Dopo “Passione sinistra” (da cui è
stato recentemente tratto un recente film, oggetto di commento nella Rubrica
dedicata ai consigli cinematografici) e “Le luci nelle case degli altri” (recensito
in questo stesso spazio), Chiara Gamberale, nella sua ultima fatica letteraria “Quattro etti d’amore, grazie”
(Mondadori), manifesta una minor
intensità narrativa ed espressiva.
Due donne che si incrociano in un
supermercato: Erica, sposata con figli, spesso incontra nel fare la spesa Tea,
una attrice, fidanzata con un uomo-ameba e regolarmente fornita di amante. Non
v’è mai un contatto fra le due me, nonostante ciò, l’una vorrebbe essere l’altra,
al posto dell’altra, nella vita dell’altra, nelle condizioni dell’altra.
Il racconto ha quattro fili conduttori
paralleli: l’elenco delle pietanze che le co-protagoniste acquistano, apposto all’inizio di ogni capitolo; la storia
di Peter Pan e Wendy (soprannome affibbiato dall’uomo - ameba a Tea); la trama
di una soap opera (Testa o cuore) la cui
l’interprete principale è proprio Tea, telenovela adorata da Erica, fino a
diventare il tracciato entro il quale percorrere la propria esistenza; i
personaggi del famosa situation comedy
televisiva statunitense degli anni settanta Happy
days.
Più storie come ne “Le luci nelle case degli altri”, ma con
un tratto meno coinvolgente e accattivante, ove non sussiste alcunché di
ironico ed allegro come in “Passione
sinistra”.
Fabrizio Giulimondi
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