QUALCHE NOZIONE DI
TECNICA LEGISLATIVA
La tecnica legislativa è un insieme di principi, metodi
e puntuali prescrizioni per la formulazione formale e sostanziale degli atti
normativi, la loro strutturazione interna e il loro inserimento nel quadro
normativo generale di riferimento.
Il suo fine è quello della migliore redazione della norme
sotto il profilo della chiarezza e della precisione, della sinteticità, non
contraddittorietà, applicabilità e verificabilità.
Il prodotto del suo corretto utilizzo dovrebbe essere
un insieme sistematico di norme
razionalmente funzionali agli obiettivi particolari del singolo provvedimento
normativo.
L’attenzione verso la qualità della regolazione si è
andata accentuando in questi ultimi quindi anni. Alla base di tale attenzione
v’è la constatazione che la norma giuridica non è neutra, ma orientata alla
migliore dislocazione di risorse materiali ed umane. Essa, quindi, è parametro
di efficienza o di inefficienza del sistema economico, sociale, istituzionale e
politico. Le regole non sono di per sé troppe o poche in termini assoluti. Sono
troppe le regole cattive e, sono tali quelle che costituiscono onere
ingiustificato per persone, famiglie ed
imprese, come quei rimedi che, nell’intento di curare un male, ne provocano di
nuovi e maggiori o comunque generano
gravi effetti collaterali.
Nell’ordinamento italiano si è provveduto, anche su
sollecitazione di organismi internazionali, ad introdurre uno strumento di
valutazione degli effetti diretti ed indiretti delle regole sulle dinamiche
della società (c.d. impatto normativo), a seguito della approvazione della legge di semplificazione 8 marzo 1999, n. 50, della
emanazione della direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri 27 marzo
2000, della “Guida alla sperimentazione
dell’analisi di impatto della regolamentazione (AIR)” del 16 gennaio 2001 e,
infine, della circolare della Presidenza
del Consiglio dei Ministri del 2 maggio 2001, n. 1 “Guida alla redazione dei
testi normativi”.
Questi testi hanno sistematizzato, razionalizzato e
fatto proprie le tre circolari di identico contenuto che, nel 1986, il Presidente della Camera dei Deputati, il
Presidente del Senato della Repubblica e il Presidente del Consiglio hanno
emanato di intesa fra di loro, tutte e tre tese a rendere più chiari e
comprensibili gli atti legislativi.
Le prescrizioni di tecnica legislativa contenute in
queste circolari sono state negli anni aggiornate e rivisitate, per
essere poi trasfuse in data 20 aprile 2001 in una “Lettera
circolare sulle regole e raccomandazioni per la formulazione tecnica dei testi
legislativi”, congiuntamente adottata dai Presidenti delle Camere e del
Consiglio dei Ministri.
La citata “Guida alla redazione dei testi normativi”
del 2 maggio 2001 rappresenta un
importante passo avanti verso una aumentata sensibilità istituzionale su una più comprensibile (e, quindi, più democratica) raccolta, in forma più analitica, di regole e
raccomandazioni in tema di redazione dei testi legislativi e, dall’altro, di
criteri riguardanti più specificatamente
l’istruttoria normativa da parte del Governo nella stesura dei regolamenti, dei
decreti legge e dei decreti legislativi.
Tale sforzo ha condotto a riassumere in unico contesto dettami
formali e sostanziali: i primi, afferenti il linguaggio tecnico-giuridico e la
ricerca di moduli omogenei di formulazione dei testi; i secondi, rivolti a
richiamare l’esigenza di tenere conto, al momento della redazione dei testi,
dei limiti propri delle fonti del diritto e della necessità di programmare la
ripartizione fra queste in seno ad un determinata materia.
Scendendo un po’ più nel merito dell’argomento che ci
siamo proposti di esaminare, passiamo ad
affrontare gli aspetti generali del provvedimento legislativo.
L’atto di normazione (legge dello Stato o regionale o
delle province di Trento e Bolzano; decreto-legge e decreto legislativo;
regolamenti governativi e regionali) disciplina materie omogenee.
La ripartizione dei singoli aspetti della materia
all’interno dell’atto è operata assicurando uno sviluppo consequenziale e
logico e, pertanto, assolutamente
razionale, della trattazione di
quanto disciplinato nel testo.
