"Il professore e il pazzo" del
regista iraniano Farhad Safinia si
posa su due pilastri: un tragico senso di colpa e la parola elevata ad altare. James
Murray (Mel Gibson) incarna l'amore per i vocaboli, la loro storia, la loro
ragione d'essere ed il loro mutamento di significato semantico nel fluido
contesto del linguaggio, tracciato fra le pieghe dei romanzi dei giganti della
letteratura.
Il
dottor William Chester Minor (Sean
Penn) - grazie a una mirabile mimica, corporeità e gesticolazione unita ad una rude,
aspra e dolce vocalità - esprime potentemente l'angoscia imperdonata e
imperdonabile per un delitto compiuto, per la vedova e gli orfani creati, per il
ferale bacio dato alla moglie dell'assassinato.
Austeri
saloni vittoriani, biblioteche che accolgono in librerie di Sua Maestà
Britannica volumi che disvelano i segni visibili di sonorità che galleggiano nell'aria, manicomi in cui la
ricerca della salvazione di menti
offuscate si appella alla forza della lingua, per poi cedere orribilmente il
passo alla barbarie: il film girovaga lungo ambientazioni auliche e sfarzose, vuoti simulacri di animi contorti ma anche di
intendimenti gentili ed ambiziosi, che vogliono donare all'impero inglese e
alle ex colonie in Terra nordamericana il primo Oxford English Dictionary.
Parola
e malattia mentale, follia e tangibilità estetica del fonema in un raffinato e
non sempre agevole racconto del primo ottocento britannico.
Fabrizio Giulimondi
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