La tutela in sede amministrativa è attuata
dalla stessa amministrazione, attraverso un procedimento amministrativo, di
secondo grado, operando su di un precedente atto amministrativo, instaurato a
seguito di un ricorso dell’interessato. La questione è, dunque, risolta
nell’ambito della P.A. senza alcun intervento giurisdizionale.
Il fenomeno in questione rientra
nell’istituto dell’autodichia, in quanto le decisioni che la P.A. adotta, in
seguito a ricorso dell’interessato, non sono espressione di un potere della
P.A. di autotutelare i propri interessi, quanto di decidere da sé una controversia
insorta con terzi in veste imparziale
La tutela amministrativa qualificata anche
giustizia o autodichia si attiva:
1) a seguito di ricorso;
2) si attiva, pertanto, su
iniziativa del ricorrente;
3) È di tipo contenzioso, ossia in
contraddittorio con gli altri interessati e con i controinteressati;
4) La P.A. investita del ricorso
ha l’obbligo di porsi in posizione di terzietà in ordine alla controversia;
5) La decisione circa la sussistenza
di vizi del provvedimento è vincolata ai motivi addotti dal ricorrente;
6) L’autorità che decide il ricorso
una volta emanato il provvedimento decisorio consuma il suo potere .
Il ricorso amministrativo è quella
particolare istanza rivolta ad una pubblica amministrazione e diretta a
conseguire la tutela di una situazione giuridica soggettiva che si suppone lesa
da un atto amministrativo o da un comportamento della P.A.
Per lo più il ricorso amministrativo che
viene preposto nel rispetto dei termini, forme e condizioni normativamente
predeterminate è rivolto contro un provvedimento e mira ad ottenere il suo
annullamento,revoca o riforma.
Il ricorso presuppone l’esistenza di un
assetto di interessi determinato dalla Pubblica Amministrazione, generalmente a
seguito di apposito atto, assetto sul quale sia insorta una controversia tra
autore e destinatario dell’atto stesso.
La presenza di una controversia in atto
distingue il ricorso da una qualsiasi memoria o osservazione prodotta nel corso
di procedimenti amministrativi finalizzati all’emanazione di atti cui gli istanti
sono interessati.
I vantaggi concreti che offrono tali
ricorsi sono la possibilità di ottenere una nuova pronuncia da parte
dell’amministrazione, la teorica rapidità della controversia e la spesa
decisamente contenuta da sostenere.
Le forme dei ricorsi amministrativi sono:
l’opposizione, il ricorso gerarchico proprio, il ricorso gerarchico improprio e
il ricorso straordinario al Capo dello Stato.
Con la loro proposizione l’interessato può
far valere la violazione sia di diritti soggettivi che di interessi legittimi.
Inoltre, con il ricorso è possibile dedurre non solo i vizi di legittimità
dell’atto, ma anche i vizi di merito, eccetto per il ricorso al Presidente
della Repubblica che è consentito solamente per i vizi di legittimità.
I ricorsi sono:
1) Ordinari se hanno ad oggetto un
provvedimento non definitivo, come il ricorso gerarchico proprio e improprio e
quello in opposizione;
2) Straordinari se attengono atti
oramai definitivi come il ricorso al Capo dello Stato;
3) Impugnatori, mediante i quali si
impugna un atto ritenuto lesivo.
4) Non impugnatori, aventi carattere
eccezionale e atipico, hanno ad oggetto un mero comportamento della P.A. (ad
esempio: il silenzio) o la costituzione o modifica di un rapporto giuridico.
La disciplina dei ricorsi amministrativi è
contenuta nel D.P.R. 1199/1971, da ultimo modificato dalla legge 69/2009.
Per stabilire se sia possibile esperire o
non esperire un ricorso amministrativo ordinario avverso un atto va
preliminarmente verificata la definitività di quest’ultimo: se non è definitivo
il ricorrente utilizzerà, a seconda dei casi il ricorso gerarchico proprio o
improprio o in opposizione; se è definitivo potrà adoperare il ricorso
straordinario al Capo dello Stato.
La definitività si acquisisce trascorso il
termine di novanta giorni dalla proposizione del ricorso gerarchico proprio o
improprio ( sia che vi sia stata la decisione sia che la P.A. sia rimasta
silente).
La definitività si acquisisce anche in
forza di legge, come nella ipotesi dei provvedimenti prefettizi in materia di
requisizione e occupazione di urgenza, o in ragione del fatto che siano stati
adottati da organi non aventi superiori gerarchici ( Ministri o Dirigenti
Generali) o di natura collegiale.
