“La ragazza dello Sputnik” (1999) dell’immenso
scrittore nipponico Murakami (Einaudi Super ET) si inserisce in pieno
nello stile letterario del realismo magico di Gabriel García Márquez.
“La ragazza dello Sputnik” è un romanzo
in cui la sensualità percorre come corrente elettrica tutte le trame del
racconto, facendo vibrare i personaggi di una luce lunare che irradia ogni
contorno nascosto delle loro personalità. Nessuno è una persona sola ma tutti
hanno un lato illuminato dai raggi solari riflessi dalla Luna e un lato immerso
in una oscurità misterica ed intrigante: “Davanti
a me si apriva un’oscurità senza fondo, dietro di me c’era un mondo
pallidamente illuminato … Rimasi sotto l’assedio della Luna, della forza di
gravità, dell’agitazione nell’atmosfera … La luce della Luna distorceva i
suoni, dissolveva i significati e seminava dubbi.”.
La musica
classica traccia un luogo immateriale ed invisibile dove si incontra chi c’è
con chi non c’è pur essendoci come fumo che si scioglie nel vento.
Quale
è la differenza fra segno e simbolo?
Murakami accarezza l’animo del
lettore lasciandolo nella eterea incertezza poetica di un finale senza tempo né
spazio, immaginifico e sognante, un finale della stessa sostanza della sabbia
che confonde l’orizzonte del deserto con il cielo bruno-rossastro, cielo esso
stesso deserto, cielo esso stesso sabbia con venature ocra.
“Ma dentro di me qualcosa era bruciato, e non
esisteva più. Era scorso del sangue. Qualcuno, qualcosa che era dentro di me se
ne è andato. La faccia nascosta, senza una parola. La porta si è aperta, la
porta si è richiusa. La luce si è spenta. Questo è l’ultimo giorno per la
persona che sono. Il mio ultimo tramonto. Spuntata l’alba, il me di adesso non
ci sarà più. Nel mio corpo entrerà un altro.”.
Fabrizio Giulimondi