In uno scenario attuale che vede un attacco senza precedenti all’istituto
della famiglia, Carmine Abate continua a parlarci con commovente delicatezza della
Famiglia e della Terra, delle Radici, delle Origini, di Sentimenti autentici,
di Fatica, di Sacrifici, di Uomini e Donne partiti lontano per rendere “studiati”
i propri figli (“ Ma io so bene cosa si
prova quando si emigra, quel lieve franare della terra sotto i piedi a ogni
passo. Il sipario che si chiude alle tue spalle, lasciando solo uno spiraglio
di luce che t’insegue da lontano”), anche se nel cuore hanno solo il loro paesello natio.
Ancora Carmine Abate ci
parla di Hora.
Hora è il Paese, la “Kora” della Grecia classica delle memorie, la
“Hore” arbërisht degli amarcord
tristi, nostalgici e malinconici come solo i ricordi belli sanno essere.
Hora è un luogo nascosto in ognuno di noi negli anfratti del cuore.
Hora è il Paese dove è nato Carmine
Abate, Carfizzi, ma anche tutte quelle località dove vivono sin dal 1400 le
comunità italo –albanesi.
Hora, in “La felicità dell’attesa”
(Mondadori), è nel crotonese, ma
potrebbe essere in qualsiasi altra parte della Calabria, della Puglia,
dell’Abruzzo, del Molise, della Basilicata, della Campania o della Sicilia: “Hora
jone è come un iceberg, metà fuori illuminata dal sole e metà, oscura, dentro
di noi”.
Hora è un luogo geografico ma anche un luogo spirituale che dimora
nell’’anima di chi è stato, è e sarà : ”L’uomo che trova dolce il luogo
natale è ancora un tenero principiante; quello per cui ogni suolo è come il
suolo nativo è già più forte; ma perfetto è l’uomo per cui l’intero mondo è un
paese straniero”.
Questo romanzo, al pari e ancora più
dei precedenti (Il ballo tondo, La moto di Scanderbeg, Il mosaico
del tempo grande, La festa del ritorno - Premio Campiello 2004 - La collina del vento, Il bacio del pane)
è marcatamente biografico e autobiografico e, al pari e ancor più dei
precedenti, è il romanzo dei lucciconi, degli affetti profondi, di memorie
antiche che, se fossero cancellate, oscurerebbero il futuro.
“La
felicità dell’attesa” narra di ciò che è intramontabile, immutabile, sacro
nella sua semplicità quotidiana, fatta di lotta per il futuro, di presente proiettato
al domani (“Il presente del futuro è l’attesa”) e che guarda sempre al
passato, verso Hora (“Il passato e il presente mi balzano davanti agli occhi
come cani feroci”).
L’italiano, il calabrese, l’ inglese e l’arbëreshë si fondono in
un unico idioma che è prosa e poesia insieme:”
La sua vita è sospesa tra Ney York e Hora, tra il futuro e il passato che non
esistono, dentro un presente traboccante di attese e di rimpianti”.
E’ il tempo il
compagno di viaggio dei protagonisti: ”Il
tempo pareva cristallizzato in gesti e parole ripetuti fino alla noia, con il
dolore che risbucava cauto e senza preavviso, come le lumache in fuga dal
panaro”.
“Mio padre….è stato assente perché in tutta la sua vita ha cercato invano
di rielaborare il lutto per la morte del padre e del fratello, continuando nel
frattempo a sperare di rivedere Norma, soffiando sulle braci vive del suo amore
sotto la cenere, anche dopo la nascita di noi figli, anche dopo la scomparsa di
Norma, che per lui non era morta veramente: a morire era stata Marilyn Monroe”.
Viviamo per questo,
no? In attesa di assaporare questa benedetta felicità.
Fabrizio Giulimondi