi, rappresentano la più gran parte del
campo d’azione dell’Amministrazione giudiziaria, il cuore del sistema
giudiziario.
In primo luogo si può pacificamente affermare che i Direttori
Generali Regionali e Interregionali intervengono, decidono, gestiscono
e incidono su settori che rappresentano presumibilmente la più
gran parte delle attività istituzionalmente svolte dal Ministero della
Giustizia. A supporto di ciò basta verificare che tali Direttori esercitano
i compiti di quattro Direzioni Generali centrali: Direzione
Generale dei beni e servizi, delle statistiche, della informatica giudiziaria
e del personale.
Le quattro aree funzionali interessano tre Dipartimenti su quattro:
quello dell’Organizzazione giudiziaria, del Personale e dei Servizi,
quello Minorile e quello degli Affari di Giustizia, rimanendo fuori il
Dipartimento della Amministrazione Penitenziaria. Non solo. Le
funzioni svolte da detti Direttori hanno una particolarità: sostituiscono
totalmente, in tre casi su quattro, quelle svolte dalle Direzioni
Centrali. Tranne ipotesi residuali, le Direzioni Regionali esercitano i
propri compiti in luogo delle Direzioni Generali centrali delle statistiche,
dei beni e dei servizi e, inoltre, dei sistemi informativi automatizzati.
Per quanto attiene al personale viene sensibilmente ridimensionato
l’ambito di azione della Direzione generale del personale e della formazione,
alla quale rimangono — e non poteva essere altrimenti — i
compiti che oltrepassano i confini regionali e che solo Roma può
gestire: la determinazione del contingente di personale amministrativo
da destinare alle singole Regioni, nel quadro delle dotazioni
organiche esistenti; i bandi di concorso da espletarsi a livello
nazionale; i provvedimenti di nomina e di prima assegnazione (salvo
per i concorsi regionali); il trasferimento del personale amministrativo
tra le diverse Regioni e i trasferimenti da e per altre Amministrazioni;
i passaggi di profili professionali, le risoluzioni del rapporto di
impiego e le riammissioni o ricostituzioni del rapporto di lavoro; i
provvedimenti in materia retributiva e pensionistica; i provvedimenti
disciplinari superiori al rimprovero verbale e alla censura (art. 7,
comma 3, lettere d), e), f), g), h), i), l)).
Nelle altre tre ipotesi (competenze proprie della Direzione Generale
dei beni e servizi, delle statistiche, dei sistemi informativi automatizzati)
ben può essere affermato che queste sono assorbite quasi completamente
dalle Direzioni Generali regionali e interregionali. In via
residuale la stessa disposizione, alle lettere a), b) e c), lascia alle
Direzioni Generali centrali (a ciò che ne rimarrà) i compiti di programmazione,
indirizzo, coordinamento e controllo degli uffici periferici;
il servizio del casellario giudiziale centrale; l’emanazione di
circolari generali e la risoluzione di quesiti in materia di servizi giudiziari.
Chi scrive ha adoperato l’espressione «ciò che ne rimane» in
relazione alle Direzioni Generali centrali, in ragione del fatto che,
come di qui a poco sarà argomentato, essendoci un vero e proprio
trasferimento di poteri, compiti e funzioni dalla Amministrazione
centrale alle Direzioni Regionali, v’è un consequenziale e inevitabile
svuotamento di poteri, compiti e funzioni di alcune Direzioni
Generali interessate (beni e servizi, sistemi informativi automatizzati
e statistiche) e un sensibile ridimensionamento di quella del
personale.
Un nucleo gestionale ovviamente rimane in capo alle Direzioni
Generali centrali in forza della necessità di garantire la unitarietà e la
omogeneità di azione amministrativa sull’intero ambito nazionale: la
Nazione è unica e indivisibile (art. 5 Cost.) e tale unicità e indivisibilità
è un baluardo per lo Stato da dover conservare in speciale modo
in un settore sensibile come quello della Giustizia.
