Investiti dalle modifiche del decreto n. 195 del 2011 SONO anche gli articoli del codice del processo amministrativo dedicati alle impugnazioni, e contemplati del libro III del medesimo codice.
Le modifiche riguardano, in particolare:
1) Le disposizioni sulle impugnazioni in generale, e quindi l’articolo 95, relativo alle “parti in giudizio di impugnazione”; l’articolo 98, relativo alle “misure cautelari”; l’articolo 99, recante la disciplina del “deferimento alla Adunanza Plenaria”.
2) Le disposizioni relative all’appello, e quindi l’articolo 101 (“contenuto del ricorso in appello”).
3) Le disposizioni relative alla opposizione di terzo(articolo 108 ( casi di opposizione di terzo).
4) Infine, le disposizione relative al ricorso per Cassazione (articolo 111:”sospensione della sentenza”).
In base alla modifica dell’art. 95, ora “l’impugnazione della sentenza pronunciata in causa inscindibile o in cause fra loro dipendenti è notificata a tutte le parti in causa e, negli altri casi, alle parti che hanno interesse a contraddire”.
In precedenza era prevista la sola ipotesi della cause inscindibili, cui il legislatore ha opportunamente affiancato anche quella della “cause fra loro dipendenti”. In definitiva, il codice prevede un doppio regime di costituzione del contraddittorio in sede di impugnazione, per il tramite della notifica del ricorso:
• L’ipotesi di cause inscindibili o comunque tra loro dipendenti, in cui la notifica deve riguardare “tutte le parti in causa”;
• Le altre ipotesi, in cui la notifica del ricorso può avvenire solo nei confronti delle parti “che hanno interesse a contraddire”.
In ambedue le ipotesi, tuttavia, vale la regola prevista dall’articolo 95, comma 2, del codice, secondo la quale, onde evitare l’inammisibilità della impugnazione, il ricorso deve essere notificato, nei termini previsti, “ad almeno una delle parti interessate a contraddire”, dovendo in tale ipotesi il giudice disporre la successiva integrazione del contraddittorio. La notifica, dunque, nella prima delle ipotesi contemplate dall’art. 95, comma 1 (cause inscindibili o tra loro dipendenti) deve avvenire non nei confronti di una qualsiasi delle parti in causa, ma ad almeno una di quelle “in causa” che appartenga alla più ristretta cerchia delle parti “in causa” e che abbiano “interesse a contraddire”.
L’ulteriore modifica riguarda l’articolo 98, concernente le “misure cautelari” in sede di impugnazione. In questo caso, il legislatore ha previsto che il giudice dell’impugnazione può, su istanza di parte, disporre la sospensione dell’esecuzione del provvedimento impugnato, allorché valuti, sia pure in mera deliberazione provvisoria, di qualche fondamento i motivi di impugnazione proposti e reputi sussistente “un pregiudizio grave e irreparabile” (la parola ”pregiudizio” ha sostituito “danno”), derivante dalla esecuzione della sentenza.
In tal modo il legislatore ha allineato la dizione utilizzata per definire i presupposti della misura cautelare in sede di impugnazione alla corrispondete definizione per il giudizio di primo grado.
E’ appena il caso di ricordare che la nozione di pregiudizio è più ampia di quello di danno, potendo la prima riferirsi a incisioni, derivanti dal provvedimento amministrativo o dalla sentenza esecutiva, sulla sfera giuridica del richiedente la misura cautelare che hanno profili più ampi e non necessariamente configuranti un danno di natura patrimoniale o economicamente apprezzabili.
Infine, coma la modifica all’articolo 99, comma 5, in tema di giudizio conseguente al deferimento del ricorso al giudizio dell’Adunanza Plenaria, si prevede che, qualora quest’ultima dichiari il ricorso inammissibile, irricevibile o improcedibile, ovvero pronunci l’estinzione del giudizio, ma ritenga comunque di enunciare “il principio di diritto” nell’interesse della legge”, attesa la particolare importanza della questione, tale pronuncia non ha alcun effetto sul provvedimento impugnato (laddove nel testo previdente veniva adoperata l’espressione “sentenza impugnata”).
In tema di ricorso incidentale il previdente articolo 37 del RD 1054/1924, prevedeva:
“Nei termini di trenta giorni successivi a quello assegnato per il deposito del ricorso, l’autorità e le parti, alle quali il ricorso fosse stato notificato, possono presentare memorie, fare istanze, produrre documenti, e anche un ricorso incidentale, con le stesse forme prescritte per il ricorso.
La notificazione del ricorso incidentale sarà fatta nei modi prescritti per il ricorso principale, presso il domicilio eletto, all’avvocato che ha firmato il ricorso stesso.
