"Le parole si sono messe davanti alle cose. Il sentito dire ha inghiottito il mondo.".
"Le non cose: Come abbiamo smesso di vivere il reale" (Einaudi) del tedesco-coreano Byung-Chul Han, è un affascinante saggio filosofico, non per tutti, approdato recentemente nelle librerie italiane.
Il mondo artificiale, finto e irreale del digitale, pian piano sta sostituendo quello vero composto di cose colte dai nostri cinque sensi.
Nel leggerlo mi sono immerso nella voglia di reale, di pagine ingiallite e polverose, di vecchi utensili, non meri oggetti di consumo ma condensanti i sentimenti e le emozioni del proprietario, la di lui vita che si è "cosalizzata" in una tavola da stiro, in una cucitrice, o magari in quel jukebox che ha rivelato al suo udito un brano meraviglioso e sino ad allora sconosciuto, o, ancor meglio, il temperamatite che gli ha fatto conoscere la futura consorte.
Non si possiede più nulla ma ci si limita ad accede ad un mondo tutto eguale, incolore, inodore, insapore, senza mani né piedi.
Il libro fa riflettere e contemporaneamente intimorisce, perché mostra vividamente l'abbrutimento dell'uomo dinanzi a schermi, volutamente piatti e lisci, di computer e iPhone scoppiettanti di un profluvio di informazioni e notizie prive di anima, prive di materia, prive di "cosalità".
Lo scontro del mondo reale con quello digitale si rispecchia nell' avversione della fotografia analogica per quella digitale: la prima va oltre l'immagine, la seconda si ferma alla sua sterile riproduzione.
Il digitale è rumoroso nella continua e ossessiva ricerca della comunicazione e nella autoproduzione di se stessi. La vita reale è volontà di silenzio, attenzione e contemplazione, cura di ciò che è autentico, fisico, corporeo, fuori da noi. L'esistenza reale ci proietta verso l'esterno, mentre il digitale ci costringe ad essere ingessati nel nostro ego, in una dimensione solipsica, individualistica, autistica, che nega l'altro. Il reale richiama fatalmente l'altro, la necessità del suo ascolto, della sua vicinanza, sollecitando la persona ad assumere una postura che riduca lo spazio che si frappone con l'altro. Nel mondo digitale delle "non-cose" l'altro non esiste, presenziando solo la propria brama di comunicare, di informare ed informarsi, di fare, agire sempre, in continuazione, ossessivamente, poiché solo se operi vivi e vivi solo se comunichi costantemente ciò che fai: l'altro è solo un'altra "non-cosa" destinataria inerte di comunicazioni e informazioni svuotate di relazioni con ciò che ci circonda.
Si vuole conoscere tutto, all'istante, perdendo il senso del mistero, il desiderio dell'ignoto. Le cose non posseggono più una propria forza gravitazionale.
"Abbiamo eliminato qualsiasi trascendenza, qualsiasi ordine verticale che necessiti di silenzio. Il verticale cede all'orizzontale. Nulla svetta. Nulla si approfondisce. La realtà viene livellata riducendosi a flussi di informazioni e dati.".
Fabrizio Giulimondi