Riorganizzazione della Amministrazione Giudiziaria
È opportuno — rectius necessario — intervenire sulla organizzazione
del Ministero della Giustizia, ridisegnando la struttura interna
costruita con il D.P.R. 6 marzo 2001, n. 55 (Regolamento di organizzazione
del Ministero della Giustizia), istituendo presso i Capi Dipartimento,
specialmente presso quello dell’Organizzazione giudiziaria,
del Personale e dei Servizi, un ufficio o più uffici che rendano
omogenei i compiti delle Direzioni Regionali sul territorio nazionale e
compiano un controllo ex post «centrale» dell’azione delle stesse, di
tal che vi sia uno stesso leit motif gestionale per tutte le Direzioni
Generali decentrate, una direttrice comune, un filo conduttore lungo
il quale esse si debbano muovere.
Una tale operazione è consentita dallo stesso decreto che all’art. 7,
comma 4, prevede l’adozione di un regolamento su proposta del
Ministro della Giustizia, di concerto con il Ministro per le Riforme e
le Innovazioni nella Pubblica Amministrazione e con il Ministro
dell’Economia e delle Finanze, che revisioni l’organizzazione del
Ministero della Giustizia. In seno a detto provvedimento normativo si
potrebbero individuare quali Direzioni Generali centrali siano da ridimensionare
o addirittura sopprimere e quale sia il nucleo operativo
non trasferibile alle Direzioni decentrate, da conferire agli Uffici
centrali in ragione del valore centrale e nazionale di alcuni procedimenti
amministrativi.
In particolare modo, de iure condendo, presso questi eventuali uffici
dei Capi Dipartimento deve essere svolta attività di studio e ricerca in
materia di organizzazione e di innovazione, fornita consulenza alle
Direzioni Regionali e realizzata opera di programmazione, indirizzo e
coordinamento nelle materie di spettanza delle Direzioni Generali,
proprio per formare una linea unitaria e omogenea sull’intero territorio
nazionale, anche emanando circolari e dando soluzione ai quesiti.
Anche il «nucleo essenziale-nazionale» delle attività delle Direzioni
Regionali deve rimanere in capo ai Capi Dipartimento.
In particolare modo per quanto attiene al Dipartimento della Organizzazione
giudiziaria, del Personale e dei Servizi, alla Giustizia
Minorile e agli Affari di Giustizia, è mantenuta, ognuna per la propria
competenza:
- La programmazione, il coordinamento e l’organizzazione per conferenze
ed incontri di studio a carattere statistico; i rapporti con il sito
www.giustizia.it; l’analisi ed elaborazione dei dati statistici a livello
nazionale; la progettazione di nuove rilevazioni statistiche di interesse
nazionale; i rapporti e l’attuazione del protocollo di intesa con
l’ISTAT; i rapporti con il sistema statistico nazionale (S.I.S.T.A.N.); il
piano statistico nazionale; le competenze ai sensi del decreto legislativo
6 settembre 1989, n. 322; i rapporti con gli organismi e le istituzioni
centrali in materia di acquisizione informatizzata e telematica dei
dati statistici; i rapporti con la Commissione criminalità costituita
presso l’ISTAT.
- Le procedure contrattuali relative alla fornitura di beni, servizi e
attrezzature per gli uffici delle Amministrazioni centrali (Ministero;
Corte di Cassazione; Procura Generale presso la Corte di Cassazione;
Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche; Procura Nazionale
Antimafia); l’analisi comparativa dei costi relativi alle diverse tipologie
di beni: la costituzione di un osservatorio dei prezzi; le attività
connesse con il controllo gestionale dipartimentale; l’espletamento dei
compiti e delle funzioni di cui al Decreto del Presidente della Repubblica
30 novembre 1979, n. 718; la gestione delle risorse materiali, dei
beni e dei servizi dell’Amministrazione centrale; la nomina della Commissione
di manutenzione del Palazzo di Giustizia di Roma.