Questo è composto da articoli, da commi (che formano
l’articolo e che possono essere uno o più a seconda della sua complessità, caratterizzati dalla numerazione di tipo cardinale)
e da lettere, in cui questi ultimi
possono essere eventualmente suddivisi,
lettere che, a loro volta, possono essere partite in numeri.
Ogni concetto normativo è formulato evitando
qualsivoglia ambiguità di significato o di sintassi, dovendo sussistere
contestualmente sia l’elemento della semplicità che quello della precisione.
Le disposizioni poste in deroga a una regola generale
debbono essere messe ben in evidenza,
nonché esplicitamente richiamare la regola generale a cui fanno eccezione.
Inoltre, qualora l’atto legislativo contenga una disciplina organica di una determinata
materia, si raccomanda di fare sì che l’ordine della costruzione delle
disposizioni in esso contenute osservi
la seguente “scaletta”:
a)
parte introduttiva, contenente
“disposizioni generali”, ossia le finalità dell’atto e i principi generali in
questo espressi, nonché il suo ambito di operatività, di tipo oggettivo e
soggettivo, oltre le definizioni dei
termini più importanti e diffusi all’interno del testo;
b)
parte principale, relativa alle
disposizioni procedurali e sostanziali circa la materia trattata; eventuali
previsioni sanzionatorie; l’indicazione delle strutture pubbliche competenti
alla esecuzione di quanto disposto;
c)
parte finale, concernente le
disposizioni aventi ad oggetto l’ attuazione dell’atto, il coordinamento
normativo, l’abrogazione delle norme previgenti incompatibili con il nuovo
testo e, infine, gli aspetti di diritto transitorio
ed inter-temporale;
d)
parte integrativa, in relazione alla
entrata in vigore dell’atto e alla decorrenza o scadenza della efficacia delle
singole disposizioni.
E’ opportuno puntualizzare che, quanto
disposto in merito alla copertura finanziaria, sia contenuto in un unico
articolo, il quale è bene sia costituito
da un numero limitato di commi, che a loro volta siano organizzati in pochi e semplici periodi e, se proprio
necessario, in lettere a)b)c) e così via, ricordando che l’indicazione dei commi
aggiunti in un secondo momento da una normazione susseguente (al pari degli
articoli) sono contrassegnati con la terminologia latina bis, ter, quater a
seguire: comma 1 bis; comma 1 ter, etc; oppure articolo 1 bis, articolo 1 ter, etc).
E’, altresì, opportuno che ogni atto legislativo contenga
una disposizione che indichi espressamente quelle abrogate in quanto incompatibili con la nuova
disciplina.
I termini attinti dal linguaggio
giuridico o da un linguaggio tecnico devono essere impiegati in maniera
appropriata, tenendo conto del significato loro assegnato dalle scienze o
tecniche da cui provengono. Se un termine tecnico-giuridico ha un significato
diverso da quello che lo stesso termine possiede nel linguaggio corrente,
occorre esplicitare quale sia l’accezione adoperata per esso nel testo.
Se le parole utilizzate non siano di
uso corrente, o non abbiano un significato giuridico già definito, oppure siano
adoperate in modo difforme da quello corrente o da quello giuridico, è
opportuno definirle prima, nello spazio riservato alla parte introduttiva, di
cui abbiamo poc’anzi parlato.
Prima, prendendo in considerazione
articoli, commi e lettere abbiamo esposto la partizione interna ai primi, che
rappresentano la unità primaria, di base, del testo legislativo.
Sussiste in aggiunta una partizione
di quest’ultimo di livello superiore all’articolo, che di snoda nel seguente modo, seguendo la
catalogazione dalla parte più ampia a
quella più di ristretta:
·
libro (partizione di
quarto livello, comprendente uno o più parti);
·
parte (partizione di
terzo livello, comprendente uno o più titoli);
·
titolo (partizione di
secondo livello, comprendente uno o più
capi);
·
capo (partizione di
primo livello comprendente una o più sezioni);
·
sezione, composta da uno o
più articoli (come abbiamo in precedenza riportato, costituiti da uno o più commi, a loro volta scomponibili
in una o più lettere, che possono essere ancora suddivise in numeri).
La rubrica è il titolo (l’argomento)
del libro, della parte, del titolo, del capo, della sezione e dell’articolo.
