giovedì 24 ottobre 2024

"DIMMI DI TE" di CHIARA GAMBERALE (EINAUDI)



 È arrivato il momento di rinunciare al controllo quando non mi serve a niente. Devo essere felice”.

Il nuovo lavoro di Chiara GamberaleDimmi di te” (Einaudi) è letteratura psicoanalitica allo stato puro.

L’Autrice di “Le luci nelle case degli altri” e di “Per dieci minuti” si racconta in un libro autobiografico forte, intimistico e intensamente introspettivo. La Gamberale mette a nudo senza riserve la propria vita dal periodo pandemico ad oggi, disvelando al pubblico il “blocco dello scrittore” in cui si è imbattuta, il rapporto totalizzante con la figlia, “Bambina”, di cinque anni e il non-rapporto con il suo “non-fidanzato”, il cui nome rivela solo alla fine. I nomi sono importanti perché il loro uso esprime un sentimento, legittima la persona, la rende reale.

Libro vero, sincero, coinvolgente perché autentico, “Dimmi di te” affronta tematiche scottanti seguendo – incredibile dictu!  un canone inverso: nonostante il bambino di una coppia sia gravemente disabile la madre esclude da subito di ricorrere all’aborto; viene descritto il cammino al contrario di un omosessuale, che si sposa con una donna dalla quale avrà due figli e con la quale ne adotterà altri due; v’è una grande attenzione per la maternità, per il rapporto fra madre e figlio e per la bellezza dell’allattamento al seno.

Credimi, fin da quando era piccolissimo, incrociavo il suo sguardo e capivo che le cose si sarebbero sistemate, che Angelo e io avremmo solo dovuto avere un po’ di pazienza….”

Dimmi di te” è intriso di una profonda spiritualità e narra il cammino di ricerca interiore percorso dalla Scrittrice.

L’Umanità nelle sue molteplici forme è rappresentata da Raffaello, Ivan, Riccarda, Grazia, Paloma, Stefano e Cate, che vengono tutti “intervistati” da Chara Gamberale. La Gamberale, per comprendere se stessa, scruta le esistenze degli altri: tirarsi fuori dalla palude in cui è immersa, uscire dal buco nero dove è stata risucchiata attraverso le parole e le esperienze degli amici di un tempo e di nuova acquisizione. Non solo. Molto possono insegnare le dinamiche relazionali fra l’adulto e il bambino e l’osmosi fra il singolo e la coppia. Molto può insegnare l’elaborazione del lutto, che sia da malattia o da suicidio. Sul confine gelatinoso fra la vita e la morte l’Autrice spende parole meravigliose nell’imbattersi in Nick nel cimitero di Ventotene: “…Questa vicinanza fra chi è nel mondo fisico, chi non c’è, chi ci sarà quando noi non ci saremo più…Non si muore. E’ l’unica risposta….Chi più di me potrebbe constatare che non siamo niente: siamo ossa. Ma io so che non moriamo, perché il respiro, qui al camposanto, è incessante….”

Fabrizio Giulimondi

sabato 19 ottobre 2024

"BAMBINO" di MARCO BALZANO (EINAUDI)

 


Ero stato un fascista, un soldato e in delatore. Non sapevo cosa fosse lavorare”.

Bambino” di Marco Balzano (Einaudi) è un romanzo duro, roccioso, impressionante, sull’orrore che l’uomo può realizzare in Terra nel voler sostituire l’ideologia alla realtà.

La città di Trieste nazi-fascista e poi comunista titina più che l’ambientazione della storia ne costituisce la trama. Trieste, con la sua bora ed i suoi segreti sanguinari, è la colonna vertebrale di una narrazione calda e tragica.

Mattia, un fascista portato alla violenza, alla angheria e al sopruso, scopre che la sua vera madre è un’altra e comincia a cercarla nei volti delle slovene del Friuli e dell’Istria, dove etnie e religioni sono affasciate fra loro da un antico sentimento di odio e cieca violenza.

L’avvento del fascismo, la Campagna di Grecia, l’8 settembre, l’arrivo della Stella Rossa nelle terre giuliano-dalmate, l’abisso delle foibe.