- La programmazione, progettazione, sviluppo e gestione dei
sistemi informativi di rilevanza nazionale ed europea.
- L’interconnessione con i sistemi informativi automatizzati delle
altre Amministrazioni.
- Le relazioni con l’ufficio stampa e gli uffici relazioni con il
pubblico.
- La gestione delle banche dati.
- L’interazione con l’Autorità per l’Informatica nella Pubblica
Amministrazione.
- L’interazione con la Corte dei Conti per quanto riguarda il
controllo preventivo e successivo della spesa informatica, ai sensi
dell’art. 14 D.Lgs. 12 febbraio 1993, n. 39.
- Le forniture di beni e servizi informatici a livello nazionale.
- Il piano di formazione informatica di cui al D.P.R. 28 ottobre
1994, n. 748.
Natura delle Direzioni Generali Regionali e Interregionali
La creazione delle Direzioni Generali decentrate non è operazione
di poco momento sotto il profilo ordinamentale ed organizzatorio.
Probabilmente con le Direzioni Generali Regionali e Interregionali si
determina una sorta di primo caso di federalismo interno ad una
Amministrazione centrale dello Stato, un vero e proprio caso di devoluzione
effettiva di poteri, di funzioni e, soprattutto, di competenze
dallo Stato a strutture locali le quali, pur conservando legami funzionali
con il «centro» e pur essendo incardinate nella compagine amministrativa
del Ministero, sono responsabili esclusive delle materie loro
conferite, senza rapporto di soggezione gerarchica nei confronti degli
organi centrali, ai quali spettano solamente compiti di coordinamento
e direzione.
A tale riguardo è sufficiente citare gli articoli 8, comma 4, e 10,
comma 1.
Il primo recita nel seguente modo: «Il Direttore Generale presenta
annualmente ai Capi dei Dipartimenti… una relazione riguardante,
per la circoscrizione di competenza:
a) lo stato dei servizi;
b) le risorse materiali;
c) l’informatizzazione;
d) il personale e la formazione;
e) i risultati conseguiti anche sotto il profilo economico-finanziario
in rapporto all’anno precedente;
f) il programma delle attività e degli obiettivi per l’anno successivo
comprendente la proiezione delle esigenze riferite alle risorse
umane, materiali e finanziarie».
Il successivo prevede: «Alla allocazione delle risorse umane,
materiali ed economico-finanziarie destinate alle Direzioni Generali
Regionali ed Interregionali provvedono, per quanto di rispettiva competenza,
il Capo del Dipartimento dell’Organizzazione giudiziaria, del
Personale e dei Servizi, il Capo del Dipartimento per la Giustizia
Minorile ed il Capo del Dipartimento per gli Affari di Giustizia… ».
La nuova realtà nata con tali strutture si discosta con evidenza
dalla «tradizione» dello Stato, che localizza in periferia una serie di
poteri, mantenendone però saldamente in mano il controllo e, quindi,
la possibilità di avocarli a sé, continuando ad esercitare la supremazia
gerarchica nei confronti della «periferia». Le Direzioni Generali
Regionali e Interregionali nell’ambito della Amministrazione giudiziaria
sono altra cosa e la loro natura è diversa.
Facciamo un passo indietro e prendiamo in mano la Carta Costituzionale.
L’art. 5 dichiara che la Repubblica «attua nei servizi che dipendono
dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo».
Questo precetto aveva avuto fino al 1972 una realizzazione estremamente
limitata, non essendo l’organizzazione amministrativa dello
Stato riuscita a discostarsi dal suo tradizionale carattere accentrato,
consolidatosi al tempo della dominazione napoleonica. Solo col trasferimento
alle Regioni delle attribuzioni amministrative previste
dalla vecchia versione degli artt. 117 e 119 della Costituzione si è
determinato un vero e proprio decentramento di molte attribuzioni
statali.
