La
letteratura iberica, insieme a quella nordamericana, da anni attorciglia con
tentacoli di vivida bellezza il lettore, avvolto nelle spire di passaggi
letterari intensi e incantevoli, ricchi di avventurosi stilemi e giochi
artistici che seguono le rotte imperscrutabili degli stormi di uccelli.
"Terra Alta" (Ugo Guanda editore), vincitore del prestigioso "Premio Planeta"
2019 e scritto da uno straordinario autore spagnolo, Javier Cercas, è un thriller letterario altamente consigliabile per
la piacevolezza narrativa in cui ci si immerge, nella quale una rete di
personaggi si incastra nella tela di Penelope di storie, prima risucchiate in
sabbie mobili, poi tirate fuori dalla liana salvifica dallo Scrittore. Il
registro è acuto sin dalle prime battute e nulla è scontato e lasciato a caso. Il
monolitico protagonista è Melchor, amabile anti-eroe ellenico, verso cui il
lettore gravita per cerchi concentrici attratto da una forza irresistibile cui non
può opporsi: Melchor è una calamita, anzi, è "la" calamita.
Cercas raccoglie i mondi
descritti e i caratteri linguistici presenti nelle grandi opere spagnole, assorbendo
e facendo proprio, ma in maniera del tutto peculiare e personale, il genius loci che aleggia in Aramburu, Zafón e Cervantes: un tocco divino che accoglie
e interiorizza la tradizione per restituirla con luci diverse, regole ruminate,
mutati angoli prospettici.
Sullo
sfondo, con garbo, si osservano le vicende legate all'indipendentismo catalano
e ai crimini franchisti e repubblicani compiuti durante la guerra civile, una
sorta di acufene necessario per non distogliere le discendenze dal ricordo. "Terra Alta" scava nel sentimento di
giustizia che ognuno di noi possiede in cuor suo, scevro da forme, apparati e codicilli,
indagando minuziosamente su quella tensione morale che "fa prevalere le proprie regole sulle regole
comuni, la giustizia intima sulla giustizia pubblica, il diritto naturale sul
diritto formale, la legge di Dio sulla legge degli uomini.".
Il
libro di Javier Cercas è un lungo,
imprevedibile e sommo commentario a "I miserabili" di Victor Hugo,
una osmosi fra generi letterari, scambio generoso di energie culturali ed
intelligenze che, come correnti sotterranee marine, fondono, confondono e
mescolano l'800 francese con il 2020 ispanico.
Non
v'è magia più autentica ed emozionante che incontrare la Parola in un Romanzo
con la R maiuscola, dove la spregevolezza di uomini meschini è appannata, forse
offuscata o, probabilmente, oscurata, dalla nobiltà d'animo di persone non
dimentichi della propria umanità.
Fabrizio Giulimondi
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