L’incubo nazista e poi quello comunista.

Le pagine del libro sono intinte di sangue, polvere e morte, stupri e torture: il lettore se ne avvede senza vederli come nelle tragedie elleniche.

Uno stomaco chiuso e un senso di angoscia e impotenza accompagnano questa ricerca di radici materne, di Cecilija, di Adriano, di Ernesto, del padre stesso di Mattia, Mattia che dovrà dismettere anche il proprio nome.

Bambino” diviene sempre più implacabile con lo sfogliare delle pagine.

Ogni volta che l’uomo ha voluto forgiare l’”uomo nuovo” ha forgiato solo l’incubo in Terra, uno “sprofondo che esala odore di carogne e di maledizione”.

Si legge in poche ore ma ciò che provoca la lettura del lavoro di Marco Balzano dura giorni.

Fabrizio Giulimondi

martedì 15 ottobre 2024

"L'OLIVO BIANCO" di CARMINE ABATE (ABOCA)

 


L’olivo bianco” (Aboca) di Carmine Abate - prolifero scrittore arbëreshë vincitore del Premio Campiello (2012) e di numerosi altri prestigiosi premi letterari -  fornisce al pubblico un’altra prova della sua poetica bucolica e della sua lirica della terra, degli alberi come entità spirituali, del dialogo silenzioso e affascinante della natura con l’uomo, delle famiglie che tramandano storie perché il futuro non le dissipi. Al pari delle piante che resistono alla furia delle acque grazie alle proprie radici, la letteratura di Carmine Abate si oppone ad un modernismo cieco, algido e anonimo.

Le pagine di Abate profumano dei fiori calabresi e sono saporitosi come le pietanze preparate dalla madre.

Spillace e Hora sono i due volti sognanti di Carfizzi, paese natale di Abate, luogo dell’anima, spazio metafisico delle memorie e degli affetti. Ogni storia, in fin dei conti, è una storia d’amore: Luca per la sua rarità botanica, l’olivo bianco; Carmine per la sua Elena; il padre di Carmine per quel mondo trasudante fatica, odori, sudore e bellezza; la madre per la sua famiglia e il suo cibo.

L’interpolazione di idiomi calabresi rende melodioso l’incedere del lettore, che avverte la sensazione di mettere le proprie mani sotto la colata soffice e calda della pasta mentre esce dal macchinario; percepisce le proprie mani scavare una terra pastosa e carica di umori e profumi, presagio della pianta che verrà.

Sembra di vederli quei boschi così gagliardi, lussureggianti, selvaggi e rigogliosi.

Sembra di respirare quell’aria così fina, tersa e pregna di fragranze pungenti e inebrianti.

I grafemi sprigionati dalla penna dell’Autore espandono i polmoni facendoli respirare un venticello primaverile e genuino, che “sa di erbe aromatiche, di mare, di pomodoro e mandorla fresca”.

   

Fabrizio Giulimondi

 

 

domenica 13 ottobre 2024

"ALMA" di FEDERICA MANZON (FELTRINELLI): VINCITORE DEL PREMIO CAMPIELLO 2024

 


“…zeppo di bauli, valige, macchine da cucire, ma soprattutto scatole di vestiti, libri e giocattoli, di fotografie. I tesori degli esuli scappati dalle truppe titine. Un deposito di mondi abbandonati in tutta fretta e mai ricostruiti altrove”.

Il romanzo vincitore della edizione 2024 del Premio Campiello, “Alma” di Federica Manzon (Feltrinelli), è un lavoro complesso che parte come un diesel di prima generazione per acquistare velocità solo dopo aver superato la prima metà.

I personaggi assumono nitore nel calar del sipario ma è proprio sul calar del sipario che l’opera scatena la sua potenza e merita il secondo premio letterario italiano.

Il Maresciallo Tito e il suo comunismo differente da quello sovietico naufragano nell’Isola Calva. La menzogna, la difesa dalla memoria e la decomposizione della lingua serbo-croata “iugoslava” sono i collanti delle storie che passano dinanzi agli occhi del lettore.