Gli elementi del ricorso amministrativo
sono:
- i soggetti: persone fisiche e giuridiche oltre
associazioni senza personalità giuridica;
- l’interesse dei soggetti ad ottenere un certi
tipo di provvedimento;
- i termini perentori: trenta giorni per il ricorso
gerarchico proprio e improprio e in opposizione e centoventi giorni per
quello al Capo dello Stato. Il termine decorre dalla notifica o
comunicazione dell’atto, o dalla sua pubblicazione ovvero dalla piena conoscenza
del medesimo;
- la forma del ricorso deve essere redatto per
iscritto;
- L’oggetto del ricorso può essere un atto
amministrativo, un comportamento posto in essere dalla Pubblica
Amministrazione o un rapporto insorto fra la P.A. e un terzo oppure fra
soggetti estranei alla P.A. stessa .
La decisione può essere:
- di rito, se dichiara la irricevibilità del
ricorso, se presentato fuori termine; di inammissibilità se è stato
presentato ad una Autorità non competente;
- di merito, ossia di rigetto, se i motivi del
ricorso sono ritenuti infondati, o di accoglimento. Se la decisione è di
accoglimento e il ricorso si basa su motivi di legittimità il
provvedimento si qualificherà di annullamento; se invece il ricorso
si basa su motivi di merito il provvedimento finale si configurerà come di
revoca dell’atto oppure di sua riforma.
- Il ricorso gerarchico
Il ricorso gerarchico proprio è un rimedio
amministrativo ordinario e generale, consistente nell’impugnativa per motivi di
legittimità e/ o di merito all’organo gerarchicamente superiore a quello che ha
emanato l’ atto non definitivo che il soggetto proponente ritenga abbia leso un
proprio diritto soggettivo o interesse legittimo.
Il ricorso gerarchico può essere proprio o
improprio.
Il ricorso gerarchico proprio, di ordine
generale, sussiste quando vi sia un rapporto gerarchico in senso tecnico,
ovverosia un vincolo di subordinazione tra l’organo che ha emanato latto
impugnato e l’organo a cui si ricorre.
Il ricorso gerarchico improprio, di ordine
eccezionale, è previsto in casi tassativi ogniqualvolta non esista un vero e
proprio rapporto gerarchico, come nelle seguenti ipotesi:
- Provvedimenti adottati da organi collegiali;
- Provvedimenti adottati da enti pubblici;
- Provvedimenti adottati da organi già di vertice.
Il ricorso gerarchico è ammesso in unica
istanza. Anche in caso di pluralità di gradi gerarchici, il ricorso deve essere
proposto una sola volta e la decisione presa dall’organo “impropriamente”
gerarchico deve essere considerata definitiva.
Dall’esame delle norme della legge
istitutiva dei T.A.R. si desume che la definitività dell’atto amministrativo
non è più condizione indispensabile per l’impugnabilità dello stesso in sede
giurisdizionale.
Il ricorso gerarchico ha, quindi, perduto
la sua tradizionale caratteristica della necessaria preventività,
per assumere quella della facoltatività, intesa nel senso di libera
scelta fra l’uno e l’altro rimedio senza, comunque, che risulti mai
preclusa la via giurisdizionale.
Tali principi si risolvono, concretamente,
nella improcedibilità del ricorso gerarchico nel caso in cui venga presentato
il ricorso giurisdizionale prima che sia intervenuta la decisione sul
rimedio amministrativo, ovvero prima che si sia formato il silenzio sullo
stesso.
Ulteriore conseguenza di tali principi è
anche quella dell’inammissibilità della sussistenza, in contemporanea, dei due
rimedi avverso il medesimo atto, anche se proposti da soggetti diversi. In
questa ipotesi il ricorso giurisdizionale dinanzi al T.A.R. esclude quello
giustiziale e l’Amministrazione adita in forza del ricorso gerarchico deve
informare soggetti interessati e controinteressati dell’avvenuta presentazione
del ricorso giurisdizionale.
Il ricorso gerarchico tende a far valere
quei vizi di merito che inficerebbero l’atto impugnato, vizi che in via
generale non possono essere invocati nel processo innanzi al T.A.R..; anche la
lesione di diritti soggettivi possono essere giustiziabili in sede di ricorso
gerarchico, lesione che può essere oggetto di un procedimento giurisdizionale solamente
in sede di giurisdizione esclusiva ( non solo dei degli interessi legittimi ma
anche dei diritti soggettivi).
La P.A. ha l’obbligo giuridico di
decidere sul ricorso gerarchico.
Nella evenienza in cui, trascorsi novanta
giorni dalla presentazione di tale ricorso l’organo non emetta alcunché, il ricorso
si ritiene rigettato a tutti gli effetti e l’interessato può impugnare il
provvedimentopreviamente e inutilmente oggetto del ricorso gerarchico dinanzi il
giudice amministrativo o, in alternativa, per il tramite del ricorso
straordinario al Presidente della Repubblica.