Così è stato fatto un primo passo verso il decentramento «reale» di
poteri, funzioni e compiti dello Stato, che per lungo tempo ha
preferito porre in essere un decentramento organico delle proprie
funzioni, mantenendo saldamente in mano le sue competenze.
All’interno di questa concezione «tenue» del decentramento gli organi
locali dello Stato (ad es. i Prefetti (3), i Provveditorati agli Studi, le
Sovrintendenze per i Beni Culturali, le Direzioni Provinciali del
Lavoro, le Direzioni Regionali delle Entrate, i Provveditorati
Regionali della Amministrazione Penitenziaria, di cui più innanzi si
tratterà) sono uniti a quelli centrali da una relazione che li pone,
rispetto a questi, in posizione di subordinazione gerarchica, consentendo
agli Uffici centrali non soltanto la possibilità di dare loro orientamenti,
impulsi e direttive (cosa che avviene anche nel caso di vero
decentramento, in forza del quale il soggetto assegnatario ha una
marcata autonomia decisionale), ma anche di impartire ordini e
avocare a sé le funzioni originariamente delegate.
Nei Paesi dell’Occidente europeo alcuni ordinamenti ad amministrazione
accentrata hanno organizzato i propri uffici statali periferici
secondo il sistema prefettizio, proprio della tradizione francese,
basato sul principio di subordinazione di tutti gli organi periferici
delle differenti Amministrazioni dello Stato al Prefetto: collocato in
posizione di preminenza, questo è dotato di poteri di direzione ed è
responsabile dei singoli settori dell’Amministrazione periferica.
Il nostro ordinamento, invece, ha fatto proprio il sistema per il
quale le funzioni esercitabili localmente sono attribuite a distinti
organi periferici, dipendenti direttamente dalle Amministrazioni
centrali preposte al rispettivo settore (nella persona, presumibilmente,
dei Direttori Generali).
Oltre il decentramento organico l’ordinamento, specie negli ultimi
anni, ha conosciuto il decentramento istituzionale, grazie al quale si
assiste ad una vera e propria assegnazione di poteri, competenze e
funzioni dello Stato ad altri enti pubblici territoriali (Regioni,
Province, Comuni et alia) che ad esso si sono affiancati nella gestione
della res publica.
La produzione normativa sta procedendo celermente verso un
federalismo amministrativo e, pertanto, alla formazione di robusti
spazi di autonomia decisoria, gestionale e contabile di alcuni enti,
riducendo sensibilmente i legami gerarchici di questi con il «centro».
Di trasferimento di competenze, come prima accennato, si inizia a
parlare con la delega conferita al Governo per il tramite dell’art. 17 L.
16 maggio 1970, n. 281, la cui attuazione ha portato all’approvazione
dei D.P.R. 14-15 gennaio 1972, nn. 1-11, da cui si comincia a intravedere
la rottura del rapporto gerarchico con lo Stato centrale. In un
secondo momento, con ancora più determinazione e incisività, a
seguito della legge delega 22 luglio 1975, n. 382, i D.P.R. 24 luglio
1977, nn. 616, 617 e 618 hanno consentito il trasferimento di materie
statuali per blocchi omogenei alle Regioni a statuto ordinario.
Queste normative hanno ben chiarito la differenza che v’è fra il
«trasferimento» — pieno — di competenze dallo Stato alle Regioni e
la «delega» di funzioni, che consente il mantenimento alle Amministrazioni
centrali della piena titolarità delle competenze.
Procedendo lungo il percorso federalista, incontriamo la legge
sull’ordinamento delle autonomie locali 8 giugno 1990, n. 142,
arriviamo poi all’importante decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112
(Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dallo Stato alle
Regioni ed agli enti locali, in attuazione del Capo I della legge 15
marzo 1997, n. 59 (4)), per passare attraverso il Testo Unico delle
leggi sull’ordinamento degli enti locali (D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267)
e, infine, giungere alla riforma del Titolo V della Costituzione ad
opera della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.
