“Leggere
Shakespeare a Kabul”, di Qais Akbar Omar e Stephen Landrigan (Newton Compton
Editori), si colloca lungo il filone tracciato dal romanzo “Leggere Lolita a Teheran” di Azar Nafisi e, all’interno dell’ambientazione tratteggiata ne
“Il cacciatore di aquiloni” e in “Mille splendidi soli” - entrambi di Khaled Hosseini - oltre
in “Le rondini di Kabul” di Khadra
Yasmina.
Come in Leggere Lolita a Teheran
la lettura dei classici è il mezzo catartico di liberazione dall’oppressione
teocratica khomeinista, in Leggere
Shakespeare a Kabul la rappresentazione teatrale è lo strumento
adoperato per ristabilire la normalità, anche nei rapporti fra uomini e donne,
nell’Afghanistan liberato dall’orrore talebano.
Gli afghani hanno un tradizione teatrale recente, se non si considera il
teatro eretto da Alessandro il macedone quando il suo esercito occupò parte
dell’Afghanistan nel 330 A .C.
Corinne, una regista e autrice teatrale parigina, mette in piedi una piece di Shakespeare Pene d’amor perdute, commedia considerata
più congeniale all’opera maieutica da esercitare sull’intelletto e sull’animo
del Popolo afgano.
Pene d’amor perdute è la storia di quattro uomini che decidono per
tre anni di dedicarsi allo spirito e alla conoscenza rinunziando al talamo e,
che in maniera tragicomica, mutano le proprie nobili intenzioni dopo aver
conosciuto quattro fanciulle di cui, secondo la
migliore tradizione della commedia degli equivoci, fra un misanderstanding
e l’altro, fatalmente si innamorarono.
Trovare le attrici in un Paese in cui le donne vanno in giro come
fantasmi intabarrate nel burqa, non è un problema di poco momento.
Non solo: lo spettacolo shakespeariano si inserisce in una scenografia
di guerra, durata trent’anni, a partire dalla invasione sovietica che detronizzò
il Re Zahir Shah, occupazione russa cessata poi grazie ai mujahidin islamici i quali, però,
con il “sopravvento dei setti idioti del
Pakistan”, trasformeranno l’Afghanistan nel mondo oscuro, cupo e pregno di sangue,
lapidazioni e mutilazioni dei talebani.
L’intervento americano dopo l’11 settembre 2001 ha riconsegnato questa Terra alla democrazia,
ma gli odi ancestrali fra pashtun, hazara, turkmeni e uzbeki non si cancellano in
qualche settimana.
Mettere insieme una compagnia
teatrale di donne e uomini, appartenenti ad etnie che si sono combattute per
decenni, non è di agevole soluzione, specie se si aggiunge il problema della
lingua.
Le opere di Shakespeare sono
state scritte in un inglese complesso di quattrocento anni fa, in cui le parole
hanno più significati e le espressioni adoperate fanno piangere in un occhio e ridere nell’ altro.
Tradurlo in farsi, idioma diffuso in Iran e poi in dari, antico
linguaggio afghano, determina un
ulteriore problema, unitamente a quello
comunicativo fra Corinne e gli otto attori, che necessita dell’ abile
interprete Qais, colto linguista e co-autore del libro in commento.
Determinazione e passione aiuteranno a superare gli ostacoli, che si
manifesteranno anche nei continui litigi fra i protagonisti del romanzo-spettacolo
teatrale, litigi aggravati dalla mancanza di conoscenza da parte di Corinne delle abitudini e dei costumi degli
afghani, che sono soliti non interrompere
mai il propri interlocutori anche se dicono plateali scemenze, a maggior ragione se colui
che è destinatario dell’interruzione è di sesso maschile.
La piece che sarà messa in
scena avrà e dovrà avere conseguenze di natura politica: ”Ascoltando Shakespeare, chi ha la coscienza sporca soffre….Le ferite
che abbiamo subito in tutti in combattimenti, qui, saranno dimenticate nel giro
di qualche anno. Ma interpretando questa commedia mostreremo la nostra
sofferenza al cospetto di chi ha la coscienza sporca ed è ancora a capo del
Paese….Pene d’amor perdute si prende gioco della nostra storia recente, dei talebani, che ci hanno dominato
con le loro regole assurde e crudeli. Pene d’amor perdute parla proprio di
quelle leggi insensate…..Piano piano, stiamo trasformando la storia di Shakespeare nella
nostra storia”.
L’amore che si trasforma in passione che poi diviene caparbietà: la
ricerca di costumi, arredi, musiche, strumenti musicali, scenografie,
imbellettamenti, copri capi, da scoprire nel florilegio ricchissimo delle tradizioni di
quelle Terre.
“Nelle commedie di Shakespeare
come nella vita reale, la gioia è tinta di tristezza. E in nessun luogo più che
in Afghanistan, un Paese straziato da una guerra durata un quarto di secolo, e
le cui ferite restano aperte malgrado gli sforzi internazionali. La magnifica
produzione di Pene d’amor perdute appena andata in scena a Kabul …rispecchiava appieno questa dura verità”.
Il racconto della mise en scene
della commedia shakespeariana Pene d’amor
perdute, nella sua verità, nella sua forza, nella sua ilarità mista ad
ironia, dimostra senza mediazione o infingimenti come la cultura, nella sua veste teatrale –
al pari di quella letteraria così come espressa in Leggere Lolita a Teheran, o
cinematografica, ben incarnata in Osama, pellicola del 2003 diretta da
Siddiq Barmaq, la cui protagonista Marina
Golbahari è una delle quattro attrici
che recitano sul palcoscenico narrato in Leggere
Shakespeare a Kabul – è uno dei veicoli principali, gagliardi e salvifici per cicatrizzare le ferite
purulente che hanno devastato donne e uomini lungo decenni, per ristabilire un
ordine che sa di pace e infondere nuova linfa umanitaria nel sangue di persone che si
sono sbranati per generazioni.
Intellettualmente frizzante, capace di ingenerare curiosità nel lettore
accorto che imparerà molto su mondi, geograficamente così lontani ma che le
tormentate vicissitudini degli ultimi
decenni hanno reso così vicini al nostro,
l’opera scritta a due mani (in attesa che la terza, quella di Corinne, faccia
la sua comparsa a breve nelle librerie) da Qais e Landrigan è altamente augurabile
che compaia quanto prima sui comodini
della Vostre camere da letto.
Fabrizio Giulimondi
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