Il D.P.R. 1199/1971 ha dettato una
disciplina particolareggiata del procedimento per la decisione del ricorso
gerarchico:
- Il ricorso deve essere presentato
entro trenta giorni dalla notifica o dalla conoscenza dell’atto impugnato;
- Il ricorso può essere presentato direttamente
all’autorità competente mediante consegna all’ufficio; mediante
notificazione a mezzo di ufficiale giudiziario; o, infine, mediante
raccomandata con ricevuta di ritorno;
- Se il ricorso è presentato ad un organo diverso
da quello competente, ma appartenente alla medesima amministrazione ( ad
esempio al questore invece che al prefetto), viene trasmesso d’ufficio
all’organo competente; se l’organo appartiene ad amministrazione diversa
(come ad esempio al questore invece che al Sovrintendente alle opere
pubbliche), ove ricorrano i presupposti, i termini vengono sospesi e il
ricorrente avrà l’onere di ripresentare il ricorso alla autorità
competente;
- L’organo decidente, se non vi ha già provveduto
il ricorrente, comunica il ricorso a tutti i soggetti direttamente
interessati ed individuabili dall’atto impugnato, sia che anche essi
vogliano l’eliminazione dell’atto (soggetti cointeressati) sia che siano
favorevoli alla sua conservazione ( soggetti controinteressati);
- Il ricorso non ha efficacia immediatamente
sospensiva dell’efficacia dell’atto impugnato, salvo l’autorità adita non
lo sospenda a seguito di richiesta del ricorrente che abbia le sue
fondamenta su gravi motivi;
- La decisione può essere di vari tipi: di
annullamento in caso sussistano vizi di legittimità o di merito; di
riforma ovvero di rigetto.
- Se l’autorità non si esprime formalmente entro
novanta giorni dalla presentazione del ricorso il ricorso stesso si
ritiene rigettato e l’interessato potrà impugnare l’atto amministrativo,
oramai considerato definitivo, al T.A.R. o, in alternativa, al Capo dello
Stato in forza del ricorso straordinario.
- Ricorso in opposizione
E’ un ricorso amministrativo atipico,
eccezionale in quanto utilizzabile solo nei casi tassativamente previsti da
disposizione di legge, di tipo impugnatorio, rivolto alla stessa autorità che
ha emanato l’atto impugnato. L’eccezionalità di tale rimedio giustiziale si
rivela nel fatto che si chiede “giustizia” alla medesima autorità che ha
adottato l’atto.
Può essere adoperato sia per motivi di
legittimità( violazione di legge, di forme, di procedure) che di merito(
inopportunità, incongruità, non convenienza), a tutela di diritti soggettivi o
di interessi legittimi.
Il termine per impugnare è di trenta
giorni dalla notifica o comunicazione o pubblicazione o conoscenza in altro
modo dell’atto oggetto del ricorso.
- Ricorso straordinario al Presidente della
Repubblica
Il ricorso straordinario al Presidente
della Repubblica è un rimedio amministrativo di carattere generale consistente
nell’impugnativa di un atto amministrativo definitivo, proposto dal soggetto
interessato direttamente al Capo dello Stato.
Esso è ammesso soltanto per motivi di
legittimità e in caso di lesione sia di interessi legittimi che di diritti
soggettivi.
N.B.: L'art.69 legge 18 giugno 2009, n. 69, il decreto legislativo 2 aprile 2010, n. 104 (codice del processa amministrativo), emanato in attuazione dell'art. 44 legge 18 giugno 2009, n. 69, la copiosa giurisprudenza delle sezioni unite della Cassazione, della Adunanza Plenaria (in sede giurisdizionale) e della Assemblea Generale (in sede consultiva) del Consiglio di Stato di interpretazione dei cennati testi normativi e, ultima, le sentenza della Corte Costituzionale 2 aprile 2014, n. 73, hanno mutato profondamente la disciplina e la natura del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica:
- rimedio giustiziale,
sostanzialmente assimilabile a un "giudizio" di tipo giurisdizionale;
- il parere espresso dal Consiglio
di Stato è vincolante e, quindi, una sorta di codecisione;
- in sede di espressione del parere,
il Consiglio di Stato può sollevare eccezione di incostituzionalità di
una legge rilevante per la sua decisione dinanzi la Corte Costituzionale;
- in sede di espressione del
parere, il Consiglio di Stato può sollevare la questione di pregiudizialità
comunitaria alla Corte Europea di Giustizia del Lussemburgo;
- avverso il Decreto del
Presidente della Repubblica che decide sul ricorso si può accedere al giudizio
di ottemperanza;
- si possono presentare motivi
aggiunti;
- a far data dalla entrata in vigore
del codice del processo amministrativo (d.lgs, 104/2010) il ricorso al Capo
dello Stato è alternativo solamente alla giurisdizione amministrativa e non
anche a quella ordinaria, ossia insiste unicamente sulla stessa competenza dei
giudici amministrativi e non più su quella dei giudici ordinari. A
differenza del ricorso al T.A.R., la presentazione del ricorso al Capo dello
Stato non comporta il pagamento del contributo unificato.