Comunismo, nazionalismo estremo e ferocia belluina slava fanno da detonatore alla guerra balcanica che fra il 1991 e il 2001 riempie di luciferino orrore i territori delle Repubbliche che via via si rendono indipendenti dopo la morte di Josip Broz nel 1980.

Esiste un “di qui” e un “di là”: da una parte Trieste, Gorizia, il Friuli, Roma, mentre dall’altra ci sono il Carso, la Dalmazia, l’Istria, la Slovenia, la Croazia, la Bosnia, la Serbia. I protagonisti si spostano convulsamente fra l’uno e l’altro luogo -  non solo spazi geografici ma anche antropologici e metafisici - e lo spostamento determina confusione in chi legge: è come se le persone fossero sradicate dalle aree dove regna la propria azione, è come se queste persone non appartenessero più ad una dimensione spaziale determinata. È difficile dare un nome alle città che fungono da set, perché non sono indicate direttamente ma tramite i toponimi delle strade, delle piazze e dei parchi.

L’orrore è dietro e a fianco degli attori del racconto ma non dentro di loro come se ne fossero solo sfiorati: “Ad Alma viene da vomitare, deve essere faticoso vivere dovendo essere figli della nazione, guerrieri, sanguinari, instancabili stupratori e sprezzatori delle donne”.

Vukovar, Sarajevo, Srebrenica, Belgrado, ustascia e cetnici, croati, serbi, bosniaci, sloveni: un miscuglio intricato di etnie, sangue e religioni che si odiano di un odio ancestrale che dà vita ad una violenza oltre l’immaginazione umana; i croati si divertono a giocare a calcio con le teste dei serbi e i serbi si divertono ad ammazzare i bambini dinanzi alle madri per vederne la reazione e, in mezzo, vi sono miriadi di donne terribilmente stuprate.

La Manzon del suo “Alma” ne ha fatto un diorama di ciò che è stato e le pause, i silenzi e i non-detto riempiono di particolare significato questo diorama.

Fabrizio Giulimondi

sabato 12 ottobre 2024

"NON DIFENDERTI, ATTACCA. 50 REGOLE DI COMUNICAZIONE POLITICA PER SPIN DOCTOR E ADDETTI STAMPA” di CARLO MELINA (HISTORICA GIUBILEI REGNANI)

 


Non ascoltarli, gli ignoranti sono loro. Inseguono un elettore razionale e disponibile al confronto, che nella realtà non esiste. Danno fiato alla bocca, mentre tu fai vibrare l’anima”.

Carlo Melina, giornalista a tutto tondo e esperto professionista della comunicazione, ha scritto questa breve antologia di esperienze vissute sul campo della Politica “sangue e merda”: “Non difenderti, attacca. 50 regole di comunicazione politica per spin doctor e addetti stampa” (Historica Giubilei Regnani).

Si fa un gran parlare di comunicazione ma le regole che la governano sono in pochi a conoscerle veramente e questo volumetto ce le spiega con grande intelligenza e in modo sornione e anche divertente.

In “Non difenderti, attacca” non ci sono discorsi professorali e barocchi, noiosi e grigi ma consigli, “furbate”, dritte, trucchetti, segreti del mestiere. I suggerimenti posti in corsivo alla fine di ogni capitolo e i brevi pensieri dei grandi giornalisti della nostra epoca rendono didattica e didascalica la struttura del lavoro, facilmente fruibile a chiunque ed estremamente efficace per capire le tante “chicche” del mestiere di comunicatore politico.

La comunicazione è empatia, emozione, seduzione. La comunicazione è fatta di colori a tinte accese, non fosche e plumbee. La comunicazione è fatta di storie, e le storie si compongono di parole e immagini, e le immagini si catturano con la fotografia.

L’Universo è fatto di storie, non di atomi” (Muriel Rukeyser).

La teoria si evince dalla moltitudine di esempi di vita professionale vissuti da Melina, che analizza ed esamina aneddoti di campagne elettorali locali e nazionali e tranci di vicende istituzionali con l’aiuto di Rudi (l’elettore medio) e Pepito Sbazzeguti (un politico qualunque). L’Autore dalla propria esperienza dipana i risvolti concreti, gli sviluppi favorevoli e quelli negativi, illustrando come un concetto possa essere espresso in modo pregiudizievole o a vantaggio della personalità politica a seconda dell’uso che si fa delle parole, della quantità adoperata e della loro collocazione nel testo.