L’interprete, tenendo in considerazione le regole della tecnica legislativa,
conclude agevolmente che lo Stato, nella veste della Amministrazione
giudiziaria centrale, ha trasferito a queste nuove realtà ordinamentali
— le Direzioni Generali Regionali e Interregionali —
poteri, compiti e funzioni in materie sino al 27 ottobre 2006 rientranti
intieramente nella sfera gestionale delle Direzioni Generali dei Beni
e Servizi, delle Statistiche e dell’Informatica e, in parte, della
Direzione Generale del Personale e della Formazione.
Tali poteri, compiti e funzioni sono in capo ai Direttori Regionali,
responsabili nella propria circoscrizione territoriale delle materie loro
conferite (beni e servizi, informatica, personale e statistiche), non
subordinati gerarchicamente ai Capi Dipartimento interessati dal
decentramento, i quali, ognuno nel proprio ambito, hanno solo un
ruolo di indirizzo volto ad uniformare le strategie operative delle
Direzioni Regionali sul territorio nazionale e ad allocare le risorse
umane, materiali ed economico-finanziarie in base alle dimensioni
del territorio, al numero e al «peso» degli uffici giudiziari e alla
relazione annuale loro presentata dai Direttori Generali decentrati ex
art. 8, comma 4.
Le espressioni tecnico-legislative usate dal Legislatore nella
relazione e nel testo del decreto confortano tale tesi.
Come già riportato precedentemente, la relazione allo schema,
nella parte di commento agli artt. 6 e 7, utilizza le espressioni: «attribuzioni
trasferite dall’Amministrazione centrale» e «devoluzione».
«Trasferimento» è l’espressione adoperata da tutte le normative
sino ad ora citate per rappresentare la traditio di competenze da un
soggetto istituzionale ad un altro. Il destinatario ne diventa completamente
titolare e responsabile, non potendo il primo incidere in alcun
modo sulle attività gestionali che saranno esercitate dal secondo, né
tanto meno avocarne poteri e funzioni.
La «devoluzione» è termine più recente e di sapore «politico», di
significato pari all’espressione «trasferimento».
L’art. 6, comma 1, qualifica le Direzioni in argomento come
«organi periferici del Ministero».
Le Direzioni Generali decentrate indicate come organi periferici
del Ministero e non di specifici Dipartimenti — come di qui a poco
vedremo essere per i Provveditorati Regionali, qualificati organi
decentrati del Dipartimento della Amministrazione Penitenziaria —
sono strutture a base territoriale, incardinate in seno alla Amministrazione
della Giustizia, ma — questa è la peculiarità e l’autentico
ius novum — realtà ordinamentali con piena autonomia decisoria
nelle materie loro conferite, rispettose delle linee guida fornite dallo
Stato centrale, id est dal Ministero della Giustizia.
Tali Direzioni Regionali, pertanto, rappresentano un’ipotesi di
federalismo interno ad una Amministrazione Centrale dello Stato, ad
un Ministero: strutture locali territoriali su base regionale, appartenenti
all’Amministrazione giudiziaria, funzionalmente legate ad
alcuni Dipartimenti del Ministero della Giustizia, ma da essi indipendenti
per l’opera gestionale e di spesa nelle materie indicate dall’art. 7,
comma 1, lettere a), b), c), d).
In aggiunta, la dettagliata indicazione effettuata dall’art. 7, comma
3, delle materie rimanenti in capo alla Amministrazione centrale
esprime lo stesso percorso seguito dal Legislatore nel procedere alla
modifica dell’art. 117 della Costituzione (legge costituzionale 18
ottobre 2001, n. 3): il comma secondo indica nominatim le materie di
legislazione esclusiva dello Stato. Parimenti, l’art. 18 del D.Lgs.