- Rapporti con il ricorso al T.A.R..
Principio di alternatività.
Il ricorso straordinario è alternativo solamente
a quello giurisdizionale amministrativo (electa una via non datur recursus
ad alterum). Pertanto:
- se l’atto è impugnato con ricorso
giurisdizionale al T.A.R. è inammissibile il ricorso straordinario avverso lo
stesso atto;
- se l’atto è stato impugnato con
ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, non è più impugnabile con
ricorso al T.A.R..
La regola della alternatività ha funzione
di evitare che sullo stesso atto amministrativo intervengano due pronunzie
giustiziali diverse ( divieto del ne bis in idem); che il Consiglio
di Stato si pronunci due volte sullo stesso atto (attraverso parere
obbligatorio in sede di ricorso straordinario e come giudice di appello in sede
di ricorso giurisdizionale); e di salvaguardare il prestigio del Presidente
della Repubblica , che sarebbe sminuito ove si ammettesse un sindacato
giurisdizionale sul decreto presidenziale.
Tuttavia, va precisato che il principio di
alternatività tra ricorso straordinario in parola e ricorso al T.A.R. opera
solo nel caso di impugnazioni aventi ad oggetto il medesimo atto.
Tale principio si applica anche nel caso
sia impugnato l’atto presupposto con una tipologia di ricorso e l’atto
conseguente con l’altra tipologia.
- Trasposizione del ricorso straordinario in sede
giurisdizionale
La trasposizione del ricorso straordinario
in sede giurisdizionale amministrativa è un istituto previsto a tutela dei
controinteressati ai quali sia stato notificato il ricorso. Poiché il ricorso
giurisdizionale offre maggiori garanzie rispetto a quello straordinario, deve
essere consentita la scelta fra due forme di tutela non solo al ricorrente, ma
anche al controinteressato che, non potendo subire passivamente una
scelta altrui, chiede che il ricorso sia trasposto in sede giurisdizionale.
Impugnato l’atto con ricorso
straordinario, il ricorrente, avendo fatto la sua scelta, non può più ricorrere
in sede giurisdizionale; invece i controinteressati al ricorso (ossia contrari
ad esso) possono scegliere se:
- Aderire alla opzione del primo
ricorrente;
- Chiedere, mediante opposizione
notificata al ricorrente ed all’Autorità che ha emanato l’atto entro sessanta
giorni da quella del ricorso straordinario, che quest’ultimo sia
deciso in sede giurisdizionale. In tal caso il ricorrente, qualora intenda insistere
nel ricorso amministrativo, deve depositare l’atto di costituzione in giudizio
entro sessanta giorni dal ricevimento dell’atto di opposizione.
- Il procedimento per il ricorso straordinario al
Presidente della Repubblica
Il ricorso deve essere presentato entro
120 giorni dalla data di notifica o comunicazione dell’atto o dalla piena
conoscenza di esso.
Entro il suddetto termine il ricorso – che
può essere presentato anche personalmente – deve essere notificato ad almeno uno
dei controinteressati ( soggetti che contrastano la richiesta di annullamento
del provvedimento) ed alla autorità che ha emanato l’atto e depositato
direttamente presso il Ministero competente anche per il tramite
dell’organo che emanato l’atto impugnato.
L’obbligo di notifica ad almeno uno dei
controinteressati, a differenza del ricorso gerarchico, instaura un autentico
contraddittorio fra le parti, tanto che il Ministero competente assegna un
ulteriore termine al ricorrente per l’integrazione del contraddittorio,
indicando i soggetti a cui il ricorrente deve compiere la notifica.
Il ricorso può includere anche una
richiesta di sospensione del provvedimento impugnato, nel caso esso determini
danni gravi e irreversibili al ricorrente.
L’istruttoria è compiuta dal Ministero
competente per materia.
Una volta chiusa la fase istruttoria su di
essa il Consiglio di Stato ha l’obbligo di esprimere un parere
obbligatorio oltre che vincolante per l’Autorità decidente .
Al termine di questo procedimento il
ricorso straordinario è deciso con decreto del Presidente della
Repubblica, su proposta del Ministero competente (ossia quello che ha
effettuato l’istruttoria), necessariamente conforme al parere del Consiglio di
Stato.
La presente pubblicazione è depositata
alla SIAE e tutelata a sensi della normativa vigente sul diritto d’autore.
Provvederò a citare il giudizio dinanzi
l’Autorità Giudiziaria competente chiunque copi totalmente o parzialmente il
testo senza il mio consenso preventivo.
Fabrizio Giulimondi
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