Il lessico scelto per descrivere un evento, come l’inquadratura di una fotografia, impone un punto di vista sulla realtà a cui si riferisce. Un framing, dicono gli psicologi della comunicazione, che determinerà l’interpretazione del messaggio da parte del pubblico. “Marocchino sgozza la moglie” è molto diverso da “Femminicidio fra le mura domestiche”.

Imparare dagli errori per farne altri e apprendere anche da questi ultimi.

Passione, rigore, lealtà e astuzia.

I vostri nemici hanno un bisogno disperato che voi reagiate. La ritirata li fa infuriare…”(Robert Greene)

Carlo Melina indica in modo simpatico e pragmatico il percorso stilistico da seguire nel redigere un comunicato stampa o qualsiasi altro “pezzo” interessi l’Autorità per cui si lavora.

Scienza, tecnica e burocrazia utilizzano un linguaggio ostile, esclusivo. Il tuo politico deve usare quello dei cittadini. Non vive in un regime, il suo destino dipende dagli elettori. Se Rudi non lo capisce, non lo voterà”.

Consiglio convintamente di leggere questo libello non solo agli addetti ai lavori (comunicatori, giornalisti, uffici stampa, portavoce, spin doctor), ma anche ai tanti curiosi che vogliono conoscere altri mondi, mondi che, in qualche modo, li toccano in realtà da vicino.

Fabrizio Giulimondi

sabato 5 ottobre 2024

"IL TEMPO CHE CI VUOLE" di FRANCESCA COMENCINI

 


Il tempo che ci vuole” di Francesca Comencini è un’opera di non comune intensità sul rapporto speciale che legava Francesca con il padre, l’intramontabile regista Luigi Comencini.

È un racconto fiabesco, onirico, emozionante, tenero, dove la magistrale interpretazione di Fabrizio Gifuni (Luigi Comencini) e Romana Maggiora Vergano (Francesca Comencini) sottrae lo spettatore alla realtà per introitarlo nel mondo immaginifico del cinema, facendolo allo stesso tempo rimane con i piedi ben piantati a terra.

La macchina da presa entra nella intimità della dinamica relazionale di un padre con la figlia, fissando sullo sfondo la tragedia del terrorismo e ponendo in primo piano lo stato di tossicodipendenza di Francesca. Dramma e tenerezza si potenziano reciprocamente, si abbracciano e si intrecciano. Le immagini sognanti del grandioso Pinocchio -  trasmesso dalla Rai nel 1972 - si decompongono per fare spazio ai crimini stragisti di Piazza Fontana e al rapimento e uccisione di Aldo Moro.

Non c’è moglie né madre, non vi sono figlie né fratelli, ma solo un lungo fermo-immagine sul padre insieme alla figlia, la figlia insieme al padre, entrambi avviluppati nella fantasiosa creazione prodotta dalla cinepresa.

Il rapporto fra padre e figlia è simbiotico e salvifico e gli sguardi, le espressioni mimiche e l’atteggiamento corporeo parlano un linguaggio metafisico fatto di parole espresse e non espresse, ma sempre morbide, delicate e carezzevoli anche quando sono dettate dalla disperazione.

Le inquadrature - che si realizzino in campi lunghissimi, dall’alto verso il basso o sfumando i contorni similmente ad immagini ipnagogiche nel cedere al sonno -  danno sempre forma ad un’arte incontrovertibile.

La recitazione ossiede la capacità di rapire chiunque, una recitazione corporea e incorporea, visibile e invisibile, tangibile e intangibile, composta da dialoghi, soliloqui interiori, sguardi amorevoli e tragici, lacrime e sorrisi.

Le ultime sequenze sono tranci di poesia che mutano in figure nuotanti in mezzo all’aria per congedarsi nella somma emozione: la morte del padre accompagnata dalla musica indimenticabile del Pinocchio di Fiorenzo Carpi.

Fabrizio Giulimondi