L’originale del ricorso incidentale, con la prova delle eseguite notificazioni e con i documenti, deve essere depositato in segreteria nel termine di giorni 10.
I termini e i modi prescritti nel presente articolo per la notificazione e il deposito del ricorso incidentale debbono osservarsi a pena di decadenza.
Il ricorso incidentale non è efficace, se venga prodotto dopo che si sia rinunziato al ricorso principale, o se questo venga dichiarato inammissibile per essere stato proposto fuori termine”.
Quanto all’appello incidentale, la giurisprudenza aveva già avuto modo di precisare che, sotto la comune denominazione di appello incidentale convivono nel processo amministrativo due rimedi profondamente diversi per natura, finalità e regime giuridico:
• L’appello incidentale “proprio”, contemplato dall’articolo 37 del TU n. 1054 del 1924, che è un mezzo di impugnazione subordinato rispetto alla proposizione del ricorso principale e possiede lo scopo precipuo di paralizzare l’azione ex adverso proposta, secondo la logica della “controimpugnazione”; in questa ipotesi, l’interesse a impugnare trova giustificazione nella proposizione del gravame principale e risponde alla esigenza dell’appellato di conservare le utilità acquisite per effetto della sentenza di primo grado; ed è per tali ragioni che l’appello incidentale “proprio” è di norma indirizzato nei confronti degli stessi capi di decisione investiti dall’appello principale o da capi logicamente avvinti a questi ultimi da un nesso di dipendenza necessaria. In questo caso, i termini di proposizione e di deposito sono gli stessi di quelli previsti per il ricorso principale.
• L’appello incidentale “improprio”, che è caratterizzato dal non essere diretto contro il medesimo capo della sentenza aggredito con l’appello principale, configurandosi come un autonomo gravame la cui natura incidentale discende unicamente dall’essere stato proposto dopo un precedente appello (principale); l’incidentalità in questo caso è dunque l’effetto del principio di concentrazione delle impugnazioni sancito dall’art. 333 cpc, secondo la logica del simultaneus processus con la conseguenza che sussiste l’onere, per la parte proponente, di rispettare i medesimi termini di impugnazione previsti per quello principale.
Ciò significa che il termine per esperire il rimedio non è quello di cui al comma 1 dell’art. 37 del rd n. 1054 del 1924 (trenta giorni successivi al termine per il deposito dell’appello), bensì quello previsto in via generale per la proposizione dell’appello principale ai sensi del comma 2 dell’art. 28 della legge 1034/1971.
Tuttavia la giurisprudenza, ha ritenuto non necessaria la proposizione di appello incidentale (proprio), laddove si tratti, per la parte vittoriosa in primo grado, di riproporre motivi di ricorso dichiarati assorbiti in quella sede o comunque non esaminati dal primo giudice.
Si è ritenuto, infatti, che “ai sensi dell’art. 346 cpc, applicabile anche al processo amministrativo, sia il motivi assorbiti che quelli non esaminati possono essere riproposti con qualsiasi atti difensivo non notificato, giacché il non esame di uno o più motivi di ricorso costituisce una forma indiretta di assorbimento “(Consiglio di Stato, 31 maggio 2007, n. 2832).
In conclusione, quindi, si è affermato che “il ricorso in appello incidentale costituisce mezzo doveroso e necessario , laddove si voglia censurare una espressa statuizione sfavorevole contenuta nella sentenza di primo grado….Ove invece ci si risolva(unicamente) censurare la decisione di prime cure riproponendo in sede di appello doglianze dichiarate assorbite e non esaminate, l’impugnante può limitarsi a presentare una semplice memoria(Consiglio di Stato, 30 settembre 2008, n. 4699)
Quanto al termine di deposito delle memorie nel giudizio di appello, si è ritenuto che ”non si può tener conto delle memorie o della documentazione depositata dalla parte dopo la scadenza del termine di dieci giorni, previsto per tali adempimenti dapprima dall’ordinanza generale del presidente del Consiglio di Stato n. 38 del 1954 e oggidì dall’art. 23, legge TAR , applicabile anche al giudizio di appello, essendo espressione del generale principio del rispetto del contraddittorio, a sua volta riconducibile al principio dell’equo processo di sui all’art. 6 CEDU.