Una legge può essere abrogata, modificata o sostituita
da una successiva, tramite lo strumento della novella, che si compone di due parti: la prima, introduttiva, è denominata alinea e contiene il dispositivo volto a precisare il rapporto, di
sostituzione o di integrazione, fra la norma previgente (ossia su cui si sta
intervenendo e che viene specificamente indicata con tutte le coordinate di
partizione sopra descritte) e, quella recata dalla novella (introdotta tramite una disposizione della legge
successiva); la seconda consistente nella novella
in senso stretto, vera e propria, dispone la sostituzione o la modifica del vecchio
testo con il nuovo, evidenziato tramite le virgolette. L’alinea, ancora più chiaramente, deve indicare l’esatta collocazione
del testo ove si inserisce la novella,
precisando dopo quale parola o comma o
articolo la novella (il nuovo testo
sostitutivo o modificativo-integrativo) si debba andare ad allocare (ad
esempio: dopo il comma X dell’articolo Y della legge Z si deve aggiungere: ).
In chiave visiva
l’alinea termina con i due punti,
mentre la parte novellata è contenuta all’interno delle virgolette
(proseguendo l’esempio appena presentato: (alinea)
dopo il comma X dell’articolo Y della legge Z si deve aggiungere: (novella) “comma X bis dell’articolo Y della legge Z ………….”
Qualora l’intervento modificativo, integrativo o
sostitutivo sia particolarmente articolato e complesso, ovverosia riguardi un
intero comma di un articolo del testo previgente, o addirittura più commi di
uno stesso articolo, la novella si
scompone in uno o più capoversi, a seconda se introduca uno o più nuovi commi o
intervenga in chiave modificativa-integrativa
su uno o più commi: la novella, ad
esempio, sarà formata da tre capoversi se riguarderà (introducendone di nuovi o
modificandone o integrandone di previgenti) tre commi dell’articolo oggetto
dell’interesse del Legislatore.
A tale proposito è opportuno precisare che l’unità
minima del testo da sostituire con una novella
è preferibilmente il “comma” nella sua interezza, o un suo periodo, o una sua lettera, o un numero
contenuto in una sua lettera, anche quando si debba modificare, abrogare o
sostituire una singola parola o un insieme di parole.
Per procedere con
maggiore semplicità alla operazione di modificazione-
integrazione-sostituzione del testo previgente, si consiglia di far contenere
sempre ogni norma recante una singola novella in un articolo a se stante della legge che apporta l’innovazione, premurandosi che gli articoli novellatori
rispettino l’ordine delle disposizioni su cui incidono.
I riferimenti interni alla legge (ad un articolo, ad un
comma, ad una lettera) esplicitamente si allacciano al numero dell’articolo X, o del comma X dell’articolo Y, o della lettera X del comma Y dell’articolo Z
dello stesso testo che si sta provvedendo a redigere, evitando così di adoperare
espressioni come “precedente” o “successivo”, oppure “della presente legge”, salvo l’utilizzo di quest’ultima
sia reso necessario al fine di ovviare
a confusioni interpretative.
I riferimenti esterni, invece, si sostanziano in
collegamenti ad atti diversi da quello che opera il richiamo, per mezzo della indicazione della data (giorno, mese, anno) di promulgazione o
emanazione della legge o atto ad esso equipollente (decreto legge o decreto
legislativo), corredata dal relativo numero, privo però del titolo.
Una parola sugli allegati ad un testo.
Tabelle, quadri, prospetti, elenchi e quant’altro v’è di
similare non sono inseriti nel testo degli articoli, ma in allegato al testo
legislativo, subito dopo l’ultimo articolo. All’inizio di ciascun allegato è
citata la disposizione che nell’articolato
rinvia ad esso.
Gli allegati non possono contenere disposizioni sostanziali che
trovano la loro collocazione naturale solamente
nel testo.
Come possiamo capire i principi di chiarezza,
precisione, uniformità, semplicità ed economia, sottesi alle metodologie di tecnica
redazionale dei provvedimenti legislativi, siano questi ultimi di natura
primaria (leggi statali, regionali e provinciali di Trento e Bolzano e normative
ad esse equipollenti, quali sono i decreti legge ed i decreti legislativi), o
secondaria (regolamenti statali o regionali), “non sono espressione di ideali
estetici o di modelli formali” – come proclama nel preambolo alla terza
edizione del dicembre del 2007 il ‘Manuale regionale di tecnica legislativa’, elaborato
dall’Osservatorio legislativo interregionale, recante “Regole e suggerimenti
per la redazione dei testi normativi” – “ma sono strumenti per garantire la
qualità della legislazione e con essa il fondamentale principio della certezza
del diritto”.