112/1998 indica specificamente i compiti amministrativi conservati
allo Stato, trasferendo i restanti alle Regioni.
Una simile formulazione legislativa in due sedes materiae così qualificate
— specie l’art. 117 della Costituzione —, traccianti un
percorso marcatamente federalista in campo legislativo e amministrativo,
induce a ritenere che il Governo, adoperando le stesse
cennate regulae iuris nel testo del decreto in esame, abbia avuto in
animo di provvedere ad un vero e proprio trasferimento di materie di
sapore federalista.
Altresì la stessa rubrica del Capo II del decreto («decentramento del
Ministero della Giustizia») rafforza ulteriormente l’interpretazione in
chiave federalista della istituzione delle Direzioni Generali Regionali e
Interregionali.
Inoltre, la possibilità fornita dall’art. 7, comma 4, di adottare un
regolamento che revisioni l’organizzazione del Ministero della
Giustizia, comporta la possibilità, oltre che di ridisegnare la geografia
giudiziaria della Amministrazione in parola, anche di ponderare
l’opportunità — come d’altronde si è dettagliatamente esposto in precedenza
— di riconsiderare i compiti delle Direzioni Generali centrali,
potendo meditare anche sulla loro abrogazione.
Tale possibilità non si è ventilata quando si sono create, ad
esempio, le istituzioni periferiche del Ministero dell’Economia e delle
Finanze (Direzioni Regionali delle Entrate), in quanto esse sono state
concepite all’interno del decentramento organico, ove le Direzioni
centrali delle Entrate mantengono saldamente il munus e l’imperium.
Il fatto stesso che Direzioni Generali centrali del Ministero della
Giustizia possano essere «dimesse» significa che le nuove Direzioni
Generali decentrate si surrogano in pieno (beni e servizi, statistiche,
informatica giudiziaria) oppure in parte (personale e formazione) ad
esse, alle loro competenze, ai loro compiti ed ai loro poteri, palesandosi
come i vertici della Amministrazione giudiziaria nelle proprie
circoscrizioni territoriali; esse Direzioni decentrate debbono
solamente adeguarsi alle direttive e alle guidelines dettate dai Capi
Dipartimento, nelle rispettive competenze, tenendo ben presente, a
mo’ di stella polare, l’unicità e indivisibilità della Repubblica.
Provveditorati Regionali del Dipartimento della
Amministrazione Penitenziaria
Il parametro di riferimento più vicino alle Direzioni di cui si tratta
all’interno della compagine giudiziaria sono i Provveditorati Regionali
della Amministrazione Penitenziaria.
Il Dipartimento della Amministrazione Penitenziaria è l’unico
escluso dalla normativa in argomento.
Questo Dipartimento ha conosciuto, invece, il classico decentramento
organico con la istituzione dei cennati Provveditorati
Regionali. Essi sembrano le figure organizzatorie più vicine alle
Direzioni Regionali, ma, in realtà, sono molto distanti da queste per
tipologia delle fonti istitutive e natura delle strutture.
La fonte utilizzata per la istituzione dei Provveditorati Regionali
della Amministrazione Penitenziaria è il decreto ministeriale, segnatamente
del 22 gennaio 2002 (Individuazione e disciplina delle articolazioni
interne di livello dirigenziale nell’ambito degli uffici dirigenziali
generali istituiti presso il Dipartimento dell’Amministrazione
Penitenziaria con il D.P.R. 6 marzo 2001, n. 55, nonché presso i Provveditorati
Regionali dell’Amministrazione Penitenziaria).
Questo provvedimento è stato adottato dal Ministero della
Giustizia in attuazione del regolamento di organizzazione del
Ministero della Giustizia 6 marzo 2001, n. 55.