Le distinte tipologie di appello incidentale sono oggi contemplate dall’art. 96 del cpa, disciplinante le “impugnazioni avverso la medesima sentenza”, che distingue oltre che tra appello incidentale improprio e appello incidentale proprio, anche nell’ambito dell’appello incidentale proprio tra:
• Appello incidentale proprio per il quale il termine è di sessanta giorni decorrente dalla data di notificazione dell’appello principale e il deposito deve avvenire entro 10 giorni dalla sua notificazione;
• Riproposizione delle domande assorbite o non esaminate in primo grado, che deve avvenire con memoria (come tale non notificata) e che deve essere depositata entro il termine per la costituzione in giudizio, e quindi entro 60 giorni “dal perfezionamento nei propri della notificazione del ricorso”.
A sua volta, prevede che “si intendono rinunciate le domande e le eccezioni dichiarate assorbite o non esaminate nella sentenza di primo grado, che non siano state espressamente riproposte nell’atto di appello o, per le parti diverse dall’appellante , con memoria depositata a pena di decadenza entro il termine per la costituzione in giudizio”.
La modifica all’articolo 108, comma 1, comporta che il terzo che può fare opposizione avverso una sentenza del TAR o del Consiglio di Stato pronunciata tra altri soggetti, ancorché passata il giudicato, “quando pregiudica i suoi diritti o interessi legittimi, non debba più essere “titolare di una posizione autonoma e incompatibile”,
E’ bene ricordare che l’articolo 108 del cpa nel disciplinare l’opposizione di terzo, prevede:
(comma 1): “un terzo, titolare di una pozione autonoma e incompatibile, può fare opposizione contro una sentenza del tribunale amministrativo regionale o del Consiglio di Stato pronunciata fra altri soggetti, ancorché passata in giudicato, quando pregiudica i suoi diritti o interessi legittimi”.
(comma 2):” Gli aventi causa e i creditori di una delle parti possono fare opposizione alla sentenza, quando questa sia effetto di dolo o collusione a loro danno”.
Il codice ha recepito quindi le due classiche figure di opposizione di terzo, disciplinate dall’art. 404 cpc, e cioè l’opposizione di terzo ordinaria e l’opposizione di terzo revocatoria.
Mentre l’opposizione di terzo revocatoria ex art. 108, comma 2, cpa, ricalca quasi alla lettera la dizione usata dall’articolo 404, comma 2, cpc, mentre il comma 1 dell’art. 108 cpa si discosta in parte dalla disciplina della opposizione di terzo ordinaria ai sensi dell’art. 404, comma 1, cpc, specificando che la parte legittimata alla opposizione deve essere “titolare di una posizione autonoma e incompatibile”. Tale discostamento è stato eliminato dal decreto correttivo.
La giurisprudenza amministrativa ha successivamente approfondito le indicazioni della Corte Costituzionale precisando che la legittimazione a proporre la opposizione di terzo, nei confronti della decisione amministrativa resa tra altri soggetti, va riconosciuta:
a) Ai controinteressati pretermessi;
b) Ai controinteressati sopravvenuti;
c) Ai controinteressati non facilmente identificabili;
d) In generale ai terzi titolari di una situazione giuridica autonoma e incompatibile, rispetto a quella riferibile alla parte risultata vittoriosa per effetto della sentenza oggetto di opposizione.
Non sono legittimati i titolari di una situazione giuridica derivata ovvero i soggetti interessati solo di riflesso, coma i soggetti legati da rapporti contrattuali con i legittimati alla impugnazione.
Giova ricordare, inoltre, che la giurisprudenza ordinaria afferma, con orientamento consolidato, che “la legittimazione a impugnare la sentenza con l’opposizione di terzo ordinaria presuppone in capo all’opponente la titolarità di un diritto autonomo, la cui tutela sia incompatibile con la situazione giuridica risultante dalla sentenza pronunciata tra altre parti”( Cassazione civile, 13 marzo 2009, n. 6179).
Secondo la giurisprudenza formatasi sul punto ora modificato( Consiglio di Stato, 1 luglio 2011, n. 3945), la definizione della parte legittima alla opposizione di terzo, richiamando la necessità della titolarità in capo a quest’ultima di una “posizione autonoma e incompatibile”, ha introdotto una precisazione che non esaurisce i suoi effetti sul piano meramente processuale, ma che, innanzi tutto, definisce, con riferimento al giudizio impugnatorio, le caratteristiche della posizione sostanziale che si assume lesa e che, in quanto tale, fonda legittimazione attiva e interesse ad agire in opposizione.
In tal senso, quanto alla autonomia della posizione giuridica, l’opposizione di terzo non può essere esperita da colui che sia portatore di un interesse non direttamente leso dal provvedimento amministrativo per cui vi è stato un giudizio, di un interesse, cioè, che avrebbe al più legittimato un intervento volontario.
Prof. Fabrizio Giulimondi