A tale proposito
v’è obbligo di aggiungere che la “certezza del diritto” è il precipitato logico – giuridico del principio
di democraticità (art. 1 Cost), informatore primario del sistema costituzionale
e ordinamentale italiano.
Una disposizione mal compresa dai destinatari, ossia
dal Popolo che è
il vero Sovrano e che esercita la Sovranità – in via
mediata - anche attraverso il Parlamento
e il Governo, lede direttamente e platealmente la democraticità del sistema, che si manifesta
pure attraverso le norme di disciplina della vita della Comunità la quale, per
contribuire correttamente e legittimamente alla vita dello Stato, deve
necessariamente capire in tutti i suoi aspetti il contenuto delle disposizioni
emanate dagli Organi costituzionali, che operano – secondo il dettato costituzionale
- per conto e nell’interesse della
Comunità medesima.
La incomprensione totale o parziale
di un testo legislativo, essendo di ostacolo, anche grave, a tutto quanto sopra
esposto, è un vulnus di non poco
momento alla effettiva partecipazione democratica del cittadino, uti singulus e uti socius, a mente degli artt. 2 e 3, comma 2, della Carta
Costituzionale.
Una preciso riferimento alla
necessità della chiarezza formale della legge si ritrova nella sentenza 95/2007
della Corte Costituzionale, con la quale i giudici della Consulta hanno
sottolineato che, il precetto contenuto nella disposizione deve essere
formulato all’indicativo presente, ossia
nel modo e nel tempo verbale atto ad esprimere il comando secondo il consueto linguaggio legislativo. L’ indicativo
presente è, dunque, sicuro indice
della prescrizione di un obbligo, assumendo un valore indubitabilmente
imperativo.
Atteso che il principio di chiarezza
non trova attuazione soltanto nell’uso appropriato dei termini linguistici, la Consulta ha evidenziato
che una disposizione è chiara quando, ad
esempio, enuncia tramite poche e semplici
espressioni un concetto generale; indica senza incertezza i suoi destinatari;
precisa gli organi preposti alla sua attuazione, configurandone bene le
competenze; determina le conseguenze di natura penale, civile,
amministrativo-contabile o disciplinare in caso di inosservanza di un ordine o
di un divieto; chiarisce se un elenco di condizioni è tassativo o
esemplificativo, ovvero se le stesse debbano essere intese cumulativamente o
alternativamente.
Ancora: la Corte Costituzionale
con la decisione 303/2003 ha ribadito l’orientamento espresso con le sentenze
85/1999, 94/1995 e 384/1994, secondo il quale la certezza e la chiarezza sono
un valore costituzionale e assumono un
aspetto rilevante nel giudizio di legittimità costituzionale di una normativa,
dovendo essere incluse nella parte motiva della decisione anche le valutazioni di ordine di tecnica
legislativa.
In conclusione, tengo a riportare quanto ha affermato il 16 dicembre 2004 il
Presidente della Repubblica Ciampi nel messaggio di rinvio alle Camere della
legge di delega in materia di ordinamento giudiziario: “Con l’occasione ritengo opportuno rilevare quanto l’analisi del testo
sia resa difficile dal fatto che le disposizioni in esso contenute sono
condensate in due soli articoli, il secondo dei quali consta di 49 commi ed
occupa 38 delle 40 pagine di cui si compone il messaggio legislativo. A tale
proposito, ritengo che questa possa essere la sede propria per richiamare l’attenzione del Parlamento su
un modo di legiferare- invalso da tempo – che non appare coerente con la ratio
delle norme costituzionali che disciplinano il procedimento legislativo e,
segnatamente, con l’articolo 72 della Costituzione, secondo cui ogni legge deve
essere approvata “articolo per articolo e con votazione finale”.
Caliamo, conseguentemente, un velo pietoso sulla prassi oramai ricorrente e quasi consolidata
nel tempo, specie in sede di approvazione della legge finanziaria (oggi
denominata “legge di stabilità”), di approvare un unico maxi emendamento - includente
l’intera legge – formulato dal Governo, su cui questi appone regolarmente la c.d. questione
di fiducia.
Fabrizio Giulimondi