Mentre quest’ultimo è un regolamento governativo adottato ai
sensi del combinato disposto dei commi 2 e 4 bis dell’art. 17 L. 23
agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento
della Presidenza del Consiglio dei Ministri), il decreto ministeriale
istitutivo dei Provveditorati Regionali ha natura non regolamentare,
in quanto approvato a mente dell’art. 17, comma 4 bis, lett. e), L.
400/1988, così come introdotto dall’art. 13, L. 15 marzo 1997, n. 59.
Il decreto ministeriale istitutivo dei Provveditorati, quindi, è
persino gerarchicamente inferiore al regolamento ministeriale, che è
considerato unanimemente dalla Dottrina fonte terziaria, in quanto
subordinata al regolamento governativo classificato come fonte
secondaria. A tale proposito il decreto ministeriale di natura non
regolamentare non può essere considerato una fonte normativa, in
quanto privo degli elementi propri della normazione (generalità e
astrattezza), ed in possesso di quelli peculiari del provvedimento
amministrativo (determinatezza e concretezza).
Il decreto legislativo che ha partorito le Direzioni Generali
Regionali e Interregionali, invece, è fonte primaria e, unitamente al
decreto legge, è per natura ed efficacia equiparato alla legge
ordinaria.
Già questo la dice lunga sulla stessa natura «autonoma» di queste
ultime. Ma a fortiori la stessa formulazione del dettato dell’art. 9,
comma 1, del decreto ministeriale in questione è ulteriormente chiarificatoria
della natura dei Provveditorati Regionali, definiti «organi
decentrati del Dipartimento della Amministrazione Penitenziaria», a
differenza dell’art. 6, comma 1, del D.Lgs. 240/2006, che qualifica le
Direzioni Generali Regionali e Interregionali «organi periferici di
livello dirigenziale generale del Ministero della Giustizia».
Il discrimen linguistico mostra una notevole diversità della natura
dei due enti: i Provveditorati sono organi che localizzano le funzioni
centrali, ossia sono specifici organi locali funzionalmente e gerarchicamente
legati al Dipartimento della Amministrazione Penitenziaria
e, in particolar modo, alle Direzioni Generali romane a seconda del
settore interessato (personale, beni e servizi, etc.). Le Direzioni
Generali centrali continuano ad essere competenti nelle materie
delegate ai Provveditorati Regionali, mentre questi ultimi sono legittimati
ad esercitare in loco le funzioni ad esse materie correlate: le
Direzioni Generali centrali, pertanto, rimangono in vita, disciplinate
dallo stesso decreto ministeriale 22 gennaio 2002.
Le Direzioni Generali Regionali e Interregionali non sono articolazioni
interne di un singolo Dipartimento, bensì costituiscono organi
periferici del Ministero della Giustizia, cui sono trasferite le competenze
su materie finora appartenenti a Direzioni che, per effetto del regolamento
governativo previsto dall’art. 7, comma 4, potrebbero e
dovrebbero — almeno in parte — essere soppresse: il relativo
personale e i necessari supporti materiali potrebbero opportunamente
essere trasferiti in prevalenza alla Direzione Generale Regionale del
Lazio.
Il Ministero della Giustizia ha dato coraggiosamente vita al
primo caso di federalismo interno ad una Amministrazione
centrale dello Stato, attraverso un trasferimento di pieni poteri
su vaste e strategiche aree funzionali, qualitativamente e quantitativamente
importanti per l’opera della attività amministrativa
della Giustizia; ha operato un grande sforzo di avvicinamento
del servizio giudiziario al territorio e, quindi, agli uffici giudiziari
in esso ubicati, con un inevitabile e indubbio vantaggio per
i cittadini: essi, per fruire delle micro e delle macro attività, non
dovranno più rivolgersi a Roma ma direttamente agli uffici delle
Direzioni Generali decentrate: Roma avrà in mano, in parte qua,
le grandi strategie nazionali.
Fabrizio Giulimondi
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